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Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca

 

Una boccata d’aria pura

 

Antonio Gramsci sulla religione e sulla Chiesa cattolica

 

e, a seguire: Una boccata d’aria stantìa - Togliatti, Longo e Berlinguer sulla religione e sulla Chiesa cattolica

 

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(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, Edizione critica dell’Istituto Gramsci

a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino, 1975, in quattro volumi;

e da Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, Editrice l’Unità, 1988, in due volumi)

 

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(Articolo de La Correspandance Internationale del 12 marzo 1924, firmato G. Masci)

(tratto da Antonio Gramsci, Sul fascismo, Editori Riuniti, 1978, Roma, pp. 220-224)

 

Il Vaticano è senza dubbio la più vasta e potente organizzazione privata che sia mai esistita. Ha, per certi aspetti, il carattere di uno Stato, ed è riconosciuto come tale da un certo numero di governi. Benché lo smembramento della monarchia austro-ungherese abbia considerevolmente diminuito la sua influenza, esso rimane tuttora una delle forze politiche più efficienti della storia moderna. La base organizzativa del Vaticano è in Italia: qui risiedono gli organi dirigenti delle organizzazioni cattoliche, la cui complessa rete abbraccia una gran parte del globo.

In Italia l’apparato ecclesiastico del Vaticano si comporta di circa 200.000 persone; cifra imponente, soprattutto quando si consideri che essa comprende migliaia e migliaia di persone dotate di intelligenza, cultura, abilità consumata nell’arte dell’intrigo e nella preparazione e condotta metodica e silenziosa dei disegni politici. Molti di questi uomini incarnano le più vecchie tradizioni d’organizzazione delle masse e, di conseguenza, la più grande forza reazionaria esistente in Italia, forza tanto più temibile in quanto insidiosa e inafferrabile. Il fascismo prima di tentare il suo colpo di Stato dovette trovare un accordo con essa. Si dice che il Vaticano, benché molto interessato all’avvento del fascismo al potere, abbia fatto pagare molto caro l’appoggio al fascismo. Il salvataggio del Banco di Roma, dove erano depositati tutti i fondi ecclesiastici, è costato, a quel che si dice, più di un miliardo di lire al popolo italiano.

Poiché si parla spesso del Vaticano e della sua influenza senza conoscerne esattamente la struttura e la reale forza d’organizzazione, non è senza interesse darne un’idea precisa. Il Vaticano è un nemico internazionale del proletariato rivoluzionario. È evidente che il proletariato italiano dovrà risolvere in gran parte con mezzi propri il problema del papato, ma è egualmente evidente che non vi arriverà senza il concorso efficace del proletariato internazionale. L’organizzazione ecclesiastica del Vaticano riflette il suo carattere internazionale. Essa costituisce la base del potere del papato in Italia e nel mondo. [...].

 

Lettera 194 - 15 giugno 1931

(da Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, Editrice l’Unità, 1988, in due volumi)

 

Carissima mamma,

[...] Tu non puoi immaginare quante cose io ricordo in cui tu appari sempre come una forza benefica e piena di tenerezza per noi. Se ci pensi bene tutte le quistioni dell’anima e dell’immortalità dell’anima e del paradiso e dell’inferno non sono poi in fondo che un modo di vedere questo semplice fatto: che ogni nostra azione si trasmette negli altri secondo il suo valore, di bene e di male, passa di padre in figlio, da una generazione all’altra in un movimento perpetuo. Poiché tutti i ricordi che noi abbiamo di te sono di bontà e di forza e tu hai dato le tue forze per tirarci sù, ciò significa che tu sei, già da allora, nell’unico paradiso reale che esista, che per una madre penso sia il cuore dei propri figli. Vedi cosa ti ho scritto? Del resto non devi pensare che io voglia offendere le tue opinioni religiose e poi penso che tu sei d’accordo con me più di quanto non pare. Di’ a Teresina che aspetto l’altra lettera che mi ha promesso. Ti abbraccio teneramente con tutti di casa. Antonio.

 

Quaderno 3 (XX) – 1930: <Miscellanea> - § <140>. Cattolicismo e laicismo. Religione e scienza, ecc..

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, Edizione critica dell’Istituto Gramsci

a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino, 1975, in quattro volumi)

 

Leggere il libretto di Edmondo Cione, Il dramma religioso dello spirito moderno e la Rinascenza, Napoli, Mazzoni, 1929, pp. 132. Svolge questo concetto: “la Chiesa, forte della sua autorità, ma sentendo il vuoto aleggiarle nella testa, priva di scienza e di filosofia; il Pensiero, forte della sua potenza, ma anelante invano alla popolarità ed all’autorità della tradizione”. Perché “invano”? Intanto non è esatta la contrapposizione di Chiesa e di Pensiero, o almeno nell’imprecisione del linguaggio si annida tutto un modo errato di pensare e di agire, specialmente. Il Pensiero può essere contrapposto alla Religione di cui la Chiesa è l’organizzazione militante. I nostri idealisti, laicisti, immanentisti ecc. hanno fatto del Pensiero una pura astrazione, che la Chiesa ha bellamente preso sottogamba assicurandosi le leggi dello Stato e il controllo dell’educazione. Perché il “Pensiero” sia una forza (e solo come tale potrà farsi una tradizione) deve creare un’organizzazione, che non può essere lo Stato, perché lo Stato ha rinunziato in un modo o nell’altro a questa funzione etica quantunque la proclami ad altissima voce, e deve perciò nascere nella società civile.

 

Quaderno 4 (XIII) – 1930 - 1932: Appunti di filosofia I - § <45>. Struttura e superstrutture.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

[...]. La religione è la più ‘mastodontica’ utopia, cioè la più ‘mastodontica’ metafisica apparsa nella storia, essa è il tentativo più grandioso di conciliare in forma mitologica le contraddizioni storiche: essa afferma, è vero, che l’uomo ha la stessa ‘natura’, che esiste l’uomo in generale, creato simile a Dio e perciò fratello degli altri uomini, uguale agli altri uomini, libero fra gli altri uomini, e che tale egli si può concepire specchiandosi in Dio, ‘autocoscienza’ dell’umanità, ma afferma anche che tutto ciò non è di questo mondo, ma di un altro (utopia). [...].

 

Quaderno 5 (IX) – 1930 - 1932: <Miscellanea> - § <7>. Sul “pensiero sociale” dei cattolici.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

[...]. In realtà la Chiesa non vuole compromettersi nella vita pratica economica e non si impegna a fondo, né per attuare i principi sociali che afferma e che non sono attuati, né per difendere, mantenere o restaurare quelle situazioni in cui una parte di quei principi era già attuata e che sono state distrutte. Per comprendere bene la posizione della Chiesa nella società moderna, occorre comprendere che essa è disposta a lottare solo per difendere le sue particolari libertà corporative (di Chiesa come Chiesa, organizzazione ecclesiastica), cioè i privilegi che proclama legati alla propria essenza divina: per questa difesa la Chiesa non esclude nessun mezzo, né l’insurrezione armata, né l’attentato individuale, né l’appello all’invasione straniera. Tutto il resto è trascurabile relativamente, a meno che non sia legato alle condizioni esistenziali proprie. Per “dispotismo” la Chiesa intende l’intervento dell’autorità statale laica nel limitare o sopprimere i suoi privilegi, non molto di più: essa riconosce qualsiasi potestà di fatto, e purché non tocchi i suoi privilegi, la legittima; se poi accresce i privilegi, la esalta e la proclama provvidenziale.

Date queste premesse, il “pensiero sociale” cattolico ha un puro valore accademico: occorre studiarlo e analizzarlo in quanto elemento ideologico oppiaceo, tendente a mantenere determinati stati d’animo di aspettazione passiva di tipo religioso, ma non come elemento di vita politica e storica direttamente attivo. Esso è certamente un elemento politico e storico, ma di un carattere assolutamente particolare: è un elemento di riserva, non di prima linea, e perciò può essere in ogni momento “dimenticato” praticamente e “taciuto”, pur senza rinunziarvi completamente, perché potrebbe ripresentarsi l’occasione in cui sarà ripresentato. I cattolici sono molto furbi, ma mi pare che in questo caso siano troppo furbi.

 

Quaderno 5 (IX) – 1930 - 1932: <Miscellanea> - § <58>. L’Azione cattolica.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

Una delle misure più importanti escogitate dalla Chiesa per rafforzare la sua compagine nei tempi moderni è l’obbligo fatto alle famiglie di far fare la prima comunione ai sette anni. Si capisce l’effetto psicologico che deve fare sui bambini di sette anni l’apparato cerimoniale della prima comunione, sia come avvenimento familiare individuale, sia come avvenimento collettivo: e quale fonte di terrori divenga e quindi di attaccamento alla Chiesa. Si tratta di “compromettere” lo spirito infantile appena incomincia a riflettere. Si capisce perciò la resistenza che la misura ha trovato nelle famiglie, preoccupate dagli effetti deleteri sullo spirito infantile di questo misticismo precoce e la lotta della Chiesa per vincere questa opposizione. (Ricordare nel Piccolo Mondo Antico di Fogazzaro la lotta tra Franco Maironi e la moglie quando si tratta di condurre la bimbetta in barca, in una notte tempestosa, ad assistere alla messa di Natale: Franco Maironi vuol creare nella bimba dei “ricordi” incancellabili, delle “impressioni” decisive; la moglie non vuole turbare lo sviluppo normale dello spirito della figlia, ecc.).

 

Quaderno 5 (IX) – 1930 - 1932: <Miscellanea> - §§ <70-71>. Stato e Chiesa. Natura dei Concordati.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

§ <70>. Stato e Chiesa. La circolare ministeriale su cui insiste ‘Ignotus’ nel suo libretto Stato fascista, Chiesa e Scuola (Libreria del Littorio, Roma, 1929), [...], è firmata dal ministro Belluzzo e inviata il 28 marzo 1929 ai Provveditori (Circolare n. 54 pubblicata nel ‘Bollettino Ufficiale’ del Ministero dell’Educazione Nazionale il 16 aprile 1929, riportata integralmente nella ‘Civiltà Cattolica’ del 18 maggio successivo). Secondo ‘Ignotus’ questa circolare avrebbe facilitato ai cattolici un’interpretazione estensiva dell’articolo 36 del Concordato1. Ma è poi vero? ‘Ignotus’ scrive che l’Italia con l’art. 36 del Concordato non riconoscerebbe ma appena (!?) considererebbe “fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della Dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica”. Ma è logica questa restrizione di ‘Ignotus’ e questa interpretazione cavillosa del verbo ‘considerare’? La quistione certo è grave e probabilmente i compilatori dei documenti non pensarono a tempo alla portata delle loro concessioni, quindi questo brusco arretramento. (È da pensare che il cambiamento di nome del Ministero, da ‘Istruzione pubblica’ in ‘Educazione nazionale’, sia legato a questa necessità di interpretazione restrittiva dell’articolo 36 del Concordato, volendo poter affermare che altro è ‘istruzione’, momento ‘informativo’, ancora elementare e preparatorio, e altro è ‘educazione’, momento ‘formativo’, coronamento del processo educativo, secondo la pedagogia del Gentile).

Le parole “fondamento e coronamento” del Concordato ripetono l’espressione del R. Decreto 1° ottobre 1923 n. 2185 sull’Ordinamento dei gradi scolastici e dei programmi didattici dell’istruzione elementare: “A fondamento e coronamento della istruzione elementare in ogni suo grado è posto l’insegnamento della dottrina cristiana, secondo la forma ricevuta nella tradizione cattolica”. Il 21 marzo 1929 la ‘Tribuna’ in un articolo, L’insegnamento religioso nelle scuole medie, ritenuto di carattere ufficioso, scrisse: “Lo Stato fascista ha disposto che la religione cattolica, base dell’unità intellettuale e morale del nostro popolo, fosse insegnata non soltanto nella scuola dei fanciulli, ma anche in quella dei giovani”.

I cattolici, naturalmente, mettono in relazione tutto ciò col 1° articolo dello Statuto, riconfermato nel 1° articolo del Trattato con la Santa Sede interpretando che lo Stato, in quanto tale, professa la religione cattolica e non già solo che lo Stato, in quanto, nella sua attività, ha bisogno di cerimonie religiose, determina che esse devono essere ‘cattoliche’. Confrontare sul punto di vista cattolico per la scuola pubblica l’articolo (del padre M. Barbera) Religione e filosofia nelle scuole medie, nella ‘Civiltà Cattolica’ del 1° giugno 1929.

 

§ <71>. Natura dei Concordati. Nella sua lettera al cardinal Gasparri del 30 maggio 1929, Pio XI scrive: “Anche nel Concordato sono in presenza, se non due Stati, certissimamente due sovranità pienamente tali, cioè pienamente perfette, ciascuna nel suo ordine, ordine necessariamente determinato dal rispettivo fine, dove è appena d’uopo soggiungere che la oggettiva dignità dei fini, determina non meno oggettivamente e necessariamente l’assoluta superiorità della Chiesa”2.

Questo è il terreno della Chiesa: avendo accettato due strumenti distinti nello stabilire i rapporti tra Stato e Chiesa, il Trattato e il Concordato, si è accettato questo terreno necessariamente: il Trattato determina questo rapporto tra due Stati, il Concordato determina i rapporti tra due sovranità nello ‘stesso Stato’, cioè si ammette che nello stesso Stato ci sono due sovranità uguali, poiché trattano a parità di condizioni (ognuna nel suo ordine). Naturalmente anche la Chiesa sostiene che non c’è confusione di sovranità, ma perché sostiene che nello ‘spirituale’ allo Stato non compete sovranità e se lo Stato se l’arroga, commette usurpazione. Anche la Chiesa sostiene inoltre che non ci può essere duplice sovranità nello stesso ordine di fini, ma appunto perché sostiene la distinzione dei fini e si dichiara unica sovrana nel terreno dello spirituale3.

 

Quaderno 5 (IX) - 1930-1932 - <Miscellanea> - § <90>. Noterelle di cultura islamitica.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

[...]. (Il cattolicesimo agonizza per questa ragione: che non può creare, periodicamente, come nel passato, ondate di fanatismo; negli ultimi anni, dopo la guerra, ha trovato dei sostituti, le cerimonie collettive eucaristiche che si svolgono con splendore fiabesco e suscitano relativamente un certo fanatismo: anche prima della guerra qualcosa di simile suscitavano, ma in piccolo, su scala localissima, le così dette missioni, la cui attività culminava nell’erezione di un’immensa croce con scene violente di penitenza, ecc.).

 

Quaderno 6 (VIII) - 1930-1932 - <Miscellanea> § <139>.

Conflitto tra Stato e Chiesa come categoria eterna storica.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

[...]. Si potrebbe aggiungere che, in un certo senso, il conflitto tra “Stato e Chiesa” simbolizza il conflitto tra ogni sistema di idee cristallizzate, che rappresentano una fase passata della storia, e le necessità pratiche attuali. Lotta tra conservazione e rivoluzione, ecc., tra il pensato e il nuovo pensiero, tra il vecchio che non vuol morire e il nuovo che vuol vivere, ecc.

 

Quaderno 6 (VIII) - 1930-1932 - <Miscellanea> § <167>. Nozioni enciclopediche.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

[...]. In un articolo di Alessandro Chiappelli, Come s’inquadra il pensiero filosofico nell’economia del mondo, (‘Nuova Antologia’ del 1° aprile 1931) si possono spulciare elementi per mostrare che in tutto il mondo occidentale, a differenza di quello asiatico (India), la concezione di Dio è strettamente connessa con la concezione di proprietà e di proprietario: <... (il) concetto di proprietà come è il centro di gravità e la radice di tutto il nostro sistema giuridico, così è l’ordito di tutta la nostra struttura civile e morale. Persino il nostro concetto teologico è foggiato spesso su questo esemplare, e Dio è rappresentato talora come il grande proprietario del mondo. La ribellione contro Dio nel Paradiso perduto del Milton, come già nel poema di Dante, è figurata come il temerario tentativo di Satana o di Lucifero di spodestare l’onnipotente e di deporlo dal suo altissimo trono. Un acuto collaboratore, anzi il direttore, un tempo, dell’‘Hibbert Journal’ (Jacks, The Universe as Philosopher, in ‘Hibbert Journal’, oct. 1917, p. 26) narrava d’aver assistito ad una conferenza in cui la prova dell’esistenza di Dio era ricavata dalla necessità di postulare un proprietario o possessore del mondo. Come si può mai credere che una proprietà sì vasta, sì eletta e fruttifera non appartenga ad alcuno? [...]. Che ci sia stata o no, una prima causa del mondo, può rimaner dubbio. Ma la necessità di un primo possessore deve apparire manifesta e indubitabile>.

 

Quaderno 7 (VII) - 1930-1932 – Appunti di filosofia II § <1>. Benedetto Croce e il materialismo storico.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

[...]. La concezione dell’‘obbiettività del reale’ quale è stata radicata nel popolo dalle religioni non può essere sradicata che da un principio che si presenti come ‘dogmatico’, ma abbia in sé la possibilità di storicizzarsi: questo principio non può essere dato che dalla scienza. Essa magari diventerà una superstizione simile o anche peggiore della superstizione religiosa, ma può trovare in sé stessa gli elementi per superare questa prima fase primitiva. Essa pone l’uomo in contatto con la natura, mantenendo la superiorità dell'’omo, quindi della storia o dello spirito, come il Croce dice.

 

Quaderno 7 (VII) - 1930-1932 – <Miscellanea> § <97>. Nomenclatura politica. Ierocrazia-teocrazia.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

“Un governo nel quale hanno partecipazione e ingerenza legale il clero, il papa o altre autorità ecclesiastiche” sarebbe più propriamente ierocratico; ma può anche esserci un governo “che opera per impulsi religiosi e subordina leggi, rapporti di vita civile, costumi e dettami religiosi” senza essere composto di ecclesiastici, ed è teocratico. In realtà elementi di teocrazia sussistono in tutti gli stati dove non esista netta e radicale separazione tra chiesa4 e Stato, ma il clero eserciti funzioni pubbliche di qualsiasi genere e l’insegnamento della religione sia obbligatorio o esistano concordati. (Rovesciamento della massima di Machiavelli: “regnum instrumentum religionis”).

 

Quaderno 8 (XXVIII) – 1931 - 1932: <Miscellanea> - § <97>. Passato e presente.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

Una riflessione che si legge spesso è quella che il cristianesimo si sia diffuso nel mondo senza bisogno dell’aiuto delle armi. Non mi pare giusto. Si potrà dire così fino al momento in cui il cristianesimo non fu religione di Stato (cioè fino a Costantino), ma dal momento in cui divenne il modo esterno di pensare di un gruppo dominante, la sua fortuna e la sua diffusione non può distinguersi dalla storia generale e quindi dalle guerre; ogni guerra è stata anche guerra di religione, sempre.

 

Quaderno 8 (XXVIII) – 1931 - 1932: <Miscellanea> - § <111>. Religione.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

La contraddizione creata dagli intellettuali che non credono, che sono giunti all’ateismo e a “vivere senza religione” attraverso la scienza o la filosofia, ma sostengono che la religione è necessaria per la organizzazione sociale: la scienza sarebbe contro la vita, ci sarebbe contraddizione tra scienza e vita. Ma come il popolo può amare questi intellettuali, ritenerli elementi della propria personalità nazionale?

 

Quaderno 8 (XXVIII) – 1931 - 1932: Appunti di filosofia. Materialismo e idealismo

§ <230>. La religione, il lotto e l’oppio del popolo. (da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

[...] Dopo il discorso contro l’indifferenza degli atei che serve come una introduzione generale dell’opera, Pascal [nelle Pensées, n.d.r.] esponeva la sua tesi dell’impotenza della ragione, incapace di saper tutto, e di saper qualcosa con certezza, ridotta a giudicare delle apparenze offerte dall’ambiente delle cose. La fede è un mezzo superiore di conoscenza; essa si esercita oltre i limiti cui può giungere la ragione. Ma anche se ciò non fosse, anche se nessun mezzo si avesse per giungere a Dio, attraverso la ragione o attraverso una qualsiasi altra via, nell’assoluta impossibilità di sapere, bisognerebbe tuttavia operare come se si sapesse. Poiché, secondo il calcolo delle probabilità, c’è vantaggio a scommettere che la religione è vera, e a regolare la propria vita come se essa fosse vera. Vivendo cristianamente si rischia infinitamente poco, qualche anno di piaceri torbidi (plaisir mêlé), per guadagnare l’infinito, la gioia eterna.

Da un articolo dell’on. Arturo Marescalchi (Durare! Anche nella bachicoltura, “Corriere della Sera” del 24 aprile 1932): “Per ogni mezza oncia di seme messo in allevamento si concorre a premi che da modesta cifra (ve ne sono 400 da mille lire) arrivano in parecchi da 10 e 20 mila lire e cinque che vanno da 25 mila a 250 mila lire. Nel popolo italiano è sempre vivo il senso del tentare la sorte; nelle campagne tutt’oggi non v’è chi si astenga dalle ‘pesche’ e dalle ‘tombole’. Qui si avrà gratis il biglietto che permette di tentare la fortuna”.

Connessione del lotto e della religione, anzi della superstizione verso qualche particolare santo; la vincita dovrebbe essere una particolare grazia del Santo o della Madonna [(la vincita mostra che si è stati eletti)]. Si potrebbe fare il confronto tra la concezione [attivistica] della grazia dei protestanti che ha suscitato e ha dato la forma morale allo spirito d’intrapresa e la concezione passiva e lazzaronesca della grazia [propria] del popolino cattolico.

 

Quaderno 10 (XXXIII) - 1932-1935

La filosofia di Benedetto Croce II - § <54>. Introduzione allo studio della filosofia. Che cosa è l’uomo?.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

[...]. Se ci pensiamo, vediamo che ponendoci la domanda che cosa è l’uomo vogliamo dire: che cosa l’uomo può diventare, se cioè l’uomo può dominare il proprio destino, può “farsi”, può crearsi una vita: Diciamo dunque che l’uomo è un processo e precisamente è il processo dei suoi atti. Se ci pensiamo, la stessa domanda: cosa è l’uomo? non è una domanda astratta, o “obbiettiva”. Essa è nata da ciò che abbiamo riflettuto su noi stessi e sugli altri e vogliamo sapere, in rapporto a ciò che abbiamo riflettuto e visto, cosa siamo e cosa possiamo diventare, se realmente ed entro quali limiti, siamo “fabbri di noi stessi”, della nostra vita, del nostro destino. E ciò vogliamo saperlo “oggi”, nelle condizioni date oggi, della vita “odierna” e non di una qualsiasi vita e di un qualsiasi uomo. La domanda è nata, riceve il suo contenuto, da speciali, cioè determinati modi di considerare la vita e l’uomo: il più importante di questi modi è la “religione” ed una determinata religione, il cattolicismo. In realtà, domandandoci: “cos’è l’uomo?”, quale importanza ha la sua volontà e la sua concreta attività nel creare se stesso e la vita che vive, vogliamo dire: “è il cattolicismo una concezione esatta dell’uomo e della vita? essendo cattolici, cioè facendo del cattolicismo una norma di vita, sbagliamo o siamo nel vero?” Tutti hanno la vaga intuizione che facendo del cattolicismo una norma di vita sbagliano, tanto vero che nessuno si attiene al cattolicismo come norma di vita, pur dichiarandosi cattolico. Un cattolico integrale, che cioè applicasse in ogni atto della vita le norme cattoliche, sembrerebbe un mostro, ciò che è, a pensarci, la critica più rigorosa del cattolicismo stesso e la più perentoria. I cattolici diranno che nessuna altra concezione è seguita puntualmente, ed hanno ragione, ma ciò dimostra solo che non esiste di fatto, storicamente, un modo di concepire ed operare uguale per tutti gli uomini e niente altro; non ha nessuna ragione favorevole al cattolicismo, sebbene questo modo di pensare ed operare da secoli sia organizzato a questo scopo, ciò che ancora non è avvenuto per nessun’altra religione con gli stessi mezzi, con lo stesso spirito di sistema, con la stessa continuità e centralizzazione. Dal punto di vista “filosofico” ciò che non soddisfa nel cattolicismo è il fatto che esso, nonostante tutto, pone la causa del male nell’uomo stesso individuo, cioè concepisce l’uomo come individuo ben definito e limitato. Tutte le filosofie finora esistite può dirsi che riproducono questa posizione del cattolicismo, cioè concepiscono l’uomo come individuo limitato alla sua individualità e lo spirito come tale individualità. È su questo punto che occorre riformare il concetto dell’uomo. Cioè occorre concepire l’uomo come una serie di rapporti attivi (un processo) in cui se l’individualità ha la massima importanza, non è però il solo elemento da considerare. L’umanità che si riflette in ogni individualità è composta di diversi elementi: 1) l’individuo; 2) gli altri uomini; 3) la natura. Ma il 2° e il 3° elemento non sono così semplici come potrebbe apparire. L’individuo non entra in rapporti con gli altri uomini per giustapposizione, ma organicamente, cioè in quanto entra a far parte di organismi dai più semplici ai più complessi. Così l’uomo non entra in rapporto con la natura semplicemente, per il fatto di essere egli stesso natura, ma attivamente, per mezzo del lavoro e della tecnica. Ancora. Questi rapporti non sono meccanici. Sono attivi e coscienti, cioè corrispondono a un grado maggiore o minore d’intelligenza che di essi ha il singolo uomo. Perciò si può dire che ognuno cambia sé stesso, si modifica, nella misura in cui cambia e modifica tutto il complesso di rapporti di cui egli è il centro di annodamento. In questo senso il filosofo reale è e non può non essere altri che il politico, cioè l’uomo attivo che modifica l’ambiente, inteso per ambiente l’insieme dei rapporti di cui ogni singolo entra a far parte. Se la propria individualità è l’insieme di questi rapporti, farsi una personalità significa acquistare coscienza di tali rapporti, modificare la propria personalità significa modificare l’insieme di questi rapporti.

 

Quaderno 11 (XVIII) - 1932-1933 - <Introduzione alla filosofia> - § <12>.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

[...]: la Compagnia di Gesù è l’ultimo grande ordine religioso, di origine reazionario e autoritario, con carattere repressivo e ‘diplomatico’, che ha segnato, con la sua nascita, l’irrigidimento dell’organismo cattolico. I nuovi ordini sorti dopo hanno scarsissimo significato ‘religioso’ e un grande significato ‘disciplinare’ sulla massa dei fedeli, sono ramificazioni e tentacoli della Compagnia di Gesù o ne sono diventati tali, strumenti di ‘resistenza’ per conservare le posizioni politiche acquisite, non forze rinnovatrici di sviluppo. Il cattolicismo è diventato ‘gesuitismo’. Il modernismo non ha creato ‘ordini religiosi’ ma un partito politico, la democrazia cristiana.

 

Quaderno 11 (XVIII) - 1932-1933 - <Introduzione alla filosofia> - § <27>. Concetto di ortodossia.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

[...]. Nel volumetto di Otto Bauer sulla religione si possono trovare alcuni accenni sulle combinazioni a cui ha dato luogo questo erroneo concetto che la filosofia della praxis non è autonoma e indipendente, ma ha bisogno di sostenersi con un’altra filosofia, materialistica o idealistica, volta a volta. Il Bauer sostiene, come tesi politica, l’agnosticismo dei partiti e il permesso dato ai soci di aggrupparsi in idealisti, materialisti, atei, cattolici, ecc.; cioè il più abbietto e vile opportunismo.

 

Quaderno 11 (XVIII) - 1932-1933 - <Introduzione alla filosofia> - § <37>.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

[...]. La quistione più importante da risolvere intorno al concetto di scienza è questa: se la scienza può dare, e in che modo, la “certezza” dell’esistenza obbiettiva della cosiddetta realtà esterna. Per il senso comune la quistione non esiste neppure: ma da che cosa è originata la certezza del senso comune? Essenzialmente dalla religione (almeno dal cristianesimo in occidente); ma la religione è un’ideologia, l’ideologia più radicata e diffusa, non una prova o una dimostrazione. Si può sostenere come sia un errore domandare alla scienza come tale la prova dell’obbiettività del reale, poiché questa obbiettività è una concezione del mondo, una filosofia e non può essere un dato scientifico. Cosa può dare la scienza in questa direzione? La scienza seleziona le sensazioni, gli elementi primordiali della conoscenza: considera certe sensazioni come transitorie, come apparenti, come fallaci perché dipendono da speciali condizioni individuali e certe altre come durature, come permanenti, come superiori alle condizioni speciali individuali. Il lavoro scientifico ha due aspetti principali: uno che incessantemente rettifica il modo della conoscenza, rettifica e rafforza gli organi delle sensazioni, elabora principi nuovi e complessi di induzione e deduzione, cioè affina gli strumenti stessi dell’esperienza e del suo controllo; l’altro che applica questo complesso strumentale (di strumenti materiali e mentali) a stabilire ciò che nelle sensazioni è necessario da ciò che è arbitrario, individuale, transitorio. Si stabilisce ciò che è comune a tutti gli uomini, ciò che tutti gli uomini possono controllare nello stesso modo, indipendentemente gli uni dagli altri, purché essi abbiano osservato ugualmente le condizioni tecniche di accertamento. “Oggettivo” significa proprio e solo questo: che si afferma essere oggettivo, realtà oggettiva, quella realtà che è accertata da tutti gli uomini, che è indipendente da ogni punto di vista che sia meramente particolare o di gruppo. Ma in fondo anche questa è una particolare concezione del mondo, è una ideologia. Tuttavia questa concezione, nel suo insieme e per la direzione che segna, può essere accettata dalla filosofia della praxis mentre è da rigettare quella del senso comune, che pure conclude materialmente nello stesso modo. Il senso comune afferma l’oggettività del reale in quanto la realtà, il mondo, è stato creato da dio5 indipendentemente dall’uomo, prima dell’uomo; essa è pertanto espressione della concezione mitologica del mondo; d’altronde il senso comune, nel descrivere questa oggettività, cade negli errori più grossolani, in gran parte è ancora rimasto alla fase dell’astronomia tolemaica, non sa stabilire i nessi reali di causa ed effetto, ecc., cioè afferma “oggettiva” una certa “soggettività” anacronistica, perché non sa neanche concepire che possa esistere una concezione soggettiva del mondo e cosa ciò voglia e possa significare. Ma tutto ciò che la scienza afferma è “oggettivamente” vero? In modo definitivo? Se le verità scientifiche fossero definitive, la scienza avrebbe cessato di esistere come tale, come ricerca, come nuovi esperimenti e l’attività scientifica si ridurrebbe a una divulgazione del già scoperto. Ciò che non è vero, per fortuna della scienza. Ma se le verità scientifiche non sono neanche esse definitive e perentorie, anche la scienza è una categoria storica, è un movimento in continuo sviluppo. Solo che la scienza non pone nessuna forma di “inconoscibile” metafisico, ma riduce ciò che l’uomo non conosce a un’empirica “non conoscenza” che non esclude la conoscibilità, ma la condiziona allo sviluppo degli elementi fisici strumentali e allo sviluppo dell’intelligenza storica dei singoli scienziati.

Se è così, ciò che interessa la scienza non è tanto dunque l’oggettività del reale, ma l’uomo che elabora i suoi metodi di ricerca, che rettifica continuamente i suoi strumenti materiali che rafforzano gli organi sensori e gli strumenti logici (incluse le matematiche) di discriminazione e di accertamento, cioè la cultura, cioè la concezione del mondo, cioè il rapporto tra l’uomo e la realtà con la mediazione della tecnologia. Anche nella scienza cercare la realtà fuori degli uomini, inteso ciò nel senso religioso o metafisico, appare niente altro che un paradosso. Senza l’uomo, cosa significherebbe la realtà dell’universo? Tutta la scienza è legata ai bisogni, alla vita, all’attività dell’uomo. Senza l’attività dell’uomo, creatrice di tutti i valori, anche scientifici, cosa sarebbe l’“oggettività”? Un caos, cioè niente, il vuoto, se pure così si può dire, perché realmente, se si immagina che non esiste l’uomo, non si può immaginare la lingua e il pensiero. Per la filosofia della praxis l’essere non può essere disgiunto dal pensare, l’uomo dalla natura, l’attività dalla materia, il soggetto dall’oggetto; se si fa questo distacco si cade in una delle tante forme di religione o nell’astrazione senza senso.

 

Quaderno 14 (I) - 1932-1935 - <Miscellanea> - § <11>. Argomenti di coltura. Le grandi potenze mondiali.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

[...]. La storia dei partiti e delle correnti politiche non può andar disgiunta dalla storia dei gruppi e delle tendenze religiose. Proprio gli Stati Uniti d’America e il Giappone offrono un terreno d’esame eccezionale per comprendere l’interdipendenza tra i gruppi religiosi e quelli politici, cioè per comprendere come ogni ostacolo legale o di violenza privata allo sviluppo spontaneo delle tendenze politiche e al loro organizzarsi in partito determina un moltiplicarsi di sette religiose. Da questo punto di vista la storia politico-religiosa degli Stati Uniti d’America può essere paragonata a quella della Russia zarista (con la differenza, importante, che nella Russia zarista se mancava la libertà politica legale, mancava anche la libertà religiosa e quindi il settarismo religioso assumeva forme morbose ed eccezionali). Negli Stati Uniti d’America legalmente e di fatto non manca la libertà religiosa (entro certi limiti, come ricorda il processo contro il darwinismo), e se legalmente (entro certi limiti) non manca la libertà politica, essa manca di fatto per la pressione economica e anche per l’aperta violenza privata. Da questo punto di vista assume importanza l’esame critico dell’organizzazione giudiziaria e di polizia, che lasciano impunite e spalleggiano le violenze private rivolte a impedire la formazione di altri partiti oltre quello repubblicano e democratico. Anche il nascere di nuove sette religiose è quasi sempre sollecitato e finanziato dai gruppi economici, per canalizzare gli effetti della compressione culturale-politica. Le enormi somme destinate in America alla attività religiosa hanno un fine ben preciso politico-culturale. Nei paesi cattolici, dato il centralismo gerarchico vaticanesco, la creazione di nuovi ordini religiosi (che sostituisce la creazione settaria dei paesi protestanti) non è più sufficiente allo scopo (lo fu prima della Riforma), e si ricorre a soluzioni di carattere locale: nuovi santi, nuovi miracoli, campagne missionarie, ecc. Si può ricordare, per esempio, che nel 1911-12 al tentativo nell’Italia Meridionale di formare politicamente i contadini attraverso una campagna per il libero scambio (contro gli zuccherieri specialmente, dato che lo zucchero è merce popolare legata all’alimentazione dei bambini, degli ammalati, dei vecchi) si rispose con una campagna missionaria tendente a suscitare il fanatismo superstizioso popolare, talvolta anche in forma violenta (così almeno in Sardegna). Che fosse legata alla campagna per il libero scambio appare dal fatto che contemporaneamente, nei così detti ‘Misteri’ (settimanale popolarissimo, tirato a milioni di copie) si invitava a pregare per i ‘poveri zuccherieri’ attaccati ‘cainamente’ dai ‘massoni’ ecc.

 

Quaderno 16 (XXII) - 1933-1934

Argomenti di cultura. I° - § <11> - Rapporti tra Stato e Chiesa (Concordati e trattati internazionali)

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

La capitolazione dello Stato moderno che si verifica per i concordati viene mascherata identificando verbalmente concordati e trattati internazionali. Ma un concordato non è un comune trattato internazionale: nel concordato si realizza di fatto una interferenza di sovranità in un solo territorio statale, poiché tutti gli articoli di un concordato si riferiscono ai cittadini di uno solo degli Stati contrattanti, sui quali il potere sovrano di uno Stato estero giustifica e rivendica determinati diritti e poteri di giurisdizione (sia pure di una speciale determinata giurisdizione). [...] La fondazione della Città del Vaticano dà un’apparenza di legittimità alla finzione giuridica che il concordato sia un comune trattato internazionale bilaterale. Ma si stipulavano concordati anche prima che la Città del Vaticano esistesse, ciò che significa che il territorio non è essenziale per l’autorità pontificia (almeno da questo punto di vista). Un’apparenza, perché mentre il concordato limita l’autorità statale di una parte contraente, nel suo proprio territorio, e influisce e determina la sua legislazione e la sua amministrazione, nessuna limitazione è accennata per il territorio dell’altra parte [...]. Il concordato è dunque il riconoscimento esplicito di una doppia sovranità in uno stesso territorio statale. Non si tratta certo più della stessa forma di sovranità supernazionale (suzeraineté) quale era formalmente riconosciuta al papa nel Medio Evo, fino alle monarchie assolute e in altra forma anche dopo, fino al 1848, ma ne è una derivazione necessaria di compromesso. [...].

I concordati intaccano in modo essenziale il carattere di autonomia della sovranità dello Stato moderno. Lo Stato ottiene una contropartita? Certamente, ma la ottiene nel suo stesso territorio per ciò che riguarda i suoi stessi cittadini. Lo Stato tiene (e in questo caso occorrerebbe dire meglio il governo) che la Chiesa non intralci l’esercizio del potere, ma anzi lo favorisca e lo sostenga, così come una stampella sostiene un invalido. La Chiesa cioè si impegna verso una determinata forma di governo (che è determinata dall’esterno, come documenta lo stesso concordato) di promuovere quel consenso di una parte dei governati che lo Stato esplicitamente riconosce di non poter ottenere con mezzi propri: ecco in che consiste la capitolazione dello Stato, perché di fatto esso accetta la tutela di una sovranità esteriore di cui praticamente riconosce la superiorità. [...].

Ma anche nel mondo moderno, cosa significa praticamente la situazione creata in uno Stato dalle stipulazioni concordatarie? Significa il riconoscimento pubblico a una casta di cittadini dello stesso Stato di determinati privilegi politici. La forma non è più quella medioevale, ma la sostanza è la stessa. Nello sviluppo della storia moderna, quella casta aveva visto attaccato e distrutto un monopolio di funzione sociale che spiegava e giustificava la sua esistenza, il monopolio della cultura e dell’educazione. Il concordato riconosce nuovamente questo monopolio, sia pure attenuato e controllato, poiché assicura alla casta posizioni e condizioni preliminari che, con le sole sue forze, con l’intrinseca adesione della sua concezione del mondo alla realtà effettuale, non potrebbe mantenere e avere.

[...]. È utile da studiare la divisione del lavoro che si cerca di stabilire tra la casta6 e gli intellettuali laici: alla prima viene lasciata la formazione intellettuale e morale dei giovanissimi (scuole elementari e medie), agli altri lo sviluppo ulteriore dei giovani nell’Università. Ma la scuola universitaria non è sottoposta allo stesso regime di monopolio cui invece sottostà la scuola elementare e media. Esiste l’Università del Sacro Cuore e potranno essere organizzate altre Università cattoliche equiparate in tutto alle Università statali. Le conseguenze sono ovvie: la scuola elementare e media è la scuola popolare e della piccola borghesia, strati sociali che sono monopolizzati educativamente dalla casta, poiché la maggioranza dei loro elementi non giungono all’Università, cioè non conosceranno l’educazione moderna nella sua fase superiore critico-storica ma solo conosceranno l’educazione dogmatica. L’Università è la scuola della classe (e del personale) dirigente in proprio, è il meccanismo attraverso il quale avviene la selezione degli individui delle altre classi da incorporare nel personale governativo, amministrativo, dirigente. Ma con l’esistenza, a parità di condizioni, di università cattoliche, anche la formazione di questo personale non sarà più unitaria e omogenea. Non solo: ma la casta, nelle università proprie, realizzerà una concentrazione di cultura laico-religiosa, quale da molti decenni non si vedeva più e si troverà di fatto in condizioni molto migliori della concentrazione laico-statale. Non è infatti neanche lontanamente paragonabile l’efficienza della Chiesa, che sta tutta come un blocco a sostegno della propria università, con l’efficienza organizzativa della cultura laica. Se lo Stato (anche nel senso più vasto di società civile) non si esprime in una organizzazione culturale secondo un piano centralizzato e non può neanche farlo, perché la sua legislazione in materia religiosa è quella che è, e la sua equivocità non può non essere favorevole alla Chiesa, data la massiccia struttura di questa e il peso relativo e assoluto che da tale struttura omogenea si esprime, e se i titoli dei due tipi di università sono equiparati, è evidente che si formerà la tendenza a che le università cattoliche siano esse il meccanismo selettivo degli elementi più intelligenti e capaci delle classi inferiori da immettere nel personale dirigente. [...].

[...]. Nella lotta tra le forme di vita, la Chiesa stava per perire automaticamente, per esaurimento proprio. Lo Stato salvò la Chiesa. [...].

Ma la carriera ecclesiastica, se è il fondamento più solido della potenza vaticana, non esaurisce le sue possibilità. La nuova struttura scolastica permette l’immissione nel personale dirigente laico di cellule cattoliche che andranno sempre più rafforzandosi, di elementi che dovranno la loro posizione solamente alla Chiesa. È da pensare che l’infiltrazione clericale nella compagine dello Stato sia per aumentare progressivamente, poiché nell’arte di selezionare gli individui e di tenerli permanentemente a sé legati, la Chiesa è quasi imbattibile. Controllando i licei e le altre scuole medie, attraverso i suoi fiduciari, essa seguirà, con la tenacia che le è caratteristica, i giovani più valenti delle classi povere e li aiuterà a proseguire gli studi nelle Università cattoliche. Borse di studio, sussidiate da convitti, organizzati con la massima economia, accanto alle Università, permetteranno questa azione. La Chiesa, nella sua fase odierna, [...], non può accontentarsi solo di creare preti; essa vuole permeare lo Stato (ricordare la teoria del governo indiretto elaborata dal Bellarmino7) e per ciò sono necessari i laici, è necessaria una concentrazione di cultura cattolica rappresentata da laici. Molte personalità possono diventare ausiliari della Chiesa più preziosi come professori d’Università, come alti funzionari dell’amministrazione, ecc., che come cardinali o vescovi.

[...] Occorre tener conto che una delle forze dei cattolici consiste in ciò che essi si infischiano delle “confutazioni perentorie” dei loro avversari non cattolici: la tesi confutata essi la riprendono imperturbati e come se nulla fosse. Il “disinteresse” intellettuale, la lealtà e onestà scientifica essi non le capiscono o le capiscono come debolezza e dabbenaggine degli altri. Essi contano sulla potenza della loro organizzazione mondiale che si impone come fosse una prova di verità, e sul fatto che la grande maggioranza della popolazione non è ancora “moderna”, è ancora tolemaica come concezione del mondo e della scienza.

Se lo stato rinunzia a essere centro attivo e permanentemente attivo di una cultura propria, autonoma, la Chiesa non può che trionfare sostanzialmente. Ma lo Stato non solo non interviene come centro autonomo, ma distrugge ogni oppositore della Chiesa che abbia la capacità di limitarne il dominio spirituale sulle moltitudini.

Si può prevedere che le conseguenze di una tale situazione di fatto, restando immutato il quadro generale delle circostanze, possono essere della massima importanza. La Chiesa è uno Shylok anche più implacabile dello Shylok shakespeariano: essa vorrà la sua libbra di carne anche a costo di dissanguare la sua vittima e con tenacia, mutando continuamente i suoi metodi, tenderà a raggiungere il suo programma massimo. [...]. La Chiesa non può essere ridotta alla sua forza “normale” con la confutazione in sede filosofica dei suoi postulati teorici e con le affermazioni platoniche di una autonomia statale (che non sia militante): ma solo con l’azione pratica quotidiana, con l’esaltazione delle forze umane creatrici in tutta l’area sociale.

 

Quaderno 17 (IV) – 1933 - 1935: <Miscellanea> - § <18>. Introduzione allo studio della filosofia.

Senso comune. (da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

[...]. (Ricordare che nella Sacra Famiglia [opera di Karl Marx, n.d.r.] appunto l’espressione ‘umanismo’ è impiegata nello stesso senso del Gioberti ― non trascendenza ― e che ‘neo-umanismo’ voleva chiamare l’autore la sua filosofia).

 

Quaderno 17 (IV) – 1933 - 1935: <Miscellanea> - § <26>. L’Azione cattolica.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

Nell’autunno del 1892 fu tenuto a Genova un Congresso cattolico italiano degli studiosi di scienze sociali; vi fu osservato che “il bisogno del momento presente, non certo unico bisogno, ma urgente quanto ogni altro, è la rivendicazione scientifica dell’idea cristiana. La scienza non può dare la fede, ma può imporre agli avversari il rispetto, e può condurre le intelligenze a riconoscere della fede la necessità sociale e l’individuale dovere (!)”.

 

Quaderno 20 (XXV) – 1934 - 1935: Azione cattolica – cattolici integrali – gesuiti – modernisti

§ <3>. Sulla povertà, il cattolicismo e la gerarchia ecclesiastica.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

In un libretto su Ouvriers et Patrons (memoria premiata nel 1906 dall’Accademia di Scienze morali e politiche di Parigi) è riferita la risposta data da un operaio cattolico francese all’autore dell’obbiezione mossagli che, secondo le parole di Gesù riportate da un Evangelo, ci devono essere sempre ricchi e poveri: “ebbene, lasceremo almeno due poveri perché Gesù non abbia ad aver torto”. La risposta è epigrammatica, ma degna dell’obbiezione. Da quando la quistione ha assunto un’importanza storica per la Chiesa, cioè da quando la Chiesa ha dovuto porsi il problema di arginare la così detta “apostasia” delle masse, creando un sindacalismo cattolico (operaio, perché agli imprenditori non è stato mai imposto di dare un carattere confessionale alle loro organizzazioni sindacali), le opinioni più diffuse sulla quistione della “povertà” che risultano dalle encicliche e da altri documenti autorizzati, possono riassumersi in questi punti: 1) La proprietà privata, specialmente quella fondiaria, è un “diritto naturale” che non si può violare neanche con forti imposte (da questo principio sono derivati i programmi politici delle tendenze democratico-cristiane per la distribuzione delle terre con indennità, ai contadini poveri, e le loro dottrine finanziarie); 2) I poveri devono contentarsi della loro sorte, poiché le distinzioni di classe e la distribuzione della ricchezza sono disposizioni di dio e sarebbe empio cercare di eliminarle; 3) L’elemosina è un dovere cristiano e implica l’esistenza della povertà; 4) La quistione sociale è anzitutto morale e religiosa, non economica e dev’essere risolta con la carità cristiana e con i dettami della moralità e il giudizio della religione.

 

Quaderno 21 (XVII) – 1934 - 1935: Problemi della cultura nazionale italiana. 1° Letteratura popolare

§ <5>. Concetto di “nazionale-popolare”.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

[...]. I laici hanno fallito al loro compito storico di educatori ed elaboratori della intellettualità e della coscienza morale del popolo-nazione, non hanno saputo dare una soddisfazione alle esigenze intellettuali del popolo: proprio per non aver rappresentato una cultura laica, per non aver saputo elaborare un moderno “umanesimo” capace di diffondersi fino agli strati più rozzi e incolti, come era necessario dal punto di vista nazionale, per essersi tenuti legati a un mondo antiquato, meschino, astratto, troppo individualistico o di casta. [...]. Ma se i laici hanno fallito, i cattolici non hanno avuto miglior successo. Non bisogna lasciarsi illudere dalla discreta diffusione che hanno certi libri cattolici: essa è dovuta alla vasta e potente organizzazione della chiesa, non ad una intima forza di espansività: i libri vengono regalati nelle cerimonie numerosissime e vengono letti per castigo, per imposizione o per disperazione. [...]. Questa letteratura cattolica trasuda di apologetica gesuitica come il becco di muschio e stucca per la sua meschinità gretta. L’insufficienza degli intellettuali cattolici e la poca fortuna della loro letteratura sono uno degli indizi più espressivi della intima rottura che esiste tra la religione e il popolo: questo si trova in uno stato miserrimo di indifferentismo e di assenza di una vivace vita spirituale: la religione è rimasta allo stato di superstizione, ma non è stata sostituita da una nuova moralità laica e umanistica per l’impotenza degli intellettuali laici.

 

Quaderno 23 (VI) – 1934: Critica letteraria - § <9>. I nipotini di padre Bresciani.

(da Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit.)

 

[...]. Tra la letteratura di sagrestia e il brescianesimo laico sta una corrente letteraria che negli ultimi anni si è molto sviluppata (gruppo cattolico fiorentino guidato da Giovanni Papini, ecc.): un esempio tipico di essa sono i romanzi di Giuseppe Molteni. Uno di questi, L’Ateo, riflette il mostruoso scandalo don Riva – suor Fumagalli in un modo ancor più mostruosamente aberrante: il Molteni giunge ad affermare che appunto per la sua qualità di prete obbligato al celibato e alla castità bisogna compatire don Riva (che violentò e contagiò una trentina di fanciullette di pochi anni, offertegli dalla Fumagalli per tenerselo “fedele”) e crede che a tale massacro possa essere contrapposto, come moralmente equivalente, l’adulterio di un avvocato ateo. [...].

Il brescianesimo assume una certa importanza nel “laicato” letterario del dopoguerra e va sempre più diventando la “scuola” narrativa preminente e ufficiosa8.

*

Una boccata d’aria stantìa

 

Togliatti, Longo e Berlinguer sulla religione e sulla Chiesa

 

 

Veniamo da lontano e andiamo... in sacrestia?

di Luigi Scialanca

 

Gli estratti che seguono, da articoli e discorsi di Togliatti, di Luigi Longo e di Enrico Berlinguer che vanno dal 1920 al 1971, sono più che sufficienti, esaurienti anzi, a rendersi conto di quanto fosse davvero (ma beffardamente) profetico il motto che si leggeva un tempo sulle pareti di tutte le sezioni del Partito comunista italiano: Veniamo da lontano - andiamo lontano... Proprio così: venivano dalla togliattiana esaltazione della Chiesa cattolica, societas perfecta, e passando per l’altrettanto togliattiano inserimento del Concordato nella Costituzione e il berlingueriano Compromesso storico, andavano verso... le “napolitane” larghe intese catto-liberiste benedette dalla tirannia finanziario-religiosa vaticana!

Con fior di motivazioni strategiche pensose della pace religiosa e civile italiana e (perfino) mondiale? Certo che sì. Ma del tutto astratte. Ma sempre fallimentari, rispetto agli esiti che si prefiggevano. Sempre autodistruttive, suicide. Poiché del tutto incomprensive dell’impossibilità scientifica, prim’ancora che politica, di fondere, o anche solo di conciliare, la fede in Dio (che è annullamento dell’umano) e la scienza dell’umano che radicalmente le si oppone perché è libertà degli affetti, dell’immaginazione e del pensiero da qualsiasi annullamento.

Leggere Togliatti dopo aver letto Gramsci, confrontarne le parole, i toni, permettersi (da uomini e donne liberi!) di sentire irrazionalmente, “dentro” le parole e i toni, l’immensa superiorità umana, culturale, scientifica e politica di Antonio Gramsci su Palmiro Togliatti, è un’esperienza che mette i brividi.

Neanche Gramsci, forse, seppe spiegarsi perché la religione e il socialismo siano opposti e inconciliabili, e perché nessuna Chiesa potrà mai far altro che ostacolare, combattere e (se la si lascia fare) annichilire ogni ricerca e perfino la speranza di realizzazione umana. Ma Gramsci lo sentiva. E non esitava, umanamente prim’ancora che da marxista, a fondare su questo suo sentire tutto il suo pensare, studiare, ricercare: tutto il suo sapere. Tanto che il lettore dei Quaderni e delle Lettere, a sua volta, sente il sentire di Gramsci in ogni riga (ed è da questo che scaturisce il piacere che la lettura di Gramsci continua a suscitare in tutto il mondo dopo tre quarti di secolo). Come sente, lo stesso lettore, leggendo poi Togliatti e Longo e Berlinguer, che in loro, riguardo alla religione e alla Chiesa, il sentire... be’, semplicemente non c’era. C’era un ripetere formule, un ragionare su di esse, un convincersi, un credere, ma nessun sentire. Nessun affetto. O quanto meno nessuna possibilità, per gli affetti, di interferire e di “nuocere” alla ragione astratta. E nessuna possibilità, dunque, di percepire la più o meno densa e venefica atmosfera di fallimento umano, culturale e politico che emana da tutto ciò che è religioso.

Vengono i brividi, dicevo. Vengono i brividi, a immaginare quale sarebbe stata la storia della Sinistra italiana, del Paese e di tutti noi, se alla guida del Partito comunista, invece di Togliatti, Longo e Berlinguer (i successori non valgono nemmeno i bite che occorrono a nominarli) ci fosse stato Antonio Gramsci e, dopo di lui, una classe politica formatasi sotto la sua guida.

 

No alla propaganda anticlericale!

(da Palmiro Togliatti, Russia dei soviet e Vaticano, L’Ordine nuovo, 15 maggio 1922.

Cit. da Comunisti e cattolici. Stato e Chiesa. 1920-1971, a cura di Alberto Scandone.

Roma, 1972, Sezione centrale scuole di partito del PCI, pp 11-14)

 

[...] Noi non siamo dei “podrecchisti”12, cioè non diamo valore alla propaganda contro il prete quale veniva fatta dagli anticlericali e dai socialisti massoni d’Italia e di Francia, propaganda che non sostituiva nulla a ciò che voleva togliere, cioè non creava le condizioni di una nuova cultura e di una nuova libertà delle masse lavoratrici, ma ciò non vuol dire che noi crediamo che questa cultura e questa libertà non debbano essere create. Anche per noi il pregiudizio religioso deve essere superato e negli scritti dei compagni russi la critica di esso è fatta in modo acuto e senza riserve. Ma la propaganda anticlericale scompare per noi di fronte all’azione politica che deve mettere i lavoratori in grado di iniziare la lotta contro l’oppressione intellettuale insieme a quella contro l’oppressione economica, o deve metterli in grado di continuarla, se essi l’hanno iniziata, come in Russia con la conquista del potere.

[...] Un solo problema ormai esiste e subordina a sé tutti gli altri: conquistare il potere e, dove lo si è conquistato, mantenerlo solidamente.

[...] Se per ottenere questo scopo è necessario venire a trattative e porre e ricevere condizioni anche dal Vaticano, non vi è nulla di male13.

 

Noi e i cattolici: la mano tesa nel 1938

(da Palmiro Togliatti, Noi e i cattolici, su Stato Operaio, dicembre 1938.

Citato da Comunisti e cattolici, cit., p. 25)

 

[...] I cattolici sono perseguitati dal fascismo perché il fascismo non può tollerare nessuna dottrina di pace e di difesa dell’individualità umana; ma i cattolici possono salvare la libertà religiosa se lottano per gli ideali degli oppressi, per gli ideali dei popoli, in difesa delle forze che si muovono nel mondo per elevare le condizioni di vita dell’umanità, in difesa delle forze di vita contro le forze di distruzione e di morte.

I milioni di cattolici che costituiscono una parte tanto importante del nostro popolo sentono profondamente questi ideali. Perciò noi comunisti diamo la mano ai lavoratori cattolici, e chi ha riso del nostro gesto, nel campo antifascista, non ne ha compreso il grande significato nazionale, e non ha reso un servizio alla causa dell’unione del popolo italiano.

Delle colpe sono state commesse nel passato, nel movimento operaio italiano, verso i lavoratori cattolici. Noi comunisti non abbiamo queste colpe. Il gesto della “mano tesa” ai fratelli lavoratori cattolici non lo abbiamo imitato né preso a prestito. Fin dal 1924, ’25, ’26, abbiamo detto agli operai, ai lavoratori cattolici: “Uniamoci per conquistarci migliori condizioni di vita, per conquistarci la libertà e la pace”.

 

La lotta contro la religione non è ammessa nel Partito. Il PCI non è un partito ateo

(da Palmiro Togliatti, rapporto al primo congresso del partito dopo la Liberazione, dicembre 1945.

Citato da Comunisti e cattolici, cit., pp 27 – 29)

 

[...] Quale posizione prendiamo noi, nei confronti della Chiesa cattolica e del problema religioso?

Noi rivendichiamo e vogliamo che nella Costituzione italiana vengano sancite e difese dalla legislazione italiana la libertà di coscienza, di fede, di culto, di propaganda religiosa e di organizzazione religiosa. Consideriamo queste libertà come libertà democratiche fondamentali che devono essere restaurate in pieno e difese contro qualunque attentato da qualunque parte si voglia fare ad esse.

Sappiamo però che al di fuori di questa questione ne esistono altre che interessano la Chiesa cattolica. La prima è stata quella che è stata regolata col Patto Lateranense. Noi consideriamo la soluzione data alla questione romana come qualche cosa di definitivo che ha chiuso e liquidato per sempre un problema.

Noi sappiamo che il Concordato è uno strumento di carattere internazionale, oltre che nazionale, e comprendiamo benissimo che questo strumento non potrebbe essere riveduto che per intesa bilaterale, salvo violazioni che portino una parte o l’altra a denunciarlo. Crediamo che questa sia una posizione chiara e netta la quale toglie in questo campo ogni equivoco che possa avvelenare o intorbidare i rapporti fra il nostro Partito e la Chiesa cattolica in Italia.

Noi critichiamo e denunciamo ogni intervento di autorità ecclesiastiche le quali tentano di esasperare ed avvelenare i termini della lotta politica in Italia, come una propaganda tipo “diavolo rosso” e cose di questo genere. Noi non siamo mai stati anticlericali, non lo siamo e credo che non lo saremo, ma noi critichiamo, denunciamo il fatto che la Chiesa possa diventare una agenzia elettorale per una lotta politica che interessa il popolo italiano. Questo vuol dire che noi non vogliamo, nel nostro Partito, una lotta di religione.14

[...] In quasi tutti i paesi cattolici [...] la vita politica si orienta verso la collaborazione e il blocco dei tre grandi partiti di massa: comunista, socialista e democristiano, in opposizione ai residui partiti e movimenti di destra, ridotti, alle volte, addirittura ai minimi termini o praticamente scomparsi dalla scena politica.

[...] È vero che noi qui non poniamo solamente un problema di collaborazione governativa o di blocco parlamentare. Noi poniamo il problema più profondo, dell’unificazione politica e organizzata politicamente di tutte le forze democratiche15.

Non ignoriamo le difficoltà e le ostilità che dobbiamo superare, soprattutto tra i democristiani, per riuscire a congiungere, a tutte le forze democratiche italiane, anche quelle popolari da esse controllate. Ma noi pensiamo che, anche in Italia, si possono e si devono ottenere dei risultati in questa direzione: primo, perché, anche in Italia, le masse cattoliche si muovono nel senso della unità popolare da noi indicata; secondo, perché, proprio in Italia, in questa direzione, si sono già fatti dei passi notevoli durante la guerra di liberazione nazionale e in questi primi mesi di ricostruzione; terzo, perché in Italia, la lotta per la creazione della democrazia è tutt’altro che terminata e sulle differenziazioni particolari deve prevalere ancora quello che ci è comune: l’aspirazione alla libertà e alla democrazia.

Questa lotta per il rinnovamento dell’Italia, continuando in forme sempre più dure e difficili, obbliga le forze democratiche, sincere e oneste, a mantenersi unite e a stringersi sempre più saldamente tra loro.

La fede e la disciplina religiosa delle masse democristiane potranno, ciò nonostante, costituire degli ostacoli insormontabili alla più stretta collaborazione tra comunisti, socialisti, democristiani e cattolici in generale?

Noi non lo crediamo. L’esperienza del passato e quella recente ci confermano nel nostro avviso.

Recenti chiarificazioni e dichiarazioni nostre, recenti precisazioni e spiegazioni di alti prelati sul comunismo e la religione, sul materialismo dialettico, ecc., dovrebbero servire a far vincere ogni scrupolo che ancora sussiste contro la realizzazione di una feconda collaborazione tra comunisti, democristiani e cattolici in generale.

Già delle nostre organizzazioni di partito hanno dichiarato, ed io proopongo che il Congresso prenda a suo conto queste dichiarazioni e le faccia proprie: primo, che il Partito Comunista non è un partito ateo, perché esso accetta nelle sue fila fedeli di qualunque religione; secondo che l’adesione al partito comunista non implica l’accettazione delle dottrine filosofiche del materialismo; terzo, che l’anti-clericalismo è sempre stato condannato ed è condannato tutt’ora dal Partito comunista.

Queste dichiarazioni hanno dato luogo ad alcune precisazioni da parte di un dotto ecclesiastico di Torino, professore e pubblicista, il quale non ha parlato solo a nome proprio, avendo sentito prima le sue superiori gerarchie ecclesiastiche.

Questo prelato ha dichiarato tra l’altro: “Un comunismo che non implichi l’accettazione di premesse ateistiche o anti-cristiane per sé non cade sotto la condanna della Chiesa. L’appartenenza ad un partito politico che non imponga pregiudiziali irreligiose ai suoi iscritti, non può dar luogo a legittime esclusioni dai sacramenti e benefici della Chiesa. Indubbiamente il comunismo e il socialismo ― è sempre il prelato che parla ― contengono nei loro programmi economici e sociali princìpi di giustizia, di eguaglianza, di solidarietà umana riconosciuti da tutti e condivisi dal cristianesimo, che anzi si possono ritenere come fermenti cristiani”.

E ancora:

“Tanto il cristianesimo quanto il comunismo hanno un contenuto universalistico, esercitano una profonda influenza e appariscono ai più acuti conoscitori dei fenomeni sociali come le forze uniche capaci di rigenerare socialmente il mondo. Ciò posto, ― conclude il prelato ― è facile rilevare che un conflitto irriducibile fra cristianesimo e comunismo sarebbe terribile, sanguinosissimo, micidiale alla stessa civiltà16. Mentre invece una reciproca tolleranza e intesa (incominciata nella ricerca di ciò che ci unisce invece che di ciò che ci divide) potrebbe dar principio ad una vigorosa rieducazione dei popoli e alla possibilità di resuscitare, almeno per un millennio, una nuova forma di vita e di civiltà, quale non fu mai forse raggiunta nel passato”17.

Come si vede la possibilità di una stretta collaborazione tra tutte le forze democratiche, non escluse quelle cattoliche, non è fuori della realtà del momento. Si tratta di volere questa collaborazione e di lavorarvi. La devono volere e vi devono lavorare soprattutto la classe operaia ed i due partiti che si richiamano ad essa: il socialista e il comunista. [...]

 

Dal discorso di Palmiro Togliatti alla Costituente sull’articolo 7. 25 marzo 1947

(da Comunisti e cattolici, cit., pp 30 – 41)

 

[...] Non abbiamo avuto alcuna difficoltà, sin dall’inizio, ad approvare la prima parte dell’articolo, quella nella quale si dice che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

Non solo non abbiamo avuto difficoltà, ma i colleghi della prima Sottocommissione ricordano senza dubbio che questa formulazione è stata data da me stesso18.

E qui permettetemi un ricordo.

L’onorevole Dossetti, riferendosi a questa prima parte dell’articolo che stiamo discutendo, cercando di darne una giustificazione dottrinaria, diceva che questa si può trovare in un corso di diritto ecclesiastico, tenuto precisamente nel 1912, all’Università di Torino, dal senatore Francesco Ruffini.

Voi mi consentirete di ricordare all’onorevole Dossetti che sono stato allievo di quel corso, che l’ho frequentato quel corso, che ho dato l’esame di diritto ecclesiastico su quelle dispense che egli ha citato e lodato. È, forse, per questo che non ho trovato difficoltà a dare quella formulazione. Ricordo però anche che quelle lezioni non erano frequentate soltanto da me. Veniva alle volte e si sedeva in quell’aula, un uomo, un grande scomparso, amico e maestro mio, Antonio Gramsci, e uscendo dalle lezioni e passeggiando in quel cortile dell’Università di Torino, oggi semidistrutto dalla guerra, egli parlava con me anche del problema che ci occupa in questo momento, dei problemi dei rapporti fra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano. Eravamo allora entrambi giovanissimi, entrambi all’inizio della nostra vita politica, e ci sforzavamo di individuare quali erano le origini e quali avrebbero potuto essere le sorti future di quel contrasto tra lo Stato e la Chiesa che allora era ancora per gran parte in atto in Italia, ma che in parte era superato o si stava superando, e ricordo che Gramsci mi diceva che il giorno in cui si fosse formato in Italia un governo socialista, in cui fosse sorto un regime socialista, uno dei principali compiti di questo governo, di questo regime, sarebbe stato di liquidare completamente la questione romana garantendo piena libertà alla Chiesa cattolica19.

[...] Prima affermazione fondamentale: la rivendicazione della libertà di coscienza, di fede, di culto, di propaganda religiosa e di organizzazione religiosa. Il progetto di Costituzione, per questa parte, ci soddisfa. Noi appoggeremo tutte quelle proposte le quali tenderanno a rendere sempre più tranquille le coscienze di tutti i credenti di tutte le fedi, garantendo loro tutte le libertà di cui hanno bisogno per esplicare il loro culto e svolgere la loro propaganda.

Seconda affermazione: consideriamo definitiva la soluzione della questione romana, e non vogliamo in nessun modo riaprirla.

Terza affermazione: riteniamo che il Concordato sia uno strumento bilaterale e che solo bilateralmente potrà essere riveduto.

[...] L’onorevole Nenni ha parlato dell’Osservatore Romano come d’un giornale tra gli altri. No, questo non è esatto e questo non basta. Permettetemi di parlare dell’Osservatore Romano come dell’esponente autorizzato dell’altra parte. Esso è l’unica voce, l’unico mezzo che abbiamo per conoscere che cosa pensa la Santa Sede, la quale è firmataria, insieme con i rappresentanti di allora dello Stato italiano, degli atti di cui stiamo discutendo.

Orbene, le affermazioni a questo proposito dell’organo ufficiale autorizzato della Santa Sede non sono equivoche. Prendo soltanto quattro degli articoli consacrati, in date diverse, alla trattazione di questo problema dall’Osservatore Romano e vi trovo le stesse affermazioni.

Il 13 di marzo: “Simile omissione (l’omissione del richiamo al Trattato e al Concordato nella Costituzione) significherebbe nella realtà... non un silenzio, non una lacuna, ma una minaccia, un pericolo. La minaccia alla pace religiosa, il pericolo di vederla turbata per la possibilità che lo sia”.

Il 19 dello stesso mese: “Questo eventuale diniego (si tratta sempre del diniego del richiamo esplicito ai Patti), il sostenerlo necessario, il presagirlo possibile, turba già la pace e l’unità spirituale del popolo, il quale può ben pensare fin d’ora che tale pace, tale unità è minacciata per l’avvenire, se al suo unico fondamento si vuol... togliere la sicurtà costituzionale”.

Il 20 e il 21 dello stesso mese: “Per quanto si protesti fin d’ora di non voler cadere nell’anticlericalismo di maniera, né in una lotta contro la religione, tuttavia (se si esclude dall’articolo 7 il richiamo costituzionale ai Patti lateranensi), pace religiosa... certissimamente non sarà, purtroppo”.

Il 22 marzo: “Se realmente si vuole che nessuna lotta a carattere religioso turbi il faticoso rinnovamento della Patria, perché mai così manifesto timore di riaffermare, in un momento e in un doumento solenne, l’efficacia di Patti sottoscritti non soltanto tra un governo ed altro governo, tra uno Stato e altro Stato, bensì tra il popolo italiano e la sua fede e la sua Chiesa?”

Non vi è dubbio che ci troviamo di fronte a un’esplicita manifestazione di volontà dell’altra parte, della Chiesa cattolica, della Santa Sede. Ed è questo il punto da cui dobbiamo partire, onorevoli colleghi, nel determinare la nostra posizione. Questo è il punto da cui dobbiamo partire, dal momento che tutte le questioni da noi precedentemente sollevate sono state sempre subordinate a una esigenza fondamentale, quella di non turbare la pace religiosa del nostro Paese.

[...] Abbiamo bisogno della pace religiosa, né possiamo in nessun modo consentire a che essa venga turbata.

Ora, il contrario del termine “pace” è “guerra”. È vero che per fare la guerra bisogna essere in due e che una delle parti può sempre dichiarare ― come fai tu, compagno Nenni ― “noi la guerra non la vogliamo”; ma per dichiararla, la guerra, basta uno solo. Di questo bisogna tener conto20.

Questa è la situazione reale, di fatto, che oggi esiste, e noi, Partito comunista, che dal momento in cui abbiamo incominciato ad agire legalmente nel Paese, sempre abbiamo avuto tra i nostri principali obiettivi quello di mantenere la pace religiosa, non possiamo trascurare quella situazione, anzi dobbiamo tenerne conto e adeguare ad essa la nostra posizione e, di conseguenza, il nostro voto.

[...] Non vi è contrasto fra un regime socialista e la coscienza religiosa di un popolo; [...] non vi è nemmeno contrasto fra un regime socialista e la libertà religiosa della Chiesa, e in particolare di quella cattolica.

[...] Siamo convinti, dando il nostro voto all’articolo che ci viene presentato, di compiere il nostro dovere verso la classe operaia e le classi lavoratrici, verso il popolo italiano, verso la democrazia e la Repubblica, verso la nostra Patria!

 

Un cattocomunismo fondato sulla paura21

(Dal discorso di Palmiro Togliatti al Comitato Centrale del Pci del 12 aprile 1954 Per un accordo tra comunisti e cattolici per salvare la civiltà umana. Da Comunisti e cattolici, cit., pp 30 – 41)

 

[...] Non c’è dubbio che i progressi degli uomini nel dominio dell’energia nucleare sono da salutare. Sono progressi che gli uomini fanno nella conoscenza delle forze della natura e nello sforzo che da millenni compiono per riuscire a dominare queste forze e porle al proprio servizio. Però, oggi, questi progressi, per quello che riguarda il gruppo dirigente della politica estera americana, vengono condotti e sfruttati in un modo tale che apre all’umanità prospettive di catastrofe, ma non di catastrofe come se n’è parlato sino ad ora, come se ne poteva parlare alla vigilia della prima guerra mondiale o della seconda, ma di catastrofe totale.

[...] La politica della minaccia e provocazione atomica e termonucleare ha in sé stessa un contenuto terribile, spaventoso, a cui nemmeno si può pensare con tranquillità. Essa infatti tende oggettivamente ad esasperare la situazione internazionale, ad aggravare continuamente la tensione dei rapporti tra i più grandi Stati del mondo in modo tale che, ad un certo momento, l’impiego di queste armi spaventose diverrà cosa inevitabile.

[...] Gli uomini sono dunque costretti a prevedere che, qualora si vada avanti per questa strada, qualora si giunga a un conflitto quale quello a cui guardano oggi apertamente, e dicono di guardare, i dirigenti della politica imperialistica americana, si ha davanti a sé la prospettiva di un globo terrestre nel quale si creerebbero zone sterminate dove qualsiasi manifestazione vitale sarebbe stata distrutta, e che sarebbero inabitabili per decenni e decenni. Le zone minacciate di questa fine, poi, sono effettivamente le zone più popolate del mondo, quelle dove la civiltà è andata più avanti, sono cioè le zone degli Stati Uniti d’America, delle isole inglesi, dell’Europa occidentale, le parti più popolose e progredite del continente asiatico, il bacino mediterraneo, e così via. Si tratta della sede, in una parola, della odierna civiltà.

La prospettiva che offrono al mondo coloro i quali propongono la politica americana di minaccia e rappresaglia atomica è dunque ― dobbiamo dirlo apertamente ― prospettiva della fine dell’attuale civiltà e dell’inizio di un nuovo periodo che non sapremmo nemmeno come si qualificherebbe e da qual punto potrebbe partire. Sarebbe la scomparsa totale o quasi totale dei risultati di un lavoro, di uno sviluppo materiale e di uno sviluppo spirituale che sono durati ormai decine di secoli, che hanno portato alla creazione, da parte degli uomini, di quel mondo nel quale noi tutti oggi viviamo.

[...] Il compito che sta oggi davanti a tutti coloro i quali nutrono sentimenti di umanità, apprezzano la vita umana e la civiltà che gli uomini hanno creato, a tutti coloro i quali sanno che questa è la sola cosa che deve ad ogni costo essere salvata, il compito è di riuscire a creare un larghissimo schieramento di uomini per la conservazione della nostra civiltà, a dargli un peso decisivo nella situazione di ogni paese e nella situazione internazionale, a farlo diventare una forza irresistibile.

[...] Esiste oggi un mondo comunista e socialista. Noi sappiamo che esso abbraccia centinaia di milioni di uomini, paesi interi che sono governati da comunisti, e da questi diretti sulla via del socialismo e della pace. Vi sono paesi come il nostro, come la Francia ed altri, dove il movimento comunista e socialista schiera nelle sue file la grande maggioranza della classe operaia e parti importanti delle masse lavoratrici, del ceto medio, dei contadini. Dall’altra parte, alle volte contrapposto, alle volte intrecciato in modo originale col mondo comunista, vi è il mondo delle masse cattoliche, e vi sono le organizzazioni di queste e le loro autorità. È possibile trovare la via non di un contatto occasionale per risolvere questioni politiche contingenti dell’una o dell’altra parte, ma di un incontro più profondo, da cui possa uscire un decisivo contributo alla creazione di questo ampio movimento per la salvezza della nostra civiltà, per impedire che il mondo civile, quale è oggi, venga spinto sulla strada americana della distruzione totale?

[...] Una parte molto grande delle masse cattoliche già sta con noi, ci segue, vota per noi. Ma anche in quella parte che non sta con noi e ci avversa ancora, voi sentite che è viva la stessa esigenza che è nelle masse che noi dirigiamo, e che noi assumiamo da quelli che sono i più profondi sussulti dell’animo degli uomini in questo momento di sviluppo della nostra civiltà. Voglio dire che tra le masse su cui si fonda il mondo cattolico organizzato e le masse comuniste e socialiste vi sono oggi molti più punti di contatto che non tra i quadri che le dirigono e soprattutto fra le sommità dei due mondi. Perciò vi è una estesa possibilità di comprensione, di avvicinamento, di accordo, e questa è la strada sulla quale noi dobbiamo muoverci, questa è particolarmente la strada sulla quale dobbiamo lavorare noi comunisti italiani, che ci troviamo al centro del mondo cattolico e a cui quindi la storia, le cose stesse, affidano un compito particolare.

Taccia colui che già si dispone a gridare che qui si tratta delle solite lusinghe. No, qui si tratta di salvare dalla distruzione l’umanità e la civiltà. Qui si tratta di adeguare l’azione delle due masse di cui ho parlato a questa necessità, cioè di fare assieme quello che per tale salvezza si deve fare.

 

Quella di abolire il Concordato è una proposta massimalista

(Da Rinascita del maggio 1957. Tratto da Comunisti e cattolici, cit., pp 30 – 41)

 

[...] Nel convegno indetto dai liberali e radicali del Mondo per studiare i rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Italia e da cui è uscita la proposta di abolizione del Concordato, si è avuta una manifestazione massimalistica [...].

La disperazione politica affiora assai chiaramente nella lettera inviata al convegno da Gaetano Salvemini22, dove alla denuncia del pericolo che il regime democratico si trasformi in regime totalitario clericale si accoppia uno strano richiamo alla guerra civile. La creazione di un permanente regime clericale equivarrebbe a una dichiarazione di guerra civile della democrazia cristiana “contro di noi”, e noi ci regoleremmo in conseguenza, tenendo presente che né Vaticano né democrazia cristiana sono attrezzati per la guerra civile (il che è del tutto illusorio!) e che la resistenza e la lotta armata non sono vecchie che di una decina di anni. Sono scritte sul serio queste parole? È difficile dirlo. Certo non sono da prendere sul serio, non soltanto perché non esistono in questo momento, in Italia, le condizioni di una guerra civile, ma perché lo stesso Salvemini si corregge, poco dopo, giustamente dicendo che la degenerazione del regime democratico in totalitarismo clericale non si compie con atti drammatici, atti a suscitare una improvvisa reazione violenta e armata, ma si attua in modo lento e graduale, per una accumulazione di illegalità, di soprusi e di sopraffazioni, che si manifestano come qualcosa di definitivo soltanto quando non sembra più possibile fare nulla per tornare indietro. Il richiamo alla guerra civile ha dunque soltanto quel valore di sintomo di una disperazione politica che noi gli abbiamo attribuito, quasi denuncia di una manifesta impotenza a muoversi sul terreno delle prospettive reali e del modo reale di modificarle. Ma lo stesso valore ha, sostanzialmente, la proposta di abolizione del Concordato tra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano, nella quale il convegno del Mondo ha riassunto il risultato dei suoi lavori.

[...] A noi basta soffermarci sui temi che più oggi sono attuali. Per comprenderli, il punto di partenza deve essere la posizione del tutto nuova che la Chiesa ha assunto nei suoi rapporti con la vita politica. [...]. Le gerarchie della Chiesa cattolica si propongono, secondo questi nuovi indirizzi, di attuare un sistematico dominio, da parte loro, della sfera politica, operando non dall’esterno, ma dall’interno di essa. Le relazioni formali e di natura giuridica con lo Stato diventano cosa secondaria. Il Concordato e il regime concordatario non sono più il centro di queste relazioni. Al centro si colloca il partito politico, e si colloca la dottrina di questo partito, della sua composizione e delle sue funzioni nei rapporti con i cattolici. Cardine di questa dottrina, come è stata elaborata in Italia negli ultimi dieci anni e come in Italia oggi viene propagata, è l’affermazione, da parte delle autorità ecclesiastiche, della necessaria e obbligatoria unità dei cattolici in un solo partito, e della necessaria e obbligatoria obbedienza dei cattolici, in tutti i campi e su tutte le questioni, ai deliberati e alle ingiunzioni della gerarchia della Chiesa. Giunti a questo punto, accettata, cioè, questa dottrina, in un Paese come il nostro, dove la maggioranza stragrande della popolazione è cattolica, e di questa stragrande maggioranza una parte assai grande è sempre disposta a seguire le ingiunzioni dei sacerdoti, il problema della posizione della Chiesa nei confronti con lo Stato è risolto. La Chiesa acquista automaticamente quella posizione preminente e determinante cui ha sempre preteso, e l’acquista senza nemmeno aver bisogno di troppo compromettersi sul terreno del diritto. Nel nuovo regime, di tipo teocratico, che in questo modo si viene a poco a poco edificando, la Chiesa potrebbe, in una ipotesi, persino fare a meno di un concordato, essendo ad essa sottomessi il governo e le autorità civili per via di un meccanismo che non è giuridico, ma è assai più efficace. E difatti in Italia, oggi, i privilegi che le autorità ecclesiastiche via via si sono conquistati e quindi la parte nuova che compete a queste autorità nei campi più diversi della vita civile (lavoro, istruzione, educazione, assistenza, ricreazione, ecc. ecc.) sono la conseguenza di atti compiuti non in esecuzione e applicazione del Concordato, ma in violazione di esso, trasgredendone tanto lo spirito quanto alcune norme precise23.

[...] La nostra tesi fondamentale, dunque, è che la clericalizzazione dello Stato, quale si è realizzata dal 1947-48 in poi, non può considerarsi conseguenza dell’approvazione del Concordato da parte della Assemblea Costituente, ma è da mettere in relazione con tutta la involuzione della democrazia italiana, quale in questo periodo si è attuata, sotto la direzione dei democristiani, ma con la collaborazione attiva dei partiti cosiddetti laici e spesso di quegli stessi uomini che oggi levano così fiere ma disperate proteste.

[...] La richiesta di abolizione del Concordato fatta dai partecipanti al convegno del Mondo non può quindi essere considerata una cosa seria. Né i comunisti né i socialisti, le cui masse vivono a stretto contatto e collaborano, anche, con le masse cattoliche, possono prenderla in considerazione. Gli altri contano assai poco e si può sempre replicar loro che, nella misura di quello che contano, cerchino di farlo rispettare, il Concordato, anziché parlare di abrogarlo. La richiesta contiene anzi, aggiungiamo, qualche elemento di provocazione. Essa non può portare, infatti, che a una esasperazione dell’intervento aggressivo della Chiesa nelle lotte politiche italiane24.

[...] Tutto sta, oggi, nel superare anche questo limite e quindi creare una situazione qualitativamente nuova. L’intesa e la collaborazione tra le masse lavoratrici cattoliche e le masse comuniste e socialiste consente questa avanzata. Nella misura in cui, realizzandosi, costringe ad attuare le riforme democratiche, economiche, sociali che la Costituzione prevede, essa dà allo Stato e ai suoi rapporti con i cittadini un contenuto nuovo, che è ciò che oggi importa di realizzare. Uno Stato che abbia assunto questo carattere nuovo, non ha niente da temere da un concordato, né da quella libertà che il Concordato italiano garantisce alla Chiesa cattolica. Esso trova le più sicure garanzie di tutte le libertà in una struttura economica nuova e nella unità delle masse lavoratrici, assunte alla direzione effettiva di tutta la società sulla base di questa nuova struttura.

 

Chi è religioso può essere più socialista di chi non lo è

(Dalle Tesi approvate dal X Congresso del Pci, dicembre 1962. Da Comunisti e cattolici, cit., pp 30 – 41)

 

[...] I nuovi orientamenti sociali di una parte del movimento cattolico, malgrado che una parte importante di esso rimanga ancorata a posizioni conservatrici e reazionarie, mostrano che anche in questa direzione sono possibili seri passi in avanti. Oggi non si tratta soltanto più di superare le preclusioni e i settarismi che fanno ostacolo alla collaborazione di forze socialiste e di forze cattoliche, per ottenere risultati economici e politici immediati. Si tratta di comprendere come l’aspirazione a una società socialista non solo possa farsi strada in uomini che hanno una fede religiosa, ma che tale aspirazione può trovare uno stimolo in una sofferta coscienza religiosa posta di fronte ai drammatici problemi del mondo contemporaneo. Oltre alla conferma del rispetto dei diritti religiosi, che ha un valore di principio in una società socialista, si pone quindi in modo nuovo per il movimento operaio il problema del rapporto con le masse cattoliche e le loro organizzazioni.

 

Solo una dittatura comunista-cattolica può salvare il mondo

(Da Il destino dell’uomo, conferenza tenuta a Bergamo il 20 marzo 1963.

Tratto da Comunisti e cattolici, cit., pp 30 – 41)

 

[...] Alle volte, però, ci sentiamo dire, in tono di accusa, che siamo anche noi una religione, anzi, persino una chiesa. Ciò è vero nel senso che abbiamo una fede, cioè la certezza che la trasformazione socialista della società, per cui combattiamo, non è soltanto una necessità, ma è un compito che impegna, con la certezza del successo, la parte migliore dell’umanità. Noi crediamo che l’uomo deve diventare padrone della natura, il che è compito biblico, indicato all’uomo da Dio stesso, nella Genesi. Lo stesso Giovanni XXIII, nelle parole da lui dedicate ai cosmonauti sovietici, dopo la meravigliosa navigazione spaziale dell’estate scorsa, esaltava questo compito e la sua era quasi una preghiera per il progresso nella conoscenza e nel dominio della natura. Noi affermiamo però che l’uomo deve diventare padrone della società e del suo sviluppo, sottraendoli al dominio degli egoismi, degli arbitri, delle violenze, dello sfruttamento; deve creare una società alla dimensione della propria libertà. In questo modo soltanto si può giungere, crediamo, a quel pieno sviluppo della persona umana che è la meta di tutta la storia degli uomini. Si può quindi dire che la nostra è, se si vuole, una completa religione dell’uomo25. Per il credente deve intervenire, oltre la natura e l’uomo, il soprannaturale, senza il quale ogni costruzione umana è fondata sulla sabbia... nisi Dominus aedificaverit..., come dice il Salmo. Ma qui si apre il dibattito filosofico, nel quale non vogliamo entrare.

Una sola osservazione intendo aggiungere ed è che, per quanto riguarda gli sviluppi della coscienza religiosa, noi non accettiamo più la concezione, ingenua ed errata, che basterebbero l’estensione delle conoscenze e il mutamento delle strutture sociali a determinare modificazioni radicali26. Questa concezione, derivante dall’illuminismo settecentesco e dal materialismo dell’ottocento, non ha retto alla prova della storia. Le radici sono più profonde, le trasformazioni si compiono in modo diverso, la realtà è più complessa. Anche da queste costatazioni noi ricaviamo la necessità della reciproca, profonda comprensione e quindi della collaborazione, soprattutto in un momento come l’attuale, in cui si sono compiute e si preparano quelle trasformazioni rivoluzionarie alla analisi delle quali dobbiamo senz’altro passare.

[...] Eccoci così di fronte alla terribile, spaventosa “novità”: l’uomo, oggi, non può più soltanto, come nel passato, uccidere, distruggere altri uomini. L’uomo può uccidere, può annientare l’umanità.

[...] Di qui la nostra posizione, l’appello che rivolgemmo al mondo cattolico nel 195427, quando già si disegnava questa situazione nuova e che tutti i successivi sviluppi hanno reso via via sempre più attuale.

[...] Gli attuali blocchi militari sono da considerare cosa contingente, sorta in determinate circostanze e condizioni e che può e deve essere modificata e tolta di mezzo, attraverso una azione ampia e convinta di uomini, di forze politiche e sociali, di popoli e anche di governi.

Quest’azione è, oggi, necessaria, indispensabile ed è il primo confronto e cimento, di valore decisivo, di fronte alla terribile prospettiva che incombe sull’umanità, al quale noi invitiamo le forze cattoliche. Di qui deve incominciare il dibattito, la ricerca, la comprensione. Qui prima che in qualsiasi altro campo si impone, per salvare la umanità attraverso la salvezza della pace, una intesa, una collaborazione tra uomini che siano consci del compito loro supremo e animati da buona volontà.

[...] Noi ci rivolgiamo [...] a tutte le forze cattoliche. Le invitiamo alla riflessione, al dialogo, al dibattito, alle possibili intese per fini che non possono non essere comuni a tutti gli uomini. Le chiamiamo a ricordarsi della comune nostra natura di uomini e di uomini civili, che hanno il dovere di unirsi e cooperare per salvare e la civiltà e la umanità stessa da terrificanti catastrofi.

[...] Ma come ponete, ci si dice, il problema della libertà, voi che volete una dittatura? Dittatura è, per noi, la formulazione scientifica del concetto che vi è sempre, in ogni società, un blocco di forze sociali dominanti28. Quello cui noi aspiriamo è un blocco di tutte le classi lavoratrici, del braccio e della mente29. Ad esse spetta dirigere tutta la vita sociale.

Ma il pensiero cattolico non respinge affatto il concetto della dittatura. Lo riconosceva il padre Lener, in uno scritto sulla Civiltà cattolica, dove diceva esattamente questo.

“La dittatura non è per sé stessa un male, e non lo è punto quando buona parte del popolo vi consenta, per l’impossibilità di provvedere altrimenti alle esigenze appunto vitali della conservazione dello Stato e della trasformazione non rivoluzionariamente violenta del superato suo regime politico”.

[...] La conclusione emerge chiara da tutto ciò che ho detto. Il mondo cattolico non può essere insensibile alle nuove dimensioni che sta prendendo il mondo per quanto riguarda i rapporti tra gli Stati, la direzione delle attività economiche, la affermazione e conquista di nuove forme di vita democratica, la prospettiva di avanzata verso una società e una umanità che abbiano raggiunto una unità nuova, fondata sulla fine di ogni sfruttamento, sul lavoro, sulla uguaglianza sociale, sul molteplice libero sviluppo della persona umana. Non è vero che una coscienza religiosa faccia ostacolo alla comprensione di questi compiti e di questa prospettiva e alla adesione ad essi. Al contrario. Abbiamo affermato e insistiamo nell’affermare che “l’aspirazione a una società socialista non solo può farsi strada in uomini che hanno una fede religiosa, ma che tale aspirazione può trovare uno stimolo nella coscienza religiosa stessa, posta di fronte ai drammatici problemi del mondo contemporaneo”. Di qui il nostro appello alla comprensione reciproca e all’intesa30.

 

Luigi Longo

Una profonda coscienza cristiana è una coscienza socialista

(Dal rapporto all’XI Congresso del Pci del gennaio 1966. Da Comunisti e cattolici, cit., pp 30 – 41)

 

[...] Siamo convinti che, in questa fase storica, una profonda coscienza cristiana è portata ad entrare in contraddizione e in conflitto con le condizioni di sfruttamento e di limitazione della libertà e della dignità della persona umana, proprie della società capitalistica, e ad aprirsi, perciò, alle idee socialiste.

Noi riaffermiamo che siamo per l’assoluto rispetto della libertà religiosa, della libertà di coscienza, per credenti e non credenti, cristiani e non cristiani. Consideriamo definitivamente acquisito per l’Italia il principio costituzionale ― redatto personalmente dal compagno Togliatti in collaborazione con l’onorevole Dossetti ― secondo cui Stato e Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

Noi riteniamo che la salvaguardia della pace religiosa possa essere, oltre tutto, un concreto aiuto allo sviluppo della società socialista, in quanto può favorire la leale e feconda partecipazione di tutti i credenti alla edificazione di una società liberata dallo sfruttamento. È evidente che noi siamo per uno Stato effettivamente e assolutamente laico. Come siamo contrari a che lo Stato attribuisca un qualsiasi privilegio ad una ideologia, o filosofia, o fede religiosa, o corrente culturale ed artistica ai danni di altre.

Noi pensiamo che, poiché lo Stato socialista è la espressione della classe operaia e delle classi lavoratrici in genere, e proprio perché sotto la direzione di queste classi avverranno le trasformazioni delle strutture economiche e sociali, degli ordinamenti politici e civili, in una democrazia socialista non potrà non crearsi un nuovo clima morale e culturale, destinato ad avere una influenza profonda sul costume, sugli orientamenti ideali e i sentimenti degli uomini. È a questo punto che noi poniamo ai cattolici la questione: non è possibile, non è necessario ricercare assieme i punti di incontro e di collaborazione che vi sono tra noi e voi, per arrivare a costruire assieme una nuova società, liberata dalla guerra, dallo sfruttamento e dall’indigenza?

Noi non ci limitiamo a proporre ai cattolici solo un accordo su un programma immediato. Noi proponiamo un discorso più ampio che abbracci anche la prospettiva socialista. Siamo pronti a discutere questa prospettiva, senza prevenzioni né dogmatismi: con sincera fiducia nel contributo che all’edificazione e alla strutturazione della nuova società può venire anche da altre forze ideali e, innanzitutto, da forze cattoliche.

 

Enrico Berlinguer

Per la difesa e lo sviluppo della famiglia

(Da un articolo su l’Unità “all’indomani della conclusione della difficile battaglia

per la riforma civile del divorzio”. Tratto da Comunisti e cattolici, cit., pp 30 – 41)

 

Noi comunisti ― che esprimiamo la concezione profondamente sana che hanno della famiglia quelle masse operaie, contadine e popolari che rappresentiamo ― vogliamo una famiglia vitale ed unita. La nostra approvazione della legge sul divorzio non contraddice questa nostra concezione. L’introduzione del divorzio, per noi, è certo una misura innovatrice ormai socialmente matura, ma diretta a un solo scopo: permettere di sanare e risolvere ― nella maniera che, nelle concrete condizioni politiche e parlamentari, è stata resa possibile ed è sembrata più saggia ― quelle situazioni nelle quali la famiglia, di fatto, non esista più e sia acquisita l’impossibilità di ricostruirla.

Già Lenin cinquant’anni fa scrisse (e si tratta del resto di un’ovvia affermazione) che sancire con legge dello Stato questo principio e questa facoltà non vuol dire affatto invitare tutti i coniugi a sciogliere il matrimonio. Noi siamo contro il dilagare del divorzio. Il divorzio non deve trasformarsi, da espressione del libero esercizio di un diritto da proteggere, in affermazione di individualismo anarchico, al cui centro non starebbe il problema della famiglia, ma l’egoismo dei singoli. Per noi comunisti la questione fondamentale resta invece proprio quella di salvaguardare ― in modo adeguato ai tempi ― la famiglia. In concreto, l’impegno ad attuare una politica di rinnovamento e di sviluppo della famiglia sul piano della legislazione e delle strutture sociali, che ne difenda e ne affermi l’unità e la vitalità, e risolvendone i problemi crei anche le condizioni per ridurre al minimo le sollecitazioni al divorzio e, quando questo venga pronunciato, ne limiti le conseguenze sociali e umane.

Per questo, nella nostra concezione, una politica nuova per la famiglia non è cosa diversa, nella sostanza, dalla lotta generale, che occorre combattere con sempre maggiore vigore ed impegno, contro le lacerazioni sociali e le distorsioni che della famiglia e dei suoi valori hanno prodotto e producono di continuo la società capitalistica e l’ideologia borghese; non è cosa diversa, anzi s’identifica largamente con la lotta e la prospettiva di una trasformazione radicale dell’attuale società, con una politica che affronti e risolva positivamente i problemi dell’emigrazione, del Mezzogiorno, dell’eliminazione di forme degradanti di miseria; si identifica con la soluzione dei problemi della abitazione e di un nuovo assetto della città, della scuola e dell’insegnamento, dell’occupazione femminile, della dotazione di attrezzature civili e dei servizi sociali, della protezione della gioventù e dell’infanzia (a cominciare dalla creazione di una vasta rete di asili nido). Solo attraverso tali trasformazioni potranno affermarsi la dignità, la libertà e la responsabilità di ogni umana persona, di tutti coloro che sono oggi oppressi e sfruttati e, innanzitutto, della donna.

Una politica che fondi la difesa e lo sviluppo della famiglia e della sua unità su profonde riforme sociali e su nuovi valori etici, che contrastino e superino i fattori di disgregazione materiale e spirituale prodotti incessantemente dall’attuale società, è quindi una politica che comporta la scelta di un superiore assetto sociale, che sollecita in direzione del socialismo.

Su questo terreno e sulla base di questa concezione, che è agli antipodi di quella delle forze del laicismo borghese, perché è una concezione proletaria, di classe e, al tempo stesso, di ampio respiro popolare, è possibile oggi promuovere l’incontro delle masse di orientamento comunista e socialista, se non con tutta la Dc, con una parte assai larga delle masse cattoliche, con le loro organizzazioni sociali avanzate e anche con le forze più lungimiranti e sensibili al nuovo dello stesso partito democristiano.

Noi affermiamo, in pari tempo, che una politica che voglia affrontare i problemi della famiglia ha anche contenuti specifici: di riforma legislativa, di rinnovamento dei codici, di trasformazione generale dell’attuale diritto familiare: ha anche, cioè, un aspetto sovrastrutturale31. E su questi aspetti e contenuti già ora riteniamo possibile realizzare positive convergenze con tutte le forze democratiche, anche se non sono di ispirazione socialista, e anche, ci sembra di poter dire, con una Democrazia cristiana che, con noi e con tutte queste forze, voglia l’eliminazione degli arcaismi e delle vergogne che ancora caratterizzano l’attuale ordinamento giuridico della famiglia: dal “delitto d’onore”, alla condizione servile della donna, alla discriminazione ai danni dei figli illegittimi.

[...] Per proseguire su questa via, col metodo del confronto aperto e costruttivo, comporta combattere e sconfiggere quanti, da un lato, meditano di indire una crociata antidivorzista e quanti, dall’altro lato, vorrebbero risolvere in termini di rottura unilaterale le complesse questioni del rinnovamento dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia.

[...] In ogni caso, niente potrà distogliere noi comunisti da quella linea, da quella strategia che ha il suo fondamento nella necessità di portare avanti, con la lotta, una politica di unità proletaria e democratica, popolare e nazionale; la politica, cioè, che storicamente ha promosso e sancito l’ingresso alla base del nostro organismo statale ― e che domani dovrà assicurare l’avvento al suo vertice ― sia delle forze decisive della tradizione laica risorgimentale, sia delle masse organizzate dal movimento socialista e comunista, sia delle masse organizzate nei movimenti politici e sociali dei cattolici italiani.

 

Enrico Berlinguer

Il cattolicesimo che scorre nelle vene del Paese

(Da un articolo su Rinascita del 29 maggio 1970. Tratto da Comunisti e cattolici, cit., pp 30 – 41)

 

[...] Noi comunisti abbiamo contribuito a far comprendere ai cattolici la necessità di non sentirsi più, di non agire più, come un corpo chiuso, una testuggine, una forza integralistica, ma come una grande corrente che scorre in tutte le vene del Paese e che può concorrere largamente, insostituibilmente, a rinvigorirlo, a farlo crescere, a rigenerarlo. E, operando appunto in tal modo, abbiamo potuto lavorare con successo per il superamento in noi stessi, nelle file proletarie, di residui di settarismo ideologico e di esclusivismo di partito. Senza questa nostra politica sarebbe forse comprensibile il fatto che noi comunisti abbiamo oltre un milione e mezzo di iscritti e che siamo arrivati, sempre crescendo, a otto milioni e mezzo di elettori? O si vuol sostenere che tra questi non c’è neppure un credente e che tutti gli iscritti e gli elettori comunisti sono anticattolici?

[...] Un simile fenomeno sta a provare, innanzitutto, la validità di quella nostra radicata convinzione, di quella posizione che affermammo, fin dal 1962, nelle tesi approvate dal nostro X Congresso, per la quale l’aspirazione a una società anticapitalistica non solo può farsi strada in uomini e in masse che hanno una fede religiosa, ma può trovare uno stimolo nella stessa coscienza religiosa, che è posta di fronte ai drammi, alle lacerazioni prodotti dall’imperialismo e dal capitalismo dei nostri tempi, e vuole reagirvi, superarli. Nella misura in cui tale coscienza religiosa impegna e conduce gli uomini e le masse che la vivono a lottare concretamente ― come oggi avviene ― contro le forze capitalistiche e imperialistiche, è chiaro che essa non può non incontrarsi con la coscienza comunista. Ecco dove risiedono la radice oggettiva e la necessità storica di tale incontro.

 

Enrico Berlinguer

Fra le posizioni di Gramsci e quelle di Togliatti non vi fu alcuna discontinuità

(Dalla Relazione al Comitato centrale del Pci, 30 luglio 1971. Da Comunisti e cattolici, cit., pp 30 – 41)

 

[...] Nel condurre la battaglia per il divorzio, che è una conquista civile e democratica di grande rilievo, ci siamo accuratamente guardati dal cadere in una posizione di esasperato laicismo, e di evitare qualsiasi contrapposizione di un fronte laico a un fronte cattolico, che sempre abbiamo considerato e consideriamo esiziale in Italia, per l’avvenire democratico del Paese, e per la causa stessa della rivoluzione socialista. In ciò, ci hanno sempre guidato e ci guidano i princìpi che abbiamo tratto dagli insegnamenti di Gramsci, dalla elaborazione e dalla linea politica sviluppata da Togliatti32, che la prospettiva della difesa e del progresso del regime democratico in Italia, e della trasformazione socialista, ha come suo fondamento l’unità della classe operaia con le masse contadine e le popolazioni meridionali e, quindi, l’unità con grandi masse di lavoratori cattolici33: e che questo necessariamente comporta, in Italia, la ricerca e l’instaurazione di determinati rapporti dello Stato democratico con la Chiesa.

 

Enrico Berlinguer

28 settembre, 5 ottobre e 12 ottobre 1973: La strategia del compromesso storico

nei tre articoli su Rinascita dopo il colpo di Stato in Cile

 

[...] È indispensabile assolvere anche al compito di una attenta riflessione per trarre dalla tragedia politica del Cile utili insegnamenti relativi a un più ampio e approfondito giudizio sia sul quadro internazionale, sia sulla strategia e tattica del movimento operaio e democratico in vari paesi, tra i quali il nostro.

[...] Il riconoscimento della tendenza di fondo che si va affermando nel processo storico mondiale ― e che dà luogo, in ultima analisi, a una progressiva riduzione dell’area del dominio delle forze imperialistiche ― non ci impedisce certo di constatare (e proprio dal Cile ci viene in questi giorni un nuovo severo monito) che l’imperialismo internazionale e le forze reazionarie in molti paesi sono in grado di contenere la lotta emancipatrice dei popoli e in certi casi di infliggere duri scacchi alle forze animatrici di tale lotta. Solo tenendo presente questo dato di fatto, e cogliendo in ogni regione del mondo, in ogni paese e in ogni momento le forme concrete in cui si esprime o si può prevedere che si esprima, è possibile evitare di essere colti di sorpresa, di cadere in errori e mettersi invece in grado di organizzare e condurre un’azione rivoluzionaria e democratica pronta e adeguata.

[...] Da tutto ciò si conferma la necessità di continuare a lottare tenacemente, sul piano internazionale, per far avanzare il processo della distensione e della coesistenza e per svilupparne tutte le potenzialità positive e, al tempo stesso, di proseguire in ogni paese le battaglie per l'indipendenza nazionale e per la trasformazione in senso democratico e socialista dell’assetto economico e sociale e degli ordinamenti politici e statali.

Il nostro partito ha sempre tenuto conto del rapporto imprescindibile tra questi due piani. Da una parte, come ci ha abituato a fare Togliatti, abbiamo cercato di valutare freddamente le condizioni complessive dei rapporti mondiali e il contesto internazionale in cui è collocata l’Italia. Dall’altra parte ci siamo sforzati di individuare esattamente lo stato dei rapporti di forza all’interno del nostro paese.

In particolare abbiamo sempre dato il dovuto peso in tutta la nostra condotta al dato fondamentale costituito dall’appartenenza dell’Italia al blocco politico-militare dominato dagli Usa e agli inevitabili condizionamenti che ne conseguono. Ma la consapevolezza di questo dato oggettivo non ci ha certo portato all’inerzia e alla paralisi. Abbiamo reagito e reagiamo con la nostra iniziativa e con la nostra lotta. Tutti i tentativi di schiacciarci o di isolarci li abbiamo respinti. La nostra forza e la nostra influenza fra le masse popolari e nella vita nazionale sono anzi cresciuti. Su questa strada si può e si deve andare avanti. Dunque, anzitutto, si tratta di modificare gli interni rapporti di forza in misura tale da scoraggiare e rendere vano ogni tentativo dei gruppi reazionari interni e internazionali di sovvertire il quadro democratico e costituzionale, di colpire le conquiste raggiunte dal nostro popolo, di spezzarne l’unità e di arrestare la sua avanzata verso la trasformazione della società.

[...] Gli avvenimenti cileni ci sollecitano a una riflessione attenta che non riguarda solo il quadro internazionale e i problemi della politica estera, ma anche quelli relativi alla lotta e alla prospettiva della trasformazione democratica e socialista del nostro paese.

Non devono sfuggire ai comunisti e ai democratici le profonde differenze tra la situazione del Cile e quella italiana. Il Cile e l’Italia sono situati in due regioni del mondo assai diverse, quali l’America latina e l’Europa occidentale. Differenti sono anche il rispettivo assetto sociale, la struttura economica e il grado di sviluppo delle forze produttive, così come sono diversi il sistema istituzionale (Repubblica presidenziale in Cile, Repubblica parlamentare in Italia) e gli ordinamenti statali. Altre differenze esistono nelle tradizioni e negli orientamenti delle forze politiche, nel loro peso rispettivo e nei loro rapporti. Ma insieme alle differenze vi sono anche delle analogie, e in particolare quella che i comunisti e i socialisti cileni si erano proposti anch’essi di perseguire una via democratica al socialismo.

Dal complesso delle differenze e delle analogie occorre dunque trarre motivo per approfondire e precisare meglio in che cosa consiste e come può avanzare la via italiana al socialismo.

[...] Sappiamo bene che la politica di rottura dell’unità delle forze popolari e antifasciste perseguìta dai gruppi conservatori e reazionari interni e internazionali e dalla Democrazia cristiana ― una politica che il Paese ha pagato duramente ― ha interrotto il processo di rinnovamento avviato dalla Resistenza. Essa non è però riuscita a chiuderlo. Un esteso e robusto tessuto unitario ha resistito nel paese e nelle coscienze a tutti i tentativi di lacerazione; e questo tessuto, negli ultimi anni, ha ripreso a svilupparsi, sul piano sociale e su quello politico, in forme nuove, certo, ma che hanno per protagoniste le stesse forze storiche che si erano unite nella Resistenza.

Il compito nostro essenziale ― ed è un compito che può essere assolto ― è dunque quello di estendere il tessuto unitario, di raccogliere attorno a un programma di lotta per il risanamento e rinnovamento democratico dell’intera società e dello Stato la grande maggioranza del popolo, e di far corrispondere a questo programma e a questa maggioranza uno schieramento di forze politiche capace di realizzarlo. Solo questa linea e nessun’altra può isolare e sconfiggere i gruppi conservatori e reazionari, può dare alla democrazia solidità e forza invincibile, può far avanzare la trasformazione della società. In pari tempo, solo percorrendo questa strada si possono creare fin d’ora le condizioni per costruire una società e uno Stato socialista che garantiscano il pieno esercizio e lo sviluppo di tutte le libertà.

Abbiamo sempre saputo e sappiamo che l’avanzata delle classi lavoratrici e della democrazia sarà contrastata con tutti i mezzi possibili dai gruppi sociali dominanti e dai loro apparati di potere. E sappiamo, come mostra ancora una volta la tragica esperienza cilena, che questa reazione antidemocratica tende a farsi più violenta e feroce quando le forze popolari cominciano a conquistare le leve fondamentali del potere nello Stato e nella società. Ma quale conclusione dobbiamo trarre da questa consapevolezza? Forse quella, proposta da certi sciagurati, di abbandonare il terreno democratico e unitario per scegliere un’altra strategia fatta di fumisteria, ma della quale è comunque chiarissimo l’esito rapido e inevitabile di un isolamento dell’avanguardia e della sua sconfitta? Noi pensiamo, al contrario, che, se i gruppi sociali dominanti puntano a rompere il quadro democratico, a spaccare in due il paese e a scatenare la violenza reazionaria, questo deve spingerci ancora più a tenere saldamente nelle nostre mani la causa della difesa delle libertà e del progresso democratico, a evitare la divisione verticale del Paese e a impegnarci con ancora maggiore decisione, intelligenza e pazienza a isolare i gruppi reazionari e a ricercare ogni possibile intesa e convergenza fra tutte le forze popolari.

È vero che neppure l’attuazione coerente di questa linea da parte dell’avanguardia rivoluzionaria esclude l’attacco reazionario aperto. Ma chi può contestare che essa lo rende più difficile e crea comunque le condizioni più favorevoli per respingerlo e stroncarlo sul nascere?

[...] In definitiva, le prospettive di successo di una via democratica al socialismo sono affidate alla capacità del movimento operaio di compiere le proprie scelte e di misurare le proprie iniziative in relazione, oltre che al quadro internazionale, ai concreti rapporti di forza esistenti in ogni situazione e in ogni momento, e alla sua capacità di badare, costantemente, alle reazioni e contro-reazioni che l’iniziativa trasformatrice determina in tutta la società: nell’economia, nelle strutture e negli apparati dello Stato, nella dislocazione e negli orientamenti delle varie forze sociali e politiche e nei loro reciproci rapporti.

Si ripropongono così i problemi dei criteri di valutazione dei rapporti di forza, della politica delle alleanze, del rapporto tra trasformazioni sociali e sviluppo economico e i problemi degli schieramenti politici.

[...] Abbiamo constatato che la via democratica non è né rettilinea né indolore. Più in generale il cammino del movimento operaio, quali che siano le forme di lotta, non è stato mai né può essere una ascesa ininterrotta. Ci sono sempre alti e bassi, fasi di avanzata cui seguono fasi in cui il compito è di consolidare le conquiste raggiunte, e anche fasi in cui bisogna saper compiere una ritirata per evitare la disfatta, per raccogliere le forze e per preparare le condizioni di una ripresa del cammino in avanti. Questo vale sia quando il movimento operaio combatte stando all’opposizione sia quando esso conquista il potere o va al governo.

Ha scritto Lenin: “Bisogna comprendere ― e la classe rivoluzionaria impara a comprendere dalla propria amara esperienza ― che non si può vincere senza aver appreso la scienza dell’offensiva e la scienza della ritirata”. Lenin stesso, che è stato certamente il capo rivoluzionario più audace nella scienza dell’offensiva, è stato anche il più audace nel saper cogliere tempestivamente i momenti del consolidamento e della ritirata, e nell’utilizzare questi momenti per prendere tempo, per riorganizzare le forze e per riprendere l’avanzata. Due esempi rivelatori di queste geniali capacità di Lenin furono il compromesso con l’imperialismo tedesco sancito con la pace di Brest Litovsk, e il compromesso con forze capitalistiche interne che caratterizzò quell’indirizzo che va sotto il nome di Nep (Nuova Politica Economica). Né va dimenticato che Lenin non esitò a compiere tali scelte andando contro corrente. Queste due grandi operazioni rivoluzionarie, che contribuirono in modo decisivo a salvare il potere sovietico e a garantirgli l’avvenire, vennero attuate in condizioni storiche irripetibili, ma il loro insegnamento di lungimiranza e sapienza tattica rimane integro.

[...] La via democratica al socialismo è una trasformazione progressiva ― che in Italia si può realizzare nell’ambito della Costituzione antifascista ― dell’intera struttura economica e sociale, dei valori e delle idee guida della nazione, del sistema di potere e del blocco di forze sociali in cui esso si esprime. Quello che è certo è che la generale trasformazione per via democratica che noi vogliamo compiere in Italia, ha bisogno, in tutte le sue fasi, e della forza e del consenso.

La forza si deve esprimere nella incessante vigilanza, nella combattività delle masse lavoratrici, nella determinazione a rintuzzare tempestivamente ― ci si trovi al governo o all’opposizione ― le manovre, i tentativi e gli attacchi alle libertà, ai diritti democratici e alla legalità costituzionale. Consapevoli di questa necessità imprescindibile, noi abbiamo messo sempre in guardia le masse lavoratrici e popolari, e continueremo a farlo, contro ogni forma di illusione o di ingenuità, contro ogni sottovalutazione di propositi aggressivi delle forze di destra. In pari tempo, noi mettiamo in guardia da ogni illusione gli avversari della democrazia. Come ha ribadito il compagno Longo al XIII Congresso, chiunque coltivasse propositi di avventura sappia che il nostro partito saprebbe combattere e vincere su qualunque terreno, chiamando all’unità e alla lotta tutte le forze popolari e democratiche, come abbiamo saputo fare nei momenti più ardui e difficili.

Del “consenso” la profonda trasformazione della società per via democratica ha bisogno in un significato assai preciso: in Italia essa può realizzarsi solo come rivoluzione della grande maggioranza della popolazione; e solo a questa condizione, “consenso e forza” si integrano e possono divenire una realtà invincibile.

[...] È il problema delle alleanze, dunque, il problema decisivo di ogni rivoluzione e di ogni politica rivoluzionaria, ed esso è quindi quello decisivo anche per l’affermazione della via democratica.

[...] La strategia delle riforme può dunque affermarsi e avanzare solo se essa è sorretta da una strategia delle alleanze. Anzi, noi abbiamo sottolineato che, nel rapporto tra riforme e alleanze, queste sono la condizione decisiva perché, se si restringono le alleanze della classe operaia e si estende la base sociale dei gruppi dominanti, prima o poi la realizzazione stessa delle riforme viene meno e tutta la situazione politica va indietro, fino anche a rovesciarsi.

[...] Un grosso problema che ci impegna in sede politica e che deve impegnare di più, in sede teorica, i marxisti e gli studiosi avanzati dell’Italia e dei paesi dell’Occidente, è come far sì che un programma di profonde trasformazioni sociali ― che determina necessariamente reazioni di ogni tipo da parte dei gruppi retrivi ― non venga effettuato in modo da sospingere in posizione di ostilità vasti strati dei ceti intermedi, ma riceva invece, in tutte le sue fasi, il consenso della grande maggioranza della popolazione. Ciò, evidentemente, comporta una attenta scelta delle priorità e dei tempi delle trasformazioni sociali e comporta, di conseguenza, l’adoperarsi non solo per evitare un collasso dell’economia ma per garantire anzi, anche nelle fasi critiche di passaggio a nuovi assetti sociali, l’efficienza del processo economico.

Questo è certamente uno dei problemi vitali che ha dinnanzi a sé un governo di forze lavoratrici e popolari; ma è un problema altrettanto fondamentale in un paese come l’Italia, ove una forza grande come la nostra, uscita da tempo dal terreno della pura propaganda, cerca, fin da ora, dall’opposizione, con l’arma della pressione di massa e dell’iniziativa politica unitaria, di imporre l’avvio di un programma di trasformazioni sociali.

Se è vero che una politica di rinnovamento democratico può realizzarsi solo se è sostenuta dalla grande maggioranza della popolazione, ne consegue la necessità non soltanto di una politica di larghe alleanze sociali ma anche di un determinato sistema di rapporti politici, tale che favorisca una convergenza e una collaborazione tra tutte le forze democratiche e popolari, fino alla realizzazione fra di esse di una alleanza politica.

D’altronde, la contrapposizione e l’urto frontale tra i partiti che hanno una base nel popolo e dai quali masse importanti della popolazione si sentono rappresentate, conducono a una spaccatura a una vera e propria scissione in due del paese, che sarebbe esiziale per la democrazia e travolgerebbe le basi stesse della sopravvivenza dello Stato democratico.

Di ciò consapevoli noi abbiamo sempre pensato ― e oggi l’esperienza cilena ci rafforza in questa persuasione ― che l’unità dei partiti di lavoratori e delle forze di sinistra non è condizione sufficiente per garantire la difesa e il progresso della democrazia ove a questa unità si contrapponga un blocco di partiti che si situano dal centro fino alla estrema destra. Il problema politico centrale in Italia è stato, e rimane più che mai, proprio quello di evitare che si giunga a una saldatura stabile e organica tra il centro e la destra, a un largo fronte di tipo clerico-fascista, e di riuscire invece a spostare le forze sociali e politiche che si situano al centro su posizioni coerentemente democratiche.

Ovviamente, l’unità, la forza politica ed elettorale delle sinistre e la sempre più solida intesa tra le loro diverse e autonome espressioni, sono la condizione indispensabile per mantenere nel paese una crescente pressione per il cambiamento e per determinarlo. Ma sarebbe del tutto illusorio pensare che, anche se i partiti e le forze di sinistra riuscissero a raggiungere il 51 per cento dei voti e della rappresentanza parlamentare (cosa che segnerebbe, di per sé, un grande passo avanti nei rapporti di forza tra i partiti in Italia) questo fatto garantirebbe la sopravvivenza e l’opera di un governo che fosse l’espressione di tale 51 per cento.

Ecco perché noi parliamo non di una “alternativa di sinistra” ma di una “alternativa democratica” e cioè della prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari di ispirazione comunista e socialista con le forze popolari di ispirazione cattolica, oltre che con formazioni di altro orientamento democratico.

[...] La nostra politica di dialogo e di confronto con il mondo cattolico si sviluppa necessariamente su diversi piani e con diversi interlocutori.

Vi è innanzitutto il problema, sul quale la nostra posizione di principio e la nostra linea politica sono note, posto dalla presenza in Italia della Chiesa cattolica, e dai suoi rapporti con lo Stato e con la società civile. Vi è poi il problema della ricerca di una più ampia comprensione reciproca e di una intesa operante con quei movimenti e tendenze di cattolici che, in numero crescente, si collocano nell’ambito del movimento dei lavoratori e si orientano in senso nettamente anticapitalistico e antiimperialistico.

Ma non si può certo pensare di sfuggire all’altro grande problema costituito dalla esistenza e dalla forza di un partito politico come la Democrazia cristiana, che a parte la qualificazione di “cristiana” che esso dà di se stesso, raccoglie nelle sue file o sotto la sua influenza una larga parte delle masse lavoratrici e popolari di orientamento cattolico.

[...] Tali essendo la realtà della DC e il punto in cui essa si trova oggi, è chiaro che il compito di un partito come il nostro non può essere che quello di isolare e sconfiggere drasticamente le tendenze che puntano o che possono essere tentate di puntare sulla contrapposizione e sulla spaccatura verticale del paese, o che comunque si ostinano in una posizione di pregiudiziale preclusione ideologica anti-comunista, la quale rappresenta di per sé, in Italia, un incombente pericolo di scissione della nazione. Si tratta, al contrario, di agire perché pesino sempre di più, fino a prevalere, le tendenze che, con realismo storico e politico, riconoscono la necessità e la maturità di un dialogo costruttivo e di un’intesa tra tutte le forze popolari senza che ciò significhi confusioni o rinuncia alle distinzioni e alle diversità ideali e politiche che contraddistinguono ciascuna di tali forze.

Certo, noi per primi comprendiamo che il cammino verso questa prospettiva non è facile né può essere frettoloso. Sappiamo anche bene quali e quante battaglie serrate e incalzanti sarà necessario condurre sui più vari piani, e non solo da parte del nostro partito, con determinazione e con pazienza, per affermare questa prospettiva. Ma non bisogna neppure credere che il tempo a disposizione sia indefinito. La gravità dei problemi del paese, le minacce sempre incombenti di avventure reazionarie e la necessità di aprire finalmente alla nazione una sicura via di sviluppo economico, di rinnovamento sociale e di progresso democratico rendono sempre più urgente e maturo che si giunga a quello che può essere definito il nuovo grande “compromesso storico” tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano.

 

[1] Articolo 36 del Concordato del 1929 fra la “Santa Sede” e l’Italia: “L’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica. E perciò consente che l’insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, secondo programmi da stabilirsi d’accordo tra la Santa Sede e lo Stato.

Tale insegnamento sarà dato a mezzo di maestri e professori, sacerdoti o religiosi, approvati dall’autorità ecclesiastica, e sussidiariamente a mezzo di maestri e professori laici, che siano a questo fine muniti di un certificato di idoneità da rilasciarsi dall’Ordinario diocesano.

La revoca del certificato da parte dell’Ordinario priva senz’altro l’insegnante della capacità di insegnare.

Pel detto insegnamento religioso nelle scuole pubbliche non saranno adottati che i libri di testo approvati dall’autorità ecclesiastica.

 

[2] Cfr Lettera di S. S. Pio XI all’E.mo Card. Segretario di Stato, ne ‘La Civiltà Cattolica’, 15 giugno 1929 (anno lxxx, vol. II, pp 481-89). Il passo citato nel testo è a p. 483 (il corsivo è di Gramsci).

 

[3] Ogni parola di Gramsci sui rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, e in particolare sul Concordato, sono naturalmente da confrontare (anche se il confronto è del tutto impari a sfavore del secondo termine di paragone) con gli scritti e i discorsi di Togliatti sul medesimo tema. Del che vedi più oltre nella seconda parte di questa antologia, Una boccata d’aria vizza, dedicata appunto al Migliore.

 

[4] L’iniziale minuscola è di Gramsci: chapeau! (Nota di Luigi Scialanca).

 

[5] L’iniziale minuscola è di Gramsci: chapeau! (Nota di Luigi Scialanca).

 

[6] Non è meraviglioso che ― in pieno fascismo, si noti ― Gramsci chiami casta il clero? E il fatto che oggi sia invece correntemente chiamata casta la classe politica, che dal clero dovrebbe difendere lo Stato e tutti i cittadini, non è una prova evidente dell’enorme fallimento a cui lo Stato italiano è andato incontro dal ‘29 in poi (e nel togliattiano articolo 7 della Costituzione, e nel craxiano concordato dell’84) e della corrispettiva vittoria che la Chiesa ha conseguito su di esso senza dover nemmeno troppo combattere? (Nota di Luigi Scialanca).

 

[7] Quaderno 6 (VIII) – 1930 – 1932 <Miscellanea> - § <151>. Azione cattolica. Santificazione di Roberto Bellarmino, segno dei tempi e del creduto impulso di nuova potenza della Chiesa cattolica; rafforzamento dei gesuiti, ecc. Il Bellarmino condusse il processo contro Galileo e redasse gli otto motivi che portarono Giordano Bruno al rogo. Santificato il 29 giugno 1930; [...]. Il Bellarmino è autore della formula del potere indiretto della Chiesa su tutte le sovranità civili.

 

[8] I nipotini di padre Bresciani affollano un capitolo fondamentale delle Note sparse e appunti per una storia degli intellettuali italiani a cui Gramsci lavorò durante la detenzione: sono gli “intellettuali” da sagrestia, compresi i sedicenti “laici”, della fine dell’800 e dell’inizio del ’900 ― un esercito: l’elenco che ne dà l’Indice per argomenti dell’edizione critica dei Quaderni ne conta una quarantina ― e le pagine che Gramsci dedica loro sono all’altezza del Bouvard e Pecuchet di Flaubert: un’enciclopedia, comica e insieme desolante, della stupidità becera a cui la religione e il servilismo consegnavano (e consegnano) la maggior parte degli “intellettuali” italiani. (Nota di Luigi Scialanca).

 

[12] Dal nome di Guido Podrecca (1865-1923), studente universitario positivista e socialista, ideatore nel 1892, con l'ex studente di matematica Gabriele Galantara (1867-1937), disegnatore, della rivista di satira politica L'Asino, ferocemente anticlericale, che si pubblicò fino al 1925, quando fu chiusa dal regime fascista (da Wikipedia).

 

[13] Cioè: il “pregiudizio religioso deve essere superato”, si sa, ma si comincerà a lottare contro di esso... dopo la presa del potere! Per il momento, solo la lotta per il potere conta davvero. E “Parigi”, si sa anche questo, “val bene una messa. (Nota di Luigi Scialanca).

 

[14] Corsivo di ScuolAnticoli.

 

[15] Il fascismo era appena caduto e Togliatti già proponeva un blocco unitario dell’80% delle forze politiche. Cioè, sotto parvenze democratiche, il regime di un partito unico.

 

[16] Comincia già nel 1945 ― o, meglio, continua con rinnovata lena ― la minaccia cattolica di guerra civile, e addirittura mondiale, “sanguinosissima e micidiale”, contro ogni istanza di progresso culturale, civile, economico e politico. Contro ogni speranza e ricerca di realizzazione umana individuale e collettiva. Minaccia che Togliatti fa propria, condividendo e compiacendosi del mellifluo discorso che la contiene e la veicola; e che ― come vedremo ―  tra pochi anni (1954, Per un accordo tra comunisti e cattolici per salvare la civiltà umana) rilancerà addirittura, inaugurando contro la Sinistra italiana quella “politica della paura”, quel terrorismo “culturale” e mediatico, che tanto séguito avrebbe poi trovato, fino ai giorni nostri, nelle destre (e nelle finte sinistre) dell’intero pianeta.

 

[17] L’impero millenario del cattocomunismo per la rieducazione dei popoli. Roba da far tremare le vene e i polsi soltanto a immaginarla.

 

[18] Formulazione che a Gramsci, invece, non sarebbe piaciuta affatto. Ricordiamo le sue limpide parole a questo proposito: <Nella sua lettera al cardinal Gasparri del 30 maggio 1929, Pio XI scrive: “Anche nel Concordato sono in presenza, se non due Stati, certissimamente due sovranità pienamente tali, cioè pienamente perfette, ciascuna nel suo ordine, ordine necessariamente determinato dal rispettivo fine, dove è appena d’uopo soggiungere che la oggettiva dignità dei fini, determina non meno oggettivamente e necessariamente l’assoluta superiorità della Chiesa”. Questo è il terreno della Chiesa: avendo accettato due strumenti distinti nello stabilire i rapporti tra Stato e Chiesa, il Trattato e il Concordato, si è accettato questo terreno necessariamente: il Trattato determina questo rapporto tra due Stati, il Concordato determina i rapporti tra due sovranità nello ‘stesso Stato’, cioè si ammette che nello stesso Stato ci sono due sovranità uguali, poiché trattano a parità di condizioni (ognuna nel suo ordine). Naturalmente anche la Chiesa sostiene che non c’è confusione di sovranità, ma perché sostiene che nello ‘spirituale’ allo Stato non compete sovranità e se lo Stato se l’arroga, commette usurpazione. Anche la Chiesa sostiene inoltre che non ci può essere duplice sovranità nello stesso ordine di fini, ma appunto perché sostiene la distinzione dei fini e si dichiara unica sovrana nel terreno dello spirituale> (Antonio Gramsci, Quaderno 5 (IX), 1930-1932, <Miscellanea>, § <71>, Natura dei Concordati).

 

[19] Ma di questo edificante predicozzo non c’è traccia, nei Quaderni e nelle Lettere. “Il primo inverno di Gramsci a Torino [1911-1912, n.d.r.] fu tra i momenti più critici della sua pur agitata esistenza”, racconta Giuseppe Fiori (Vita di Antonio Gramsci, Laterza, Bari, 1977, pp 83-85). “Aveva preso una stanzetta alla Barriera di Milano, numero 57 di Corso Firenze, sulla Dora. Senza amici e tanto lontano da casa, più che in passato sentiva adesso il peso della solitudine. Era esaurito, conseguenza dello sforzo fatto per vincere la borsa di studio e delle privazioni cui lo costringevano i pochi mezzi. <Nel 1911, in un periodo nel quale fui gravemente ammalato per il freddo e la denutrizione,> ricorderà, <fantasticavo di un immenso ragno che la notte stesse in agguato e scendesse per succhiarmi il cervello mentre dormivo>. [...] In queste condizioni, malnutrito, amareggiato da una solitudine che mai era stata così pungente, e col cervello a pezzi per l’esaurimento, Gramsci studiava. Ricorderà: <Passai l’inverno senza soprabito, con un abitino da mezza stagione buono per Cagliari. Verso il marzo 1912 ero ridotto tanto male che non parlai più per qualche mese: nel parlare sbagliavo le parole. Per di più abitavo proprio sulle rive della Dora, e la nebbia gelata mi distruggeva>”.

 

[20] Il discorso non potrebbe essere più esplicito. Togliatti non dice: “La Chiesa minaccia la guerra. Dimostriamole che non abbiamo paura”. Non dice: “La Chiesa minaccia la guerra. Intavoliamo trattative”. Togliatti dice: “La Chiesa minaccia la guerra: cediamo”. Ma non è viltà, la sua: è totale assenso, totale allineamento. Al punto di farsi portavoce delle minacce ecclesiastiche e amplificatore, nel partito, nel Paese e nella Costituente, della paura che esse cercano di suscitare. Poiché Togliatti, come dimostrano gli altri scritti e discorsi qui citati, vuole e ha sempre voluto la piena collaborazione, se non la fusione, tra comunisti e cattolici, tra Partito e Chiesa. E vuole, perciò, una Chiesa forte e sicura non, come racconta, perché “non sia turbata la pace religiosa”, ma in previsione di quanto sarà più forte e sicuro il partito, così, quando sarà Partito-Chiesa e Chiesa-Partito. Dice di difendere l’Italia e la sua pace, ma in realtà sta difendendo la Chiesa e la sua potenza. Come se si sentisse già alle prese, da segretario-papa, con quella “vigorosa rieducazione del popolo”, in vista, “almeno per un millennio, di una nuova forma di vita e di civiltà, quale non fu mai forse raggiunta nel passato” che nel suo discorso al primo congresso dopo la Liberazione aveva annunciato possibile e auspicabile sulla base, appunto, di una forte alleanza cattocomunista (vedi qui, pp 22-23).

 

[21] Il pericolo di un conflitto termonucleare globale tra Stati Uniti e Unione Sovietica non era un’invenzione di Togliatti: era reale. Ma Togliatti se ne serve, lo strumentalizza, per ottenere dalla paura, che esso suscita, un’acquiescenza di massa ai suoi sforzi per gettare le basi di una futura alleanza, se non fusione, tra la Chiesa cattolica e il Partito comunista. Allo stesso modo si era servito della paura di una guerra di religione per far accettare l’inserimento del Concordato nella Costituzione. Allo stesso modo, dopo il colpo di stato di Pinochet in Cile, Berlinguer si servirà della paura che accada lo stesso in Italia per lanciare la proposta di un compromesso storico fra comunisti, socialisti e cattolici. E allo stesso modo il Partito democratico si serve oggi della paura suscitata dalla crisi finanziaria per far accettare il suo totale asservimento alle tirannie finanziarie globali e, ancora una volta, alla tirannia religioso-finanziaria vaticana.

 

[22] Gaetano Salvemini (1873–1957) è stato uno storico, politico e antifascista italiano. Laureatosi in lettere a Firenze nel 1896, aderì al Partito Socialista Italiano e alla corrente meridionalista, collaborando, dal 1897, alla rivista Critica sociale, mostrandosi tenace sostenitore del suffragio universale e del federalismo, visto come unica possibilità per risolvere la questione del Mezzogiorno, cercando di condurre su posizioni meridionaliste il movimento socialista e insistendo sulla necessità di un collegamento tra operai del nord e contadini del sud, sulla necessità dell’abolizione del protezionismo e delle tariffe doganali di Stato (che proteggono l’industria privilegiata e danneggiano i consumatori), e della formazione di una piccola proprietà contadina che liquidasse il latifondo. Arrestato a Roma dalla polizia fascista l’8 giugno del 1925, successivamente, dopo esser stato processato insieme a Ernesto Rossi, poté godere di un'amnistia e in agosto si rifugiò clandestinamente in Francia. A Parigi fu poi raggiunto dai fratelli Rosselli e nel novembre del 1929 fu tra i fondatori del movimento Giustizia e Libertà. Durante la Seconda guerra mondiale tenne negli USA, in Gran Bretagna e in Francia, conferenze e lezioni universitarie battendosi contro il fascismo, il comunismo, il clericalismo e la monarchia italiana. Tornato in Italia nel 1949, riprese l'insegnamento all’Università di Firenze e continuò a vari livelli la sua lotta politica, ispirata a una visione laica della vita e all’avversione contro i dogmatismi e le fumosità ideologiche e contro la burocrazia, il clericalismo e lo statalismo. Si oppose al governo democristiano e al Fronte Democratico Popolare, sostenendo la necessità di abrogare il Concordato e i Patti Lateranensi, e difendendo la scuola pubblica contro le riforme, da lui giudicate reazionarie, dei governi.

Un suo pensiero sulla Scuola pubblica: “La politica scolastica del partito clericale non può essere in Italia che una sola: deprimere la scuola pubblica, non far nulla per migliorarla e più largamente dotarla; favorire le scuole private confessionali con sussidi pubblici, e con sedi d'esami, con pareggiamenti; rafforzata a poco a poco la scuola privata confessionale e disorganizzata la scuola pubblica, sopprimere al momento opportuno questa e presentare come unica salvatrice della gioventù quella. Programma terribilmente pericoloso perché non richiede nessuno sforzo di lotta attenta ed attiva ma solo di una tranquilla e costante inerzia, troppo comoda per i nostri burocrati e per i nostri politicanti, troppo facile per l'oligarchia opportunista che ci sgoverna” (Gaetano Salvemini, Che cos’è la laicità (1907), in Scritti sulla scuola, in Opere, Vol. V, a cura di L. Borghi e B. Finocchiaro, Milano, Feltrinelli, 1969, p. 891).

(Testo tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Gaetano_Salvemini).

 

[23] Si sta creando, forse si è già creato, uno Stato clericale e teocratico, ma... niente si può fare per contrastarlo. Niente di più di ciò che si è fatto finora, cioè non tanto la resa ― benché vi sia stata, certo, anche quella ― quanto la difesa attiva della Chiesa e della religione in vista della presente e futura, auspicata, sempre più stretta alleanza con esse. E tuttavia chi sarebbe disperato? Chi invece tenta e chiede di reagire e di lottare.

 

[24] Ancora una volta, minacciando il partito e il Paese per conto della Chiesa, tenta di ottenere consenso incutendo paura.

 

[25] Formulazione che potremmo anche trovare interessante se non preludesse, come vedremo nei prossimi paragrafi, all’auspicio di una dittatura (del proletariato, s’intende!) comunista-cattolica per... l’imposizione (urbi et orbi?) di una “religione dell’uomo” che si rivela così come una ristampa, sia pure riveduta e corretta, del vecchio catechismo.

 

[26] Altra formulazione apparentemente condivisibile. Ma con essa ciò che Togliatti intende (lo dice sùbito dopo) è che, per “determinare modificazioni radicali” nella “coscienza religiosa”, è necessaria la collaborazione della Chiesa e delle sue organizzazioni. E che tale collaborazione (come dirà fra poco) non potrà non sfociare in una dittatura comunista-cattolica. Presumibilmente “millenaria”, visto quel che abbiamo letto a p. 24 e n.

 

[27] Vedi pp 27-28.

 

[28] Come se “dittatura” e “blocco di forze sociali dominanti” fossero la stessa cosa. Come se Gramsci, col suo concetto di egemonia, pensasse a qualcosa di non diverso dal dominio.

 

[29] Ovvio che parlando di “classi lavoratrici della mente” strizza l’occhio anche ai preti. O non gli verrebbe in mente, sùbito alla riga successiva, il “pensiero” cattolico.

 

[30] Una curiosità: in queste poche pagine di Togliatti, il termine “credere” e derivati ricorrono nove volte. Il termine “pensare” cinque. Di cui due, però, in cui chi “pensa” sono ecclesiastici.

 

[31] Berlinguer non è neanche sfiorato dall’idea che la famiglia possa essere criticata in quanto tale. E che il divorzio, quindi (approvato da un inedito schieramento laico che gode dell’appoggio convinto della maggioranza del popolo italiano) abbia un significato morale e civile più ampio di quello (pur necessario) di una sanatoria di situazioni dolorose, e indichi, almeno in prospettiva, la possibilità di trasfomare il rapporto uomo-donna (anziché limitarsi ad accudirlo con pur benemerite provvidenze) liberandolo dal carcere religioso e burocratico del matrimonio.

Per Berlinguer i problemi della famiglia sono solo materiali e materialmente devono essere risolti, ma la famiglia in sé è perfetta, specialmente se “proletaria”. Non immagina (benché nel 1970 fosse già “nell’aria”) che dietro i problemi familiari vi sia una sovrastruttura mentale e relazionale aggrovigliata e malsana di cui la religione e la Chiesa (e non il laicismo borghese!) portano la  maggiore responsabilità. “Sovrastruttura”, per lui, son tutt’al più le leggi: certo arcaiche, certo da riformare, ma che da sole non possono cambiare le menti e i rapporti umani. E non si rende conto, di conseguenza, dell’immensa opera culturale e educativa, e in senso lato di “cura” per la realizzazione umana, che sarebbe necessario intraprendere. Né si sogna di chiedere al partito di impegnarvisi.

Ben diverso Gramsci, che della questione della famiglia non si occupò molto, ma che stigmatizzò le “idee” dei fascisti in proposito (per loro, come per Berlinguer, “la famiglia è e deve restare la cellula madre della società”) e propose una ricerca su “come lo Stato possa intervenire per costruire o stimolare la costruzione di un nuovo tipo di famiglia” (Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, cit., Quaderno 15 (II) – 1933 – <Miscellanea>, § <49>, Passato e presente).

 

[32] Affermazione che purtroppo falsifica gravemente la storia del partito, della Sinistra e d’Italia: tutti gli scritti citati nelle pagine precedenti dimostrano, infatti, quanto netta e profonda sia stata la discontinuità tra gli “insegnamenti di Gramsci” (su questi temi e non solo su questi) e “la elaborazione e la linea politica sviluppata da Togliatti”: un capovolgimento completo, anzi, più che una discontinuità; e, al tempo stesso, un gravissimo abbassamento del livello di ricerca e di riflessione.

 

[33] Come se “l’unità con le grandi masse di lavoratori cattolici” comportasse necessariamente la rinuncia alla critica della religione e della sudditanza alla Chiesa.

 

 

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E inoltre:

Antonio Gramsci sull'immaginazione e la fantasia. (Nella foto: Orgosolo, via Antonio Gramsci, dipinto murale). (Venerdì 27 dicembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

(Orgosolo, via Antonio Gramsci: dipinto murale).

Antonio Gramsci sull’immaginazione e la fantasia (in .pdf)     Antonio Gramsci sull’immaginazione e la fantasia (in .doc)

Antonio Gramsci su Giordano Bruno (in .pdf)     Antonio Gramsci su Giordano Bruno (in .doc)

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