L'immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell'artista danese Viggo Rhode (1900-1976). L'ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

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La Terra vista da Anticoli Corrado

 

diario del Prof (scolastico e oltre)

 

aprile 2009

 

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domenica 26 aprile

 

Unaula scolastica romanista potrebbe piacere ad alcuni. Ma non sarebbe laica.

 

Totti in tutte le Aule?

 

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Ci sentiamo sempre un po’ in colpa quando un ragazzo (o, assai più di rado, una ragazza) ci chiede di che squadra siamo.

 

La domanda, è evidente, scaturisce dal desiderio che l’insegnante, dichiarandosi della squadra dell’alunno, dimostri di meritare il sentimento di stima che (per motivi importanti, legati al rapporto, che col calcio niente hanno a che vedere) nell’alunno sta nascendo nei suoi confronti. E noi ci sentiamo in colpa (anzi: ne soffriamo, in qualche modo) poiché, non “essendo” di alcuna squadra ― non lo siamo mai stati, neanche da bambini riuscimmo mai ad appassionarci al calcio ― alla domanda non possiamo rispondere. Siamo costretti a dichiararci (calcisticamente) agnostici. E sentiamo che ciò delude il ragazzo, rendendo un po più difficile il rapporto. Ma sappiamo, al contempo, che delusioni così non sono irrimediabili; e ci ripromettiamo di “recuperare” dimostrandoci più degni di stima in altre occasioni.

 

Del resto, se invece fossimo” di una qualche squadra ― “romanisti”, mettiamo, e fan sfegatati di Francesco Totti ― facendo (calcisticamente) outing non rischieremmo di scontentare i “laziali”, i “milanisti”, gli “iuventini” e via tifando? Senza dubbio. E tuttavia anche a questo potremmo rimediare senza troppe difficoltà, se benché “romanisti” fossimo pur sempre insegnanti veri. (Sono altre le delusioni catastrofiche per il rapporto ― quasi sempre ignorate, poiché così dolorose da renderne drammatico il riconoscimento per chi le subisce e per chi le infligge, inducendo il primo a una rischiosa ribellione e sospingendo il secondo verso una crisi dagli esiti non meno incerti ― e procedono da gravi deficienze affettive e professionali al cui confronto la mancanza di “sentimento” calcistico, o la manifestazione di un “sentimento” contrastante, non sono più patogene di un saluto che per una volta si sia mancato di rendere).

 

Sì, un insegnante può confessare (o vantare, a seconda dei casi) la propria “fede” o il proprio “agnosticismo” calcistici. Per un prof che del calcio se ne infischia, ce ne sarà un altro che non può vivere senza di esso; contro un docente “romanista” si schiererà, l’ora successiva, un “laziale”. Ma la Scuola e le scuole, in quanto tali ― intese come Istituzione dello Stato e come singoli istituti ― devono essere (anche calcisticamente) rigorosamente laiche. La Scuola (e le scuole) non possono tifare né per il Milan né per l’Inter, né per la Iuventus né per il Torino. E infatti non lo fanno.

 

Come si sentirebbe, un alunno ― mettiamo ― “laziale”, se nella sua aula, sopra la lavagna, vedesse ogni giorno l’effigie incorniciata di Francesco Totti? E d’altra parte, se l’aula ― per non scontentare nessuno ― fosse tappezzata di simboli e gadget di tutte le squadre nazionali ed estere, come si sentirebbe il Prof (o un piccolo futuro Prof) che invece non ne ama alcuna, e anzi ritiene che il gran circo del calcio, come qualsiasi altro mondo virtuale, non possa invadere e colonizzare il mondo reale senza diventare ipso facto violento?

 

No, c’è un solo modo ― per la Scuola e le scuole ― di essere (calcisticamente) laiche, ed è quello di considerare la passione calcistica un fatto privato, sia degli alunni che dei docenti, che essi possano bensì reciprocamente manifestarsi (come ogni altro sentimento o fantasia o idea che le vigenti leggi non vietino di esternare) ma che la Scuola (nelle leggi, nei programmi, negli obiettivi) e le scuole (sulle pareti) non debbano in alcun modo condividere né contrastare. Poiché, se esse la condividessero o la contrastassero, aggiungerebbero alla forza individuale, soggettiva ― privata, appunto ― di tale passione, tutto il peso delle proprie forze collettive, istituzionali ― pubbliche ― rendendola quasi irresistibile.

 

In altre parole: dinanzi a un insegnante (calcisticamente) agnostico ci si può dichiarare (impunemente) tifosi, così come a un insegnante “laziale” si può impunemente confessare di essere “romanisti” (se il docente non è folle). Ma in una Scuola “milanista” con quale coraggio ci si rivelerebbe “interisti”? O tifosi in una Scuola che nei confronti del calcio riconoscesse valida solo l’indifferenza?

 

Le squadre di calcio sono imprese e società private, proprio come la Fiat o la Telecom. Un insegnante, parlando del più e del meno a ricreazione, può confessare agli alunni di aver sempre trovato orribili tutte le vetture Fiat tranne la vecchia 500? Certo che sì. Può raccontare, nei ritagli di tempo, d’esser passato a Vodafone per dispetto? Come no. Ma la Scuola e le scuole non possono sponsorizzare alcun marchio automobilistico o delle telecomunicazioni. E neppure possono, istituzionalmente, schierarsi contro l’acquisto di autovetture (perché inquinano, per esempio) o di telefonini (perché gravano pesantemente su molti bilanci familiari). Una Scuola laica, in qualsiasi campo, è una Scuola che non schiera la propria forza né pro né contro una squadra, né pro né contro un marchio, né pro né contro un’ideologia. Ma che in compenso decisamente si schiera a favore della Tolleranza. Cioè dell’idea che ognuno, nelle scuole ― alunno, genitore, insegnante o non docente ― possa individualmente professare questa o quella preferenza senza tuttavia poter avvantaggiarsi, contro le altre, del sostegno dell’Istituzione.

 

La “morale della favola” è chiara: la Scuola italiana ― continuando ancor’oggi, nel 2009, a farsi beffe del generoso impegno in tal senso di moltissimi alunni, genitori, insegnanti e non docenti ― non è affatto laica. La Scuola italiana parteggia per una religione (fra le tante) poiché non solo consente che una religione (fra le tante) sia insegnata entro le sue mura, ma addirittura vieta di asportare, da quelle stesse mura, il suo principale simbolo. Parteggia? La Scuola italiana non sarebbe laica neanche se non parteggiasse per alcuna religione, ma le insegnasse tutte. Poiché, promuovendole tutte, la Scuola comunque si schiererebbe a favore di chi a una qualche fede si è consegnato, contro chi ne fa a meno. Come non sarebbe laica, del resto, neanche se si dichiarasse atea, o agnostica. Solo l’autentica tolleranza renderebbe la Scuola italiana davvero laica. E l’autentica tolleranza, l’abbiamo visto, non è possibile se non è al contempo un’autentica intolleranza ― per così dire ― della Scuola nei confronti di sé stessa: nei confronti della ricorrente e mai del tutto domata pretesa, sua come di ogni altra istituzione, di schierare la propria forza collettiva a vantaggio di una qualche “verità”. Mentre la verità non può essere che individuale, se non vuol essere oggetto di (del tutto legittima) ribellione. E solo come verità individuale ― personale, intimamente legata alla storia di un singolo Essere Umano ― è degna di rispetto.

 

La Scuola Italiana sarà davvero laica quando non parteggerà ― così come oggi non tifa né per la Roma, né per la Lazio, né per il Prof che se ne infischia di entrambe ― né per la ditta Chiesa Cattolica né per la società Islam né per l’associazione Atei-di-tutto-il-mondo-unitevi. Quando non esporrà alle pareti né crocifissi né altri loghi religiosi più di quanto oggi le tinteggi in giallorosso o in bianconero. Quando non inneggerà a Gesù Cristo o a Manitù più di quanto oggi intoni cori da stadio a Totti o al Mulino Bianco.

 

Con buona pace di Joseph Ratzinger, che ieri ha dichiarato che l’insegnamento della religione cattolica nella Scuola pubblica è un esempio “di quello spirito positivo di laicità che permette di promuovere una convivenza civile costruttiva” (La Repubblica, domenica 26 aprile 2009) con parole come “laicità” né fanti né papi né santi possono scherzare e trastullarsi più di quanto un Berlusconi possa scherzare e trastullarsi con parole come “libertà” (anche perché un Ratzinger non è un Berlusconi qualsiasi, giusto?). Poiché “laicità” dello Stato, in Italiano, ha un solo significato non menzognero: rigoroso rifiuto, da parte dello Stato, di mettere la propria forza (anche solo in qualità di testimonial, come direbbero in tv) al servizio di una qualsiasi fantasticheria o idea individuale.

 

Uno Stato laico non può fare da Genio della Lampada per i ghiribizzi del primo Aladino che passa.

 

(Cosa significhi, invece, “laicità” nel Neoitaliano della Teocrazia italica in progress, non lo sappiamo e non vogliamo saperlo. Non ci interessa. Anche perché abbiamo la sensazione che sia, oltre che una tentata violenza psichica, una grossolana sciocchezza...)

 

Possibile che incorniciare Me sia un ghiribizzo non meno privato che incorniciare "lui"?

Possibile sì!

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sabato 11 aprile

 

Un coccodrillo ritratto mentre piange. O sarà un alligatore? O un caimano?

Un coccodrillo ritratto mentre piange. O sarà un alligatore? O un caimano?

 

Il pianto del coccodrillo

 

In piedi, le mani che stringono la spalliera di una sedia e all’improvviso, non riuscendo più a trattennere le lacrime, Berlusconi scoppia in pianto. Questa la principale notizia del giorno (sabato 11 aprile 2009) per il principale quotidiano di “opposizione” (?).

 

Lacrime? Pianto? Dalla pietra? Dal bronzo? Ebbene sì, nel Paese delle Madonne frignanti, sarà ben possibile che pianga anche il Berlusconi ridente, che diamine! ScuolAnticoli non ne dubita: erano vere lacrime, era vero pianto. Ma che genere di lacrime? Che sorta di pianto? Lasciamolo dire a Holden Caulfield...

 

Una cosa mi colpì ― racconta Holden di quando andò al cinema, al Radio City, prima di incamminarsi verso il Wicker Bar, dove doveva incontrarsi col vecchio Carl Luce, ― Una cosa mi colpì, e fu una signora seduta vicino a me che pianse durante tutto quel dannato film. (...) Avreste potuto pensare che piangeva perché aveva il cuore tenero come il burro, ma io le stavo seduto vicino e non era vero niente. Con lei c’era un ragazzino (...) che aveva bisogno di andare al gabinetto, e lei mica ce l’ha voluto portare. Continuava a dirgli di star fermo e di fare il bravo. Quella aveva il cuore tenero suppergiù come un lupo, accidenti. (J. D. Salinger, Il giovane Holden, traduzione di Adriana Motti, Einaudi, Torino, 1970, p. 163).

 

Eh, sì: non sempre si piange per quel che sembra che si pianga. Ci sarebbe da stupirsi parecchio, a volte, se si potesse scoprire per che cosa stan davvero piangendo certi piagnoni. Così come ci sarebbe da stupirsi molto, talvolta, a scoprire quanto pianto hanno nel cuore certi apparenti impassibili. Senza scherzi.

 

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mercoledì 8 aprile

 

Era il 3 maggio 1808, e in Italia la Guerra Civile era cominciata già da nove. (Francisco Goya, 1746 - 1828, "La fucilazione del 3 maggio 1808").

Era il 3 maggio 1808, e in Italia la Guerra Civile era cominciata già da nove.

(Francisco Goya, 1746 - 1828, La fucilazione del 3 maggio 1808).

 

La Guerra Civile Italiana

 

Quando cominciò la Guerra Civile Italiana? 210 anni fa, il 20 giugno 1799, quando l’esercito della Santa Fede del Cardinale Ruffo, entrato a Napoli, si diede a strappare i cuori dei Repubblicani e a divorare vivi i loro Bambini.

 

E non si è mai interrotta: ha conosciuto solo brevi tregue di tanto in tanto, mai del tutto rispettate, violate quasi a ogni istante, per dar almeno il tempo, alle Donne e agli Uomini, di innamorarsi, mettere al mondo i Figli e gioire e tremare qualche anno per essi prima di vederli a loro volta partire in guerra.

 

Noi ne abbiamo vissuti più di un quarto, dei 210 anni della Guerra Civile Italiana ― guerra talvolta dichiarata, ma più spesso vilmente dissimulata ― e sappiamo ormai che non noi ma i nostri Figli, forse, se non saranno anch’essi divorati vivi, ne vedranno la fine. E 58 su 210, proprio come noi, ne aveva vissuti Giuseppe Turrisi, l’uomo senza casa ― il barbone, lo chiamano con disprezzo i giornali ― che due agenti della Polizia ferroviaria sono accusati di aver assassinato lo scorso 6 settembre a Milano.

 

Nato come noi nel 1951, Giuseppe Turrisi aveva 5 anni nel terribile inverno del ’56, proprio come noi, e 17 nel ’68, e 18 il giorno di Piazza Fontana, e 27 quando fu rapito e ucciso Aldo Moro, e 29 nel 1980 della strage di Bologna, e 43 alla “discesa in campo” dellUnto del Signore (o della Santa Fede?) Silvio Berlusconi. Giuseppe Turrisi era nostro fratello e compagno, ed è una vittima della Guerra Civile Italiana ― una vittima della nostra parte ― perché, se è stato ammazzato da due poliziotti, è stato assassinato dal razzismo, dal fascismo e dal nazismo più o meno “soft” nei quali alcuni milioni di famiglie italiane continuano ad allevare i propri “eredi”. Così come sono vittime della Guerra Civile Italiana ― e non di un terremoto che in un Paese non in guerra avrebbe fatto solo danni materiali ― i 295 (più duno per ogni anno di Guerra Civile) fra Bambini, Donne e Uomini uccisi in Abruzzo. Vittime della nostra parte anch’essi, perché assassinati dall’Esercito della Santa Fede degli evasori fiscali, che rendono l’Italia uno degli Stati più poveri dell’Occidente, dei politici, che sulla connivenza con gli evasori ladri (e assassini) fondano il potere che fingono di derivare dalle elezioni, dei costruttori ladri (e assassini), e di tutti i servi (e assassini) che tengon loro bordone. Da 210 anni.

 

Non dimentichiamolo mai: è sufficiente un’unica disonestà, in questo Paese in guerra, per finire dalla parte degli assassini.

 

Una Guerra Civile non ha governo.

Una Guerra Civile non ha governo.

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domenica 5 aprile

 

Io sono il giaguaro, e mi ti papperei volentieri. E la mia amica è quella che ti offre a me perché io risparmi lei.

Io sono il giaguaro, e mi ti papperei volentieri. E la mia amica è quella che ti offre a me perché io risparmi lei.

 

LAmica del Giaguaro

 

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Martedì 30 marzo è apparso su La Repubblica un titolo singolare: Le tariffe locali nel mirino del governo.

 

Possibile, ci siamo chiesti, che la peggior Destra dell’Occidente voglia far qualcosa di buono per chi non arriva alla fine del mese? Incuriositi, abbiamo letto l’articolo. Scoprendo, così, che il 22 aprile il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, presenterà i risultati di un’indagine a tappeto su quattordici aree metropolitane per capire quanto i diversi servizi locali pesino sul paniere delle famiglie: dagli asili nido ai trasporti, dalla fornitura d’acqua a quelle del gas e dell’elettricità...

 

Che dire? Se fosse vero (e sottolineiamo se, perché di questo governo dalla lingua biforcuta non ci fideremmo neanche se fosse nostra madre, avendo infinite volte constatato che tutto ciò che dice e fa è rivolto a un solo obiettivo: aggredire e distruggere i diritti umani dei Lavoratori, che lo Stato dovrebbe difendere, e il loro patrimonio collettivo, che lo Stato e gli enti locali dovrebbero amministrare), se fosse vero, non per questo ci illuderemmo che alla peggior Destra dell’Occidente importi qualcosa di noi, Italiani di bassa casta (nel suo immaginario da incubo) in quanto non titolari di partita Iva. Capiremmo perfettamente che la vera intenzione del governo è quella di colpire l’apparato di sottopotere della finta sinistra, che ha nelle aziende pubbliche locali uno dei suoi gangli vitali...

 

Ma nonostante ciò, pur senza abbassare la guardia dinanzi a Berlusconi e soci né tanto meno sdilinquirsi in ringraziamenti a un individuo come lo Scajola, quale forza politica sosterrebbe che le tariffe dei servizi pubblici locali, anziché controllate dal governo, debbano invece esser lasciate libere di aumentare? Chi sarebbe tanto insipiente, o così maligno, o così insipiente e maligno insieme? Chi odierebbe così tanto noi Italiani a stipendio fisso da volere che le nostre bollette diventino più care? Nessuno, vero?

 

E invece no: qualcuno c’è, ed è la finta “sinistra” che alligna nel Pidì.

 

Commentando la notizia di cui sopra, infatti, ecco cos’ha avuto la faccia di dettare a La Repubblica Linda Lanzillotta, ex ministro per gli Affari regionali del governo Prodi ed esponente di primo piano della banda di papisti-padronisti che tramite il Pidì tiene in ostaggio quel che resta della Sinistra italiana: Non bastano i dati, serve anche un controllo sugli indici di qualità, sostiene Linda Lanzillotta, il cui disegno di legge sulla liberalizzazione dei servizi pubblici fu “impallinato” dall’alleanza tra la sinistra radicale e la lobby delle aziende dei servizi. Spiega Lanzillotta: “Il controllo è giusto, perché permette di offrire un quadro trasparente delle tariffe. Ma non basta. Serve una comparazione con i costi a livello europeo e anche sulla (sic) qualità dei servizi offerti”. L’esempio dell’acqua è lampante: abbiamo un servizio scadente in molte parti del Paese, ma le tariffe restano, per ragioni sociali, tra le più basse d’Europa.

 

Chiaro, no? Le tariffe, secondo la Lanzillotta, non vanno messe sotto controllo, vanno aumentate.

 

E per poter aumentarle bisogna che i servizi pubblici locali la smettano di ispirarsi a “ragioni sociali” ormai démodé, e siano, piuttosto, interamente privatizzati.

 

Sotto le facce di bronzo e nelle teste di legno dei papisti-padronisti di finta “sinistra”, proprio non riesce a penetrare il pur ovvio concetto che sono state precisamente le cosiddette “liberalizzazioni”, cioè la svendita dei patrimoni collettivi dei Popoli ad avventurieri d’ogni risma (insieme alle detassazioni e alle licenze d’evasione fiscale concesse a chiunque non sia un Lavoratore dipendente) a permettere e favorire l’immane impoverimento dello Stato, l’immane crescita delle diseguaglianza economica, l’immane accumulo di ricchezza nelle banche, nelle assicurazioni, nelle finanziarie, nei fondi e in ogni sorta di consimili associazioni a delinquere legalizzate e l’immane fenomeno speculativo che tutto ciò ha consentitoche hanno causato la crisi economica mondiale.

 

Ma che andiamo dicendo: non vuol entrargli in testa? No, siamo troppo generosi: non vuol entrargli nel portafoglio, dovremmo dire, perché la miserrima finta “sinistra” che spadroneggia sul Pidì è una “sinistra” che negli ultimi decenni, dall’aver adottato quanto e più della Destra il vangelo fondamentalista del libero mercato, ha lucrato giganteschi vantaggi di potere ed economici che ora non vuol perdere, e per non perdere i quali è disposta letteralmente a tutto: perfino a supplicare il giaguaro governativo di non mettere il naso nei servizi pubblici locali, perfino a implorare il giaguaro di aumentare piuttosto le tariffe, perfino ― cioè ― a offrire al giaguaro la carne viva nostra (di noi che continuiamo a votarli, questi bei “campioni” e “difensori” che di noi non san che farsi tranne quando si avvicinano le elezioni) purché il giaguaro medesimo non vada ad addentare le loro proficue alleanze con le satrapie private alle quali han concesso e vorrebbero ancor più concedere di metter le mani sui servizi pubblici. Nascondendosi (ancora!) dietro la “foglia di fico” (che nel caso della Lanzillotta speriamo amplissima) che le cosiddette “liberalizzazioni” (cioè le svendite ad avventurieri, ladri e mascalzoni vari, lo ripetiamo, del patrimonio collettivo delle Donne, degli Uomini e dei Bambini di questo Paese), anche se fanno aumentare le tariffe, migliorerebbero la qualità del servizio.

 

Che risate. Migliorerebbero, eh? Così come son migliorate le ferrovie, vero? O le autolinee locali, o le autostrade, o le compagnie telefoniche, o tutto ciò che hanno regalato a cani e porci perché ne cavassero insieme al nostro sangue tutto il denaro che potevano cavarne: tutto è molto, molto, molto migliorato con le privatizzazioni, vero? Certo, come no!

 

Dice chi non la conosce: ma chi è ’sta Lanzillotta così amica del giaguaro? Be’, per esempio: è la stessa signora che il 19 febbraio u.s. ha attaccato l’ex ministro Bersani con le seguenti parole: Bersani si è proposto come leader di sinistra, di un partito collaterale al sindacato. Il Pidì invece dev’essere un partito forte, autonomo, lontano dalle logiche del secolo scorso. Ecco chi è la Lanzillotta: una, per la quale nemmeno un Bersani è abbastanza di destra. Una, anzi, che con la Sinistra vuol farla finita una volta per tutte, e che a questo scopo sta nel Pidì con tutta la banda dei papisti-padronisti-palazzinaro-ospedalieri alla Rutelli, “Beppe” Fioroni e compagnia salmodiante: per darci in pasto al giaguaro affinché la belva risparmi loro. Per buttarsi in ginocchio dinanzi alla peggior Destra d’Occidente e supplicarla ― come l’infelice protagonista di 1984, ma gelidamente, senza la minima traccia della sua disperata passione: Prendete loro, non noi! Fate di loro ciò che volete, non ce ne può fregare di meno, ma lasciate stare noi! Ma presentandosi invece, per gettarci la sabbia negli occhi, come una “sinistra” moderna, che vuol andare lontano dalle logiche del secolo scorso.

 

E chi non lo vuole? Siamo nel Ventunesimo, socialismo e comunismo han fallito da un pezzo, è ora di creare nuove strategie, nuove immagini, nuove motivazioni e perfino nuovi sentimenti per i Diritti, la Libertà, l’Eguaglianza, la Fraternità e la Trasformazione degli Esseri Umani. Ma la Lanzillotta e i suoi camerati chierichetti, con cilicio o senza, vorrebbero farci credere, pensa un po’, che separarsi dalle logiche del secolo scorso significhi riconsegnarsi, legati mani e piedi, alle logiche religiose di due millenni fa. Comodo, eh? Così noi saremmo tutti in chiesa a pecoroni, a pregare contriti, tirati e strattonati dalla nascita alla morte (anzi: all’intubazione perpetua) nelle grinfie della privatissima ditta Ratzinger, mentre lei e i suoi amichetti continuerebbero piacevolmente a privatizzare e liberalizzare il resto, tutto ciò che è nostro, a favore dei loro figli, dei loro amici e dei loro compari.

 

E non è sola, la Lanzillotta. Magari lo fosse. La finta “sinistra” è vasta, ramificata e potente. Così vasta, che non possiamo escludere che ormai quasi tutti gli ex Dièsse, ai “piani alti” del Pidì, ne facciano parte o quanto meno si lascino da essa ricattare con la minaccia della scissione. Così ramificata, che può permettersi un’efficiente divisione del lavoro, utile anche a meglio confonderci le idee: coi papisti che nelle questioni etiche non muovon foglia che Ratzinger non voglia, ma contro il razzismo governativo si fingono dalla parte degli esseri umani come se davvero potesse esserlo chi li considera inferiori a Dio; coi padronisti che giorno e notte (poiché è gente che non conosce il piacere di addormentarsi naturalmente) studiano nuovi mezzi per mettere i Lavoratori alla mercè dei padroni, ma nelle questioni etiche si fingono radicali e dalla parte degli esseri umani come se davvero potesse esserlo chi ne considera il lavoro alla stregua di una merce; e coi palazzinaro-ospedalieri che intanto, coperti da entrambi, intrallazzano a tutto spiano con affaristi, banchieri e furbetti d’ogni risma...

 

Abbiamo avuto un illuminante esempio di questa trista sinergia, meno di tre settimane fa, dai resoconti giornalistici della commemorazione di Marco Biagi, lo studioso di diritto del lavoro ucciso a Bologna sette anni fa. Giorgio Napolitano (presidente della Repubblica, già leader della destra del Pci, ― clicca qui per le fonti ― già ministro degli Interni, già presidente per il governo Dini della Commissione per il riordino del sistema radio-televisivo) dice, fra l’altro, che in un campo come quello delle politiche del lavoro sarebbe necessario uno sforzo comune, cui nessuna delle due parti si sottragga, per riconoscere e coltivare gli elementi di continuità e le possibilità di convergenza che vi si legano... Avvertendo l’esigenza di uscire da logiche puramente difensive, non lasciandosi guidare da vecchi riflessi di arroccamento attorno a visioni e conquiste del passato, a favore del rinnovamento del sistema delle garanzie a tutela dei meno protetti. (La Repubblica, venerdì 20 marzo 2009). Il che significa due cose: 1°, che se vogliamo che i “meno protetti” lo siano di più, tutti dobbiamo rassegnarci a rinunciare alle “conquiste del passato”, cioè ai Diritti Umani dei Lavoratori; 2°, dato il contesto dell’argomentare presidenziale, che chi non accetta tali rinunce, o anche solo si permette di criticarle, è oggettivamente citabile (e “criminalizzabile”) all’interno di un discorso che commemora un giuslavorista assassinato da terroristi sedicenti “di sinistra”.

 

Il “suggerimento” di Napolitano (pontefice massimo della finta “sinistra”?) è prontamente accolto. Pietro Ichino (senatore del Pidì per volontà del Veltroni, giuslavorista anche lui e inventore, per designare gli impiegati pubblici, del termine fannulloni che tanto piace al ministro Brunetta) immediatamente dichiara: Biagi e D’Antona volevano il cambiamento e sono stati uccisi da chi quel cambiamento teme. Anzi: da chi quel cambiamento aborrisce. Il che significa una sola cosa: che chiunque sia contro i “cambiamenti” proposti dai padronisti del Pidì ― anzi: chiunque “aborrisca” i loro “cambiamenti” a base di aggressioni (loro) e rinunce (nostre) ai Diritti Umani dei Lavoratori ― è (oggettivamente?) paragonabile a un terrorista.

 

Chiude il cerchio Tiziano Treu (senatore del Pidì di provenienza margheritina e, all’epoca del primo governo Prodi, ministro del Lavoro che per primo introdusse i contratti flessibili ― e chissà se fu per “prodezze” come quella, che Bertinotti fece cadere Prodi) maramaldeggiando addirittura: L’appello di Napolitano è giusto. L’eccessiva ideologizzazione ha impedito molte soluzioni pragmatiche sul mercato del lavoro. Spesso si sono riaffacciati argomenti e polemiche da anni ’50... D’altra parte sono anni che le resistenze ideologiche rallentano i cambiamenti. Un esempio? L’articolo 18: resta un tabù... E non c’è dubbio che la Cgil ha in sé elementi di conservatorismo quando impedisce di affrontare, magari anche a fin di bene, qualsiasi novità.

 

Ricapitolando: 1°. Chi non vuol rinunciare alle “conquiste del passato” (= ai Diritti Umani dei Lavoratori) può essere citato ed esecrato, in un discorso presidenziale, accanto ai terroristi “rossi” che assassinarono lo studioso di diritto del lavoro Marco Biagi (Napolitano). 2°. Anzi: chi non vuole i “cambiamenti” è direttamente paragonabile a quegli assassini (Ichino). 3°. La Cgil e tutti i difensori dello Statuto dei Lavoratori non vogliono e rallentano i cambiamenti (Treu); quindi... Quindi che cosa? Quindi la Cgil potrebbe essere messa fuori legge per istigazione al terrorismo?

 

Così, mentre la Lanzillotta lotta come una lanzi... chenecca per la privatizzazione dell’acqua, l’Ichino e il Treu (imbeccati ― solo improvvidamente? ― dal Napolitano) avvelenano i pozzi della Sinistra suggerendo che chi si oppone alla svendita dei Beni (camuffata da “liberalizzazione”) e dei Diritti (camuffata da “modernizzazione”) dei Lavoratori sia (oggettivamente) un brigatista “rosso”.

 

Pochi esempi, in pochi giorni, delle centinaia e centinaia che potremmo fare.

 

E Dario Franceschini crede davvero che basti qualche battuta più o meno “al vetriolo” contro il Berlusconi per occultare e farci dimenticare per l’ennesima volta l’azione (e l’inazione) di supporto (queste sì oggettive!) al fondamentalismo liberista, alla reazione papista e, sì, anche ai disvalori, alle menzogne, alle aggressioni e al quasi-fascismo berlusconiani che la finta “sinistra”, di cui egli stesso è parte, conduce ormai da decenni con implacabile determinazione e scrupolosa ipocrisia?

 

Noi ci auguriamo che si illuda. E che l’esito delle elezioni europee costringa la parte migliore del Pidì (se ve n’è una) a separarsi, una volta per sempre, dalla finta “sinistra” e dalla sua squallida subalternità intellettuale e morale alla peggior Destra dell’Occidente.

 

Le belle facce della finta “sinistra” all’incenso e privatizzazioni: Linda Lanzillotta.

Le belle facce della finta “sinistra” all’incenso e privatizzazioni: Linda Lanzillotta.

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