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Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca

 

Umani Conigli

 

di Luigi Scialanca

 

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a Silvia e Paola, che vorrei solo veder sorridere

 

Gli Alieni erano dei bipedi pelosi molto simili a enormi conigli bianchi, con orecchie grandi in proporzione.

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Alla fine, ciò che da anni paurosamente si vaticinava accadde: arrivarono gli Alieni. Quel che dalla fantasia è concepito, infatti, prima o poi viene al mondo, anche se il bene più a fatica del male, il bello più a rilento del brutto e i ribassi molto più di rado che i rincari. Gli Extraterrestri non fecero eccezione: dopo più di un secolo di presagi e profezie, un venerdì apparvero sul serio.

 

Inutile dire che per il nostro stile di vita fu l’inizio della fine: la cosa è ormai così tristemente nota, che non so proprio perché e per chi io stia scrivendo queste righe. Forse perché raggiungano e mettano in guardia, se mai disporrò di un’astrobottiglia entro la quale affidarle ai flutti cosmici, qualche altra civiltà della Galassia non ancora colpita dalla sventura che alla nostra fu fatale...

 

Poiché culturalmente non ebbero pietà di noi, quei maledetti Alieni, anche se fisicamente non erano capaci di far del male a una mosca e in effetti non ci torsero un capello! Non ebbero pietà!

 

Quando fu il momento, nessuna intelligence del pianeta e nessuna sofisticata tecnologia li previde o li vide avvicinarsi, e ciò che di essi poterono sapere e capire i potenti della Terra fu pari a ciò che poté vederne chi non aveva che gli occhi e in genere se ne serviva per piangere: in un batter dei medesimi tutti i cieli del mondo si riempirono di gigantesche astronavi, e se non calarono ovunque le tenebre (come un altro famoso venerdì) fu solo perché, a differenza di tutte le navi spaziali fantasticate negli anni dagli scrittori di fantascienza, queste erano trasparenti. Caratteristica che ai più perspicaci tra noi diede subito una buona idea della profonda diversità che ci si doveva attendere di riscontrare fra i Terrestri e gli esseri che le avevano fabbricate: gente, a quanto pareva, che non aveva niente da nascondere! Tanto da lasciarsi tranquillamente scrutare, ventiquattr’ore su ventiquattro e qualsiasi cosa stesse facendo, da chiunque avesse a disposizione un pur modesto binocolo! Cosa che ci riempì di terrore, perché colui che non ha niente da nascondere, secondo il metro con cui misuravamo il prossimo sulla Terra di allora, di sicuro non ha niente da difendere, nulla da perdere ed è quindi disposto a tutto!

 

Constatammo così che gli invasori (che all’inizio giudicammo dei veri polli vedendo che benché detenessero l’incontrastato dominio dei cieli non si decidevano a sbarcare, non si abbandonavano ad atti inconsulti nei nostri confronti, non davano il via a una campagna di conversione forzata agli dei falsi e bugiardi nei quali verosimilmente credevano, e anzi si erano addirittura ritirati di qualche chilometro per non intralciare il traffico aereo) erano invece dei bipedi pelosi molto simili a enormi conigli bianchi, con orecchie grandi in proporzione. Cosicché un bello spirito anglosassone li battezzò Harveys, e il nomignolo ebbe tanta fortuna che seguitammo a chiamarli così finché non ci passò la voglia di farlo.

 

Nessun tentativo di mettersi in contatto con loro fu degnato di risposta, neanche quello del premier italiano, che per sfoggiare la sua cultura preferiva chiamarli Bunnies! Insulto a dir poco intollerabile (il loro di non risponderci, non quello del premier italiano di chiamarli così) che fu rispedito al mittente con un bombardamento, convenzionale e atomico, che sulle loro astronavi non ebbe altro effetto che un lieve incremento di luminescenza che le rese ancora più belle. Poiché erano stupende, in effetti, cosa che avrei dovuto dirvi subito: così com’era incantevole il modo di muoversi degli Harvey, splendida ogni loro occupazione (benché quasi sempre incomprensibile) e buona e generosa la loro indole, come avrebbe capito fin dal primo istante, sulla Terra, se solo ve ne fosse stato uno, chiunque avesse abbastanza cervello in testa e cuore in petto da non godere di alcun potere: così buona e generosa (l’indole degli Harvey) da non permettergli di reagire al nostro attacco a tradimento, e da indurli anzi ad assorbire fino all’ultimo chilotone l’energia degli ordigni esplosi e fino all’ultimo roentgen la radioattività emessa! Salvando così la biosfera terrestre da un’ecatombe di ritorno paragonabile solo all’estinzione di massa del Permiano.

 

La situazione, a quel punto (a chi si interessava ad essa perché ci avrebbe rimesso qualcosa se si fosse messa male per noi) parve descrivibile come il classico stallo. Ma solo perché costoro ignoravano che gli Harvey, zitti zitti, nel frattempo si erano già messi in comunicazione con alcuni rappresentanti dei Terrestri! I quali, tre in tutto, erano stati prescelti dagli Alieni fra i membri dei regni animale e vegetale sulla base del proprio insindacabile giudizio e gradimento, come del resto è naturale (poiché nessuno è tenuto a intrattenersi con chi non lo attrae né lo interessa punto) e all’insaputa di ogni altra creatura vivente del nostro (fino allora) felice pianeta erano stati già trasferiti sull’astronave ammiraglia da un apposito raggio traente provvisto di ogni comodità e piacevolmente ventilato al profumo di pino.

 

I fortunati erano un insegnante italiano d’Italiano di nome Vitaliano, cinquantenne, mio ottimo amico e collega, il suo gatto John's, neanche lui di primo pelo, e il tronchetto della felicità che da poco gli era stato restituito dalla sua ex-fidanzata: piacevolmente risucchiati da una sorta di gigantesco cosmico phön alla rovescia, fuoriuscirono da una finestra estivamente spalancata della loro residenza, ascesero al cielo con la lentezza e l’assenza di scosse che più si addiceva alla quiete dello stomaco e al diletto degli occhi dei due che possedevano l’uno e gli altri, e nel giro di un’ora si ritrovarono a calpestare un pavimento così trasparente che avrebbero potuto supporre di esser sospesi nel vuoto al di sopra dell’azzurro globo terracqueo (i due che erano in grado di supporre qualcosa) se fin dal primo momento, per non graffiare né insozzare la straordinaria superficie, non fossero stati dotati di eleganti pianelle rosa.

 

Terrestri... disse loro, più con grazia che con solennità, il primo servitore degli Harvey, così simile a un coniglio bianco alto due metri che almeno uno dei convenuti si preparò a invitarlo a bere qualcosa al bar dell’astronave e a chiedergli di esaudire i propri tre desideri preferiti. “Terrestri, sono il primo servitore del popolo che chissà perché avete battezzato Harvey, e innanzi tutto vorrei pregarvi di accettare le mie scuse per avervi portati qui senza il vostro consenso, e per così dire con la forza: si è trattato del deplorevole errore di un traslocatore alle prime armi. Spero, comunque, che il viaggio sia stato piacevole...”

 

“Molto, grazie!” disse l’umano.

 

“Miao!” disse il felino (del quale, d’ora in poi, ci asterremo dal riportare le analoghe esternazioni).

 

Il tronchetto della felicità invece non disse alcunché (ma non per questo godette in seguito di minori riguardi da parte dell’anfitrione, che non tralasciò mai di rivolgersi anche a esso.)

 

“Io e il popolo di cui sono il primo servitore...” iniziò il coniglio.

 

“A proposito, mi scusi...” lo interruppe l’umano di nome Vitaliano. “Sarebbe così gentile da spiegarmi il significato di questo titolo così curioso?”

 

“Primo servitore?”

 

“Già.”

 

“Semplice: da noi, chi aspira a una piccola o grande quota di potere deve prima servire per un anno in una casa privata o in un pubblico locale. Un anno si serve e un anno si comanda, ma solo se il servizio è stato giudicato soddisfacente da chi ne ha usufruito... Un anno sù e un anno giù, uno sù e uno giù!” E il coniglione ripeté più volte questo ritornello esibendosi in qualche passo di danza assai aggraziato.

 

“E se a qualcuno fare il servitore non piace?”

 

“Nessun problema: può dedicarsi a qualsiasi altra attività! Purché, è naturale, rinunci ad avere dei sottoposti, a impartire ordini e disposizioni di qualsiasi genere e a prendere qualsivoglia decisione che influisca in un modo o nell’altro sull’esistenza di chicchessia... Le dispiace se veniamo al punto, però? Mi scusi, sa, ma non abbiamo molto tempo: dobbiamo visitare altri diciotto mondi entro un anno galattico standard, senza contare le soste sul quarto pianeta di Altair per rifornirci di carote fresche...”

 

“Certo, certo! Mi scusi lei, anzi!”

 

“Terrestri,” riprese il primo servitore degli Harvey, ancora una volta senza altra enfasi che quella implicita nelle sue straordinarie parole, “il consiglio dei servitori della Galassia, scusandosi per l’involontario ma grave ritardo con cui è venuto a sapere della presenza di vita sul vostro pianeta, invita quelli di voi di cui sarà indiscutibilmente provata l’umanità a entrare nell’Unione di tutte le specie umane della Via Lattea... Ehm... Spero che il mio traduttore intrapsichico simultaneo funzioni bene...”

 

“Come no?!” disse Vitaliano. “Lei parla l’Italiano meglio di me che lo insegno, signor primo servitore! E la sua offerta è davvero generosa, grazie!... Che dire?... Non ci sono parole! Grazie, grazie e ancora grazie, a nome di tutti i Terrestri!... Ehm... Quali vantaggi comporta l’ingresso nell’Unione?”

 

“Uno solo, ma eccelso: il diritto di accedere, partecipare e incrementare la conoscenza, la saggezza, il piacere e la felicità (in ordine crescente d’importanza) che incessantemente percorrono e pervadono la Galassia generati dall’ininterrotto contatto empatico fra tutti gli esseri umani che in essa risiedono.”

 

“In parole povere?”

 

“La suprema goduria possibile,” disse il coniglio. E i suoi occhietti purpurei brillarono, come fuochi intravisti di lontano in una foresta innevata, tra i folti peli candidi che li coprivano.

 

“La suprema goduria possibile? Grande!”

 

“Come minimo.”

 

“Be’, ma... perché ha detto quelli di voi di cui sarà indiscutibilmente provata l’umanità, scusi? Noi siamo umani tutti, senza eccezione alcuna, indipendentemente dal colore della pelle, dalla nazionalità, dal sesso, dalla religione e dalle idee politiche! È scritto in ogni costituzione decente! Ci chiamiamo esseri umani proprio per questo, e consideriamo umano chiunque sia nato da donna!”

 

“Noi invece no,” dichiarò il primo servitore.

 

“Come sarebbe a dire? Ma allora siete dei razzisti!”

 

“Al contrario. Razzisti siete voi, direi, se vi definite umani a priori, in assenza di convincenti prove scientifiche ed escludendo chi non fa parte della vostra specie. Questa creatura, per esempio, che se non erro chiamate gatto, perché non potrebbe essere altrettanto o anche più umana di lei? E quest’altra, che mi dicono abbiate battezzato tronchetto della felicità? Impartite dei soprannomi a tutti, così come vi gira, e quel ch’è peggio li tiranneggiate e li sfruttate dal primo all’ultimo. Perfino a noi, che della nostra umanità diamo solide prove da più di diecimila anni, avete subito affibbiato un nomignolo...”

 

“Occorrono forse delle prove? Avete dato un’occhiatina là sotto, attraverso questi bei pavimentini tirati a lucido? Avete visto tutte le belle cose che abbiamo messo in piedi in poche migliaia di anni?”

 

“Non si scaldi, per favore!”

 

“Non mi scaldo. Ma le avete viste, sì o no?”

 

“Le blattotèrmiti dell’ottavo pianeta di Betelgeuse, che per inciso sono alte il doppio di me e di lei messi uno sull’altro, costruiscono termitai grandi come interi pianeti e si spostano fra di essi con astronavi che raggiungono una velocità quasi pari a quella della luce. Ma non possono essere definite umane.”

 

“Perché no?”

 

“Perché si offenderebbero!... No, scherzo!” esclamò il primo servitore accennando un altro passo di danza. “Perché ognuna di esse, pur sembrando autonoma, è invece una cellula non senziente di un incommensurabile e immortale organismo che si riproduce per partenogenesi, si coordina senza accorgersene grazie a un telesistema nervoso e negli ultimi tre miliardi di anni ha accumulato una conoscenza dell’Universo e delle sue leggi completa, perfetta e tuttavia assolutamente inconsapevole. Un organismo che interagisce con la realtà meglio di un essere umano, ma che non ha alcun rapporto con essa né con sé stesso. E chi non ha rapporti, lei m’insegna, non può essere definito umano... Giusto?”

 

“Se lo dice lei... Ma noi abbiamo un sacco di rapporti! Tant’è vero che abbiamo un’infinità di linguaggi verbali e non verbali! E nel mio caso li insegniamo pure! Comunicazione intelligente, signor primo servitore, consapevole e creativa! Non c’è altra specie che lo faccia, sulla Terra! Neanche alla lontana!”

 

“È un buon indizio, lo ammetto. Ma niente più che un indizio. Per farle un esempio, i Polimorfidi del secondo pianeta di Vega non sono dotati di bocca, tant’è vero che si cibano attraverso i peli corporei di sostanze nutritive contenute nella pioggia. Inoltre non possiedono né gambe né braccia né mani né dita, e di conseguenza non hanno mai sviluppato alcun tipo di linguaggio. Sono dei giganteschi serpenti pelosi, che non parlano e non costruiscono alcunché, eppure sono umani e comunicano. Sa come fanno?”

 

“Non ne ho la più pallida idea!” esclamò l’umano, scoccando al felino un’occhiata colma di sospetto.

 

“Secernendo e mescolando le diverse fragranze emesse da venti apposite ghiandole cutanee.”

 

“Molti di noi fanno lo stesso, per esempio sugli autobus in estate, ma sono spesso incompresi o addirittura evitati...”

 

“Lo vede? È proprio quello che sto dicendo: se lei incontrasse un Polimorfide vegano lo tratterebbe come un’enorme anguilla puzzolente: non avrebbe il minimo sospetto di trovarsi dinanzi a un essere umano! Mentre persiste a definire umani sé stesso e i suoi cospecifici senza un solo motivo valido...”

 

“E la nostra arte? Che mi dice di Omero, di Fidia, di Dante, di Leonardo, di Michelangelo, di Brunelleschi, di Shakespeare, di Cervantes, di Beethoven, di Van Gogh?... O del tizio che affrescò Altamira?”

 

“I Bradipongidi del sesto pianeta di Sirio non hanno altra arte che le infinite sfumature espressive dei loro sguardi, eppure la gente fa la fila lungo tutta la Via Lattea per guardarli un momentino negli occhi, e le assicuro che sono umani quanto me. Viceversa, i cacasennati del centunesimo pianeta di Ofiuco sono stati dotati da Madre Natura di un apparato spruzzo-espulsivo degli escrementi che tre volte al giorno materializza stupendi affreschi variopinti (assai richiesti e asportati con ogni cura da tutti i mercanti d’arte della Galassia) sulle pareti delle luminose caverne ghiacciate in cui nascono, crescono, si riproducono e muoiono nel giro di ventiquattr’ore senza dare alcun segno di essere umani...”

 

“E la guerra, allora? Che mi dice della guerra? Noi ci scanniamo, torturiamo, ammazziamo, sterminiamo o comunque ci rendiamo insopportabili gli uni agli altri vita natural durante! Gli animali no!”

 

“Mi duole di contraddirla, ma i masocani del diciassettesimo pianeta di Cassiopea si condussero vicendevolmente all’estinzione nel giro di appena tre generazioni senza essere più umani di un sasso. Mentre gli Utopoidi del terzo pianeta di Rigel sono del tutto umani anche se la loro delicatezza reciproca si spinge fino a non permettergli di praticare alcuna forma di commercio diversa dallo scambio di doni.”

 

“Ma allora qual è la prova vera, si può sapere? Come si fa a dimostrare incontrovertibilmente la propria umanità, quando possono essere caratteristiche umane tutto e il contrario di tutto?”

 

“Appunto: tutto e il contrario di tutto sono solo degli indizi, cioè delle caratteristiche che è possibile riscontrare negli umani come nei non umani. Mentre la prova (con l’articolo determinativo, perché a tutt’oggi è l’unica che abbiamo individuato) è una caratteristica senza la quale l’umanità non si dà proprio. La cui mancanza, cioè, è condizione sufficiente a escludere in toto l’umanità del soggetto in esame.”

 

“E sarebbe?”

 

“Vuol sedersi, prima? Talvolta, rappresentanti di specie affini per molti versi alla sua hanno avuto una sorta di temporaneo mancamento, quando sono stati edotti in proposito senza le dovute cautele...”

 

“Credo di poter farcela anche in piedi, grazie... Proceda!”

 

“Be’, dopo lunghi studi, comprovati da attente e ripetute verifiche sperimentali, siamo giunti alla conclusione che sono umani solo gli esseri che attraverso le varie fasi del rapporto sessuale sono in grado di pervenire a un livello di tenerezza, d’incanto e di gioia, per l’unione fisica con l’altro, tale da innescare in loro positive trasformazioni psichiche inconsce e coscienti. È singolare, me ne rendo conto... Ma tant’è!”

 

“In parole povere?”

 

“Quelli che scopano diverso dalle bestie.”

 

“Ma allora non c’è problema!” esclamò l’insegnante italiano d’Italiano. “La mia specie possiede, anzi, che dico?, è addirittura permeata da questa caratteristica! L’intera nostra arte sta lì a dimostrare che l’amore è tutto, per noi! Viviamo per amare, e se per un motivo o per l’altro non possiamo più farlo, be’, noi letteralmente andiamo ai matti, ci ammaliamo, ci spegniamo come candele consumate!”

 

“Molto suggestivo. Disgraziatamente, però, le parole stanno a zero, come voi stessi dite, e specialmente in questa materia. A parole son tutti innamorati pazzi, si sa! Mentre noi possediamo un apposito strumento rivelatore del livello di coinvolgimento psichico degli esseri viventi durante l’amplesso, il telepatamorometro, che abbiamo messo in funzione al momento del nostro arrivo e ha già condotto a termine le sue accuratissime misurazioni su tutti i Terrestri. A voi tre non resta perciò che tornarvene giù (col nostro aiuto, è naturale!) e informare gli uomini, gli animali e le piante dei risultati delle medesime...”

 

“Ma questi due che cosa diavolo vuole che possano informare? Son poco più che delle cose!” non si trattenne dal gridare Vitaliano, guardando con odio quelli che fino a poco prima erano i suoi beniamini.

 

“Sì, in effetti né il gatto né il tronchetto sono umani. Per via subliminale, però, quel che io le sto dicendo viene contemporaneamente impiantato nei loro organismi sotto forma di un eco-messaggio telepatico che ogni essere vivente del pianeta capterà e comprenderà secondo la sua natura e le sue attitudini. Mentre lei sarà così cortese da trasmetterlo a voce alla sua gente, che avendo privilegiato per centinaia di migliaia di anni il linguaggio verbale non è quasi più in grado di comunicare altrimenti...”

 

“Ho di nuovo perso la calma, mi scusi... Ma mi dica, la prego: qual è il verdetto, per l’uma... ehm, per la specie a cui appartengo? Parteciperemo alla suprema goduria possibile della comunione affettiva e intellettuale con tutte le specie umane della Via Lattea o ne saremo per sempre esclusi?”

 

“Vede... In realtà non è quasi mai una questione di intere specie, amico mio, ma piuttosto di singoli individui: alcuni lo raggiungono, il livello di cui sopra, e altri a poco a poco se ne allontanano.”

 

“Mi sta dicendo che per una parte di noi le porte sono aperte?” allitterò per l’emozione l’insegnante italiano d’Italiano. “Che entreranno nella Unione galattica anche degli uomini e delle donne?”

 

“Certo!”

 

“Ma è meraviglioso! Evviva! Hurrà!... Ehm... E quanti saremo, se può dirmelo?”

 

“Quindici.”

 

“Quindici?!”

 

“Sì. Uno è solo, poverino...”

 

“E già. Infatti mi ha restituito il tronchetto e se n’è andata...”

 

“...e purtroppo non è lei, quell’uno.”

 

“Senta, signor primo servitore...”

 

“Sì?”

 

“Adesso l’accetterei, la sua offerta di sedermi un momento, se per lei va bene...”

 

L’insegnante italiano d’Italiano non aveva ancora finito di dirlo che già un invisibile raggio accomodante a forma di cuscino si era disteso sotto i suoi glutei mentre un altro raggio esercitava una lieve pressione dall’alto verso il basso sulle sue spalle.

 

“È comodo, adesso?” s’interessò il gigantesco coniglio bianco.

 

“Sì, grazie.”

 

“Desidera sapere qualcos’altro, prima di tornare sul suo pianeta?”

 

“Sì... Vorrei sapere chi altri, a parte quei quindici miei cospecifici, nel rapporto sessuale è in grado di raggiungere un livello di tenerezza, d’incanto e di gioia per l’unione fisica con l’altro... ecc., ecc.”

 

“Quando ho parlato di quindici persone, intendevo riferirmi agli adulti come lei. Poi ci sono i neonati.”

 

“I neonati? E quanti?”

 

“Tutti, è ovvio. La vostra specie nasce sempre umana, anche se poi non lo rimane quasi mai.”

 

“E potrei sapere come avete fatto a misurare l’umanità dei neonati nel corso del rapporto sessuale, dal momento che essi, per quel che ne so io, di rapporti sessuali non ne hanno?...”

 

“Abbiamo misurato con il telepatamorometro il loro livello di partecipazione all’allattamento.”

 

“Capisco...” borbottò Vitaliano (che invece non aveva capito un’acca). “E così,” soggiunse, “mentre quindici tizi e tutti i neonati diventeranno sempre più sapienti, saggi, goduriosi e felici (in ordine crescente d’importanza) attraverso il contatto telepatico con gli umani dell’intera Galassia, tutti gli altri Terrestri potranno pure attaccarsi al tram! È questo che mi sta dicendo, signor primo servitore?”

 

“Be’, no. Ci sono anche i Delfini. E le Balene. E una sottospecie di Scimpanzé dell’Africa Equatoriale che a quanto mi dicono chiamate Bonobo.”

 

“Ma è grottesco!”

 

“Davvero? La ringrazio. Ma devo farle presente che ciò che è davvero grottesco, a mio parere, è voler negare l’umanità di un essere vivente solo perché non produce manufatti. Se non si possiedono le mani, sarebbe così gentile da dirmi come si può manufare? Senza contare che su questa base dovreste allora negare anche l’umanità dei vostri stessi neonati, appunto, che per quasi un anno non solo non parlano né tanto meno producono checchessia, ma non sono neanche in grado di rendersi conto di non farlo.

 

“Mi scusi, signor primo servitore, ma la parola manufare non esiste...

 

“Può darsi, signor insegnante, ma ciò che conta è che lei mi capisca. I Delfini non hanno mani, sto tentando di dirle, perciò non hanno mai potuto fabbricare né costruire alcunché. Non hanno neanche un valido apparato fonatorio, ragion per cui possono dirsi solo l’essenziale e mai sono stati in grado di farvi sapere come stanno davvero le cose. Ma le garantisco che quando si accoppiano (massimo piacere dell’esistenza, per loro, anche più sublime e di poco meno frequente di quello di fluttuare senza peso per tutta la durata della medesima) i Delfini e le Delfine si uniscono e gioiscono in un modo che attualmente ― è lei che mi costringe a ricordarglielo ― solo quindici di voi possono sperimentare. E dopo l’amore fanno sogni, talora meravigliosi e talora terribili, che pian pianino rendono le loro menti delle irripetibili immagini creative dell’universo. Sogni che però non possono raccontare, proprio come i vostri neonati...

 

Un lungo silenzio fece seguito a questo discorso del gran coniglio, silenzio che quest’ultimo rispettò e, benché avesse una certa fretta di continuare la sua filantropica missione cosmonautica, lasciò che durasse quanto il più loquace dei suoi ospiti desiderava. Il primo servitore degli Harvey, infatti (devo ammetterlo, anche se mi duole non poco) era un coniglio pieno di tatto e di savoir faire, come tutti i conigli di qualsiasi mondo. E poi si rendeva conto di aver un po’ calcato la mano, con il povero insegnante italiano d’Italiano, o infierito che dir si voglia, e ci teneva a farsi perdonare...

 

Ma ogni cosa prima o poi ha termine, anche le più belle, e così giunse purtroppo il momento in cui il povero Vitaliano dovette lasciare l’immensa e stupenda astronave degli Harvey (dimenticando fino all’ultimo di domandare al cortese anfitrione quale fosse il vero nome del suo popolo) e tornarsene sulla Terra, insieme al suo gatto Jones e al suo tronchetto della felicità, oberato (lui, non il tronchetto) dal pesantissimo fardello di cattive notizie che non poteva esimersi dal comunicare ai suoi cospecifici.

 

Lo fece, senza suscitare nella maggior parte di essi altra emozione che il sollievo con cui attesero e assistettero alla smobilitazione dell’imponente flotta astronavale Harvey (smobilitazione di cui il premier italiano attribuì il merito alla propria fervida opera diplomatica) e da quel giorno il mondo prese a cambiare sempre di più e sempre più alla svelta. In meglio?... Chissà!... Per Vitaliano sicuramente no! E neanche per tutti gli altri emarginati come lui, tra i quali si colloca purtroppo anche l’estensore di queste umili ma veridiche note... Che cosa ce ne viene, infatti, a noi derelitti, mentre a poco a poco ci falcidia l’avanzare dell’età e dello sconforto, dal sapere che i figli che demmo alla luce stanno crescendo così diversi e migliori di noi che a stento possiamo tuttora riconoscerli come nostri discendenti? Che cosa ci guadagniamo dall’essere esclusi dai creativi e intensissimi scambi d’idee che essi intrattengono non solo tra loro, ma anche con i Delfini, le Balene, i goderecci Bonobo e tutti gli altri Umani della Galassia? Dal veder scomparire tutto ciò che abbiamo donato al mondo tranne le opere d’arte e le conquiste delle scienza, che del resto, le une e le altre, non comprendiamo ora più di quanto le comprendessimo prima? Dal vederci traditi da quelli di noi che da un giorno all’altro si mettono a scimmiottare gli Umani nella speranza di diventarlo a poco a poco anch’essi ― ah, Invasione degli Ultracorpi, come fosti profetica! ― e che non di rado, orrore!, ci riescono e ci lasciano ancora più soli di quanto fummo mai? (Tradimento del quale tuttavia beneficiò, sia detto per inciso, il quindicesimo adulto graziato dal telepatamorometro, che poté così finalmente mettersi in pari...) Può confortarci, secondo voi, l’immaginare con quel che resta della nostra fantasia la forzatamente inespressa solidarietà degli altri animali come noi?

 

Tutto ciò non è bello. Sappiatelo, voi che leggerete queste righe su altri mondi, e preparatevi per tempo. Munitevi di armi più potenti di quelle termonucleari. Vendicateci! Non fate la nostra fine!

 

(Roma, 19 - 31 agosto 2005)

 

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