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Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca

 

Riconosci i falsi Insegnanti

 

E una!

E due!

E tre!

E quattro!

E cinque!

E sei!

E sette!

E ottooooooooooooooooooooooo!

I testi contenuti in queste pagine sono di fantasia: ogni apparente riferimento a persone reali o realmente esistite è del tutto casuale!

 

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2. Il Grande Muro Nero

 

Bengt Ekerot ne "Il settimo sigillo", di Ingmar Bergman (1957).

 

L’insegnante è in classe, ma è come se non ci fosse. C’è, ma non si vede. È il Grande Muro Nero. L’uomo senza volto. O, più raramente, la donna.

 

Forse il peggiore dei falsi insegnanti, lo riconosci subito: gli manca la faccia. La prima volta che lo vedi, già sei a disagio. Ti accorgi che ti sembra di vederlo, ma in realtà non vedi alcunché. Ben presto senti di non poter più guardarlo, ti dà troppo fastidio. Se qualche volta sei costretto ad alzare gli occhi su di lui, non vedi l’ora di riabbassarli. Il tuo sguardo non trova niente a cui appigliarsi, i tuoi occhi scivolano sui suoi lineamenti come su una buia parete di vetro, la tua mente si sente svanire... Come capirlo? Che cosa farsene? A che serve? Non si sa. Se insegna, è come se non insegnasse. Se conosce la materia, è come se non la conoscesse. Se spiega, le parole e le frasi si capiscono, ma è impossibile estrarne un significato. È come aver di fronte una muraglia. Nera. Non il nero delle matite colorate, così pastoso. Non il nero della notte, così riposante. Non il nero delle olive, delle seppie, degli occhi e dei capelli di una bella mora. Solo il nero che vedresti nel Nulla, se il Nulla avesse un colore.

 

Eppure tra le spalle, quando l’hanno fatto, gli hanno infilato un collo. Eppure su quel collo poggia una testa che non ciondola, che non sembra una boccia lì lì per cadere. Eppure in quella testa si aprono due occhi e una bocca, ne spuntano un naso e due orecchie. Ma è lo stesso, è come se  non ci fossero: non formano una faccia.

 

Avere a che fare col Grande Muro Nero è come aver a che fare con una macchina, con un computer, con un robot. Anzi, no, è mille volte peggio! Poiché con quegli arnesi, se impari a servirtene, ci puoi fare mille cose belle, divertenti, o almeno utili e produttive. Mentre con lui, con questo falso insegnante, assolutamente niente. Non ha tasti, non ha manopole, non ha mouse. Impossibile interagire! Impossibile qualsiasi rapporto, né umano né altro! Puoi solo vederlo entrare e uscire, sempre uguale e misurato, sempre preciso e identico, come un’amara goccia d’acqua rugginosa e imbevibile che esce da un rubinetto irreparabilmente guasto e si può solo udire, udire, udire fino a sentirsi bucare i timpani e la corteccia cerebrale. E da quando entra a quando esce puoi sforzarti di guardarlo, certo, e di tanto in tanto ci riprovi, ma ogni volta finisci col sentirti male. Poiché in lui, non essendoci alcunché da vedere, ti sembra di non poter trovare niente da fantasticare, niente su cui possa posarsi la tua mente per sentirsi umana...

 

Avrà mai avuto un’espressione, il Grande Muro Nero? Certo che sì! Nessuno nasce senza, non dimenticarlo. Abbi pietà di lui, prova a immaginarlo quand’era ragazzo o bambino come te, quando ancora sorrideva, rideva, si rabbuiava, piangeva, tornava a sorridere, faceva smorfie d’ogni sorta a chiunque avesse voglia di stare a guardarle. Quando ancora erano vivi e vivaci, in lui, i tratti del viso che oggi non riuscirebbe a smuovere neanche afferrandoli e torcendoli con le sue stesse dita. Prova a immaginartelo a quei tempi! Non per lui, ma per te stesso. Poiché così il Grande Muro Nero si aprirà un pochino, almeno dinanzi agli occhi della tua mente, e tu avrai finalmente qualcosa da vedere, guardandolo entrare, sedersi, stare, alzarsi e uscire come se fosse ancora vivo. Potrai narrare a te stesso la sua storia, che egli non conosce, e così sentirti umano a dispetto suo. A dispetto di questo falso insegnante che se potesse s’indispettirebbe, per non essere riuscito a impietrirti.

 

Un tempo, per qualche tempo, anche lui ebbe una faccia. Ma poi la fece sparire. La cancellò, con immensa pena, per non mostrar sentimenti a chi glieli faceva sentire mostruosi. Per non lasciarli vedere alle Streghe, che lo facevano arrossire di provarli. Ai Capri Giulivi, che li capivano sempre all’inverso. Ai Grandi Muri Neri, sui quali andavano a sbattere, si ferivano e infine s’infrangevano come biglie colorate, troppo belle per rimanere sane in un mondo di dure pareti e spuntoni di ferro arrugginiti, contorti, inespressivi. O che forse qualcosa esprimono, sì, qualcosa dopo tutto la raccontano: la rovina che li rese tali. Troppo brutta, da guardare e capire, agli occhi di un bambino o di un ragazzo come te. Che giustamente non la vedi, non la concepisci, non l’accetti. Che non vuoi ammettere che si possa ridursi così e poi andar in giro a far paura ai bambini e ai ragazzi nelle pubbliche (e private) scuole.

 

Anche lui, sì, ebbe un tempo una faccia, per incredibile che possa sembrare a chi tenta invano di sorprenderne una nel deserto del suo volto di oggi. Ma a furia di nasconderla a chi ogni volta gliel’azzannava, pezzo a pezzo se l’è smozzicata tutta, di fuori e di dentro. Fino a raggiungere sotto la carne viva i sentimenti che le davano vita, e lì a rintuzzare, soffocare e far sparire anch’essi, piano piano, perché non c’era niente da fare: per quanto li nascondesse, gli Stregoni li vedevano sempre e glieli tramutavano in fiele, le Capre Giulive li fraintendevano e cominciavano a dar cornate, sugli spuntoni sporgenti dai Grandi Muri Neri s’infilzavano e restavano appesi a sanguinare e soffrire... E allora meglio cauterizzarli, di dentro e di fuori. Meglio non sentire più niente. Meglio niente.

 

Oggi, dopo anni e anni di duri sforzi contro sé stesso, finalmente è un Grande Muro Nero anche lui. Non ha più cuore. Né fegato. Né altro. Non ha più faccia. Solo una liscia e buia parete inespressiva, sempre uguale. Tu lo guardi, qualche volta, vincendo il profondo disagio che suscita in te; lo vedi, lì, dietro la cattedra, quasi sempre immobile, avaro di ogni forma di movimento come se la più piccola scossa potesse ancora lasciar trasparire quel che invece non dovrebbe più temere di mostrare, poiché in lui da gran tempo non c’è più. Lo guardi, lo vedi. Lo capisci, anche se non ti accorgi di capirlo. E ti spaventa, anche se non avverti la tua paura. Senti, anche senza saperlo, che potrebbe farti molto male. Se fai come lui, e della sua esistenza e presenza te ne infischi come lui se ne frega della tua, cominci quasi subito ad assomigliargli. Se non fai come lui, e soffri per la sua povera vita inumana e per quel suo starsene lì come una muraglia che niente ti dà e ti respinge senza donarti nemmeno un po’ di rabbia, allora ogni volta che entra in classe è come se ti accoltellasse senza accorgersene, ogni minuto che trascorre alla cattedra è come se ti sputasse in faccia senza alcun disprezzo, solo perché ha troppa saliva in bocca e tu sei lì, proprio dove lui la espelle senza vederti. In ogni modo, qualunque sia la tua reazione, il Grande Muro Nero ti fa male. Non è possibile ferirlo, poiché non ha pelle. Non è possibile andar d’accordo con lui, poiché non vuol niente da te. Non è possibile ribellarsi, fare il cattivo, poiché la paura che non sai di provare te lo vieta senza che tu sappia il perché. Non è possibile ucciderlo, poiché è già morto. Si può soltanto provare a resistere finché l’anno finisce e lui se ne va senza alcun dispiacere di lasciarti, poiché tu per lui non sei mai esistito. Si può solo provare a resistere, pur soffrendo, con la stupenda forza dei bambini e dei ragazzi che ogni volta che cadono si rialzano, e dopo un attimo tornano a giocare.

 

Ti dice mai qualcosa d’interessante? Generosamente, tu rispondi di sì. Ma poi, riflettendo, comprendi che anche quelle volte, in realtà, niente ti viene da lui. Che sei tu a interessarti, tu a immaginare e a vedere, tu a capire e a sviluppare. Lui non se ne accorge, non sa mai se ti ha colpito o no, non sa se quel che dice e fa resterà in una mente e in un cuore o sparirà come in un abisso senza fondo. Non ne ha idea, non se lo domanda, non gli interessa. Tu non ci sei, per lui. Le cose che insegna e spiega non esistono, non gliene importa, gli si riformano in bocca come crosticine di muco nelle narici e senza accorgersene se le tira fuori anche in pubblico per abitudine inconscia. Se assistessi ai consigli di classe, lo vedresti a bocca aperta dinanzi ai colleghi che si appassionano, s’impegnano, si scannano, si preoccupano, si rallegrano, gioiscono per delle cose che per lui non stanno né in cielo né in terra. Ma anche quella bocca aperta è solo un riflesso meccanico, un rictus inconsapevole. Non corrisponde a una possibilità di crisi, non autorizza a sperare che prima o poi si riprenda, torni a colorirsi, gli batta di nuovo il cuore, faccia ridere di sollievo chi gli vuole bene. E del resto, chi mai gli vuol bene?

 

Eppure talvolta anche il Grande Muro Nero sembra a un tratto animarsi. Prodigioso spettacolo, che sbalordisce gli astanti e commuove i più ingenui tra essi, che si sentono in colpa per averlo dato per morto e magari ― ahi loro! ― riprendono le sue vane e dolorose ricerche... A un tratto, mentre conversa del più e del meno con un bidello o un collega, eccolo accalorarsi parlando della differenza tra il grigio metallizzato delle Fiat e quello delle Volkswagen, o della preparazione del pesto alla genovese, o dell’esatta interpretazione dell’ultima circolare ministeriale (che al solito non vuol dir niente) o di qualche altra sciocchezza a cui una persona normale faticherebbe ad appassionarsi anche se ne andasse della vita. E tu, sbalordito e incredulo, te ne stai lì a domandarti come sia possibile che quest’uomo torni di quando in quando a manifestare una parvenza di emozione per argomenti insulsi come quelli, e poi sia capace di sedere in cattedra per mesi e per anni ― per tutta la vita! ― senza mai provarne alcuna per gli esseri umani, bambini e ragazzi, coi quali potrebbe discorrere di realtà minuscole o immense, passate o presenti o future, fino a farle apparire come per magia anche nell’aula più oscura e ammuffita; coi quali potrebbe ogni giorno salpare per sconfinate stratosferiche circumnavigazioni dell’Universo o muovere timidi passi nei piccoli giardini di fiori e dortiche delle loro vite; coi quali potrebbe per ore e per anni ascoltare e vedere e gioire o soffrire di tutto ciò che gli esseri umani mettono al mondo per non lasciarvi soli i figli e di tutto ciò che altri esseri umani distruggono per renderli orfani... E invece no, non gliene importa un fico secco: impassibile, immobile, seduto o in piedi dinanzi a loro come se anchessi fossero inorganici dentro, il Grande Muro Nero è come se  non ci fosse (ma fa male a chi c’è) finché un minuscolo congegno ad orologeria installato nel suo cuore rinsecchito non lo avvisa che è giunto il momento di mostrarsi vivo per qualche minuto.

 

È forse allora che ti fa più orrore, il Grande Muro Nero. Come quelle vecchie pendole, ferme da anni, che a un tratto in piena notte riprendono ad andare e talvolta perfino suonano, ma orribilmente, come se lo sapessero che l’ora che scoccano sarà l’ultima per qualcuno. Ma poi riflettendo capisci che non può essere, che è tutta una finta: che fin da piccolo quest’uomo ha dovuto imparare che qualche sentimento talvolta doveva pur simularlo, per evitare che anche alla sua impassibilità s’attaccasse per azzannarlo chi già non sopportava neanche il contrario, né questo né quello, né che lui ci fosse né che non ci fosse. Ed egli, perciò, da allora di tanto in tanto finge d’esser vivo affinché nessuno venga a scuoterlo nella speranza che non sia ancora morto. Ma non fa sul serio, non è capace: è solo il fremito che scuote per un attimo il freddo cadavere della rana se l’attraversa una scarica elettrica.

 

Quasi sempre è così. Ma ciò non significa che il Grande Muro Nero, questo falso insegnante che forse è il più falso di tutti, un giorno o l’altro non possa azzannare a sua volta. Poiché non è tutto di pietra, anche se lo sembra. Poiché c’è ancora, dietro l’impenetrabile muraglia del suo viso senza faccia, molto in profondità, un residuo, un omuncolo, un mostriciattolo delle mille variopinte emozioni che un tempo anche quest’uomo provava. E il mostriciattolo è la rabbia che, quando meno te l’aspetti, può suscitare in lui la vista e la consapevolezza della tua gioia di vivere. L’odio che puoi ispirargli se involontariamente gli rammenti quel che ha perduto per sempre. Allora è pericoloso, c’è caso che scleri, sta’ ben attento! Non perché possa addirittura attentare alla tua vita, non preoccuparti ― i cosiddetti raptus omicidi, di cui leggiamo talvolta sui giornali, che di punto in bianco tramutano in feroci squartatori dei placidi individui, non possono verificarsi senza che sia prima a lungo marcita unaffettività che nel Grande Muro Nero è congelata da un pezzo ― ma perché da quel momento, senza che neppure se naccorga, in lui fermenteranno a poco a poco contro di te delle ridicole, meschine, improvvise vendette: una piccola, gelida sfuriata; un insensato e lagnoso divieto; una frasetta velenosa e brutale; un votaccio per un’imperfezione che in altri non noterà nemmeno... Scimunitaggini da par suo, insomma, ma che potrebbero farti male se ti colgono impreparato. E delle quali un attimo dopo non saprà più niente, è chiaro, come se non le avesse mai commesse, poiché i ricordi e la storia non son cose per lui: non ha più lancette il suo orologio, da quando non han più sangue le sue arterie.

 

Mentre a te, fra qualche anno ― quando qualcuno ti dirà che se n’è andato rammentare la sua faccia e qualcosa che egli abbia detto o fatto ti sarà difficile. E ti dispiacerà, per questo, e da quel bravo ragazzo che sei ti sentirai addirittura un po’ in colpa. Come se avessi tradito qualcuno, dimenticando un Grande Muro Nero.

 

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"Il Settimo Sigillo", di Ingmar Bergman (1957): coi falsi insegnanti è meglio non danzare!

Coi falsi insegnanti è meglio non danzare!

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