L'immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell'artista danese Viggo Rhode (1900-1976). L'ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

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diario del Prof (scolastico e oltre)

 

dicembre 2007

 

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domenica 9 dicembre

Alfried Krupp von Bohlen und Halbach (1907-1967)

Alfried Krupp von Bohlen und Halbach (1907-1967)

 

Che coincidenza: la ThyssenKrupp di Torino e la Krupp di Auschwitz hanno lo stesso nome!

 

Brani tratti da La distruzione degli Ebrei dEuropa, di Raul Hilberg, Einaudi, Torino, 1995, traduzione di Frediano Sessi e Giuliana Guastalla:

 

In alta Slesia, decine di migliaia di Ebrei venivano fatti uscire dai ghetti per essere diretti verso i campi dellOrganizzazione Schmelt, un ufficio responsabile delle requisizioni di manodopera nella regione della Slesia... Qualche mese dopo, la compagnia Krupp, che progettava di costruire una fabbrica destinata alla produzione dellartiglieria navale a Markstädt, nei pressi di Breslau, si rese conto che lOrganizzazione Todt (Ente dei lavori pubblici di Speer) utilizzava un numero considerevole di Ebrei in altri progetti, non lontano da lì. Con laccordo senza riserve del Vizeadmiral Fanger, Krupp suggerì che quegli Ebrei rimanessero sul posto per costruire la fabbrica. Nel 1944, la fabbrica di Krupp nella Slesia contava tra i suoi effettivi migliaia di quegli Ebrei.

(pag. 536)

 

Nel campo di sterminio di Auschwitz, numerose società importanti si unirono alla I. G. Farben. Il 5 marzo 1943, un bombardamento distrusse la fabbrica di detonatori della Krupp a Essen, e prima della fine del mese furono elaborati 17 progetti per trasportare ad Auschwitz le macchine che non erano state danneggiate. Nel frattempo, un responsabile della Krupp dotato di spirito diniziativa, Hölkeskamp, si appropriò di 500 operai ebrei che lavoravano per due imprese di Berlino, Krone-Presswerk e Graetz. Questi Ebrei furono prontamente spediti ad Auschwitz e messi a disposizione della Krupp per la cortese concessione dellObersturmbannführer Sommer, del WVHA D-II. Nel momento in cui la produzione dei detonatori era ripresa, unaltra società, Metallindustrie Union, che aveva dovuto ritirarsi dallUcraina, riprese la fabbrica. Oltre a Krupp, le onnipresenti imprese Hermann Göring (miniere di carbone), Siemens-Schuckert e numerose altre industrie attinsero dalle riserve di manodopera di Auschwitz III e installarono dei campi satelliti a qualche chilometro, lì intorno. Il numero medio di prigionieri impiegati in queste fabbriche si aggirava sui 40.000.

(pagg 1001-1002)

 

Il 9 giugno, Schmelter annunciò che poteva ottenere da 10.000 a 20.000 donne ebree ungheresi. Cerano acquirenti? Sono perfette!, gridò. Di recente ho ottenuto risultati eccezionali alla Siemens mettendo le Ebree a lavorare alle installazioni elettromeccaniche. Ma gli acquirenti furono scarsi, persino per il numero limitato di 20.000, perché i problemi di sorveglianza e di alloggio erano praticamente insormontabili. La I. G. Farben, il cliente più leale di Himmler, rifiutò, in quelloccasione, le sue offerte. Krupp, invece, selezionò 520 Ebree per assegnarle al lavoro pesante nella sua fabbrica di Essen, nonostante il parere dellesperto secondo cui le vittime erano creature delicate, dallossatura fragile, inadatte a un lavoro del genere.

(pagg 1003-1004)

 

Degli industriali, al processo di Norimberga, solamente Alfried Krupp e due dei suoi soci furono condannati a dodici anni di prigione.

(pag. 1159)

 

Krupp, Alfried. Condannato a dodici anni di prigione e alla confisca dei beni da un tribunale militare americano. Pena ridotta dalla Commissione di clemenza a periodo già trascorso e restituzione dei beni.

(pag. 1182)

 

Tuttavia, molto prima che le inchieste e i processi svolti in Germania e negli altri Paesi fossero veramente terminati, un gran numero di individui che avevano partecipato in prima persona al processo di distruzione degli Ebrei dEuropa, che avevano fatto girare lingranaggio della distruzione, avevano ripreso le loro carriere. Gli uomini daffari furono i primi a sbarazzarsi del loro passato. Friedrich Flick creò una nuova società holding, con investimenti in Francia e in Belgio. Krupp ritrovò il controllo di un impero industriale. I vecchi dirigenti della I. G. Farben e della I. G. Auschwitz... furono tutti eletti nei consigli damministrazione dei nuovi gruppi.

(pag. 1169)

 

E ora, dal quotidiano La Repubblica di venerdì 7 dicembre 2007, alcuni brani degli articoli di Sara Strippoli e Paolo Griseri sullo spaventoso incendio del giorno prima alla ThyssenKrupp di Torino:

 

Ieri, per tutta la giornata, la fabbrica ha reagito con rabbia, anche perché la ThyssenKrupp ― dove cinque anni fa aveva preso fuoco un treno di laminazione che aveva prodotto un incendio domato soltanto dopo tre giorni ― per tutti era diventata la fabbrica dei ragazzi, il 95 per cento dei 180 dipendenti rimasti... ha meno di trentanni. Rabbia perché gli estintori erano semivuoti ma sigillati e quando si è tentato di usare gli idranti, lacqua non cera... Lazienda conosceva tutti i problemi, li avevo personalmente segnalati al direttore del personale, ha detto il rappresentante sindacale della Fiom Ciro Argentino al termine dellassemblea spontanea che si è svolta ieri mattina.

(Sara Strippoli)

 

I sindacati ricordano anche che già nel 2002 nello stesso stabilimento si era verificato un incidente analogo. Nelloccasione lincendio non aveva provocato vittime, ma i vertici aziendali della ThyssenKrupp, condannati in primo grado, potrebbero ora cavarsela con la prescrizione del reato.

(Paolo Griseri)

 

Siamo del tutto certi, naturalmente, che la ThissenKrupp del 2007 abbia niente a che vedere con la Krupp che ad Auschwitz fino al 1945 usò gli Ebrei come schiavi nella propria fabbrica. Una cosa, tuttavia, ci piacerebbe che qualcuno ci spiegasse: come mai, nei sessantadue anni che sono trascorsi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, nessuno in quellillustre azienda (a quanto pare) si è ancora vergognato di continuare a portare quel nome?

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lunedì 3 dicembre

Billy Budd, marinaio

"In questo paese c'è un problema Rumeni!"

Il grande Peter Sellers nei panni del Dottor Stranamore (Stanley Kubrick, 1964).

 

Il vecchio, levando la tesa del suo cappello impermeabile e fregandosi ponderatamente la lunga cicatrice obliqua nel punto in cui si congiungeva ai rari capelli, disse laconico: “Bimbo Budd, Piedipiatti” (e si riferiva al capo d’armi) “ce lha con te.”

“Piedipiatti!” esclamò Billy, dilatando gli occhi cerulei. “E perché? Ma come, mi dicono che mi chiama quel caro, simpatico giovinotto.”

“Davvero?” ghignò il grigio; poi disse: “Sì, Bimbo mio, Piedipiatti ha una voce soave.”

“No, non sempre. Ma con me sì. Di rado gli passo vicino senza che mi rivolga una parola gentile.”

“Proprio perché ce l’ha con te, Bimbo Budd.

(Herman Mellville, Billy Budd, marinaio, cap. 9)

 

Stranamor Veltroni e la Prima Guerra contro la Romania

 

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Tre domande, signor Veltroni, lei ci costringe a rivolgerle:

 

1. Chi aspira ― come lei ― alla guida del Paese, deve o no conoscere e rispettare la Costituzione?

2. Chi aspira ― come lei ― alla guida del Paese, deve o no conservare la calma nei momenti difficili e calibrare con cura parole e azioni?

3. Chi aspira ― come lei ― alla guida del Paese, può ingannare i cittadini dissimulando le proprie vere intenzioni e idee?

 

Quando ha gridato: In Italia cè un problema Rumeni!,” lei sapeva, signor Veltroni, che larticolo 27 della Costituzione della Repubblica stabilisce che la responsabilità penale è personale?

 

Quelle parole, signor Veltroni, significano che non è permesso muovere accuse collettive. Che in Italia (come in ogni nazione civile) nessuna categoria, collettività o etnia può essere accusata, incriminata, chiamata in giudizio ― né tanto meno condannata o punita senza processo ― per le colpe di una (o più) delle persone che ne fanno parte. Mai. Quali che siano i crimini di cui i singoli si sono macchiati. Che in Italia, insomma, gridare Ai Rumeni!” (o Ai Marocchini!”, o Agli Ebrei!”) è vietato dalla Costituzione. Non possono farlo un calderolo o un larusso qualunque all’osteria, figuriamoci se può farlo un aspirante Capo del Governo!

 

Gli ultimi che in Europa hanno puntato il dito contro interi popoli si chiamavano Hitler e Mussolini, signor Veltroni. Nonché, nel dopoguerra, alcuni governanti della ex Iugoslavia. Nemmeno Berlusconi (che è tutto dire!) si è mai permesso una cosa del genere. Una volta, da ignorante, parlò di superiorità della cultura occidentale (e tutte le persone per bene gli diedero addosso) ma non si è mai scagliato chiamandola per nome contro un’intera popolazione.

 

Chi lo fa, si scaglia contro tutti noi. Contro tutto ciò che ci rende umani. Contro la comune natura nostra.

 

Gli effetti del suo grido insensato sono stati immediati, signor Veltroni, nonché tristissimi e drammatici: le forze “dellordine” hanno invaso e spianato accampamenti e baraccopoli, uomini, donne e bambini sono stati incolonnati e trasferiti contro la loro volontà, gli arruffapopolo della destra si sono scatenati, cittadini europei ed extraeuropei sono stati insultati, aggrediti e (in un caso) accoltellati mentre attendevano alle loro pacifiche occupazioni. Un pogrom stava prendendo avvio, signor Veltroni, e il primo sasso l’ha scagliato lei. Anche se poi ha prontamente nascosto la mano ― picchiandola forse con l’altra, come il dottor Stranamore quando la destra lo tradiva scattando nel saluto nazista ― e ha lasciato che le critiche, anziché sul suo riportino, piovessero sull’incolpevole capigliatura di Romano Prodi.

 

Forze oscure, signor Veltroni, in quei giorni sono state lì lì per scatenarsi. Forze che non aspettavano che di sfogare su una collettività di inermi le proprie miserie e frustrazioni. Forze a cui lei, gridando Ai Rumeni!”, per la prima volta dopo il 25 aprile 1945 ha dato la sensazione falsa, mostruosa, ma ad esse graditissima ― che un intero popolo, qui da noi, non fosse più difeso da alcuno: non certo dalla destra, che in Italia di tali forze è in gran parte impregnata, ma ormai neanche più dal Partito che una volta era di sinistra, e oggi è soltanto Democratico. In attesa, signor Veltroni, di diventare Nazionaldemocratico?

 

Dopo di che, il ministro degli Interni, ubbidendo a lei e non al Presidente del Consiglio ― atto probabilmente assai grave, anche questo, nei confronti della Costituzione ― in men che non si dica ha redatto un decreto, anch’esso di dubbia costituzionalità, che consegnava ai prefetti (cioè all’esecutivo) il potere di arrestare, detenere ed espellere dall’Italia cittadini di altri paesi sulla base di generici sospetti e vaghissime accuse.

 

Fortuna, signor Veltroni, che in Italia una Sinistra c’è ancora! Che in Parlamento è divisa (e guidata da personaggi non tutti affidabili) ma nella Società è viva, forte, generosa, intelligente, legata ai propri valori, e sa farsi sentire. Grazie alla Sinistra, quella vera ― nonché allo scandalo sollevato dai media di mezzo mondo, alla levata di scudi di insigni costituzionalisti, e non ultimo al delizioso articoletto del Premier (chissà che rabbia, eh?, signor Veltroni, quando l’ha letto?) sulla pacifica fila da lui fatta in un ufficio pubblico insieme a cittadini italiani e stranieri pacificamente conviventi ― il decreto sulla sicurezza è stato modificato, le espulsioni sono state pochissime, il pogrom è rientrato, la cagnara fascista e leghista si è un po’ acquietata, le oscure forze di cui sopra sono tornate a rintanarsi nei miserrimi antri mentali che le allevano e le nutrono. E lei, signor Veltroni  grazie alla Sinistra, a quella vera  ha dovuto acchiapparla e rimettersela in saccoccia, quella sua mano che si era levata ad accusare un intero popolo di costituire un problema per l’Italia.

 

L’abbiamo dipinta come un altro Berlusconi, signor Veltroni? Come un pericoloso populista di (ex) sinistra? Nossignore. L’abbiamo dipinta peggio. Perché i populisti son gente brutalmente appassionata e violenta. Mentre lei, fino a oggi (finché non le è scattata quella mano guantata di cuoio nero) è sempre stato razionale, lucido, freddo, controllatissimo anche quando sorride o fa il triste. E i tipi così, signor Veltroni (ammesso e non concesso che lei sia così) sono forse più pericolosi dei tipi alla Berlusconi. Perché non si sa mai che cosa almanacchino e covino, nelle loro testolone, finché riescono a controllare e tener ferme le mani pazze che poi all’improvviso gli si rizzano e fanno sfracelli...

 

Tipi come John Claggart, il Piedipiatti della nave Bellipotent  ― nel Billy Budd di Melville  che ce l’aveva a morte col bel marinaio, lo odiava quanto si può odiare qualcuno, ma non lo lasciava trasparire e sembrava sempre corretto, gentile, perfino affabile, mentre ordiva contro di lui piani tenebrosi. Tipi, dice Melville, che non appartengono alla bassa lega del bruto ma sono senza fallo dominati da fattori intellettuali... A cui la civiltà, soprattutto del tipo più austero, è molto propizia. Che si ammantano di rispettabilità. Che possiedono certe virtù negative che gli offrono un aiuto silenzioso. Che non si lasciano mai cogliere di sorpresa dal vino. Esenti da vizi e da peccati veniali, perché hanno in sé un fantastico orgoglio che li rende immune da essi. Mai venali né avari. Ma che poi, benché il temperamento tranquillo e il comportamento discreto facciano pensare a menti singolarmente soggette alla legge della ragione, pure nel profondo del cuore si direbbe che perdano ogni freno e si sottraggano del tutto a tale legge, dando l’impressione di ricorrere alla ragione soltanto per usarla come uno strumento ambivalente per uno scopo insensato. In altre parole, per conseguire uno scopo che per la sua capricciosa atrocità parrebbe intriso di follia, ricorreranno a un freddo giudizio, solido e sagace. Uomini simili sono pazzi della specie più pericolosa, giacché la loro follia non è continua ma occasionale, destata da qualche oggetto particolare; ed è anche protetta dalla riservatezza, il che equivale a dire che è controllata, sicché per giunta, quando più è attiva, la mente normale non riesce a distinguerla dalla salute mentale, per la ragione cui prima si è accennato: che, quali che siano le sue mire ― e la mira non è mai dichiarata ― il metodo e il procedimento esteriore risultano sempre assolutamente razionali (Herman Melville, Billy Budd, marinaio, traduzione di Ruggero Bianchi, Garzanti, Milano, 1974, cap. 11).

 

Ma forse sbagliamo, signor Veltroni. Forse lei non voleva aizzarci contro i Rumeni. Non intendeva, cioè, consapevolmente istigare noi, le Istituzioni e le Forze dell’ordine a violare l’articolo 27 della Costituzione e a sentirci autorizzati a disprezzare, ingiuriare, perseguitare e deportare un intero popolo. È solo che quel giorno era molto triste, come tutti noi, per la terribile morte di una povera signora, aggredita e uccisa da un criminale, e molto nervoso perché questo fatto era accaduto nella città di cui lei è il sindaco, e tristezza e nervosismo le hanno strappato un grido di rabbia, In Italia c’è un problema Rumeni!,” il cui tenore razzista non corrisponde ai suoi sentimenti e alle sue idee. Come può accadere a tutti, in condizioni di forte stress...

 

Solo che lei non è tutti, signor Veltroni. Né, tanto meno, è un calderolo o un larusso qualsiasi in un’osteria. Lei, in quanto leader di un partito che aspira alla maggioranza dei nostri voti, è un uomo politico che si candida alla carica di Capo del Governo. E che potrà trovarsi, dunque (ove riuscisse a realizzare tali legittime speranze) in momenti ben più difficili e in condizioni assai più stressanti di quelle che le è finora capitato di affrontare in qualità di sindaco di Roma. Se non è in grado di mantenere la calma in ogni circostanza, se il dolore, la rabbia e lo stress possono indurla a esternazioni imprevedibili e pericolose  tali da ingenerare nella parte psichicamente e culturalmente meno affidabile della classe politica, degli apparati dello Stato e della cittadinanza la sensazione di poter fare di un intero popolo un capro espiatorio ― allora è meglio che lei rinunci, signor Veltroni, per il bene del Paese e anche suo, ad ambire a una carica il cui peso sulla sua psiche, ahinoi!, potrebbe risultare troppo gravoso per le sue forze.

 

Come vede non si scappa, purtroppo: o lei sapeva quel che faceva, signor Veltroni, quando ha gridato Ai Rumeni!”, e allora è pericoloso per un verso; o lei non lo sapeva, e allora lo è per un altro. In entrambi i casi, completare (in sordina) il suo secondo mandato come sindaco di Roma e poi abbandonare la politica è l’unico modo che ha per evitare a noi tutti le ulteriori prove che quel suo grido ci ha chiaramente preannunciato e per conservare a sé stesso una parte del rispetto che credevamo di poter tributarle prima che la sua mano pazza scattasse da sola.

 

Non le sarà sfuggito, del resto, signor Veltroni, che dopo la sua abortita dichiarazione di guerra al popolo rumeno, un sottile ma percepibile disagio si è insinuato nei cuori ben poco leonini dei suoi sostenitori meno sprovveduti. Perfino La Repubblica, il cui veltronismo rasentava l’idolatria, ha ora un tono più morigerato, quasi severo, quando si occupa di lei. E avrà compreso, astuto e attento com’è, che lo scandalo dell’inciucio Rai-Mediaset, che proprio La Repubblica ha fatto detonare a pochi giorni dal suo incontro con Berlusconi, era un segnale e un monito rivolto soprattutto a lei la luna di miele è finita, amico, d’ora in poi bada a quel che fai!  dalle forze culturali, economiche e politiche (chiamiamole ultraliberiste ma che se ne vergognano) che in lei hanno incautamente riposto le loro speranze di consegnare l’Italia a una nuova destra elegante e democratica, alla Tony Blair, così raffinata da poter impunemente travestirsi da sinistra, e che ora invece cominciano a sospettare che lei l’abile incantatore che ancòra per anni, nei loro piani, dovrebbe far credere a noi ingenui che il Pidì ci rappresenti ― sia invece un pericoloso mattocchio che d’ora in poi dovranno tenere a bada vita natural durante, per impedirgli altre alzate d’ingegno.

 

Ma lei se la ride, vero, signor Veltroni? Ne facesse anche di peggio, gridasse pure “Agli imam!” peggio dun Borghezio, chi metterebbero al suo posto? D’Alema? Finocchiaro? C’è forse ancora qualcuno, fra i destri del Pidì, che non si sia sputtanato con le troppe leggi del centro-destra non abrogate, coi troppi salamelecchi a papi e vescovi, coi troppi cedimenti e compromessi, con la troppa insofferenza per la magistratura, coi troppi complimenti ai “ragazzi” di Salò, con le troppe telefonate a furbetti e furboni, con le troppe festicciole a casa Briatore, o più semplicemente con il troppo brutto ghigno da forcaiolo che non sa celare? C’è forse qualcuno, fra i destri del Pidì, che possa fingersi di sinistra così bene come lo fa lei? Non c’è. Lei è l’ultima spiaggia, signor Veltroni, per i vari Scalfari e compagnia cantante che da vent’anni tentano di conservare i nostri voti pur mentre fanno di tutto per annientare in noi perfino la memoria di aver sperato e lottato per una società più umana, perfino la fantasia d’essere stati un giorno bei marinai giovani e generosi, fieri d’esser nati umani e lieti di riconoscere umano ogni compagno di gioco e di lavoro e d’avventura e di lotta, qualunque sia il suo colore, qualunque la patria e il costume, sperando che anche lui riconosca umani noi. Con chi potrebbero sostituirla, signor Veltroni? Non hanno che lei, e se la terranno stretto anche se quella mano guantata di nero le si dovesse rizzar di nuovo altre mille volte. Lei lo sa bene, e se la ride. Ma cauto, perché di loro non ha paura, ma di tradirsi dinanzi a noi, non ancòra del tutto metamorfizzati in ultracorpi, un pochino sì.

 

Solo che noi non pensiamo che lei non sappia controllarsi, signor Veltroni. Non crediamo che siano stati l’angoscia, il nervosismo e lo stress a farla sbottare in quel grido razzista contro un intero popolo. Temiamo, al contrario, che quel giorno lei sapesse benissimo ciò che faceva. Che quella mano lei l’abbia fatta scattare apposta, a ragion veduta, per lanciare un segnale agli Italiani di destra e per assestare un altro colpo, negli Italiani di sinistra, all’identità che malgrado tutto li rende ancòra troppo diversi per lasciarsi facilmente omologare al modello di cittadino in apparenza democratico e invece indifferente, consumista, consenziente e istupidito che tanto piace ai padroni intelligenti e illuminati che vogliono il mondo popolato di servi, sì, ma allegri, “solari”, fiduciosi, operosi.

 

Anche se un uomo come lei, signor Veltroni ― uno che un anno sì e l’altro pure si fa pellegrino ad Auschwitz e in Africa, uno che maneggia, manovra e manipola così bene l’immaginario di quelli come noi, sinistra dalla lacrimuccia facile cui facilmente la lacrima vela la vista ― stentiamo a credere che davvero abbia puntato il dito contro un intero popolo in aperto disprezzo di un articolo della Costituzione della Repubblica nata dalla Resistenza. Eppure l’ha fatto. Ma noi non riusciamo a credere alle nostre orecchie e ai nostri occhi, stregati come siamo dalla sua immagine e dalla sua voce come dalla ninna nanna di una di quelle mamme talmente brave a cullare, consolando e rassicurando, che poi è troppo orribile la sorpresa, il giorno in cui gli cade la maschera, per aver il coraggio di guardarle in viso e sapere. Esistono, purtroppo, delle mamme così ― che covano mostri, in qualche invisibile nido della mente, mentre ci sorridono e ci coccolano tenendoci sospesi sull’abisso ― e lei potrebbe essere una di quelle, signor Veltroni. Ma noi non riusciamo a credere agli occhi e alle orecchie, e perfino ora, mentre scriviamo e leggiamo e rileggiamo queste righe, vorremmo continuare a vederla come la buona fatina dai capelli turchini che finalmente farà di noi dei bambini veri. Mentre bambini e veri lo eravamo già, benché terribili (oh, quanto abbiamo resistito, siamo la generazione che più ha resistito, quelli che volevano assimilarci son già tutti morti e adesso tocca che ci proviate voi, signor Veltroni, fratelli maggiori o minori che da sempre ci guardate, di nascosto, con paziente disapprovazione e astio) e rischiamo oggi di diventare invece i suoi burattini bravi, ubbidienti e folli senza nemmeno la macabra soddisfazione di esserne consapevoli.

 

Speriamo di no, signor Veltroni. Speriamo che lei fallisca, che tutti aprano gli occhi, che il consenso di cui gode si dissolva, che l’Italia possa finalmente avere ciò che non ha più potuto nemmeno sognare dal giorno in cui arrestarono Gramsci: un vero Partito di Sinistra. Oppure speriamo di esserci sbagliati, daver sognato, delirato, e che il suo grido razzista (o folle) sia stato solo un’allucinazione nostra. Poiché in caso contrario, nella dannata ipotesi che allucinazione non sia e che lei davvero consegua l’immenso potere a cui è così vicino, noi non avremo, un domani ― dopo che con gli occhi labbiamo vista puntare il dito e con le orecchie labbiamo udita gridare Ai Rumeni! alcuna possibilità di dire a nostra discolpa, come altre nazioni in passato hanno fatto: ma come potevamo noi immaginare?!

 

La mano nazista del dottor Stranamore si ribella al padrone e lo tradisce.

La mano nazista del dottor Stranamore si ribella al padrone e lo tradisce.

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