Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca
I XV Martiri di Madonna della Pace di venerdì 26 maggio 1944
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ScuolAnticoli ricorda il 25 aprile 1945 con una pagina dedicata ai XV Martiri di Madonna della Pace, che il 26 maggio 1944, solo una settimana prima della Liberazione di Roma e della Valle dell’Aniene, furono assassinati dai nazisti in fuga.
Guardiamoli, guardiamoli tutti (anche se di due non abbiamo foto, purtroppo) ma soprattutto guardiamo i visetti di questi, di diciotto e vent’anni, così giovani da non aver forse mai baciato una ragazza: e poiché non si ricorda se non si sente davvero, immaginiamo di riuscire a incontrarne gli sguardi puliti, addolorati, feriti da un’adolescenza che non aveva avuto che guerra. Affinché d’ora in poi siamo Noi i figli e i nipoti che a Loro furono tolti. Per continuare a resistere, il 25 aprile e sempre. Questo fu il fascismo in Italia. Questo fece in Italia il nazismo che del fascismo era figlio. L’orrore che sempre fa, comunque si chiami e qualsiasi aspetto prenda, chi odia e disprezza l’Essere Umano. |
LA STRAGE DI MADONNA DELLA PACE (AGOSTA) NEL MAGGIO DEL 1944
di Fabrizio Lollobrigida
(da Aequa, 4, settembre 2000, pp 42-44)
Madonna della Pace è una frazione di Agosta, abitata da gente tranquilla, per lo più dedita al commercio, all’agricoltura, legata alla famiglia, alle tradizioni, amante della terra, del lavoro. Una località in provincia di Roma, a cinque chilometri da Subiaco, in una parte molto pittoresca della valle dell’Aniene. Agosta è il comune di riferimento, ma la località comprende territori appartenenti a cinque comuni del comprensorio: Subiaco, Agosta, Cervara di Roma, Canterano e Rocca Canterano. Al centro delle tante abitazioni sparse lungo il fiume e sulle colline coltivate c’è la chiesa con il suo caratteristico campanile a punta, luogo di ritrovo e di incontro di questa popolazione. Ma anche luogo di ricordi belli e brutti, lieti e tristi, come quello che avvenne cinquantasei anni fa in una tiepida giornata di maggio. Un ricordo nient’affatto piacevole, perché a turbare la tranquillità di questa gente accadde qualcosa che nulla potrà mai cancellare dalla loro memoria.
Dunque, correva l’anno 1944 e le truppe tedesche, in ritirata da Cassino, si dirigevano verso il nord percorrendo sia la Casilina sia le strade che attraversano la provincia di Roma, compresa la valle dell’Aniene. Questa loro fuga e presenza nella valle costituiva motivo di attenzione per gli alleati. Inseguiti dalle fortezze volanti americane, i soldati tedeschi si difendevano come potevano, saccheggiando, depredando, uccidendo. Neppure Madonna della Pace sfuggì alla violenza e alla rappresaglia.
Fu così che alle 13,30 di domenica 10 maggio un violento bombardamento si abbatté su questa contrada. La casa di Enrico Pelliccia fu completamente distrutta; la figlia Giuliana, di 10 anni, morì sotto le macerie. Distrutta pure l’abitazione di Giuseppe Cignitti. La cosa tornò a ripetersi la domenica successiva, fortunatamente, questa volta, senza vittime. Purtroppo non così il 24 maggio allorché, nel corso di un nuovo bombardamento, perse la vita Renato Carlini.
Ma l’episodio più grave, quello che gli abitanti di Madonna della Pace rammentano ancora in tutta la sua drammaticità, è rappresentato da quanto avvenne il 26 maggio.
Era di mattina, quando alcuni soldati tedeschi rinvennero ai margini della strada che conduce a Canterano un loro commilitone privo di vita. Senza accertare le cause della morte (nella zona si è sempre creduto che il soldato fosse precipitato da un camion in corsa, spaccandosi il cranio), il comandante della guarnigione ordinò subito un rastrellamento. Diverse pattuglie setacciarono l'intera zona circostante la chiesa e, tra uomini e donne, furono prese in ostaggio 24 persone che vennero concentrate nell’abitazione di Mariano Tozzi: gli uomini in una stanza, le donne in un’altra. Ma prima ancora che il rastrellamento fosse concluso, ci fu una vittima: Giulio Di Roma, 25 anni. Il giovane, malato di artrosi alle gambe, mostrava evidenti difficoltà nel tenere il passo degli altri prigionieri e a un certo momento, vinto dal dolore, cadde sulla strada. I tedeschi, ritenendo che fosse una finzione, dopo averlo ripetutamente percosso, lasciarono partire una raffica di mitra che lo uccise all’istante. Di fronte a tale agghiacciante spettacolo, Felicetto Di Roma, fratello di Giulio, approfittando di un attimo di smarrimento dei tedeschi dovuto anche al passaggio di un aereo alleato, si gettò in un burrone, finendo nel fiume Aniene, dove rimase nascosto tra la vegetazione per parecchie ore.
Concluso il rastrellamento, intorno alle diciassette furono fatti uscire dall’abitazione di Mariano Tozzi sedici ostaggi, tutti uomini, e vennero condotti verso una radura poco distante dalla casa. La sorte si mostrò benevola con Nazzareno Tozzi, che venne liberato perché durante il rastrellamento era già stato privato dagli stessi tedeschi di due vacche e di un cavallo. Per gli altri, invece, vi fu il crepitio della mitragliatrice e la morte per tutti. Alle donne, chiuse ancora nella casa, restò la disperazione per tanti lutti. Solo al mattino successivo fu concesso loro di recuperare i corpi dei congiunti.
A ritrovarli fu Guerrina, la moglie di Mariano Tozzi: Ecco apparire agli occhi di Guerrina uno spettacolo allucinante: in una pozza di sangue, le vittime giacciono una quasi sull’altra, come in un estremo abbraccio. I corpi che vede hanno il torace trafitto alla stessa altezza, mentre un foro di proiettile nel capo di ciascuno sta a dimostrare l'avvenuto sparo del colpo di grazia (1).
Le donne di Canterano e Rocca Canterano riportarono nei paesi d’origine i corpi dei familiari stesi su improvvisate barelle ricavate da una scala a pioli e coperti con un lenzuolo.
Si era così compiuta una tragedia: 15 cittadini innocenti erano stati immolati sull’altare della libertà mentre sulla radura, da cui si domina Madonna della Pace e che aveva visto compiersi il loro sacrificio, restavano tracce incancellabili del loro sangue.
In quel luogo, all’inizio dell’odierna Empolitana 2, è stato eretto un sacrario per ricordare il sacrificio di: Giulio Di Roma, 25 anni, Domenico Di Roma, 18 anni, Benedetto Di Roma, 56 anni, Arsenio Coluzzi, 45 anni e Gilberto Miconi, 38 anni, tutti di Agosta, frazione Il Barco; Francesco Vareni, 50 anni, di Subiaco; Renato Tomei, 26 anni, di Cervara di Roma, frazione Le Selve; Mariano Tozzi, 78 anni, di Canterano; Francesco Mammoli, 41 anni, Bernardino Micarelli, 78 anni, Torello Micarelli, 33 anni, Ascenzio Monteverde, 45 anni, Bernardino Albensi, 20 anni, Antonio Dari, 20 anni, Tommaso Fioravanti, 18 anni, tutti di Rocca Canterano.
1 - F. Ferrari - F. Lollobrigida, Quel giorno a Madonna della Pace, Roma, 1986, p. 70.
Clicca sulle miniature per ingrandirle!
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3. Francesco Vareni, di Subiaco, aveva cinquant’anni. |
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4. Renato Tomei, di Cervara di Roma (frazione Le Selve) aveva ventisei anni. |
5. Renato Tomei. |
6. Domenico Di Roma, di Agosta (frazione Il Barco) aveva diciotto anni. |
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7. Domenico Di Roma. |
8. Giulio Di Roma, di Agosta (frazione Il Barco) aveva venticinque anni. |
9. Giulio Di Roma. |
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10. Benedetto Di Roma, di Agosta (frazione Il Barco) aveva cinquantasei anni. |
11. Benedetto Di Roma. |
12. Arsenio Coluzzi, di Agosta (frazione Il Barco) aveva quarantacinque anni. |
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16. Francesco Mammoli, di Rocca Canterano, aveva quarantuno anni. |
17. Francesco Mammoli. |
18. Bernardino Micarelli, di Rocca Canterano, aveva settantotto anni. |
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19. Bernardino Micarelli. |
20. Tosello Micarelli, di Rocca Canterano, aveva trentatré anni. |
21. Tosello Micarelli. |
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22. Ascenzo Monteverde, di Rocca Canterano, aveva quarantacinque anni. |
23. Ascenzo Monteverde. |
24. Antonio Dari, di Rocca Canterano, aveva venti anni. |
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25. Antonio Dari. |
26. Tommaso Fioravanti, di Rocca Canterano, aveva diciotto anni. |
27. Tommaso Fioravanti. |
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28. Gilberto Miconi, di Agosta (frazione Il Barco) aveva trentotto anni. |
29. Bernardino Albensi, di Rocca Canterano, aveva venti anni. |
30. Bernardino Albensi. |
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I soldati germanici al mattino rinvennero lungo la via Empolitana, vicino al ponte di ferro che scavalca l’Aniene, il corpo di un loro soldato la cui testa recava i segni prodotti da un corpo contundente. Scattò immediatamente la vendetta: rastrellamento di civili per trovare il colpevole e fucilazione di essi, in quanto i tedeschi supposero che fossero stati dei partigiani locali ad ammazzarlo. Il comandante del reparto, dopo che i militari, armati fino ai denti, spararono raffiche di mitra per intimorire la popolazione della frazione, ordinò il rastrellamento delle colline circostanti.
I primi a essere catturati furono i componenti della famiglia di Mariano Tozzi, che abitava lungo l’Empolitana. I quali, condotti nel vicino luogo dove giaceva il cadavere del soldato, si sentirono rivolgere le seguenti parole: “Camerata nostro essere stato ucciso da bestie civili italiane fuggite. Ma noi oggi fare kaputt di voi”. Intanto obbligarono Mariano a scavare la fossa e poi due delle tre figlie a trasferirvi il suo cadavere. Mentre gli altri tedeschi, che avevano battuto palmo a palmo i terreni vicini, nel giro di alcune ore catturarono altri cittadini, uomini e donne, di Subiaco, Cervara, Canterano, Rocca Canterano e Agosta. I quali, come ostaggi, furono chiusi in una stanza del piano superiore dell’abitazione di Mariano Tozzi e invitati dal comandante a fare il nome di chi aveva ucciso il soldato.
Il comandante ritornò dopo mezzogiorno e, fatti allineare gli uomini da una parte e le donne e i bambini dall’altra, rivolse loro l’ultimo perentorio invito a “parlare”, dando tempo a tutti fino alla sera.
Dopo qualche ora, a passo cadenzato, arrivò un plotone di militari.
Al tramonto si ripresentò il comandante. Poiché nessuno gli diede spiegazioni, ordinò agli uomini di seguirlo ed essi furono spinti fuori dai soldati, mentre le mamme e le spose, in preda alla disperazione, cercavano di aggrapparsi ai loro cari in un ultimo tentativo di salvarli. Ma vennero furiosamente respinte nella stanza.
I soldati del plotone di esecuzione spinsero gli ostaggi in una piccola radura, a pochi metri dalla casa di Mariano Tozzi, e pochi minuti dopo consumarono l’orrendo crimine. Tre scariche di mitraglia giunsero alle orecchie delle poverette, seguite da colpi secchi di pistola. Solo Nazareno Tozzi all’ultimo minuto venne lasciato libero dai tedeschi perché, durante il rastrellamento, era stato privato di due mucche e di un cavallo.
Ma la tragedia continuò quando un soldato improvvisamente comparve nella stanza in cui erano ancora prigioniere le donne. Sorreggeva la testa insanguinata di un vitello, mostrandola loro con aria di sfida. Poi entrarono altri soldati in preda all’alcol, due dei quali si avvicinarono alle ragazze protendendo le braccia e tentando di forzarle a seguirli. In un attimo si scatenò un putiferio: le madri inveirono contro i tedeschi e urlando e strepitando cercarono di frapporsi tra loro e le figlie. Poi un ufficiale si avvide del trambusto e, entrato nella stanza, bloccò l’azione dei suoi subalterni...
(Da Luigi Caronti, Subiaco nel biennio più tragico della sua storia plurisecolare, Subiaco, 1996).
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