Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca
La Terra vista da Anticoli Corrado
diario del Prof (scolastico e oltre)
sabato 26 agosto 2006
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Lo Scolaro, il DPEF e CL
Lo Scolaro è uno dei più bei racconti di Henry James. Che cosa può
avere in comune col DPEF e con Comunione e Liberazione? Se avete un
po’ di pazienza, ve lo mostrerò. Henry James
― nato a New York nel 1843 e morto a Londra nel 1916 ― è
uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi. La sua
scrittura, però, è difficilissima! Non vi ci mettete, se non avete un
bel po’ di ore da dedicarle e un gran silenzio intorno! Poiché James
racchiudeva nella forma delle frasi e dei periodi non solo gli eventi
che narrava, ma anche la percezione che ne avevano i personaggi, il loro
muoversi l’uno rispetto all’altro nello spazio, lo scorrere del
tempo intorno a essi, quel che sarebbe accaduto nelle nostre menti
quando lo avremmo letto... E anche altre cose, non meno importanti, che
forse pian pianino capirò. Un po’ come uno che, portandoci dell’acqua
di sorgente nelle mani unite a coppa, cammini verso di noi danzando e
con la sua danza ci racconti non solo il fatto nudo e crudo che viene a
dissetarci, ma anche come cade l’acqua nella fonte, il suono che fa,
lo stormire degli alberi su di essa, la frescura che ne emana, l’immensità
delle ere geologiche che in milioni di anni quella sorgente hanno
creato... Dirci tutto
questo solo muovendosi sarebbe una grande impresa, non vi pare? Ma
quella danza non sarebbe facilissima, da capire... Proprio
come la scrittura di Henry James!
(Parentesi:
che è ancora più difficile per chi non può leggerla in inglese,
perché molti editori italiani, un tempo prestigiosi, si sono adeguati
all’aria che tira e accrescono i profitti sottopagando traduttori
improvvisati. Perciò, se ― come spero ― vi farò venir
voglia di leggere Henry James, vi consiglio di andare su un sito
Internet specializzato in libri usati, in vecchie edizioni, e di ordinare volumi editi prima degli anni ‘90. Non si tratta
di libri rari, vi costeranno pochi euro (che non dovrete pagare con la
carta di credito, ma al postino che vi consegnerà il gradito pacchetto)
e scoprirete la differenza tra un editore di una volta, che voleva far
denaro, sì, ma anche far bene il suo mestiere ― un editore dei
tempi in cui Berlusconi non si era ancora pappato la Mondadori ― e
uno che invece vuol solo sfruttare i dipendenti e il prossimo. Chiusa
parentesi.)
Lo Scolaro ― letto nell’ottima traduzione del 1946
di Carlo Izzo, riedita da Bompiani nel 2002 nella raccolta La panchina
della desolazione, e altri racconti ― è la storia di un
giovane insegnante, Pemberton, al quale la ricca famiglia Moreen offre
di occuparsi come precettore privato del più giovane dei figli, Morgan,
che non può andare a scuola perché il padre è sempre in viaggio per
affari e la famiglia non vuole dividersi. Pemberton sarà ospite dei
Moreen, girerà l’Europa a loro carico, riceverà un ottimo stipendio
e avrà un allievo che ― promette la madre ― “non
potrete non amare... è un genio!”
Il professore è incerto.
L’offerta
gli appare un po’ strana, forse rischiosa.
Ma
in realtà è conquistato fin dal primo incontro dalla simpatia del
piccolo Morgan e dal bisogno di aiuto che intuisce nel bambino. Fin da
quando, lasciando la villa dopo l’intervista, alza gli occhi verso il
balcone, vede il bambino affacciato lassù e: “Ne faremo di tutti i
colori!” gli grida. Morgan, dopo aver esitato, risponde
allegramente: “Per quando tornerete avrò trovato una risposta
spiritosa!” E questo fa sì che Pemberton dica a sé stesso: “È
piuttosto simpatico, dopo tutto.” Accetta
dunque l’incarico, il giovane insegnante ― tanto povero quanto
disinteressato ― e si mette in viaggio con i datori di lavoro
mettendosi al contempo in loro assoluto potere, perché di proprio,
oltre a non avere un soldo in tasca, non ha neanche un amico al mondo.
Ma presto inizia ad accorgersi che la famiglia Moreen ― sebbene
abbia messo al mondo un ragazzo davvero eccezionale per l’intelligenza,
la sensibilità, la gentilezza, la simpatia e la gradevole vivacità di
cui dà prova ― non solo non è all’altezza di un figliolo del
genere e non sa apprezzarlo, ma non si comporta con lui come se davvero
lo amasse, né tanto meno come merita... Intendiamoci:
non lo maltrattano! A prima vista, al contrario, si direbbe addirittura
che lo adorino, come un piccolo dio. E tuttavia è strano
― riflette Pemberton ― come riescano a conciliare l’apparenza
e il fatto della loro adorazione per il ragazzo con l’ansia di
lavarsene le mani... A poco a
poco, Pemberton si accorge che ai Moreen, del figlio, non importa
niente. Che non solo trascurano, ma che la loro indifferenza si fa
sempre più grossolana. Come se si preparassero a disfarsi di lui, a
cederlo all’insegnante, a mano a mano che il ragazzo mostra di
limitarsi sempre più alla compagnia del precettore, la signora Moreen
trascura con sottile abilità di rinnovargli il guardaroba... E
quanto più evidenti sono l’impegno e l’affetto di Pemberton per l’allievo,
tanto più difficile diventa per il professore non solo ricevere lo
stipendio che gli spetta ― che ancora non gli è stato mai pagato
― ma perfino indurli a parlare di questo argomento! Finché,
quando si fa coraggio e avvisa la signora Moreen che, se non avrà
almeno un acconto, li lascerà per sempre: “Non lo farete,”
risponde lei, “sapete benissimo che non lo farete: il
ragazzo v’interessa troppo...” Pemberton
capisce così che i Moreen sono degli avventurieri non solo perché
non pagano i debiti e vivono alle spalle della società, ma perché
tutta la loro visione della vita, vaga e confusa e istintiva, simile a
quella di scaltri animali incapaci di distinguere i colori, è
profittatrice e rapace e ignobile... E tuttavia non se ne va, gli
sfruttatori hanno fatto bene i loro squallidi conti. E non solo continua
a “togliergli dai piedi” quel figliolo che non meritano, ma si
occupa di lui con tutta la serietà e l’affetto di cui è capace.
Tanto che s’impone, da buon insegnante, di non parlargli male del
padre e della madre, ed è lo stesso Morgan, un giorno ― da onesto
e intelligente figlio abbandonato che vuol bene all’insegnante che lo
soccorre ― a consigliargli di non pensare a lui e di licenziarsi.
Ma il professore lo rimprovera, per aver giudicato i genitori, e gli
chiede di non preoccuparsi, perché lui sta benissimo. Non lo fa, è
ovvio, per difenderli, ma per proteggere il bambino dall’immenso e
sconvolgente dolore di non valere niente per chi lo ha messo al mondo. E
tra sé pensa: Non sono soprattutto pagato dal dolce rapporto
stabilito con Morgan, rapporto davvero ideale fra maestro e scolaro, e
dal privilegio di conoscere un ragazzo così stupendamente dotato e di
far vita comune con lui? Non vi
dirò altro de Lo Scolaro di Henry James, per non togliervi il
piacere e la gioia di scoprire da soli le meravigliose e struggenti
finezze psicologiche e formali di cui questo racconto è così ricco da
dover essere letto più e più volte prima di iniziare ad apprezzarle
come meritano. Vi chiedo solo, se mai comincerete a leggerlo, di non
abbandonarlo ― come il piccolo Morgan ― senza aver prima
almeno tentato di essere alla sua altezza!... E passo a parlarvi del
DPEF e di CL, e a cercare di spiegarvi a fondo ― pur senza
disporre neanche di un barlume del genio di Henry James o di un po’ di
talento ― quel che ho chiaro in mente su questi argomenti così
disparati... I quotidiani di venerdì 25 agosto hanno pubblicato tre interessanti notizie. La prima, e la più importante, è che una maestra della scuola pubblica, la signora Ilia Pierantoni, morta a ottantaquattro anni senza eredi, ha lasciato tutto il denaro che possedeva, venticinquemila euro, a una prima elementare del 1971 che ricordava con particolare affetto. A condizione, però, che i suoi ex-allievi si ritrovino e avviino insieme un’attività benefica.
Michele Serra ha scritto su La Repubblica
che ai beneficiati è toccato un ultimo compito in classe da una
maestra che si è permessa di scomodare gli scolari ben oltre i limiti
del suo incarico, oltre la pensione e perfino oltre la morte. Un compito
difficile. Non tanto spendere bene le poche migliaia di euro affidati
alle loro mani. Piuttosto, essere all’altezza di una maestra così
intelligente da desiderare, per i suoi ex allievi, un ripasso di quanto
aveva insegnato loro più di trent’anni fa.
Ha
ragione, Michele Serra. Dei maestri e dei professori come la signora
Pierantoni e il Pemberton di Henry James ― dei veri maestri e
professori, non degli sfaccendati e dei morti viventi che fanno solo
finta d’insegnare ― non è tanto facile liberarsi. Continuano a
far lezione per tutta la vita, anche dopo morti! Come grilli parlanti
che non si riesce, per quanto impegno ci si metta, a spiaccicare contro
il muro! Li si paga poco, li si umilia
― le famiglie Moreen che si avvicendano al governo delle nazioni
sono in ciò molto simili ― e loro non soltanto non “se ne vanno”
― non si rendono, cioè, inesistenti perdendo ogni interesse per
gli allievi ― ma anzi vi si appassionano sempre di più,
moltiplicano l’impegno e gli sforzi, arrivano a pagare di tasca
propria, pur di rendere almeno in parte ai bambini e ai ragazzi ciò che
gli è sottratto ogni giorno dalle indifferenti famiglie Moreen, dalle
televisioni rincretinenti e dai governi ladri! E continuano a farlo
anche dopo morti ― certo! ― perché ai loro allievi lasciano
in eredità uno di quei ricordi che aiutano a resistere, a rimanere
umani a dispetto di una società che vuole disumanizzarsi.
(Seconda
parentesi. Perché lo faranno? Perché la loro è una missione,
come dice chi vorrebbe convincerli che sono dei poveri pazzi che si
spogliano di tutto per avvicinarsi al cielo? Nossignori! Lo fanno
perché insegnare così è divertente, è impegnativo, è interessante,
è avventuroso, è bello, dà gioia e fa sentire vivi perfino quando fa
star male! Perché il solo modo per fare come si deve questo mestiere è
conservare e rafforzare la propria umanità e metterla in rapporto con
quella degli allievi e delle loro famiglie, e ciò ― diciamolo!
― fa un gran bene agli altri affetti che si hanno, alla
creatività, all’autostima, alla salute e perfino alla qualità del
sonno e della digestione!
Ma
tutto questo fa rabbia a chi non solo non ce l’ha ― cosa che non
sarebbe grave, quel che non si ha lo si può cercare e trovare ―
ma stupidamente si è convinto che non lo potrà mai avere. Chiusa
parentesi.)
Gli
insegnanti come Pemberton e la signora Pierantoni, dunque ―
fantasia e realtà unite nella lotta! ― sono oggi, insieme ai
padri e alle madri della stessa pasta, una possente barriera contro la
svalutazione e la commercializzazione degli esseri umani. Possente
perché non è fatta di parole (dobbiamo essere buoni, cari fratelli,
detto con voce e in pose più o meno ieratiche) ma della realtà di
uomini e donne che ogni mattina fanno sentire i loro allievi così
preziosi, da rendere ricchissimo un mestiere sottopagato e disprezzato!
Che fanno sentire i bambini e i ragazzi ― che la Rai e Berlusconia
trattano ogni pomeriggio e sera come deficienti ― che essi sono
invece così interessanti da valere almeno quanto un secondo stipendio!
Non
so se mi sono spiegato. Tento di farlo meglio: i veri insegnanti amano
il loro lavoro (e sono, da esso, resi così ricchi da poter fare regali
alla società) non perché siano dei missionari, ma perché hanno a che
fare con degli esseri umani, e gli esseri umani sono immensamente
interessanti. E i loro alunni lo sentono, magari inconsciamente, e gli
piace. Gli piace, esser trattati da esseri umani e sentirsi preziosi per
sé stessi. E da grandi, perciò, renderanno assai difficile la vita di
chi invece vorrà trattarli come numeri.
Agli
affaristi e agli schiavisti, tutto questo fa rabbia due volte. Gli fa
rabbia perché sono degli infelici, nonostante le loro ricchezze, e
quindi immaginate un po’ come possono odiare chi se la gode malgrado
sia un pezzente. E gli fa rabbia perché i veri insegnanti ― e con
loro, lo ripeto, tutte le famiglie che resistono ― continuano a
sfornare futuri adulti che non si lasceranno tanto facilmente
trasformare in rotelline per le loro macchinette mangiasoldi.
Ecco
perché bisogna distruggere la Scuola pubblica! Perché è uno dei pochi
luoghi ― o forse l’unico rimasto ― dove gli esseri umani
non sono limoni da spremere per trarne soldi, ma ancora “soltanto”
degli esseri umani.
La seconda notizia del 25 agosto è che al cosiddetto Meeting
di Comunione e Liberazione, in decorso (speriamo benigno) a
Rimini, si pretende a gran voce
che lo Stato si disfi delle scuole (e anche della lotta alla
disoccupazione e degli ospedali, tanto per gradire) e lasci fare all’iniziativa
privata.
Proprio così: secondo questi “cristiani” deve finire lo “scandalo”
di un luogo
in cui l’istruzione viene regalata per il puro piacere di produrla
insieme! È ora di finirla con i luoghi dove ciò che vale è scambiato
gratis, per la gioia di farlo! Guai a chi dà qualcosa per niente! L’istruzione
si paga, come fra poco si pagherà anche l’aria, e chi non può
pagarla si arrangi con una scuola pubblica così derubata, immiserita e
umiliata che i papà e le mamme saranno disposti a mendicare pur di
pagare invece le nostre rate! È ora di arricchirsi non soltanto con le
imprese di pulizie e con l’edilizia, che diamine, ma anche coi figli
di mamma! In nome
della libertà, ben inteso...
Già! Secondo questi signori di Cl
― per i quali siamo forse tutti altrettanto ingenui dei loro
creduli adepti ― le scuole pubbliche, dove l’insegnamento è
libero perché così vuole
la
Costituzione, sarebbero luoghi di asservimento delle coscienze;
mentre le scuole private, dove gli insegnanti sono tenuti a insegnare
solo ciò che è gradito alla direzione, sarebbero templi della
libertà!...
Mentono e gabbano per denaro ogni
volta che aprono bocca, questi Moreen, con
la loro visione della vita
profittatrice e rapace e ignobile, simile a quella di scaltri animali
incapaci di distinguere i colori! E vorrebbero dar lezioni di
rettitudine ai Pemberton e alle signore Pierantoni!
La terza notizia di venerdì 25 ― con cui
chiudo questo pezzo scusandomi per la sua anomala estensione ―
è
quella che si sta aprendo il confronto sulla Finanziaria 2007. E la
prima cosa che i giornali si premurano di farci sapere in proposito è
che nel DPEF (Documento di programmazione economica e finanziaria) c’è
scritto che nella scuola secondaria italiana ci sono solo 10,3 studenti
per ogni professore, contro una media dei Paesi OCSE pari a un docente
ogni 14,4 studenti. Notate i decimali: un terzo di ragazzino, mezzo ragazzino... Grazioso, non vi pare? Come fossero polletti! Dice, ma
i numeri sono cose precise, ci vogliono anche le virgole altrimenti si
sbaglia...
Giusto! Ma quando si parla di istruzione non si parla solo di
realtà materiali e misurabili, come le patate e le cipolle. Si parla
della mente e del cuore dei bambini, cioè di qualcosa che non si può
né pesare né comprare né vendere. (Tant’è vero che perfino i ciellini,
quando parlano di scuola, fanno finta di attribuire grande importanza
alla realtà non materiale.) Si parla di qualcosa che puramente e
semplicemente non ha prezzo. E non perché si senta la cosa come
una missione, intendiamoci
― guai! ― ma per il semplice motivo che le menti e i cuori
dei bambini, se trascurati e abbandonati, faranno del mondo un luogo in
cui verrà chiamato felice chi sarà morto prima di vederlo.
Ma
c’è ben altro. Dire che nelle
scuole italiane ci sono 10,3 studenti per ogni professore contro i 14,4
degli altri paesi, significa servirsi di una verità per propinare
sottobanco una bugia, signori estensori del DPEF. (Chi ve l’ha
insegnato? I Tartufi di Cl?) Poiché, se il prof italiano può
dare ai suoi alunni ― poniamo ― solo nove ore alla
settimana, quei poveri 10,3 alunni ricevono molto meno dei ricchi 14,4 d’altrove
che di ore ne ricevono dieci, o undici, o dodici! Se siete onesti,
quindi ― ma ormai ne dubito ― prima portate le ore
di insegnamento a livello OCSE, e poi diminuite il numero dei
docenti!
Ma
questo argomento ― il numero delle ore d’insegnamento ―
guarda caso è diventato un tabù. Non si riesce più a trovare uno
straccio di giornalista o di ministro che accetti di parlarne o di
scriverne. Come i signori Moreen, questa gente a quanto pare sa bene che
non udire le grida dei derubati è il modo migliore per continuare a
sentirsi delle persone per bene anche mentre si ruba...
Allora, ciò che diciamo ai ministri del Governo Prodi è questo: se
davvero siete diversi dai vostri predecessori
―
come
avete gridato urbi et orbi per cinque anni
― non potete, come loro, derubare i bambini del nutrimento
per le loro menti e i loro cuori che solo la Scuola pubblica, ormai
― insieme a una parte delle famiglie ― resiste ed è felice
di offrirgli. E non vi illudete, come la famiglia Moreen, che
alla rapina sopperiranno i Pemberton e le Pierantoni con la passione e i
risparmi loro, perché il sistema Moratti ― cavar sangue alla
scuola riducendo le ore di insegnamento per classe ― rende
impossibile un lavoro ben fatto anche all’insegnante più motivato e
competente.
Se farete come Berlusconi e Moratti,
voi non sarete come loro, ma peggio di loro. Perché i
Berlusconi e le Moratti ci sono, “poverini”, mentre voi, a
questo punto, non si potrebbe non pensare che ci fate.
(Congratulazioni! Se siete arrivati fin qui, avete appena letto il Diario del Prof del 26 agosto 2006! Spero che, nonostante ciò, stiate ancora bene...) |
Henry James (fotografia tratta dall'edizione 2001 dell'Enciclopedia Microsoft Encarta)
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Questo sito non costituisce testata giornalistica, non ha, comunque, carattere periodico ed è aggiornato secondo la disponibilità e la reperibilità
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L’immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell’artista danese Viggo Rhode (1900-1976).
L’ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.
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