Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca
Ricordi Immaginari - Spiegare un Film a un Bambino
Schindler’s List
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Titolo italiano e originale: Schindler’s list. Regista: Steven Spielberg. Paese di produzione: U.S.A.. Anno di produzione: 1993. Attori principali: Liam Neeson (Oskar Schindler), Ben Kingsley (Itzhak Stern), Ralph Fiennes (Amon Goeth), Caroline Goodall (Emilie Schindler), Embeth Davidtz (Helen Hirsch). Durata: 3h 17’.
Il regista
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Il commento di Luigi Scialanca
È molto difficile spiegare la Shoah, cioè lo sterminio degli Ebrei europei organizzato e perpetrato dalla Germania nazista agli ordini di Adolf Hitler. Dire che tra il 1939 e il 1945, in Germania e nei paesi da essa occupati, oltre sei milioni di esseri umani (uomini e donne, neonati e anziani, adulti e bambini) furono massacrati perché erano di religione ebraica, e perché Adolf Hitler, a partire dal 1920, aveva convinto la stragrande maggioranza dei tedeschi che gli Ebrei fossero gli artefici volontari di tutti i mali dell’Umanità, significa fare un’affermazione che è, al tempo stesso, assolutamente esatta e assolutamente insufficiente a capire l’immensità, la complessità e la mostruosità di quel genocidio.
Certo, anche solo sapere, pur senza disporre di altri elementi, che un tale massacro, per la prima volta nella Storia, è stato effettivamente ideato e commesso, ci dà almeno un’idea di cosa furono il nazismo tedesco e il suo complice abietto, il fascismo italiano. Ma per capire davvero l’immane portata di quell’orrore è necessario sapere e comprendere molto di più, su di esso, poiché il numero degli assassinati, proprio perché è così enorme, tende a essere accolto dalle nostre menti come una cifra astratta, di cui sappiamo che è grandissima ma che in realtà non riusciamo a vedere né, tanto meno, a sentire.
Dobbiamo, cioè, acquisire tutte le informazioni necessarie a farci un’idea di quale gigantesca e ramificata organizzazione fu necessaria, per uccidere tutti quegli esseri umani; dobbiamo sapere quanti milioni di individui contribuirono a pensare e diffondere le deliranti idee di Hitler e poi a identificare, denunciare e perseguitare gli Ebrei; dobbiamo sapere quanti milioni di individui, in tutta Europa, si divisero le proprietà degli Ebrei e si impadronirono delle loro case quando essi cominciarono a “sparire”; dobbiamo sapere quante centinaia di migliaia di individui fecero funzionare gli uffici, le poste, la polizia, i rifornimenti ai campi di sterminio, il trasporto ferroviario dei deportati e la raccolta, lo smistamento e la vendita dei loro oggetti personali, dei loro denti d’oro e dei loro capelli; dobbiamo sapere quante migliaia di aziende grandi e piccole, in Germania e nei paesi occupati, sfruttarono come schiavi gli Ebrei in grado di lavorare, prima che anch’essi fossero massacrati non appena la fame, le condizioni di lavoro bestiali e privazioni d’ogni genere li rendevano “inutilizzabili”; dobbiamo sapere quante centinaia di migliaia di individui videro passare quei treni, udirono quelle urla, abitarono e vissero vicino ai campi di sterminio (dove uomini e donne e bambini, giorno dopo giorno e ora dopo ora, per anni e anni erano uccisi col gas e bruciati nei forni) e non solo non fecero niente per fermare o almeno ostacolare quel mostruoso meccanismo, ma lo accettarono con la più totale anaffettività, senza mai formulare neanche un pensiero contro di esso. Dobbiamo sapere e capire, o almeno immaginare, quante decine di milioni di Europei e specialmente di Tedeschi, nel corso dei secoli e in particolare del primo Novecento, si resero non umani, cioè si tramutarono in mostri, per divenire capaci di ideare, organizzare e compiere la Shoah.
E intanto, mentre apprendiamo e capiamo il più possibile di tutto ciò, dobbiamo anche riuscire a vederlo davvero, questo orrore smisurato, benché con gli occhi della mente, e soprattutto a sentirlo. Dobbiamo pensare a un solo uomo, una sola donna, un solo bambino, fra quei milioni di esseri umani massacrati, e tentare di immaginare e sentire il suo essere e sentirsi vivo, il calore del suo corpo, la sua storia, l’infinito contenuto di sentimenti, di idee, di memorie e di speranze della sua mente. E poi, avendo intuito almeno un barlume della realtà di un unico essere umano, provare a intuirlo per un altro, e per un altro, e per un altro ancora, fino ad arrivare a sei milioni di vite cancellate con la consapevole intenzione di far sì che nessuno di noi potesse mai più neanche immaginare che sono esistite. Ma se solo per contare fino a sei milioni ci vogliono settanta giorni senza mangiare né bere né dormire, quanto ci vorrà per pensare a sei milioni di esseri umani assassinati cercando di provare in noi, almeno vagamente, il sentimento di quel che la vita significava per ognuno di loro? Eppure dobbiamo farlo.
Per capire davvero la Shoah è dunque necessario che dedichiamo a essa le nostre migliori risorse affettive e intellettuali: dobbiamo arrivare a conoscerla nei particolari e, al contempo, riuscire a vederla e a sentirla nell’insieme con l’immaginazione e con gli affetti. E sarà un’impresa così grande ― per noi che non possiamo impegnarci in essa a tempo pieno poiché dobbiamo frattanto occuparci anche delle nostre vite ― che ci richiederà parecchi anni, se non decenni. Tanto che non dovremo meravigliarci se, dopo aver udito della Shoah per la prima volta da bambini, arriveremo a capirla del tutto, e a mettere le nostre menti definitivamente al riparo dal suo orrore, soltanto da adulti o da vecchi.
Eppure, in Schindler’s list, Steven Spielberg è riuscito nel compito quasi impossibile (e mai tentato prima) di “racchiudere” la Shoah in un solo film: è riuscito a mostrare tutta l’indicibile sofferenza e, insieme, l’immensa umanità delle sue vittime; tutto l’orrore, la ferocia, la vigliaccheria, la stupidità e, soprattutto, la disumanità a cui gli assassini avevano portato sé stessi rendendosi sempre più mostruosi; tutta la gigantesca organizzazione e l’enorme groviglio di complicità che rese possibile lo sterminio. Non ha trascurato né sminuito niente, e con immagini perfette (in cui ogni minimo dettaglio ha la forza, l’intensità e la valenza esplicativa di un documento inoppugnabile, e sullo spettatore ha l’effetto di uno sguardo dato con i propri occhi a una realtà vissuta) ha raccontato una storia che da un lato è assolutamente vera (poiché tutto è accaduto proprio così, come egli ce lo mostra) e dall’altro (per come illumina, con discrezione e tuttavia con intelligenza acutissima, quel che accadde nella mente del protagonista Oskar Schindler) è anche un’opera d’arte, un’altissima creazione della fantasia.
Quando, alla fine del 1939, Oskar Schindler arriva a Cracovia, nella Polonia occupata dai tedeschi, la sua unica intenzione è quella di arricchirsi sfruttando il lavoro obbligatorio degli Ebrei, che i nazisti (in preparazione di ciò che Adolf Hitler ha chiamato la “soluzione finale del problema ebraico”) hanno ridotto in schiavitù e imprigionato nel Ghetto, il quartiere a loro destinato fin dal Medio Evo.
Le ingiustizie, le privazioni e le violenze sempre più terribili a cui vengono sottoposti e la sorte mostruosa che li attende non lo commuovono, non lo interessano, non sono oggetto, nella sua mente, neanche di un pensiero distratto, né tanto meno lo impressiona la disumana ferocia dei loro aguzzini, poiché Oskar Schindler, da chissà quanto tempo, non ha più un rapporto umano con la realtà e non è più animato da normali sentimenti umani verso i propri simili. Non è più un essere umano completo, insomma, ma si è ridotto a una sola dimensione e l’ha a poco a poco affilata e resa tagliente come un coltello: è un bravissimo affarista, un astuto speculatore, un abile avventuriero, certo, ma è anche un uomo senza più affetti né ideali, spinto soltanto dalla bramosia di denaro come un pupazzo caricato a molla; e la distruzione di milioni di uomini, di donne e di bambini nei ghetti, nei vagoni piombati, nei campi di sterminio, nelle camere a gas, per lui non è altro che un’ottima occasione di facili e ingenti guadagni.
A un tratto, però, tutto cambia: la vista di una bambina di pochi anni, avvolta in un cappottino rosso e sperduta tra la moltitudine immensa dei condannati a morte, penetra davvero nella sua mente, nei suoi affetti, nella sua immaginazione, e li riporta in vita. Poiché il vedere, che in ogni essere umano che rimane umano è sempre un rapporto creativo con il mondo, in lui era invece diventato distruttivo riducendosi a fredda registrazione della realtà oggettiva, a raccolta di dati utili per i suoi calcoli di arricchimento e di potere. Ma quella bambina no! Quella bambina, Oskar Schindler non riesce a guardarla, come fa con tutti, come se fosse un oggetto più o meno utile: a un tratto, da chissà quale abisso della sua mente, un vero affetto torna in vita e a farsi sentire, in lui, costringendolo a guardarla con occhi umani e, dunque, a sentire in lei la realtà infinitamente preziosa e irripetibile che ogni essere umano è. A partire da questo unico sguardo, da questo unico momento di vero rapporto umano, come su una base che sembra fragile e precaria ma è più solida di una roccia, Oskar Schindler a poco a poco ritrova e ricostruisce sé stesso, la propria realtà umana quasi del tutto distrutta ― senza accorgersene, come se un processo di rigenerazione spontanea si sia messo in movimento in lui indipendentemente dalla volontà e dalla coscienza ― e salva i mille uomini, donne e bambini che l’Umanità, grazie a lui, non ha perduto. |
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(Le schede di Spiegare un film a un bambino sono per bambini e ragazzi di Quinta elementare, Prima, Seconda e Terza media.
Sono scritte, perciò, il più semplicemente possibile. Ma non sono affatto... semplicistiche.
Vuoi servirtene? Fai pure. Ma non spezzettarle, non alterarle e non dimenticare di citarne l’autore!)
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