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Antonio Gramsci su Giordano Bruno

 

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[...] A proposito della rapidità o meno di parlare dei bambini non ho altro elemento che un aneddoto su Giordano Bruno: - il quale, si dice, non parlò fino all’età di tre anni, nonostante comprendesse tutto: un mattino, al destarsi, vide che da un crepaccio del muro della casupola dove abitava, un grosso serpente si dirigeva verso il suo giaciglio; subito chiamò per nome il padre, che non aveva mai chiamato, fu salvato dal pericolo e da quel giorno incominciò a parlare anche troppo, come sanno anche gli ebrei rivenduglioli di Campo dei Fiori.1

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[...] Nel Saggio popolare2 si nota che Marx adopera l’espressione “immanenza”, “immanente”, e si dice che evidentemente quest’uso è “metaforico”. Benissimo. Ma si è così spiegato il significato che l’espressione “immanenza” ha metaforicamente in Marx? Perché Marx continua a usare questa espressione? Solo per l’orrore di creare termini nuovi? Quando da una concezione si passa ad un’altra, il linguaggio precedente rimane, ma viene usato metaforicamente. Tutto il linguaggio è diventato una metafora e la storia della semantica è anche un aspetto della storia della cultura: il linguaggio è una cosa vivente e nello stesso tempo è un museo di fossili della vita passata. Quando io adopero la parola “disastro” nessuno può imputarmi di credenze astrologiche, o quando dico “per Bacco” nessuno può credere che io sia un adoratore delle divinità pagane, tuttavia quelle espressioni sono una prova che la civiltà moderna è anche uno sviluppo del paganesimo e dell’astrologia. L’espressione “immanenza” in Marx ha un preciso significato e questo occorreva definire: in realtà questa definizione sarebbe stata veramente “teoria”. Marx continua la filosofia dell’immanenza, ma la depura da tutto il suo apparato metafisico e la conduce nel terreno concreto della storia. L’uso è metaforico solo nel senso che la concezione è stata superata, è stata sviluppata ecc. D’altronde l’immanenza di Marx è completamente una cosa nuova? O non se ne trovano tracce nella filosofia precedente? In Giordano Bruno, per esempio, credo si trovino tracce di tale concezione. Conosceva Marx il Bruno? O questi elementi dal Bruno passarono nella filosofia classica tedesca? Tutti problemi da vedere concretamente.3

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[...] È certo che il Cusano è un riformatore del pensiero medioevale e uno degli iniziatori del pensiero moderno; lo prova il fatto stesso che la Chiesa lo dimenticò e il suo pensiero fu studiato dai filosofi laici che vi avevano ritrovato uno dei precursori della filosofia classica moderna.

Importanza dell’azione pratica del Cusano per la storia della Riforma protestante. Al Concilio (di Costanza?) fu contro il papa per i diritti del Concilio. Si riconciliò col papa. Al Concilio di Basilea sostenne la riforma della Chiesa. Tentò di conciliare Roma con gli hussiti: di riunire Oriente e Occidente e persino pensò di preparare la conversione dei Turchi, rilevando il nucleo comune nel Corano e nell’Evangelo. Docta ignorantia e coincidentia oppositorum. Per primo concepì l’idea dell’infinito, precorrendo Giordano Bruno e gli astronomi moderni.

Si può dire che la Riforma luterana scoppiò perché fallì l’attività riformatrice del Cusano, cioè perché la Chiesa non seppe riformarsi dall’interno. Per la tolleranza religiosa, ecc. (Nato nel 1401 – morto nel 1464).4

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Storia degli intellettuali italiani. Il processo di Galileo, di Giordano Bruno, ecc. e l’efficacia della Controriforma nell’impedire lo sviluppo scientifico in Italia. Sviluppo delle scienze nei paesi protestanti o dove la Chiesa era meno immediatamente forte che in Italia. La Chiesa avrebbe contribuito alla snazionalizzazione degli intellettuali italiani in due modi: positivamente, come organismo universale che preparava personale a tutto il mondo cattolico, e negativamente, costringendo a emigrare quegli intellettuali che non volevano sottomettersi alla disciplina controriformistica.5

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[...] Per il Toffanin6, il principio della irreligiosità o della nuova religione non è la via maestra per entrare nel segreto degli umanisti; né vale parlare del loro individualismo, perché “i presunti effetti della rivalutazione della personalità umana” a opera di una cultura, sarebbero tanto più sorprendenti in un tempo rimasto a sua volta famoso per aver “allungata la distanza fra il resto degli uomini e quelli di studio”. Il fatto veramente caratteristico dell’Umanesimo “resta quella passione per il mondo antico per cui, quasi d’improvviso, con una lingua morta si tenta di soppiantarne una popolare e consacrata dal genio, s’inventa, possiam dire, la scienza filologica, si rinnova gusto e cultura. Il mondo pagano rinasce”. Il Toffanin sostiene che non bisogna confondere l’umanesimo col progressivo risveglio posteriore all’anno mille; l’umanesimo è un fatto essenzialmente italiano “indipendente da codesti fallaci presagi” a ad esso attingeranno per farsi classici e colti la Francia e il mondo intero. In un certo senso può chiamarsi eretica quella civiltà comunale del duecento, che apparve in una irruzione di sentimenti e pensieri raffinatissimi in forme plebee, e “inizialmente eretico fu quell’impulso all’individualismo anche se tra il popolo esso prese coscienza di eresia meno di quanto a un primo sguardo si sospetti”. La letteratura volgare prorompente dal seno della civiltà comunale e indipendente dal classicismo è indice d’una società “in cui il lievito eretico fermentò”; lievito, che, se indeboliva nelle masse l’ossequio all’autorità ecclesiastica, diventava nei pochi un aperto distacco dalla “romanitas”, caratteristico fra il Medio Evo propriamente detto e l’Umanesimo. Alcuni intellettuali sembrano consapevoli di questa discontinuità storica: essi pretendono di essere colti senza leggere Virgilio, cioè senza i liberali studi, il cui generale abbandono giustificherebbe, secondo il Boccaccio, l’uso del volgare, anziché del latino, nella Divina Commedia. Massimo fra questi intellettuali Guido Cavalcanti. In Dante “l’amore della lingua plebea, germogliato da uno stato d’animo comunale e virtualmente eretico” dovette contrastare con un concetto della sapienza quasi umanistico. “Caratterizza gli umanisti la coscienza d’uno stacco senza rimedio tra uomo di cultura e folla: ideali astratti sono per loro quelli della potestà imperiale e papale; reale invece è la loro fede nella universalità culturale e nelle ragioni di essa”. La Chiesa favorì il distacco della cultura dal popolo cominciato col ritorno al latino, perché lo considerò come sana reazione contro ogni mistica indisciplinatezza. L’Umanesimo, da Dante a prima del Machiavelli, è una età che sta nettamente a sé, e, contrariamente a quel che ne pensano alcuni, per il comune impulso antidemocratico e antieretico ha una non superficiale affinità con la Scolastica. Così il Toffanin nega che l’Umanesimo si trasfonda vitale nella Riforma, perché questa, col suo distacco dalla romanità, con la rivincita ribelle dei volgari, e con tante altre cose rinnova i palpiti della cultura comunale, fremente eresia, contro la quale l’umanesimo era sorto. Col finire dell’umanesimo nasce l’eresia e sono fuori dell’umanesimo Machiavelli, Erasmo (?), Lutero, Giordano Bruno, Cartesio, Giansenio.

Queste tesi del Toffanin spesso coincidono con le note già da me fatte in altri quaderni. Solo che il Toffanin si mantiene sempre nel campo culturale-letterario e non pone l’umanesimo in connessione con i fatti economici e politici che si svolgevano in Italia contemporaneamente: passaggio ai principati e alle signorie, perdita dell’iniziativa borghese e trasformazione dei borghesi in proprietari terrieri. L’Umanesimo fu un fatto reazionario nella cultura perché tutta la società italiana stava diventando reazionaria.

L’Arezio cerca di fare obbiezioni al Toffanin, ma si tratta di inezie e di superficialità. Che l’età comunale sia tutta un fermento di eresie non pare accettabile all’Arezio, che per eresia intende solo l’averroismo e l’epicureismo. Ma il comune era una eresia esso stesso perché tendenzialmente doveva entrare in lotta col papato e rendersene indipendente. Così non gli piace che il Toffanin ponga tutto l’Umanesimo come fedele al cristianesimo, sebbene riconosca che anche gli scettici facevano ostentazione di religiosità. La verità è che si trattò del primo fenomeno “clericale” nel senso moderno, una Controriforma in anticipo (d’altronde era Controriforma in rapporto all’età comunale). Essi si opponevano alla rottura dell’universalismo medioevale e feudale che era implicito nel Comune e che fu soffocata in fasce, ecc.7

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Rinascimento e Riforma. Cfr A. Oriani, La lotta politica (p. 128, edizione milanese): “La varietà dell’ingegno italiano, che nella scienza poteva andare dal sublime buon senso di Galileo alle abbaglianti e bizzarre intuizioni di Cardano, si colora nullameno alla Riforma [...]. Ma questo moto incomunicato al popolo è piuttosto una crisi del pensiero filosofico e scientifico, naturalmente ritmata sulla grande rivoluzione germanica, che un processo di purificazione e di elevazione religiosa. Infatti Giordano Bruno e Tommaso Campanella riassumendolo, per quanto vissuti e morti entro l’orbita di un ordine monastico, sono due filosofi trascinati dalla speculazione oltre i confini non solo della Riforma ma del cristianesimo stesso. Quindi il popolo rimane così insensibile alla loro tragedia che sembra quasi ignorarla”.

Ma cosa significa tutto ciò? Forse che anche la Riforma non è una crisi del pensiero filosofico e scientifico, cioè dell’atteggiamento verso il mondo, della concezione del mondo? Bisogna quindi dire che, a differenza degli altri paesi, neanche la religione in Italia era elemento di coesione tra il popolo e gli intellettuali, e perciò appunto la crisi filosofica degli intellettuali non si prolungava nel popolo, perché non aveva origini nel popolo, perché non esisteva un “blocco nazionale-popolare” nel campo religioso. In Italia non esisteva “chiesa nazionale”, ma cosmopolitismo religioso, perché gli intellettuali italiani <erano> collegati a tutta la cristianità immediatamente come dirigenti anazionali. Distacco tra scienza e vita, tra religione e vita popolare, tra filosofia e religione; i drammi individuali di Giordano Bruno ecc. sono del pensiero europeo e non italiano.8

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[...] Anche per alcuni “plagi” e anzi riproduzioni letterali, non è escluso che si possa sostenere una originalità per l’opera plagiata o riprodotta. Si possono citare due esempli insigni: 1) Il sonetto del Tansillo riprodotto da Giordano Bruno negli Eroici furori (o nella Cena delle Ceneri) “Poiché spiegate ho l’ali al bel desio”9 (che nel Tansillo era un sonetto d’amore per la marchesana del Vasto); 2) I versi per i morti di Dogali offerti dal D’Annunzio come propri per un numero unico e che erano ricopiati alla lettera da una raccolta del Tommaseo di canti serbi. Tuttavia in Bruno e in D’Annunzio queste riproduzioni acquistano un gusto nuovo e originale che fa dimenticare la loro origine.10

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Umanesimo e Rinascimento. Le opere complete del Machiavelli furono stampate per l’ultima volta in Italia nel 1554, e nel 1557 il Decamerone integro: l’editore Giolito dopo il 1560 cessò di stampare anche il Petrarca. Da allora cominciano le edizioni castrate dei poeti, dei novellieri, dei romanzieri. La censura ecclesiastica infastidisce anche i pittori.

Il Pastor nella Storia dei Papi scrive: “Può essere che nei paesi cattolici il divieto generale di scritti in difesa del nuovo sistema terrestre (copernicano) ammorzasse la predilezione per l’astronomia; però in Francia i gallicani, riferendosi alla libertà della chiesa francese, non considerarono come obbligatorii i decreti dell’Indice e dell’Inquisizione e se in Italia non sorse un secondo Galilei o un Newton o un Bradley, difficilmente la colpa è da attribuire al decreto contro Copernico”. Il Bruers nota però che i rigori dell’Indice suscitarono tra gli scienziati un panico spaventoso e che lo stesso Galilei nei 26 anni decorsi dal primo processo alla morte non poté liberamente approfondire e far studiare ai suoi discepoli la quistione copernicana.

Dallo stesso Pastor appare che specialmente in Italia la reazione culturale fu efficiente. I grandi editori deperiscono in Italia: Venezia resiste di più, ma infine gli autori italiani e le opere italiane (del Bruno, del Campanella, del Vanini, del Galilei) sono stampate integralmente solo in Germania, in Francia, in Olanda. Con la reazione ecclesiastica che culmina nella condanna di Galileo finisce in Italia il Rinascimento anche fra gli intellettuali.11

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[1] Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di Antonio A. Santucci, Palermo, Sellerio, 2013, p. 180: Lettera a Tatiana Schucht del 9 aprile 1928.

[2] Nikolaj Ivanovič Bucharin, La teoria del materialismo storico. Manuale popolare di sociologia marxista, Mosca, 1921.

[3] Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di Valentino Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, volume primo, Quaderno 4 (XIII) (1930-1932: appunti di filosofia I), § 17, p. 438.

[4]  Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, cit., volume primo, Quaderno 5 (IX) (1930-1932: miscellanea), § 53, p. 585.

[5] Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, cit., volume secondo, Quaderno 6 (VIII) (1930-1932: miscellanea), § 152, p. 809.

[6]  Giuseppe Toffanin, Che cosa fu l’Umanesimo, Firenze, Sansoni, 1929.

[7] Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, cit., volume secondo, Quaderno 7 (VII) (1930-1932: miscellanea), § 68, pp 905 - 907.

[8] Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, cit., volume secondo, Quaderno 9 (XIV) (1932: miscellanea), § 55, pp 1129 - 1130.

[9]  E chi mi impenna, e chi mi scalda il core?

Chi non mi fa temer fortuna o morte?

Chi le catene ruppe?

................................................................................

Quindi l’ali sicure a l’aria porgo;

Né temo intoppo di cristallo o vetro,

Ma fendo i cieli e a l’infinito m’ergo.

E mentre dal mio globo agli altri sorgo,

E per l’eterio campo oltre penetro,

Quel che altri lungi vede, lascio al tergo.

Poi che spiegate ho l’ali al bel desio,

Quanto più sotto il piè l’aria mi scorgo,

Più le veloci penne al vento io porgo,

E spreggio il mondo, e verso il ciel m’invio.

Né del figliuol di Dedalo il fin rio

Fa che giù pieghi, anzi via più risorgo.

Ch’i’ cadrò morto a terra, ben mi accorgo;

Ma qual vita pareggia al morir mio?

La voce del mio cor per l’aria sento:?

Ove mi porti, temerario? China,

Ché raro è senza duol troppo ardimento.

Non temer, rispondo io, l’alta ruina.

Fendi sicur le nubi e muor contento,

Se il ciel sì illustre morte ne destina!

[10] Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, cit., volume secondo, Quaderno 11 (XVIII) (1932 - 1933: introduzione alla filosofia), § 27, p. 1436.

[11] Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, cit., volume terzo, Quaderno 17 (IV) (1933 - 1935: miscellanea), § 15, p. 1919.

 

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E inoltre:

Una boccata d’aria pura - Antionio Gramsci sulla religione e la Chiesa

Una boccata d’aria pura - Gramsci sulla religione e la Chiesa (in .pdf)     Una boccata d’aria pura - Gramsci sulla religione e la Chiesa (in .doc)

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E inoltre:

Antonio Gramsci sull'immaginazione e la fantasia. (Nella foto: Orgosolo, via Antonio Gramsci, dipinto murale). (Venerdì 27 dicembre 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

(Orgosolo, via Antonio Gramsci: dipinto murale).

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