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Ricordi Immaginari - Spiegare un Film a un Bambino

 

The Truman Show

 

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Titolo: Il Truman Show.

Titolo originale: The Truman Show.

Regista: Peter Weir.

Paese di produzione: U.S.A..

Anno di produzione: 1998.

Attori principali: Jim Carrey (Truman Burbank), Ed Harris (Christof), Laura Linney (Meryl, la “moglie”), Noah Emmerich (Marlon, l’“amico”), Holland Taylor (Angela, la “madre”), Brian Delate (Kirk, il “padre”), Natascha McElhone (Lauren Garland, “Sylvia”).

Durata: 1h 43’.

 

Il regista

Peter Weir

 

Il film

 

Seahaven (letteralmente Porto di mare, ma si pronuncia quasi come Seaheaven, che significa Paradiso di mare) è una città senza problemi, perfetta. E Truman Burbank, che è nato ed è sempre vissuto qui, potrebbe definire perfetta anche la sua vita: ha una bella moglie che lo ama, una mamma che vive soltanto per lui, un amico carissimo di cui può fidarsi come di sé stesso, un buon lavoro, una bella casa, nessuna difficoltà economica... Chi non vorrebbe essere al suo posto?

 

Eppure, Truman non è felice. Forse per il terribile trauma subìto da bambino, quando suo padre annegò davanti ai suoi occhi durante una tempesta, forse per la grave delusione di qualche anno fa, quando una ragazza di nome Sylvia, di cui era innamorato, gli fu portata via in circostanze misteriose e sconvolgenti. Fatto sta che Truman, invece di godersi spensieratamente questo luogo meraviglioso, sogna solo di andarsene, di gettarsi tutto dietro le spalle, di emigrare alle isole Figi (dove gli hanno detto che la famiglia di Sylvia si è trasferita) e di non tornare a Seahaven mai più.

 

A vederlo, però, egli non sembra infelice: è sempre allegro e sorridente, sempre gentile e disponibile con tutti. Ma è solo un’apparenza o, per meglio dire, una maschera che Truman indossa ventiquattr’ore su ventiquattro senza neanche accorgersene. Come se, da qualche parte nella sua mente, nascondesse perfino a sé stesso l’oscura e inammissibile consapevolezza che Seahaven non è un Eden, ma un luogo ostile, pericoloso, dove si deve fingere con tutti e non ci si può fidare di nessuno.

 

In effetti, anche se Truman lo ignora, le cose stanno proprio così. Nel senso che la sua vita, dalla nascita fino a oggi, è sempre stata del tutto finta, inventata, fantastica. Nel senso che i suoi rapporti con gli altri sono falsi, inesistenti, e che altrettanto fasulla è Seahaven e tutto ciò che vi accade. Nel senso, insomma, che è finto da cima a fondo quello che egli crede il mondo intorno a lui. Poiché Truman non vive nella realtà, come tutti gli altri, ma nella fantasia dell’uomo di nome Christof che ha creato il program-ma televisivo di cui egli è l’ignaro protagonista: The Truman Show.

 

Il film è la storia della sua scoperta della verità e della sua liberazione, narrata come un epico e irresistibile crescendo da un regista che ha sempre amato gli eroi, e resa ancor più emozionante da una colonna sonora non meno eroica. Ma è anche un tentativo di porre (e di rispondere) ad alcune importanti domande sulla sincerità e la menzogna, la verità e la finzione, la realtà e la fantasia. E proprio per questo la vicenda di Truman non ci appare solo sua, e per giunta impossibile e assurda, ma ci coinvolge e ci commuove come qualcosa che potrebbe riguardare anche noi. O che forse ci riguarda già.

Il commento di Luigi Scialanca

 

Apparentemente, il viaggio di Truman Burbank è un ritorno dalla Fantasia alla Realtà: Truman evade da un mondo fantastico, Seahaven, e torna nel mondo vero, il nostro. Ma è davvero così?

 

È una domanda che i filosofi si pongono da secoli: “È reale il mondo in cui viviamo? Esiste? Oppure è una creazione delle nostre menti, una sorta di complicatissimo sogno senza fine?”

 

Se il mondo esiste, è corretto dire che Truman lascia un luogo inventato, che non c’è nella realtà (poiché Seahaven è una città immaginaria, una creazione della mente di Christof) e si trasferisce in un luogo reale, né illusorio né ingannevole, che esiste sul serio. Ma ripeto: è davvero così?

 

Anche le nostre case, benché costruite con materiali reali, sono state disegnate dalla fantasia di qualcuno. Qualcuno, cioè, le ha progettate secondo una propria idea di abitazione, così come Christof ha progettato quella in cui vive Truman. Anche noi, dunque, come Truman, viviamo, dormiamo e sogniamo in edifici e città immaginati da altri. E lo stesso si può dire dei nostri mobili, degli abiti che indossiamo, delle auto che guidiamo, degli spettacoli a cui ci piace assistere. Perfino il nostro modo di cucinare, o le acconciature delle nostre chiome, sono frutto della fantasia di qualcuno. E cosa sono i sistemi politici ed economici entro i quali le nostre vite si svolgono, se non invenzioni di menti umane? Su cosa si basano le leggi che stabiliscono ciò che possiamo o non possiamo fare, se non sulle nostre idee? E l’educazione e l’istruzione che riceviamo da bambini, non sono forse creazioni umane? E i nostri Dei?

 

Perfino i luoghi dove ci rechiamo quando vogliamo sentirci “a contatto con la Natura” sono come li hanno immaginati, voluti e trasformati generazioni e generazioni di nostri avi: sarebbero giungle impenetrabili e pericolosissime, se fossero “al naturale”. Soltanto in mezzo all’oceano, o sulla cima innevata di un’altissima montagna, o ancor meglio sulla Luna o su Marte, potremmo dire di trovarci in luoghi che non hanno alcunché di fantastico. Ma anche lì non sopravvivremmo un minuto, all’esterno delle raffinate realizzazioni di una tecnologia che è anch’essa una creazione della fantasia umana.

 

A ben guardare, dunque, si vede che il mondo reale, anche se indubbiamente è reale, non è meno fantastico di Seahaven. E che l’unica risposta possibile alla domanda che da secoli fa litigare i filosofi, è che la realtà (l’universo di tutto ciò che esiste) e la fantasia (quel che dell’universo abbiamo fatto e facciamo con le nostre menti) sono così intrecciate che è impossibile separarle nettamente l’una dall’altra.

 

Truman, quindi, non fugge da un mondo immaginario per tornare nel mondo reale. Non lascia il regno della Fantasia per quello della Realtà. Esce da un particolare dominio della Fantasia, Seahaven, ed entra in un altro dominio della Fantasia: la Società umana contemporanea.

 

“Ma allora evadere da Seahaven non gli servirà a niente?” ci domandiamo. “Nulla cambierà in meglio, per il povero Truman ingannato da tutti, dopo che avrà raggiunto il mondo ‘reale’?”

Cambierà molto, invece. Perché le fantasie non sono tutte uguali.

 

Ci sono fantasie così belle, che è altrettanto bello farle nostre, realizzarle, adagiarci in esse. E ce ne sono invece di così brutte, che viverci dentro sarebbe molto peggio che spaventoso.

 

Se una madre e un padre, per esempio, immaginano per il figlio un futuro in cui amerà, sarà amato e avrà un lavoro che gli piacerà e lo farà star bene, perché il figlio dovrebbe invece cercare di essere odiato, sfruttato e povero? Se la nostra città è bella, perché fuggire in una brutta? E se il nostro Paese si è dato un sistema politico rispettoso della libertà e dei diritti, perché preferirgli una tirannia?

 

Truman fa molto bene a lasciare Seahaven: evade da una fantasticheria disumana, che non può che renderlo anaffettivo, stupido e disperato, e si trasferisce in un luogo, il mondo in cui viviamo noi, dove invece sono immaginabili e realizzabili (e reciprocamente amalgamabili) tutte le fantasie, e quindi anche quelle che tendono a una sempre maggiore realizzazione e felicità degli esseri umani.

 

“Ma perché la mia Seahaven ti sembra così mostruosa?” domanda Christof. “A Seahaven tutto è piacevole e bello. Mentre nel mondo esterno accadono in continuazione cose molto spiacevoli.”

 

La risposta è che a Seahaven non si può vivere non perché è un luogo immaginario (tutti, ripeto, vivono e hanno sempre vissuto in luoghi immaginari, e talora ci si sono anche trovati bene), non perché vi accadano cose più brutte di quelle che accadono nel mondo esterno, ma perché è un luogo immaginario che pretende di essere vero. Che pretende, cioè, di essere il solo dov’è possibile vivere.

 

Seahaven non è mostruosa perché non è reale o perché lo è meno del mondo esterno ― lo è altrettanto, e come il mondo esterno è un amalgama di realtà e fantasia. È mostruosa in quanto vera.

 

La verità, infatti, non può essere trasformata. Che la Terra ruota intorno al Sole, per esempio, è la verità e basta. Non possiamo scegliere se crederci o no, né metterla in dubbio, né apportarvi alcun cambiamento: tutto ciò che possiamo fare della verità è accettarla senza condizioni. Arrenderci a essa.

 

Prima di ammettere che un’ipotesi, un’idea, una fantasia sono vere, dunque, dobbiamo pensarci molto bene. Dobbiamo chiedere che ci siano dimostrate. E anche quando ne avremo ricevuto le prove, non potremo mai escludere la possibilità che ulteriori ricerche revochino in dubbio quel che ritenevamo definitivamente accertato. Poiché, su tutto ciò che crediamo vero per sempre, l’immaginazione e la creatività che ci rendono umani non godono più di alcun diritto. E se le nostre menti contenessero solo verità, noi avremmo finito per sempre di pensare. Potremmo solo credere e rimuginare.

 

Questo evento (che un’idea, una fantasia, una creazione umana pretenda di eliminare tutte le altre e regnare incontrastata sulle nostre menti) sarebbe il più spaventoso che ci possa capitare.

 

Christof lo dice chiaramente, all’inizio del film: “Non c’è alcuna finzione, nel nostro show: quel che accade a Truman è tutto vero.” Tutta la mostruosità di Seahaven è già in queste parole.

 

A Seahaven, infatti, non si può spostare neanche uno spillo: ogni cosa, in essa (dall’architettura dei palazzi ai saluti dei vicini, dalle merci nei negozi al tempo atmosferico) dev’essere come la vuole Christof. Non c’è spazio per altri progetti, speranze, fantasie. Nessuno, tranne Christof e il suo staff, è autorizzato a immaginare qualcosa di nuovo. La “verità” di Seahaven è stabilita per sempre, in ogni particolare, dal suo Creatore. E ciò vuol dire che a Seahaven non possono vivere esseri umani, ma solo personaggi: creature immaginarie, condannate a ripetere per l’eternità quel che l’autore ha deciso per loro.

 

Nel nostro mondo, invece, le creazioni sono così tante e così varie, che catalogarle tutte non è possibile: idee e fantasie di miliardi di persone (insieme a quelle di chi è vissuto prima di noi) convivono, competono e si amalgamano momento per momento, e ognuno può non solo accogliere e accettare quelle che preferisce e rifiutare quelle che gli ripugnano, ma anche trasformarle secondo i propri gusti e perfino crearne di nuove. Alcune di esse prevalgono sulle altre, certo, ma non perché s’impongano con la forza pretendendo di essere le uniche “vere”. Prevalgono perché piacciono di più, perché molti ci si trovano meglio che in altre, perché più belle, perché danno origine a invenzioni e scoperte che migliorano le nostre vite. Prevalgono, insomma, perché corrispondono meglio alle esigenze umane.

 

Guai se un’idea o una fantasia vuole che l’accettiamo e condividiamo senza discutere non perché ci faccia star meglio, ma perché (dice lei) è vera: corriamo il rischio, da un momento all’altro, di ritrovarci a Seahaven (o peggio) anche noi, e tramutati in burattini come tutti i suoi abitanti.

 

Purtroppo, esistono uomini e donne che vogliono essere burattini. Che non son più liberi per aver miseramente avvilito l’immaginazione e la creatività che la nascita umana ci conferisce, e che perciò non riescono a concepire niente di meglio, per sé e per noi, che recitare per tutta la vita lo stessa, immutabile sceneggiatura scritta da qualcun altro. La “moglie”, la “madre” e il “padre” di Truman, il suo “amico” Marlon e gli altri abitanti di Seahaven appartengono a questa infelice categoria.

 

Essi, non potendo creare, non hanno più affetti e rapporti autentici: possono solo recitarli malamente, ripetendo “a pappagallo” le parole e i gesti che la sceneggiatura detta loro. Le loro reazioni sono prestabilite, e dunque insincere. Fingono amore, amicizia, interesse, ma non è vero: in realtà pensano ad altro. E Truman è prigioniero di un doppio inganno: l’inganno di Christof, che ha creato Seahaven e gli fa credere che sia l’unico mondo possibile; e quello dei suoi “cari”, che si fanno credere persone vere (anzi, le uniche persone vere della sua vita) e invece sono pupazzi, aiutanti del burattinaio che cercano di tramutare in burattino anche Truman, che di Seahaven è l’unico abitante umano.

 

Ma Truman, sotto sotto, lo sente, lo intuisce, lo sa. Anzi: lo ha sempre saputo. Fin da quando era bambino, e in classe – già immaginando l’esistenza di luoghi diversi da Seahaven – dichiarava che da grande avrebbe fatto l’esploratore. Mentre l’insegnante, brava e solerte burattina incapace d’immaginare alcunché, tentava di convincerlo che al mondo non c’è più nulla da trovare o da cambiare.

 

Truman, cioè, non ha rinunciato alla fantasia, non ha smesso di creare e ricreare il mondo a dispetto di chi pretende invece che lo accetti come gliel’hanno dato. Lo si vede, per esempio, nella bellissima scena in cui, dopo la scomparsa di Sylvia (l’unica che è stata sincera con lui, e che ha confermato la sua intuizione che Seahaven non è tutto il mondo) egli ne “ricostruisce” il volto con frammenti di fotografie ritagliate di nascosto da una rivista; e fa riapparire, così, assemblando umili e informi pezzetti di realtà, quell’immagine umana di donna che Christof a Seahaven ha fatto sparire, ma che Truman, nonostante ciò, non ha mai perduto dentro di sé. O nelle scene in cui non si serve dello specchio del bagno per riflettervi la propria immagine così com’è, ma per ricrearla come immagine di un esploratore o di un astronauta. O in quella in cui tenta di superare il trauma della morte violenta del padre, che Christof gli ha inflitto per imprigionarlo a vita, e di avventurarsi in mare per fuggire da Seahaven.

 

Truman, insomma – in quel mondo inventato che pretende di essere l’unico vero – riesce a immaginare altre possibili verità, a far riapparire ciò che è stato cancellato, a fantasticare la sparizione di tutto ciò che non è umano, a trasformare imprevedibilmente sé stesso. Truman, cioè, è capace di rendere vere le creazioni della propria fantasia. È capace di farle esistere nella realtà. Mentre nel mondo di Christof, il suo avversario, tutto ciò che è vivo e umano viene immobilizzato e pietrificato.

 

Ma che mondo è, quello di Christof? Quello delle fedi e delle ideologie che tentano di dominare le nostre menti? Anche. Ma non dimentichiamo che The Truman Show non è una Chiesa, non è un partito: è uno spettacolo televisivo. Non dimentichiamo, cioè, che sono i media, oggi, a penetrare nelle case e in noi pretendendo di non portarvi solo fantasie, ma la rappresentazione immediata della Verità.

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(Le schede di Spiegare un film a un bambino sono per bambini e ragazzi di Quinta elementare, Prima, Seconda e Terza media.

Sono scritte, perciò, il più semplicemente possibile. Ma non sono affatto... semplicistiche.

Vuoi servirtene? Fai pure. Ma non spezzettarle, non alterarle e non dimenticare di citarne l’autore!)

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