L'immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell'artista danese Viggo Rhode (1900-1976). L'ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

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La Terra vista da Anticoli Corrado

 

diario del Prof (scolastico e oltre)

 

25 novembre 2006

 

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La colpa del bullismo è di chi non c’è

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Avvertenza per anime apprensive:

in questo articolo si parla, più che di piccoli e meno piccoli bulli, di insegnanti e di genitori.

Non di tutti gli insegnanti e di tutti i genitori (dato che la maggior parte si guardano bene

dallabbandonare a sé stessi i bambini e i ragazzi e infatti non allevano bulli) ma solo di alcuni di essi.

Si arrabbino, pertanto (e arrabbiandosi si tradiscano) solo quelli che nelle righe che seguono si riconoscono.

 

Proprio così: la colpa del cosiddetto bullismo nelle scuole, la prima colpa, è degli insegnanti che non ci sono. Che si assentano e spariscono. Non tanto perché si ammalino o muoiano, ovviamente, e nemmeno perché vengano fatti sparire  dalla Società e dallo Stato che sottovalutano l’importanza della loro funzione, da certi genitori che li delegittimano dinanzi ai figli, dagli alunni che talvolta diffidano a priori di qualsiasi adulto  quanto soprattutto perché essi stessi, a poco a poco o di punto in bianco, dopo anni di lavoro o fin dalla prima volta che entrano in classe, si dileguano e scompaiono come ectoplasmi.

 

La colpa, innanzi tutto, è degli insegnanti che non ci sono fisicamente. Che entrano in aula in ritardo, che ne escono prima del tempo, che interrompono la lezione e furtivamente se ne vanno, anche solo a un passo dalla porta aperta, per farsi i fatti propri, male accompagnati o da soli. La colpa, cioè, innanzi tutto è degli insegnanti che fisicamente lasciano soli i bambini e i ragazzi che sono stati affidati loro e li abbandonano a sé stessi. O che, pur essendo fisicamente presenti, si assentano e li abbandonano con la mente, disinteressandosi di loro, rendendosi indifferenti, negando loro anche quel minimo di continuità di memoria e di pensiero che non sanno negare, invece, nemmeno alla più putrida delle immondizie televisive dinanzi alle quali si stravaccano ogni sera. E che, così facendo, materialmente ripetono e confermano una volta di più la lunga e ininterrotta teoria di ripulse e di abbandoni familiari e sociali che a poco a poco ha indotto una parte di quei bambini e di quei ragazzi a convincersi di valere niente, di non piacere né interessare ad alcuno più di quanto possano piacere e interessare persone da cui tutti si allontanano per andare a fare quel che davvero li attrae, li entusiasma e preme loro. A  convincersi, anzi, di essere addirittura malvagi e ripugnanti, poiché solo quelli che disgustano non si vede l’ora di non averli più sotto gli occhi, si cerca ogni pretesto per sottrarsi alla loro vista, e se proprio non si può scappare, ecco, si dà loro un compito da svolgere che tenga chine le loro teste e intanto ci si distrae col giornale, col telefonino, con quel che si vede dalla finestra, o quanto meno con qualche effimero tentativo di pensare ad altro che però fallisce, perché il pensiero, in costoro ― ahimé! ― non c’è più. La lunga e ininterrotta teoria di ripulse e abbandoni famigliari e sociali che non solo ha indotto una parte di quei bambini e di quei ragazzi a credere di valere niente, ma addirittura a persuadersi che proprio il loro essere inutili, ininteressanti, brutti, cattivi e disgustosi sia il loro essere sé stessi, l’identità che tutti hanno sempre attribuito e rinfacciato loro trattandoli come tali e lasciandoli appena possibile. E che certi insegnanti, ieri e oggi, domani e sempre ― gli insegnanti che fisicamente e psichicamente li abbandonano ― ogni giorno confermano e ribadiscono: voi siete quelli che non si vede l’ora di levarsi di torno.

 

E poi tocca leggere sui quotidiani come qualche giorno fa su La Repubblica nella prosa altre volte meno vana di Michele Serra  che il male è la condiscendenza verso i desideri dei ragazzi! La condiscendenza! Verso i desideri! Quando è del tutto evidente, a chiunque abbia occhi per vedere e cervello per pensare, che i desideri dei bambini e dei ragazzi che a poco a poco sono giunti a sentirsi e a rivendicarsi ripugnanti, nessuno li ha mai neppure immaginati perché a nessuno interessavano. Perché, per tutti gli adulti che quei bambini e ragazzi hanno avuto la sventura d’incontrare, essi e l’infinito universo che si sarebbe potuto intravedere nei loro sguardi non erano che un fastidio da evitare il più possibile, al più presto possibile. O, nella “migliore” delle ipotesi, bestiole da nutrire e da ammaestrare. E i loro desideri, così ― sistematicamente annullati e delusi dall’indifferenza di chi aveva sempre qualcos’altro di meglio da fare e da vedere altrove a poco a poco si sono guastati e corrotti, trasformandosi in una sorta di delirante urgenza di appropriarsi di cose e persone, in gesti sconnessi e violenti di automi mal funzionanti e impazziti che si avventano alla cieca su tutto ciò che gli passa vicino, e infine nella frenesia di stordirsi col “divertimento” e con ogni sorta di sostanze nell’illusione di sottrarsi alla noia e al disgusto di sé.

 

È pur vero, certo, che i primi ad abbandonare non sono stati gli insegnanti che lasciano soli i bambini nelle aule e nelle menti. I primi in ordine di tempo, è ovvio, sono stati i padri e le madri che non guardavano i figli perché perfino la contemplazione di un soffitto li annoiava di meno. I padri e le madri che i figli non li ascoltavano, perché tutto era sempre più interessante o più urgente dei loro discorsi, degli sguardi interrogativi, delle domande, dei ditini protesi a indicare le infinite incognite del mondo sul quale si affacciavano. I padri e le madri che non facevano che svicolare, uscire, affrettarsi, scappare, andarsene ovunque, purché lontano dai figli; che avevano sempre un pretesto per sfuggirli, che li sbolognavano alle bambinaie e ai nonni o li spedivano in colonia non perché veramente non potessero fare altrimenti, ma per liberarsene per un po: illudendosi che i bambini non lo intuissero, che non si sentissero perciò insopportabili, e che non diventassero perciò, a poco a poco, davvero insopportabili per amore dei propri genitori, per non smentirli, per giustificarli, per dire e dimostrare a sé stessi che sì, papà e mamma hanno proprio ragione, siamo noi e non loro i cattivi, siamo noi e non loro gli esseri ripugnanti, siamo noi e non loro la gente da cui guardarsi. I padri e le madri che per i figli si ammazzavano di lavoro quindici ore al giorno lontani da casa, ma che con i figli non riuscivano a vivere neanche quindici minuti di gioco e di fantasticherie lontani dal lavoro.

 

I primi a convincere i bambini di valere niente, i primi in ordine di tempo, è ovvio che non sono stati gli insegnanti, ma i padri e le madri che evitavano i figli con ogni scusa e ogni mezzo. O, quanto meno, i padri e le madri che non vedevano nei figli creature umane, ma al più bestioline calzate e vestite, graziose per trastullarsi coi loro vezzi e moine fino al giorno in cui non diventassero troppo ingombranti e aggressive per essere ancora divertenti. I padri e le madri che neppure una volta avevano nei confronti dei figli l’umanità di rammentare una storia del passato, reinventare una fiaba, metterli a parte con sincerità di un sentimento o di un pensiero, fantasticare insieme il futuro. I padri e le madri che ai figli non parlavano che di cose, d’interessi, di bisogni, di cibo, di sporco e di pulito, di cacca e di pipì, e mai di ciò che di visibile o di invisibile ci distingue dagli altri animali. O che si illudevano di farlo parlando ai figli delle cose che starebbero in cielo, anziché di quelle che stanno nei cuori e nelle menti.

 

Sono mille i modi di abbandonare i figli, o quanto meno di trattarli come se non fossero umani; e ognuno genera nei bambini mille maniere diverse di sentirsi creature di scarso valore: creature vuote, noiose, o addirittura ripugnanti e cattive, che a poco a poco passano dal dolore di essere ciò che gli adulti vedono in loro alla certezza di non poter essere altrimenti. E dunque a comportarsi di conseguenza. Da bulli. Da creature vuote, noiose, ripugnanti e cattive. Non “per attrarre l’attenzione (come ripetiamo a pappagallo) ma perché la bruttezza è la sola immagine di sé che hanno visto riflessa negli occhi dei padri e delle madri che sfuggivano i loro. E perché accettarla come immagine di sé è talvolta il solo ed estremo atto d’amore che creature siffatte si sentono ancora in grado di fare per i genitori. Sacrificarsi. Esser tali al loro posto. Esser tali perché non esserlo vorrebbe dire che son tali loro.

 

No, gli insegnanti non sono i primi ad abbandonare i bambini e i ragazzi dinanzi a immagini non umane di sé. Ma a dire il vero non sono neanche i secondi, perché la seconda è la televisione commerciale. Cioè, ormai, la televisione quasi tutta. Che ogni giorno e quasi ogni ora tratta i bambini e i ragazzi non come esseri umani, ma come bestiole da far cadere in trappola. Da indurre a consumare.

 

Per la televisione commerciale, i bambini e i ragazzi non sono interessanti e belli di per sé. Son solo mezzi per arricchirsi inducendoli a spendere. E questo assoluto disprezzo della televisione commerciale per la loro realtà umana è evidente, è continuo, è spietato, li martella senza requie dai primi anni fino all’adolescenza e oltre. E questo assoluto disprezzo i bambini e i ragazzi davanti al televisore devono subirlo e sentirlo sempre, ora dopo ora, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Poiché gli spot pubblicitari, interrompendo le storie e le emozioni che le storie suscitano, dicono e ripetono migliaia di volte che loro, i bambini e i ragazzi, alla fin fine non hanno vera importanza, non sono davvero interessanti, valgono niente: han valore solo se comprano, han valore solo per i soldi che tireranno fuori dalle tasche. Hanno, né più né meno, il valore che hanno le bestie che puoi spogliare delle pelli per venderle, e poi comprarti con il ricavato ciò che davvero ti preme. Ma niente hanno che renda bello il far qualcosa per loro soltanto per la gioia di farlo, come accade solo agli esseri umani quando un essere umano li ama.

 

Così, dopo che certi padri e madri han piantato il chiodo, la televisione lo conficca ben bene in profondità: nient’altro voi siete, che quelli che non si vede l’ora di levarsi di torno. Ne è un simbolo, una ricapitolazione e una conferma la fulminea rapidità con cui i film vengono fatti sfumare e sparire non appena iniziano i titoli di coda: quel che potevi darmi l’hai dato, ora sparisci, vattene a letto! C’è proprio niente, in te, che mi faccia desiderare di trattenermi ancora un poco in tua compagnia.

 

No, gli insegnanti che lasciano i bambini e i ragazzi soli nelle aule e nelle menti non sono i primi ad abbandonarli. Sono gli ultimi. Ma proprio per questo la colpa è soprattutto loro: perché il passato è passato, e quindi è perduto per sempre quel che i bambini e i ragazzi non hanno avuto prima. Tutto ciò che si può fare per loro, poco o tanto che sia, lo si può fare solo adesso, nel momento presente. E adesso sono qui, in questa aula, davanti a questo essere umano. Che forse può dare solo poco di più a quelli che dai papà e dalle mamme hanno avuto già tanto. Ma che ha il potere e la responsabilità di dare tutto a quelli per i quali forse proprio oggi è l’ultimo giorno utile per farli sentire importanti per ciò che sono.

 

Altrimenti domani, dopo che i bambini e i ragazzi si saranno abbandonati ad atti di bullismo più o meno efferato, qualcuno testimonierà che li hai lasciati soli. E dirà di averti visto in corridoio, mentre i fatti accadevano, anziché al tuo posto. Dirà che era perso nel vuoto il tuo sguardo, che per anni ha cercato ogni pretesto per sfuggire i loro. Dirà che la colpa maggiore è la tua. E avrà ragione.

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