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Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca

 

La classe 1987 - 1990

 

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Roviano tra il 1940 e il 1945

Interviste ad alcuni anziani rovianesi raccolte nella primavera del 1990

da Daniele Coticoni, Roberta Coticoni, Angela Giuliani, Maurizio Scacchi e Ornella Valentini,

alunni della classe terza della Scuola Media Statale C.Rosatelli.

 

Testimonianze di Onorina Tiritante, Graziosa Scacchi, Bernardino Salvatori, Giuseppe Nardoni,

Silvestro Tarquini, Orazio Crialesi, Vittoria Vettesi, Federico Innocenzi e Bernardino Crialesi.

 

Onorina Tiritante

(ex-fornaia, pensionata, vedova)

 

“Era una vita faticosa: la fame, senza vestiti, senza soldi, e poveri come quelli che fanno l’elemosina. Senza bestiame.

C’erano quelli che soffrivano la fame e quelli che non avevano niente, e chi aveva qualche cosa aiutava gli altri: c’erano quelli che prendevano il sussidio e quindi avevano qualche possibilità in più...”

 

Commento: la signora Tiritante ha parlato con noi di buon grado, senza apparentemente emozionarsi.

*

Graziosa Scacchi

(ex-commerciante, pensionata, coniugata, di anni 62; nonna materna di Ornella Valentini)

 

“Era tantu triste, perché se campea ammezzo ai mitragliamenti e se fujea in galleria co’ la paura. Se magnea poco, perché n’ce stea niente, solo la paura. Se magnea la pizza ’e turcu. Tenémo tanta paura deji Tedeschi. ’Na vòta fratimu è azzeccatu a ’na pianta: adéa da coglie le cerase senza ju pernucciu. Ji Tedeschi jau fattu cala’ e fratimu s’è ribellato; ji Tedeschi au capitu ch’era ittu ’na parola non tantu carina e jau datu ju fucile alla schina. Alloco vicinu ce stea un compare, che era fattu la prima guerra mondiale: au sentitu i strilli de ’sti ragazzi, è itu annante sapenno lo tedesco e ja ittu che eranu chiattareji. Allora ji Tedeschi co’ ju mitragliatore puntatu jau accompagnati finu a ’n certo puntu della via, e i chiattareji so’ ritornati ammonte co’ quelle poche cerase còte per portarle a nui famijari, che stémo alla galleria de ju paese.

Erémo sempre presi dalla paura. Erémo molto terrorizzati, perché, ogni vòta che ce affaccémo, eranu bombardamenti e mitragliamenti.

Cae vòta emo in campagna, ma io ce jeo poco: ce jea parimu co’ fratimu. ’Na vòta fratimu era itu in campagna a coje’ ’n po’ de’ ranu alla mola e è statu acchiappatu da ’na bomba, ma ha fatto a tempo a jettasse pe’ tera, sennò s’era ’ncendiatu ’nzemmora a ju campu de’ ranu.

La spiaggia era ’n posto ’do ce stea un ristorante che se chiamea La Sora Agusta. Alloco ce eanu i prigionieri inglesi a magna’. La padrona era capitu che questi eranu inglesi; allora ’na spia tedesca à datu ’n accenno aji Tedeschi, ma ji Inglesi au capitu e se so’ aruati dalla finestra. Po’ ce stea ju fiume Aniene e allora au passati a jaru territoriu che se chiama Andicuri: alloco non je poteanu fa’ niente. Però, passenno a ju confine, ’sti Inglesi au ittu alla padrona de ’sta trattoria che je la faceanu paga’. Passarono otto giorni e - ‘n zacciu come - so’ resciti, so’ passati a Cassino e alloco ce stea la guera; e dopo otto giorni semo vistu un quatrimotore che era itu a bombarda’ alloco, a ’sta famosa Sora Agusta.”

 

Domanda: Tu lavoravi? Quanto guadagnavi?

 

“Ju guadagnu no’ me ju recordo, però, quanno ero micca, l’acqua n’ce stea; allora io, chiattarella, ea a pija’ l’acqua a ’na signora, e me dea quindici lire a ju mese.

Durante la guera n’se potea fa’ niente, perché tenémo tutti paura e chi se potea adatta’ s’adattéa.

Se stea molto male pe’ ji sòrdi, perché stemo tutti pararizzati, e ’ndo emo a lavora’? Stemo tutti sotto alla galleria e n’ce stea nessuna occasione pe’ guadagna’ caeccosa. Ce stea la borza nera, ma era pe’ quiji più rrossi de nui.”

 

Domanda: Ti ricordi di quando hanno bombardato l’asilo?

 

“Me ne recordo benissimo. Io stea a ju orto e cuginema Lina m’à ittu: «Emo aggiusta’ ’n po’ de panni alloco.» E ji semo iti aggiusta’, ma prima so’ iti a bombarda’ a Carsoli e a ju retorno so’ venuti a Roviano. Semo iti a ju recovero ’n piazza e alloco la semo passata proprio brutta: terrorizzati, impauriti... E alloco so’ perso pure ’n paio ’e scarpi, e scarza e impaurita... E ji genitori mei steanu sotto alla galleria, e mamma m’à ittu: «Potii veni’ co’ nui, cuscì ’sta paura n’la tenii!»”

 

Commento: la signora Scacchi ci ha accolto molto gentilmente e ha parlato con noi senza emozionarsi.

*

Bernardino Salvatori

(pensionato; da ragazzo era contadino, in guerra portava i pezzi dei cannoni con i muli;

tornato dalla guerra, faceva il manovale e il terrazziere armatore a Roma.)

 

“Chiamato alle armi nel 1940, mandato a Firenze: 19° Reggimento Artiglieria di montagna (Albania, presidio dell’Albania, 1940).

La guerra scoppiò il 28 ottobre ’40, durò sette mesi in Grecia e finì nel ’41; si cominciò l’avanzata il 6 aprile. Mal ridotti e senza armi. Nel ’41 scoppiò la rivoluzione in Montenegro; c’erano tre divisioni di prigionieri e gli Italiani conquistarono tutto dai partigiani. Poi fummo costretti a tornare in Albania. L’8 settembre del ’43 fu firmato l’armistizio. Poi sono andato in Germania e nel ’45 fui liberato dagli Americani. Abbiamo sofferto la fame e il freddo. Sono stato fortunato a tornare sano e salvo...”

 

Domanda: Con te c’era qualche altro Rovianese?

 

“Mi sono incontrato con Tonino Folgori, che adesso è morto.”

 

Commento: il signor Salvatori ha parlato con noi di buon grado, e si è emozionato ricordando i brutti momenti.

*

Giuseppe Nardoni

(pensionato, ex-impiegato alle Poste, di anni 67)

 

“Il 10 giugno 1940 l’Italia dichiarò guerra alla Francia e all’Inghilterra. Le prime operazioni, l’Italia le condusse sul fronte occidentale in Piemonte e in Francia, le altre in Africa settentrionale. Così cominciarono quelle pagine di sacrifici, di sangue, di bombardamenti, di fame, di miseria, di lutti: per tutta l’Europa e per tutte le popolazioni che vi furono coinvolte.

Fino al 10 giugno 1940, la vita a Roviano era semplice, normale. C’era qualche modesto antifascista, ma il 99,99% della popolazione era fascista. Ricordo che il 10 giugno 1940 la piazza dell’Orziero era piena, gremita di persone, e tutti quanti invocavano la guerra: naturalmente pensavano che la guerra si facesse coi bastoni! Non pensavano che poi sarebbero arrivati gli aereoplani, e che, quattro anni dopo, più o meno lo stesso giorno, il 6 o il 7 giugno, sarebbero arrivati i carri armati: i carri armati inglesi dell’8a Armata britannica arrivarono all’Orziero!

Nel frattempo io ero partito: andai sotto le armi e non so poi a Roviano che cosa successe. Però io so di sicuro che dopo l’8 settembre del ’43, nel convento degli Oblati, a est del cimitero, ci fecero un ospedale militare, dove affluivano feriti anche dalla lontana Cassino.

E questa è la versione giusta, credete a quello che vi ho detto io!”

 

Commento: il signor Nardoni ha parlato con noi sdraiato su una poltrona, dove, dopo pranzo, si era appisolato. Di suo ci ha detto poco: quasi tutto il tempo ci ha tenuto una lezione di Storia, della quale abbiamo qui trascritto solo ciò che riguardava Roviano.

*

Silvestro Tarquini

(pensionato)

 

“Partito da Roviano: Roviano, Firenze, Rimini, Napoli... Dopo scoppiò la guerra... Prigioniero in Egitto... Una settimana in Palestina... Dalla Palestina di nuovo in Egitto... Poi in India... Tre anni in India...” (Si ferma e dice che non vuole più raccontare, perché gli fa male al cuore e ha paura di ripensarci la notte.)

 

Commento: il signor Tarquini fin dall’inizio era molto agitato; perciò, quando si è interrotto, non abbiamo voluto insistere.

*

Orazio Crialesi

(pensionato, ex-guardiano della Centrale del Latte, di anni 70)

 

“La guerra è scoppiata il 10 giugno 1940. Io sono stato chiamato il 5 gennaio del ’40 sotto le armi, per il servizio di leva, senonché è scoppiata la guerra e sono rientrato dalla prigionia l’8 aprile del ’46. La mia prigionia si è svolta momentaneamente in Sicilia: mi hanno fatto prigioniero alla battaglia di Leonforte e mi hanno tenuto là per parecchio tempo. Poi io mi sono dato alla fuga. È venuto l’8 settembre e siamo rimasti prigionieri così, presso le case che ci accoglievano. Ho passato lo stretto di Messina con una barca, da Messina a Reggio Calabria, con una barca di emergenza... Poi ho fatto tutta la strada a piedi e con mezzi di fortuna sono ritornato a Roviano... E sono arrivato a Napoli sempre prigioniero, un’altra volta mi sono dato alla libertà e con una bicicletta che mi hanno regalato sono arrivato a Roviano. Da Napoli a Roviano con la bicicletta, ecco qua la mia casa! Ci ho messo tre giorni, però mi sono fermato a Caserta, a Cassino e a Tivoli. Di Roviano con me non c’era nessuno, c’erano solo quattro-cinque Abruzzesi, eravamo insomma colleghi di viaggio. La giornata si svolgeva andando a chiedere l’elemosina alle famiglie, che ci accettavano ben volentieri - eravamo italiani, noi - e ci davano da mangiare, ci facevano dormire, magari provvisoriamente, dentro le cantine, i granai... Insomma: ci trattavano bene.”

*

Vittoria Vettesi

(moglie di Orazio Crialesi, casalinga, di anni 66)

 

“Quando è cominciata la guerra, io avevo sedici anni: eravamo regazzetti, diciamo, in questa tenera età... E così è venuta la guerra, abbiamo subìto tutto il tempo della guerra: cinque anni! Aspettando che finiva la guerra, tra i bombardamenti, tra i mitragliamenti e tra la miseria, perché in tempo di guerra certamente non siamo stati mica bene: abbiamo sofferto pure un po’ di fame, e molta gente l’ha sofferta più di noi.

Perciò erano tempi duri, tempi che non si possono neanche ricordare, per quanto abbiamo sofferto: specialmente quando bombardavano, le paure, gli strilli - diciamo - e tutte le altre conseguenze...

Si lavorava al campo di Roviano e si raccoglieva quel poco che si ricavava, e si doveva campa’ con quello, perché non era come oggi che vai ai negozi, compri tutto e stai bene: quei tempi erano duri.”

 

Domanda: Dove prendevate i soldi?

 

“I soldi non si rimediavano, perché qualcuno, che lavorava, lavorava - diciamo - alle gallerie, fuori, nei paesi lontani... Tutto si rimediava perché c’era qualcosa che riportavano a casa gli uomini...”

 

Domanda: In una stanza quante persone ci vivevano?

 

“In una stanza non è che ci stavano tanti lussi, perché può darsi che ci stavano quattro-cinque persone, a seconda le famiglie com’erano. Io, per esempio, avevo la camera mia da parte, però non tutti quanti avevano la camera loro... E così la gente faceva alla meglio pe’ campa’.

Durante i bombardamenti qui a Roviano si stava sempre in paura, e noi ce semo rifugiati alla galleria, sotto alla galleria di Ponte Novo, e là si dormiva, si faceva da magna’ ammezzo alla galleria, ai binari, insomma: dove passava il treno! A quei tempi non passavano più, i treni, perché erano stati bombardati i tronchi delle ferrovie. E allora noi si stava lì durante tutta la giornata, e la sera, chi poteva torna’, tornava a casa, e chi no, se ne stava alla galleria. E così venivano ’sti bombardamenti, che ce la ricordiamo adesso, la paura, che non si possono neanche ricordare... Che poi, qui vicino a noi, qua dove sta il monumento, c’era la chiesetta di Sant’Antonio, e qui con le bombe è stata distrutta. C’erano le suore, vicino, che pure sono dovute scappare, andarsene via: non hanno potuto più stare qui all’asilo, so’ dovute anda’ a una casa... E poi ’ste bombe che cascavano da tutte le parti... Qui ’ndo sta la scuola, ce ne sono cascate cinque-sei...”

 

Commento: il signor Crialesi e sua moglie ci hanno accolto molto gentilmente e hanno parlato con noi senza emozionarsi.

*

Federico Innocenzi

(pensionato)

 

“Sono passati già circa cinquant’anni che noi viviamo in pace. La prigionia è una cosa tremenda, derivante dalla guerra, che distrugge i popoli, che distrugge le case, e distrugge ogni sentimento umano. Io sono stato prigioniero e sfortunatamente c’è stata la guerra, la Seconda Guerra Mondiale, alla quale io ho partecipato.

Partecipando a questa guerra, mi ricordo di questo, che è stato il giorno più felice della mia prigionia. Pensate: una resa generale, in Africa, dove noi abbiamo combattuto: una resa generale! Tutto l’esercito italiano in Africa chiese l’armistizio, e ci fu accordato. Quindi, da mezzanotte alle otto di mattina, ci fu la tregua: vale a dire che, mentre alle porte della Libia fino a mezzanotte si sentivano cannonate, bombardamenti, eccetera, a mezzanotte cessarono e ci fu l’armistizio, una tregua. Però, alle otto dell’indomani iniziò la prigionia, e questo fu il primo giorno di prigionia. Io mi ricordo che durante la notte, per essere fedeli agli impegni che tutti gli uomini hanno verso la Nazione, abbiamo eseguito gli ordini: pensate che, da mezzanotte alle otto, ora in cui siamo caduti prigionieri, abbiamo sotterrato tutte le armi che avevamo e ci siamo presentati al nemico alzando le mani, nient’altro... E loro sono rimasti ammirati: «Come, fino a mezzanotte avete fatto un fuoco che era tremendo, e oggi, adesso, non avete più un’arma, un colpetto, una mitraglia, un pugnale da poterci dare?!» Ma noi avevamo tutto sotterrato. E qui inizia il primo giorno della mia prigionia.

Adesso questa prigionia è lunga, troppo lunga, io penso: durata anni, anni! Cinque, sei anni lontano dalla mamma, lontano da papà, lontano da tutti i cari... Comunque, la prima cosa che è avvenuta... Però, io vi voglio premettere che non si può essere prigionieri se prima non ci sono contrasti, non ci sono guerre, non ci sono bisbigliazioni anche ribelli... Noi abbiamo perso, non abbiamo vinto, e perdendo ha perso anche l’Italia: «Alza le mani, bello!»

Pellegrinavamo, poi, di giorno in giorno, da un campo di prigionia all’altro, tra reticolati, guardie, eccetera, andando di campo in campo, di paese in paese, dalla Tunisia al Marocco all’Algeria, passando sei, sette, otto campi...

I primi giorni sono stati difficilissimi, perché una gran massa di popolo, di soldati, di prigionieri, presi tutti quanti insieme, portano a cose... logicissime, cose di concentrazione; poi i problemi sono per mangiare, bere e tutte le altre cose: vestire, eccetera... Queste sono le cose più importanti, che devono essere fatte... E prima che si arrivasse a una degna prigionia, noi stavamo sotto il sole che bruciava pure la pelle, senza un albero, senza niente, senz’acqua... E io ho resistito per quaranta giorni senza viveri, senza niente! Fortunatamente, perché avevo un amico che era un pastore di Riofreddo, che rimediava qualcosa e allora mi portava anche a me qualche briciola di pane che trovava nei cestini dei militari.

Quindi, una prigionia durata quattro-cinque anni, voi forse non potete capire i sentimenti di uomini, e delle mamme, dei padri, ecc., che erano in attesa di notizie... Quando si diventa prigionieri, non è che tu sei libero di fare quello che vuoi: sei dentro un reticolato, e là vivi, e ti portano al lavoro, di giorno, a fare magari i fossi per i viveri che lì c’erano, magari, e poi ti davano quel poco che ti spettava... Noi, dall’inizio, senza viveri, senza vestiario, senza niente, siamo riusciti a fare delle vere centrali, bene allineati, ben inquadrati, acquistando l’ammirazione di tutti i generali dirigenti, perché erano così ben fatte che ognuna portava il nome: via Roma, via Firenze, a seconda di chi era la piazza...

Comunque, di là siamo partiti con una nave - che io manco ricordo esattamente il nome - e siamo andati attraverso il Mediterraneo, attraverso lo stretto di Gibilterra; e siccome c’erano i sottomarini tedeschi, che davano la caccia alle navi, fummo costretti ad andare verso l’America, oltre le Azzorre, nell’Atlantico; poi siamo andati sù, sù, verso il Mare del Nord, e ci hanno portati in Scozia, in una cittadina che si chiamava Bers, e di là, poi, in treno, da prigioniero, in Inghilterra, fino a Londra... E là sono rimasto per anni.

Voi non lo sapete nemmeno, avevo ancora... (non si sente bene) ...anni, quando sono stato chiamato alle armi, alla visita medica...”

(Il signor Innocenzi è costretto dall’emozione a interrompersi per un po’).

 

“...Io, invece, so’ partito volontario, volontario perché ero un esaltato; ero matto, perché allora c’era il duce, il fascista, ma io credevo nella mia Patria, credevo che questa guerra fosse una guerra davvero utile, perché... La Libia ce l’avevamo, le colonie e l’impero ce l’avevamo; volevamo poi la Savoia, volevamo altre cose, credevamo che fossero tutte cose necessarie, tanto da far scoppiare la guerra.

Quando mi sono arruolato, la guerra era già scoppiata. Così partii volontario. E prima di partire c’era un cavallo bianco, e sopra c’era Mussolini - che voi non avete conosciuto - che a cavallo passò in rassegna noi, perché noi eravamo chiamati Battaglioni M... Due parole sole, disse:

«Avete paura del fuoco?»

«No!» rispondemmo.

Avete capito cos’era il fuoco?... Era la guerra!

Siamo stati un paio di mesi e più, prima di andare in guerra. Sono stato a Lecce, a Catania, poi in aereo a Tunisi, in Tunisia. E mentre in Italia c’era la fame - non c’era pasta, non c’era niente, perché l’autarchia del duce era quella: ci dava un etto di pane, e con quel panino dovevi rimanere tutta la giornata! - arrivando a Tunisi, invece, dove l’autarchia non esisteva, e al vedere un forno pieno di pane - molto anche alla francese, lo davano via così! - noi siamo rimasti, da ragazzi, impressionati: «Ma come, qua c’è il pane?!» E siamo andati a prendere d’assalto il forno! E la cosa che incuriosiva tutti, anche gli Arabi, era che noi avevamo fame e quindi ci mangiavamo due-tre filoni, da ragazzi... Questa fu una giornata particolare, ma... la guerra, lo sapete voi come si fa? A noi ci dicevano di andare sotto... di mettere una bomba sotto... Una cosa tremenda!”

(Ancora una volta, il signor Innocenzi è costretto a interrompersi).

 

“...Ero volontario, ma fortunato; fortunato nel senso che... Io sono stato uno dei fortunati, con me c’erano altri, dei Rovianesi come Alfani, ed Ernesto, che adesso vive ad Arsoli ed era camionista. Lui portava da mangiare, durante la guerra, e solo allora potevi gustare un brodo con due cannulicchi e una gavetta mezza di sabbia e mezza d’acqua e di brodo, e allora tu dovevi fare la cernita! E quando in Africa e in Asia tirava un vento che... Sarebbe a dire un vento infuocato e violento, che sposta perfino le dune del deserto! L’ansia... E la sabbia era contro tutti, hai capito? Contro tutti! Quindi eri costretto a fare una vita... E quindi non potevi nemmeno respirare. Comunque, là, l’aria, io per conto mio dico che era cattiva...

Lì ho incontrato una colonna di carri armati, e loro contro di me, e io avevo soltanto una mitragliatrice, e allora che facevi? Questi carri armati, che erano a centinaia, tu li facevi saltare; e più li facevi saltare, più vedevi che ne spuntavano altri: venti, trenta, erano a centinaia! Centinaia! Avevano i cannoni calibro 88: erano spaventosi!

E però la cosa più bella che ho visto, durante una di queste ritirate, mentre ero buttato dentro un fosso, fu che vidi il Colosseo in miniatura! Che era un Colosseo fatto dagli antichi Romani Cartaginesi. E ancora esiste, è bello e piccolino, ma bello come il Colosseo nostro! Tanto che, durante i bombardamenti, mi dissi: «Meno male che sono a Roma!» Invece no, stavamo là in guerra!

Comunque, questa è la guerra, quella che porta tutte le più grosse conseguenze, tutte le cose più gravose: distruzione di case, di città, di merci, di soldi... E non si sa chi vince, perché, ecco che l’America e l’Inghilterra, così forti e così potenti rispetto a noi perdenti, oggi si trovano allo stesso equilibrio... La nostra perdita è servita forse poi, per i politici, a salvarci dal disagio, dal disastro che era uscito fuori dalla guerra... E le più belle casette - sennò c’era Roviano vecchia, perché queste erano le prime casette, prima della guerra... - e pensa un po’ che oggi ci sono i grattacieli, e quindi bisogna chiamarsi anche fortunati... E quindi scegliete bene gli amici, e se volete un tesoro cercate un amico, quello che meglio di voi sa fare le vostre spese: queste son le parole che sempre mamma mi ha detto...”

(Il signor Innocenzi si interrompe).

 

“...Comunque in Inghilterra ho vissuto altri tre-quattro anni, mentre mamma era a casa che aspettava e io non sono mai arrivato, anche se scrivevo, potevi scrivere almeno una volta al mese, e ci passavano una cartolina, però la posta arrivò esattamente quando finì la guerra.

L’Italia prima stette con la Germania e con il Giappone contro l’America e la Francia, poi l’Italia divenne collaboratrice di queste nazioni, che avevano vinto la guerra, e la guerra finì... Evviva i Russi! E mentre questi si dividevano il mondo, chi vince vince, chi perde perde, e chi perde perde tutto.”

 

Commento: il signor Innocenzi ha parlato con noi molto gentilmente e si è commosso: è stata per noi una bella esperienza.

*

Bernardino Crialesi

(pensionato, nonno della nostra compagna Ombretta Tarquini)

 

Il signor Crialesi ha scritto queste note di suo pugno ed è voluto venire personalmente a scuola a leggercele e a commentarle. Ma, una volta qui, per l’emozione che questi ricordi suscitavano in lui, non se l’è più sentita di farlo e le ha affidate al nostro professore. Noi qui le abbiamo trascritte fedelmente, togliendo solo poche righe di storia generale della Seconda Guerra che egli aveva creduto opportuno inserire nella propria narrazione, ma che andavano al di là dello scopo di questa ricerca.

 

Era l’agosto del 1939, quando le camicie nere fasciste di Mussolini partirono per l’Eritrea. Molti giovani Rovianesi si trovarono nella brigata 23 marzo. Si sussurrava la guerra, e nell’anno successivo, il 1940, nel maggio che risvegliava i cuori arrivarono le prime cartoline di richiamo. Molti giovani Rovianesi andarono o a Frosinone o a Perugia, a formare i nuovi Battaglioni 108 e le Brigate Garibaldi. Tutti giovani tra i ventuno e i trent’anni.

Il 10 giugno 1940, alle ore 15 e 30, le campane rovianesi e di tutta Italia suonarono lo squillo della guerra; le mamme e le sorelle piangevano per Roviano in tono di silenzio: guerra.

Roviano viveva a bollettini di guerra annunciati da Mario Appelius. E nell’ottobre 1941, sul fronte greco-albanese, ci furono il primo morto rovianese e tre feriti. Si viveva con il cuore chiuso e disperando. Le prime camicie nere partite nel 1939 non davano più notizie alle famiglie, ma solo il soccorso, il sussidio di quattro soldi ogni quindici giorni.

Roviano viveva di agricoltura, si lavorava la campagna e le risorse della fatica contadina si accumulavano nelle cantine per vivere. Lavoro poco, nell’edilizia. Studi pochi, solo la quinta elementare. Nel 1942, con la primavera e le piogge, la pianura rovianese si allagò. Il popolo non la potette coltivare e le risorse per vivere non si produssero. Arrivarono i pensieri, per vivere, per le famiglie che non avevano da mangiare. Il Governo italiano dava un etto di pane e venti grammi di pasta al giorno per mezzo delle tessere annonarie, che ben presto non arrivarono più neanche quelle. Dominavano drittoni e affaristi, vivendo di borsa nera. Le povere mamme si dedicavano a vendere biancheria in cambio di grano e granturco, che, pur essendoci le mole per macinarlo, erano proibite, e quindi si dedicavano, con macinini da orzo e da caffè, a macinarlo per farci la pizza al fuoco, per alimento. I tanti soldati rovianesi non davano notizie alle famiglie, posta non arrivava, la guerra era in rotta, prigionieri oltre mare molti, bollettini di guerra sballati. Si arrivò al 1943, l’anno in cui il 19 luglio le fortezze volanti alleate bombardarono Roma alle ore 11. Il popolo romano subì circa 3.000 morti, e fra questi cinque Rovianesi. Lo scompiglio fu per scappare nei paesi, Roviano si riempì di sfollati e di Rovianesi che vivevano a Roma...

...Dopo l’armistizio, gli ex-alleati tedeschi invasero l’Italia e l’esercito si sciolse. I soldati non sapevano che fare. Senza cibo, le strade erano minate e piene di armi e munizioni buttate dai soldati. Le grotte di Roviano erano piene di mine anti-carro e proiettili di cannoni e mitragliatrici, tanto è vero che tre ragazzi di Roviano, per la polvere che gli scoppiò tra le mani maciullandoli, morirono orribilmente tutti e tre. La fame infuriava, le risorse non c’erano. La Finanza creò un magazzino di stoffe nel Collegio di Maria Immacolata di Roviano, che dopo poco tempo fu invaso dai Tedeschi chiamati dai fascisti, che non volevano: e una sera ci fu una guerra di... e a suo tempo portarono via tutta la stoffa: le donne rovianesi strappavano dai camion lenzuola e coperte per le strade di Roviano.

Il primo bombardamento di Roviano fu nel novembre, quando apparecchi caccia-bombardieri volevano abbattere il Ponte Nuovo della ferrovia, ma non vi riuscirono.

Il popolo rovianese non aveva risorse, mancava il sale, di cui si seppe che con esso scambiavano farina (un chilo di sale per tre chili di farina). Io facevo il militare a Tarquinia, dove c’erano le saline, ed in tre ci dedicammo ad andare a Tarquinia a piedi per prendere il sale - che tra andare e ritornare erano sei giorni - per portarlo nei paesi all’intorno, verso l’Abruzzo, per scambiarlo con farina di grano e granturco ed altra roba da mangiare. I Rovianesi si accorsero dei viveri e si creò un viavai di Rovianesi a Tarquinia, e poi, sapendo che c’erano magazzini di altri generi da vivere, si arrivò ad Orbetello e a Porto Ercole, e con quello si viveva.

Dopo, poiché la guerra continuava e i bombardamenti si avvicinavano, le campagne si coltivavano a salti di paura. Al Collegio di Maria Immacolata i Tedeschi ci fecero l’ospedale e si creò un viavai di camion della Croce Rossa. Di notte gli apparecchi alleati gettavano razzi luminosi per vedere gli spostamenti delle truppe tedesche, e il 24 maggio 1944, alle ore 11, fortezze volanti anglo-americane bombardarono Roviano: ci furono un morto e tre feriti, con bombe inesplose, la chiesetta di Sant’Antonio e l’asilo non erano ancora stati distrutti. Io, Innocenzi Francesco e Alfani Quirino, pilota in licenza, portammo i primi soccorsi ai feriti, e dopo poco arrivò il nostro parroco Mario Sorgenti con i sacramenti, per vedere i gravi, ma non c’erano. Dopo poco scoppiarono le bombe inesplose e distrussero la chiesetta di Sant’Antonio e parte dell’asilo. Fu allora che i Rovianesi si rifugiarono nella galleria della ferrovia, perché i treni non passavano più, e ci rimasero per ben quaranta giorni, tra fumo di galleria, pidocchi e pulci, tanto che si arrivò a vedere gente irriconoscibile per la sporcizia. Senza gabinetti per i bisogni corporali. Allora pensammo di fare due gabinetti fuori, con pozzo e copertura di frasche e tavole, ed ogni due giorni si coprivano di terra le feci. Ci dedicavamo ai riti religiosi dentro la galleria, col nostro parroco Mario Sorgenti, e così passavano giorni d’ansia e d’attesa.

All’improvviso gli alleati ruppero la resistenza tedesca, marciando alla liberazione dell’Italia, ed ai primi di giugno del 1944 si sentirono le camionette che arrivavano verso il nostro territorio rovianese. Io, che ero ansioso di sapere, una sera sono andato con un amico verso un casale dove c’era il Comando tedesco: ci presero per spie e ci piantonarono per ucciderci, ma un capitano austriaco ci fece rilasciare. La notte si sentiva il rombo delle armi, e l’8 giugno 1944, alle 14 e 30, si sentirono i primi carri armati, verso Marano Equo, che avanzavano con colpi di cannone. Fu allora che mi dedicai alla liberazione di Roviano, verso l’Immagine, ma un carro armato alleato mi fece segno a tre o quattro raffiche di mitra; ma, non avendo io risposto al fuoco, dissero: “Civili!” e di corsa ci abbracciammo. Un ufficiale canadese ci diede delle pizzette di farina. Poi - loro a terra per guardarsi dalle mine - io e un altro e un certo Secondo dedicammo il carro armato alla liberazione di Roviano, al suono delle campane. Il popolo era dentro, ancora in galleria, entusiasmato dall’avvenimento, ma non gli diedero il permesso di uscire ancora per qualche giorno, a causa del passaggio delle truppe...

...In Roviano il Comando alleato fece Sindaco provvisorio Capelli Gino, ex-capostazione. Si riformarono il partito socialista, il partito comunista e la democrazia cristiana. Si doveva nominare il Sindaco, non si sapeva come fare la scelta. Dopo molte riunioni del Comitato di Liberazione (composto da me e da Maggini Erminio per il PSI, da Scacchi Getulio e Scacchi Angelo per il PCI, e da Battisti Quinto e Marchionne Stanislao per la DC) a scrutinio segreto fu scelto Scacchi Getulio, comunista. Si riformarono la Lega contadina per la ripartizione delle terre, la Camera del Lavoro per i diritti dei lavoratori, Cooperative agricole e di consumo. Si celebrò la prima festa del Primo Maggio, nel 1945, con la bandiera rossa del 1919 nascosta ai fascisti, e insieme alla musica rovianese risuonò di nuovo l’Inno dei Lavoratori. Si propose la ripartizione tra i contadini dei prodotti ricavati dalle proprietà del principe Brancaccio. Nel 1947-48 ci furono le prime elezioni per il Consiglio Comunale, e Socialisti e Comunisti vinsero uniti.

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