Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca |
Giuseppe Capogrossi, La piazza di Anticoli Corrado, olio su tavola, 34 x 43 (Roma, collezione privata)
23 anni di Archivio della Scuola romana (1983-2006)
Dai Musei di Villa Torlonia al Museo di Anticoli Corrado
7 luglio - 9 settembre 2007
Civico Museo d’Arte Moderna e Contemporanea
Piazza Santa Vittoria, 2 - Anticoli Corrado
Orari:
martedì-domenica 10:00 - 13:00 e 16:00 - 19:00; lunedì chiuso
Info: 0774 - 936.657
Lo sguardo negato di Antonio, la gioia delle Donne
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Fra le opere e le “carte” in mostra fino al 9 settembre al Civico Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Anticoli Corrado per i ventitré anni dell’Archivio della Scuola romana – tutte significative, preziose, avvincenti – quelle che più seducono e conquistano l’immaginazione del visitatore sono, a parer nostro, il Ritratto di Antonio, di Fausto Pirandello, e una fotografia.
Il Ritratto, opportunamente, è stato collocato in fondo alla sala. Chi entra, così, ne sente la presenza fin dal primo istante. E non se ne libera più. Esce, alla fine della visita, si affaccia sulla piazzetta di Santa Vittoria come se uscisse da una tela, muovendo i primi passi nel mondo umano in uno di quei luoghi rari in cui questi incantesimi son possibili, e volente o nolente reca con sé la sensazione che l’Antonio del ritratto fosse lì per lui.
La sensazione che proprio ad aspettare lui Antonio si sia seduto sulla sua poltroncina scura, sdrucita, e non si sia più mosso. Che proprio il suo arrivo abbia atteso per decenni senza muovere un muscolo, trasformando in una dura corazza non solo la maschera di caparbia disillusione del viso, non solo le mani, contorte non dal lavoro ma dalla tirannia della ragione sul corpo, ma perfino l’informe camiciola: azzurra come un mare perduto, violenta come un’orribile piaga esibita non per commuovere, ma per far soffrire.
La sensazione che poi, invece, Antonio si sia costretto a non degnarlo di uno sguardo, il visitatore che dal primo istante ne sentiva la presenza. Impietrito sulla poltroncina sdrucita. Irrigidito in un’irreparabile offesa. Ferito all’inizio dei tempi da un torto a cui non permetterà mai che si rimedi. Irremovibile nella sconfitta pur di non dover mai rinunciare a ostentarla.
La sensazione che solo ora Antonio finalmente si permetta di guardarlo. Ora che il visitatore gli volge le spalle per uscire e non può vederlo, lo sente soltanto, e non si volta perché sa che sarebbe inutile, lo ritroverebbe nella stessa posizione di prima e di sempre, come se non si fosse mai mosso, come se quella fosse la missione di tutta la sua vita: render certo chiunque lo guardi che non c’è e non ci sarà mai nulla da fare, che l’attesa sarà sempre inutile, che nessuno aiuterà mai nessuno a uscire dall’immobilità per curare e rimediare l’inenarrabile torto che gli fu inflitto da chi non volle riconoscerlo umano.
Poiché questo è Antonio, nel ritratto: un uomo – età indefinibile, liso, sdrucito, la chioma e la camiciola flaccide e poi rapprese, pelli di serpente abbandonate su un sentiero rese dure come un carapace dall’ostinazione che le riempie – che ha fatto di sé un monumento d’immedicabile desolazione. Ma che non può impedire, e dal rossore che suo malgrado gli ravviva le guance s’intuisce che lo sa, che l’Artista faccia di lui il Ritratto di Antonio e per l’eternità lo risarcisca, volente o nolente, proprio mentre egli si ostina a non ricambiarne lo sguardo per non ricambiarne più alcuno per quella stessa eternità.
Così, colui che si credeva un visitatore si libera, alla fine, dalla tela d’infinito disconoscimento in cui Antonio voleva tenerlo con sé, ed esce nella piazzetta di Santa Vittoria come in uno di quei luoghi rari in cui questi incantesimi sono possibili. Sentendo d’essere stato a sua volta non solo ritratto, non solo capito, ma curato dal genio dell’Artista per un’eternità con la quale la tetragona malattia di Antonio, per quanto a lungo sia durata, non può competere più.
La fotografia, anch’essa un indimenticabile capolavoro, è quella che ritrae, ad Anticoli – credo agli inizi degli anni ’40 – Carla e Fred Muller, Vera ed Emanuele Cavalli, Giuseppe e Costanza Capogrossi. Così dice la didascalia, e così è.
Guardando, però, si vede che non di tre coppie si tratta, ma di tre uomini e di tre donne in una sorta di “formazione”. Gli uomini dietro, sullo sfondo delle colline e della foschia dell’estate, le donne davanti. Diversamente dall’Antonio del ritratto – che non ricambierà per l’eternità lo sguardo che lo riconosce, poiché a lui sembra questione di vita o di morte la difesa a oltranza, costi quel che costi, dell’infelice “identità” di chi mai fu riconosciuto – qui tutti guardano il fotografo. Tranne Capogrossi, sul cui volto si legge però una sorta di timida bonarietà che non ha niente a che fare con l’ostinazione...
Gli uomini, dietro le donne, sorridono. Stanno bene, ma c’è nei loro occhi anche un imbarazzo, che non è da mancanza di confidenza con il fotografo (o le donne non sarebbero invece così a loro agio) e che dev’essere perciò l’imbarazzo che coglie gli uomini – anche i migliori, anche i più innamorati delle donne – quando le donne si abbandonano, in apparenza senza alcun timore d’essere ferite, alla gioia di vivere da cui è così bello, al contempo, vederle prese.
Poiché sono felici, Carla, Vera, Costanza, a ventaglio davanti agli uomini perché son le donne a lasciarsi andare alla gioia che gli uomini non osano manifestare pur mentre la provano, la rendono possibile e la difendono. E la felicità, più che nei sorrisi, è nelle belle movenze spontanee e diverse delle braccia che ai sorrisi guidano gli sguardi nostri e dai sorrisi di nuovo ai nostri sguardi: Carla che si tocca i capelli e il vestito come racchiudendosi in un passo di seduzione, Vera che pur nella timidezza forma dinanzi a sé il disegno di un cuore, Costanza che le apre in un abbraccio che insieme è l’inizio di un tuffo, come rivela il ginocchio sul bordo della vasca. Mentre, in primo piano...
In primo piano c’è la vasca circolare di una fontana, con uno scoglio da cui sgorga uno zampillo. Poiché questa è Anticoli Corrado, e in piazza delle Ville, poco lontano dalle tre donne, dai tre uomini e da chi li fotografa, c’è la Fontana di Arturo Martini, intorno alla quale il paese ruota, che come un’Arca reca in salvo dal millenario diluvio del disconoscimento dell’umano l’immagine della donna che si bagna nell’acqua.
Essere qui, ad Anticoli, intorno a questa fontana, nel mondo degli esseri umani, dove si è così come noi siamo in questo momento e così si è guardati da chi ci sta guardando: ecco di che cosa gioiscono i giovani uomini, le giovani donne. E colui che si credeva un visitatore li porta con sé – uscendo da una tela e da una fotografia, alla fine, e affacciandosi sulla piazzetta di Santa Vittoria come su uno di quei luoghi rari in cui questi incantesimi sono possibili – come una sorta di contravveleno allo splendido ma disperato diniego di Antonio, cui la gioia fu negata e che alla gioia si ostina a negarsi.
(Anticoli
Corrado, 20 luglio 2007)
(Non a caso al testo non abbiamo accluso riproduzioni: la speranza è che tu vada a vederle sul posto!) |
Il catalogo della Mostra, a cura di Francesca Romana Morelli e Valerio Rivosecchi, dedicato a Maurizio Fagiolo dell’Arco e ad Antonello Trombadori, con testi di Netta Vespignani, presidente dell’Archivio della Scuola romana, Vincenzo Maria Vita, Vittorio Meddi, Marco Occhigrossi, Paolo Bertoletti, Francesca Romana Morelli e Valerio Rivosecchi.