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Massimo Fagioli

 

 

La violenza che rende pazzi

 

da Left 43, 5 novembre 2010, intervista di Ilaria Bonaccorsi

 

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Massimo Fagioli in un’immagine di Sandro Righetti.

Massimo Fagioli in unimmagine di Sandro Righetti.

 

Professore, la famiglia uccide più della mafia. Che c’è che non va?

Va affrontata la struttura del rapporto tra uomo e donna basata sul pater familias che ci viene dal mondo greco e che è di origine razionale. Questa identità umana come ragione ha reso sempre la donna “non” umana. La razionalità è stata sempre insieme al maschile. Ormai la letteratura, ma anche la stampa, è piena di esperti come la Gazzaniga e la Cantarella che hanno studiato la sessualità e l’omosessualità del mondo greco. Esiste solo l’identità umana maschile, la donna è un essere inferiore, privato del suo diritto di realizzare un’identità culturale e sociale. È ovvio che poi accada che vengano trattate da animali da riproduzione e anche che le stesse diventino violente. Pensate alle madri anaffettive che curano il neonato, gli danno da mangiare, lo ingrassano pure, ma ne fanno un malato mentale. Condannate alla riproduzione, le donne finiscono per ammalarsi. La tragedia della denatalità, urlata a destra come a sinistra, per le donne è invece possibilità di liberazione e di emancipazione, di poter dedicare alla famiglia anche dieci anni ma di potersi poi costruire una vita come quella degli uomini. Il problema non è certo che le donne facciano più figli.

 

Coglie delle differenze tra la violenza maschile e quella famminile?

Nella realtà manifesta è palese che la violenza fisica, il sadismo, gli omicidi sono prevalentemente maschili. Ricordo che per anni le uniche figure femminili sono state la Forti e la Cianciulli. Il resto sono uomini, tipica è la figura di Jack lo squartatore o del dottor Jekyll e mr Hyde. Esiste però una violenza delle donne che, nella sua forma più eclatante, è quella delle madri che uccidono i loro figli.

Bisogna cercare di vedere al di là delle manifestazioni percepibili, bisogna occuparsi di quella che io da anni chiamo la violenza “invisibile”. Questo fenomeno delle madri assassine è sconvolgente, come lo è il fatto che in tanta cultura e anche in tanta psichiatria, purtroppo, si va dicendo che è normale perché la violenza sarebbe connaturata alla natura umana. In questa faccenda delle madri che abbandonano il proprio figlio a pochi mesi di vita, lo affogano, lo strozzano, è come se trapelasse un’altra violenza, che non è il sadismo dei maschi. Non è la stessa cosa di quello che ammazza, spara e fa a pezzi. Direi che questa violenza è proprio l’anello di transizione con la violenza invisibile a cui accennavo. Cioè un qualcosa che non ha la finalità di ledere un corpo. Queste madri non agiscono per ledere ma per annullare l’esistenza del figlio. Non c’è sadismo di ledere, c’è l’eliminazione. Questa è la strada per capire la violenza umana, che non è solo sadismo.

 

E questa violenza di cui parla, che non sarebbe il sadismo di chi lede o uccide, è più nei maschi o nelle femmine?

Non ho una risposta, perché non ci sono statistiche e perché questo tipo di violenza non l’ha mai presa in considerazione nessuno. La violenza che ho studiato per sessant’anni non è compresa neanche nel Codice penale. Quella madre anaffettiva che fa diventare schizofrenico il bambino non commette reato. Se gli taglia un dito sì, se lo fa impazzire no. Ma sostenere tutto questo implica uno scontro con le culture millenarie, perché significa sostenere che la malattia mentale è provocata dal rapporto. La schizofrenia, per esempio, non è malattia organica, dipende non solo dal rapporto interumano in genere, ma da quello dei primi mesi di vita con la madre. Se qualcuno l’ha sostenuto, l’ha sempre fatto sottovoce. Piuttosto, per non colpevolizzare le madri, si dice che si è rotto un pezzo di cervello, quando è ben noto che la malattia organica è altra cosa: è l’Alzheimer, l’encefalite, le cerebropatie. La malattia mentale è invece l’alterazione del rapporto interumano ma soprattutto di quell’invisibile che è in quelle 7-8 ore di sonno che nessuno ha mai preso in considerazione.

 

Esiste un livello “normale” di violenza? La spinta, lo schiaffo d’impeto. Qual è il confine? Quando diventa patologia?

Quando non è rifiuto, quando non si considera la realtà dell’altro. Ci sono dei confini precisi, ledere l’altro è sempre violenza. Ma dare un pugno a un amico che, caduto in crisi depressiva, si vuole buttare da una finestra, impedirglielo con violenza, non è violenza. È il concetto di rifiuto che non è negazione. Faccio un esempio banale: il chirurgo che taglia le pance non commette violenza. Se c’è il fine di cura, non c’è violenza. Di per sé la parola lesione non ha un valore assoluto, dipende sempre dal rapporto interumano ed è nel rapporto interumano che va cercato. Diventa violenza quando si fa un rifiuto che non è adeguato alla realtà dell’altro. Come dare uno schiaffo a un bambino di tre anni perché si è sporcato le mani con la marmellata. Non è educazione o frustrazione, è violenza.

 

La casualità del pugno che uccide Maricica alla fermata della metro, o la scarica di calci e pugni che hanno ridotto in coma il taxista milanese, che violenza è?...

È assurda balordaggine, demenza, fatuità schizofrenica. Una stolidità ultraviolenta. E per approfondire la ricerca psicologica: in questo caso non è nemmeno sadismo, è proprio un rapporto di anaffettività totale per cui non si distingue più un complimento dal dare un pugno che uccide. Questi soggetti non fanno più questa distinzione, manca totalmente il rapporto interumano.

 

È sbagliato dire che c’è una violenza “fredda” e una “calda”?

L’aggettivo “calda” è un regalo alla violenza, la prima è questa fatuità schizofrenica, questa anaffettività di cui ho parlato prima. La seconda, la “calda” per l’appunto, comprende l’odio e la rabbia; che è sempre inaccettabile, però ha un motivo, un torto o altro. Se poi si limita alla litigata o alle quattro parolacce perché ti hanno rubato il parcheggio, non si può chiamare violenza patologica. Se diventa coltellata, allora sì. Tutto è legato al tipo di rapporto.

 

Professore, è violenza quella del bunga bunga del nostro premier?

Mi pare che questa sia più che altro una stupidità, quasi una questione di età. Che un uomo di 72 anni, presidente del Consiglio, si rimbecillisca in queste storie, una dietro l’altra, con le ragazzine, veramente non lo capisco. Che il governo e il Parlamento si occupino di balletti e bunga bunga invece di affrontare la crisi economica del Paese, la disoccupazione, il precariato, le frane, questa sì che è violenza, è fatuità.

 

In sintesi, ci spiega cos’è questa violenza “invisibile” di cui teorizza da quasi sessant’anni?

La parola violenza richiama una ricerca plurimillenaria su quella che è la natura umana, per cui c’è tutta un’ideologia a priori che dice che la violenza e la distruzione sono connaturate alla natura umana. Questo va dalla Bibbia a tutto il pensiero giudaico cristiano, al logos occidentale che ha fondato la sua identità sulla ragione. Da dove venga e come si costruisca questa ragione non lo dicono. Si realizza nel rapporto con le cose, con il comportamento umano che quindi va regolato secondo ragione per fare e tenere in piedi la Società. Si dice che gli unici a essersi occupati della realtà umana siano la religione e la Chiesa cattolica. Il Vangelo, accanto alla violenza naturale nell’uomo, alla cattiveria del peccato originale, ha proposto questa storia dell’amore tra gli esseri umani che è sintetizzata nell’“ama il prossimo tuo come te stesso”. Il discorso però rimane molto razionale, di buon costume e di rapporto cortese; tutto ciò che è irrazionale e identità umana, invece, è male. Solo nel ’700, con l’Illuminismo, si teorizza per la prima volta di una natura umana buona, prima con Diderot, poi con Rousseau. L’inganno però è già nelle parole, perché per natura umana gli illuministi non intendevano la nascita naturale, bensì l’identità umana basata sulla ragione. Ancora una volta veniva avallata tutta quella negazione della donna e del bambino condannati per sempre, come diceva Platone, a essere animali. La natura umana non inizia a sette anni con la ragione, inizia alla nascita. La ricerca è questa.

 

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La copertina del numero 43 di "left", in edicola a partire da venerdì 5 novembre 2010.

 

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