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Ricordi Immaginari - Spiegare un Film a un Bambino

 

Il vecchio e il mare

 

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Titolo: Il vecchio e il mare.

Titolo originale: The old man and the sea.

Regista: John Sturges.

Scrittore: Ernest Hemingway.

Paese di produzione: U.S.A..

Anno di produzione: 1958.

Attori principali: Spencer Tracy (Santiago, il vecchio), Felipe Pazos (Manolin, il ragazzo).

Durata: 1h 26’.

 

Lo scrittore

Ernest Hemingway

 

Il regista

John Sturges

 

Il film

 

Ernest Hemingway amava molto l’isola di Cuba, dove si recava spesso per la pesca del pesce-spada, per ascoltare i racconti dei pescatori e per scrivere. Fu a Cuba che conobbe Gregorio Fuentes, l’anziano pescatore che gli ispirò la figura del protagonista del Vecchio e il mare, e fu a Cuba che portò il regista John Sturges, suo compaesano, quando egli accettò di trarre dal racconto un film con Spencer Tracy.

Il film è una fedele “trascrizione” in immagini dell’opera, realizzata con perizia da quell’abile artigiano che fu Sturges, ma deve gran parte del suo fascino, oltre che al valore intrinseco del racconto, all’interpretazione straordinaria di Spencer Tracy.

“In una storia di questo genere era facile rintracciare ogni sorta di simbolismo; e naturalmente Hemingway si difese, con buona grazia che col tempo andò sempre più somigliando a una grazia non poi tanto buona, respingendo una dopo l’altra le varie proposte dei critici, dall’affermazione che lo scrittore aveva voluto ritrarre la malvagità della natura all’etichetta di naturalista (un trattamento naturalistico avrebbe descritto in un migliaio di pagine gli aspetti sociologici di Santiago e degli abitanti del villaggio, mentre le poche pagine di questo libro hanno descritto l’esperienza di Santiago con tanta esatta immediatezza da farla diventare parte dell’esperienza del lettore stesso), finché dichiarò apertamente che il segreto del romanzo consisteva nel fatto che non c’era nessun simbolismo e l’emozione era creata esclusivamente dall’azione. [...] Quando un pescatore, dopo aver letto la recensione di un giornale dell’Havana, gli chiese che cosa volesse dire simbolismo, Hemingway gli rispose: ‘Il simbolismo è un nuovo trucco degli intellettuali’” (Fernanda Pivano, introduzione all’edizione Oscar Mondadori de Il vecchio e il mare nel 1972).

Il commento di Luigi Scialanca

 

Un vecchio ed esperto pescatore, solo al mondo, “da ottantaquattro giorni ormai non prende un pesce”. Gli altri pescatori lo canzonano, tranne i più vecchi, che “lo guardano e si sentono tristi”, e un ragazzo che lo stima ― “ci sono molti pescatori bravi e alcuni grandi,” gli dice, “ma come te ci sei soltanto tu”. E con il ragazzo, anche se è solo un ragazzo, il vecchio parla e si confida, e ne accetta con discrezione l’aiuto perché, quantunque sia “troppo semplice per chiedersi quando abbia raggiunto l’umiltà, sa di averla raggiunta e sa che questo non è indecoroso e non comporta la perdita del vero orgoglio”.

 

Una notte il vecchio “si addormenta presto e sogna l’Africa quand’era ragazzo e le lunghe spiagge dorate e le spiagge bianche, così bianche da far male agli occhi, e i promontori alti e le grandi montagne brune. Ora viveva tutte le notti lungo quella costa e nel sogno udiva il fragore dei frangenti e vedeva le barche indigene che li fendevano.

 

 

Mentre dormiva sentiva l’odore del catrame e della stoppa del ponte e sentiva l’odore dell’Africa recato al mattino dal vento di terra. [...] Non sognava più tempeste, né donne, né grandi avvenimenti, né grossi pesci, né zuffe, né gare di forza e neanche di sua moglie. Ora sognava soltanto luoghi, e i leoni sulla spiaggia. Giocavano come gattini nel crepuscolo e gli piacevano come gli piaceva il ragazzo. Non sognava mai il ragazzo”1.

 

Allora il vecchio si svegliò e si mise in mare ― quel mare a cui egli “pensava sempre come a la mar, come lo chiamano in spagnolo quando lo amano. A volte coloro che l’amano ne parlano male, ma sempre come se parlassero di una donna. Alcuni [...] ne parlavano come di el mar al maschile. Ma il vecchio lo pensava sempre al femminile e come qualcosa che concedeva o rifiutava grandi favori e se faceva cose strane o malvage era perché non poteva evitarle. La luna lo fa reagire come una donna, pensò”2.

 

Quel giorno, finalmente, all’amo del vecchio abboccò un pesce gigantesco e molto forte, che lo impegnò in un durissimo e terribile combattimento. Alla fine il vecchio trionfò sul pesce, che nel frattempo era arrivato a stimare come un avversario valoroso e leale3, ma la sua lotta e le sue sofferenze non erano ancora terminate: doveva portarlo a terra, e gli squali (né leali né valorosi) avrebbero fatto di tutto per non lasciargliene che lo scheletro.

 

Una storia semplice come il viaggio che racconta e l’obiettivo di esso: andare in mare, riuscire a prendere un pesce e tornare a casa. Ma quel pesce non è uno qualsiasi: è il pesce che salverà il vecchio dalla morte per fame, confermerà la sua immagine di sé e lo farà sentire ancora degno della stima e dell’affetto del solo essere umano con cui è in rapporto: il ragazzo.

 

 

E perciò neanche il viaggio è un viaggio qualsiasi, ma quello che (per quanto spesso si ripeta) ogni volta torna a essere per ognuno il più importante della vita: è l’impresa (grande e unica come la scoperta dell’America o “piccola” e sempre ripetibile come ogni buona riuscita) che dimostra non solo e non tanto agli altri, quanto soprattutto a chi la compie, che è riuscito a conseguire e a mantenere (non solo nelle ambizioni, ma nella realtà) una propria indiscutibile e compiuta perfezione: che è riuscito, cioè, a realizzarsi come desiderava essere. Come una conchiglia, o un leone, o una stella, o l’Universo tutto: solo che per loro è facile, è “automatico”, poiché per diventare come l’evoluzione li ha resi non devono che nascere, crescere, svilupparsi; mentre per noi umani è infinitamente più difficile, perché si tratta anche e soprattutto di riuscire a corrispondere degnamente ai nostri sogni, ai desideri, al nostro mondo interiore. Alla bellezza della nostra umanità.

 

Il vecchio, per esempio, è uno che sogna i leoni (“Vorrei che si addormentasse” dice del pesce durante la lotta, “e che potessi dormire anch’io e sognare i leoni. Perché sono i leoni la cosa più importante che mi è rimasta?”4. E un uomo che sogna i leoni, quando si sveglia e va a fare quel che deve, non può mai assomigliare, neanche per un attimo, a qualcosa di meno forte, di meno fiero, di meno nobile: non può mai essere insetto, o iena, o squalo. Deve arrivare a essere come un leone, un giorno o l’altro, e poi deve rimanerlo: continuare, sempre, a essere all’altezza di quel sogno, o sarà un fallito.

 

Il vecchio ci riesce, ancora una volta: non solo trionfa sul pesce, ma su un pesce degno di lui, grande e forte e saggio come lui. E lo fa senza mai smettere, neanche per un attimo, di esser degno della sua preda e, appunto, dell’umanità che rende bella la sua immagine di sé. È per questo che gli squali non possono sconfiggerlo: gli squali arrivano sempre, non lo si può impedire, fanno parte delle condizioni ineliminabili dell’esistenza allo stesso modo dell’avanzare dell’età che tra non molto fermerà il vecchio per sempre. Ma essi non hanno che il potere di derubarlo, di ferirlo, forse perfino di ucciderlo, non quello di rovinarne e distruggerne la bellezza e la dignità: la perfezione raggiunta dal vecchio può non essere premiata, è vero, ma niente al mondo può annullarla nel suo cuore e in quello di chi gli vuole bene. Egli, ancora una volta, sdraiandosi sul suo letto a riposare e dormire, ha la possibilità e il diritto di sognare i leoni. E il ragazzo, venuto a vederlo con incertezza e trepidazione, ha la gioia di constatare una volta di più che il vecchio è vivo, e che potrà ancora rispondergli.

 

“L’uomo non è fatto per la sconfitta. L’uomo può essere ucciso, ma non sconfitto”5.

 

“Il ragazzo vide che il vecchio respirava e poi vide le mani del vecchio e si mise a piangere. Uscì senza far rumore per andare a prendere un po’ di caffè e lungo tutta la strada continuò a piangere. [...]

 

‘Mi hanno battuto, Manolin’ disse. ‘Mi hanno proprio battuto’. ‘Ma non ti ha battuto lui. Il pesce’. ‘No. Davvero. È stato dopo’”6.

 

“In cima alla strada, nella capanna, il vecchio si era riaddormentato. Dormiva ancora bocconi e il ragazzo gli sedeva accanto e lo guardava. Il vecchio sognava i leoni”7.

 

La parete dei leoni nella grotta di Chauvet.
 


[1] Ernest Hemingway, The old man and the sea, traduzione italiana di Fernanda Pivano, Mondadori, Milano, 1972, pp 23-24.

 

[2] Ibidem, p. 31.

 

[3] “Poi cominciò ad avere pena del grande pesce che aveva abboccato. È meraviglioso e strano e chissà quanti anni ha, pensò. Non mi è mai capitato un pesce così forte e che si sia comportato in modo così strano. Forse è troppo saggio per saltare. Potrebbe uccidermi se saltasse o se si mettesse a correre forte. Ma forse ha già abboccato molte volte e sa che la sua battaglia va combattuta in questo modo. Non può sapere che c’è un uomo soltanto contro di lui, e che quest’uomo è un vecchio. [...] Chissà se ha qualche piano o se è disperato come me? [...] Aveva scelto di restare nell’acqua profonda e scura al largo, fuori di tutte le trappole e le reti e gli inganni. La scelta mia, pensò il vecchio, è stata quella di andare laggiù a scoprirlo al di là di tutta la gente. Al di là di tutta la gente del mondo. Ora siamo legati l’uno all’altro e lo siamo da maezzogiorno. E nessuno dei due ha qualcuno ad aiutarlo” (Ibidem, pp 57-58, 60). “Ricordò una volta che era rimasta presa all’amo la femmina di una coppia di marlin che procedevano insieme. Il maschio lascia sempre nutrire prima la femmina, e la femmina quando abboccò si gettò in una lotta folle, disperata di panico, che presto la ridusse senza forze, e tutto il tempo il maschio le era rimasto accanto incrociando la lenza e roteando con lei sulla superficie. [...] Era bello, il vecchio lo ricordava, e non era scappato. È stata la cosa più triste che abbia mai visto, pensò il vecchio” (Ibidem, pp58-59). “Vorrei poter dar da mangiare al pesce, pensò. È mio fratello. Ma devo ucciderlo e mantenermi forte per farlo” (Ibidem, pp 72-73). “‘Lo ucciderò’ disse. ‘In tutta la sua grandezza e il suo splendore’. Anche se è ingiusto, pensò. Ma gli farò vedere che cosa sa fare un uomo e che cosa sopporta un uomo. [...] Le mille volte che già lo aveva dimostrato non avevano importanza. Ora lo stava dimostrando di nuovo. Ogni volta era una volta nuova, e non pensava mai al passato, quando lo faceva” (Ibidem, pp 82-83). “Spuntarono le prime stelle. Non sapeva che si chiamava Rigel, ma la vide e sapeva che presto sarebbero spuntate tutte e ci sarebbero stati tutti i suoi amici lontani. ‘Anche il pesce è mio amico’ disse ad alta voce. ‘Non ho mai visto e non ho mai sentito parlare di un pesce simile. Ma devo ucciderlo. Sono contento che non dobbiamo cercar di uccidere le stelle’. [...] Poi gli dispiacque che il grosso pesce non avesse nulla da mangiare e il dispiacere non indebolì mai la decisione di ucciderlo. A quanta gente farà da cibo, pensò. Ma sono degni di mangiarlo? No, no di certo. Non c’è nessuno degno di mangiarlo, con questo suo nobile contegno e questa sua grande dignità. Non capisco queste cose, pensò. Ma è una fortuna che non dobbiamo cercar di uccidere il sole o la luna o le stelle. Basta già vivere sul mare e uccidere i nostri veri fratelli” (Ibidem, pp 95-96). “Allora il pesce tornò in vita, recando in sé la sua morte, e si librò alto fuori dell’acqua mostrando tutta la grande lunghezza e larghezza e tutta la sua forza e la sua bellezza” (Ibidem, p. 120). “Sono un vecchio stanco. Ma ho ucciso questo pesce che è mio fratello e ora devo fare il lavoro da schiavo” (Ibidem, p. 121).

 

[4] Ibidem, p. 83.

 

[5] Ibidem, p. 131.

 

[6] Ibidem, pp 155-157.

 

[7] Ibidem, p.161.

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(Le schede di Spiegare un film a un bambino sono per bambini e ragazzi di Quinta elementare, Prima, Seconda e Terza media.

Sono scritte, perciò, il più semplicemente possibile. Ma non sono affatto... semplicistiche.

Vuoi servirtene? Fai pure. Ma non spezzettarle, non alterarle e non dimenticare di citarne l’autore!)

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