ScuolAnticoli

Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca

 

Massimo Fagioli

 

 

Il problema è la cura. Non le mura

 

da Left, 28 febbraio 2015, intervista di Donatella Coccoli

 

Home     Il sito di Left     Clicca qui per scaricare il testo in .pdf     Clicca qui per scaricare il testo in .doc

 

Massimo Fagioli in unimmagine di Stefano DAmadio.

 

Nota di ScuolAnticoli. Mentre a Subiaco e nella Valle dell’Aniene non si placano le polemiche sulla decisione della Regione Lazio di realizzare nell’ospedale Angelucci una delle strutture previste dal piano di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, ScuolAnticoli ritiene doveroso, oltre che utile, pubblicare la preziosa intervista che, su questo argomento e sulle sue importanti implicazioni, lo psichiatra Massimo Fagioli ha rilasciato a left il 28 febbraio 2015. Dal dibattito in corso nella Valle, infatti, il tema della cura delle patologie psichiatriche è stato finora assente, come se i medici e gli operatori del settore non avessero in merito alcunché da dire o, peggio, non sapessero cosa dire. Il che può meravigliare o meno chi conosce la situazione locale, ma non può non apparire preoccupante a chiunque. Le domande di ScuolAnticoli (sottolineando che di domande si tratta, e le più pacate possibili) sono perciò le seguenti: l’afflusso, nel nostro territorio, di nuove leve della psichiatria (e con esse, forse, di una teoria e una prassi più avanzate) può contribuire a migliorare per tutti noi, cittadini della Valle, un’“offerta” di attenzione per la salute mentale che non pochi ritengono attualmente non abbastanza adeguata alla “domanda” sia dal punto di vista della quantità sia, e soprattutto, dal punto di vista scientifico e terapeutico? Oppure la “cultura” che è alla base dell’idea stessa di “superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari” ― o, quanto meno, dei suoi criteri attuativi ― è così errata ed assurda da non permettere che alcunché di positivo possa mai scaturirne?

 

Il problema è la cura. Non le mura

di Massimo Fagioli

 

“La vera questione è la ricerca sulla malattia mentale.

Bisogna eliminare il tabù che vieta la ricerca sulla mente umana”

 

Clicca qui per scaricare il testo in .pdf     Clicca qui per scaricare il testo in .doc

 

“La malattia mentale va affrontata, prima di tutto con la diagnosi. Non con la liberazione”.

 

Massimo Fagioli ha iniziato a lavorare negli ospedali psichiatrici alla fine degli anni ’50. Venezia, Padova e poi la comunità terapeutica di Binswanger in Svizzera. Fin dall’inizio ha avuto a che fare, da una parte, con la psichiatria organicistica tra elettrochoc, insulinoterapia e psicofarmaci, e dall’altra con l’antipsichiatria che si fondava sul pensiero di filosofi come Heidegger e Foucault e considerava la malattia mentale una condizione esistenziale, quindi non da curare. In questi giorni in cui si discute della chiusura degli Opg e di malattia mentale, e anche della pubblicazione dei Quaderni neri di Heidegger, gli abbiamo rivolto alcune domande.

 

Professor Fagioli, ancora prima di Basaglia, lei abbatteva i muri e toglieva le reti di recinzione nell’ospedale di Padova. Perché?

 

Sono stato due anni a Venezia e poi alla fine del 1959 sono andato all’ospedale psichiatrico di Padova. Ma di malattia mentale mi ero interessato già da prima di iscrivermi all’università. Mio padre era medico e io andavo in ospedale con lui; mi ricordo che una volta un paziente ― malato di mente ― venne mandato via. È stata una delle prime volte in cui mi sono chiesto perché la medicina che funzionava per il corpo (la chirurgia, per esempio, risolveva casi mortali) non si doveva occupare di malattia mentale. Per cui decisi di fare Medicina con lo scopo preciso di fare lo psichiatra. A Venezia la psichiatria non esisteva: c’era l’elettrochoc e poi cominciarono ad arrivare i farmaci e i sedativi. Ma io continuavo a cercare: stavo con i pazienti, ci andavo a spasso. Quando poi andai a Padova il direttore dell’ospedale era Barison, un liberale molto aperto, che mi permise da sùbito, dal 2 gennaio 1960, di eliminare le regole. Abolimmo tutte le sorveglianze, già Barison non metteva le camicie di forza e ricordo che aveva fatto realizzare una stanza imbottita per chi era molto agitato in modo che non si facesse male. A Padova mi furono affidati due reparti ― uno anche di cronici. Lì fu l’inizio forte sulla terapia, perché cominciai sùbito a fare psicoterapia di gruppo. Vivevo con i malati, mangiavo con loro, uscivo con loro, facevo gite a Venezia con loro. Era un reparto circondato da mura e io le buttai giù. Parlavo sempre, in continuazione, con loro. Dovevo capire qual era il punto, il fatto della malattia, tanto che chiedevo spesso: “Perché sei matto?” Sono rimasto tre anni, poi sono andato a fare la comunità terapeutica a Kreuzlingen, in Svizzera. In quegli anni il cardine della mia ricerca fu lo sviluppo della psicoterapia di gruppo.

 

Ma non correva pericolo girando con i pazienti senza difese?

 

Sì, c’era pericolo. Ma io contavo sul rapporto, finché c’ero io, i pazienti tenevano, mi davano retta. Si trattava di instaurare un rapporto di fiducia, perché c’è una sensibilità nel malato di mente per cui se l’altro è falso, ipocrita, si scatena. Se invece sente che l’altro è una persona onesta, allora sta calmo. Rischiavo molto, ma non è mai successo niente.

 

Quindi più è forte la cura, il rapporto terapeutico con i pazienti, e meno c’è bisogno di contenzione e sicurezza materiale?

 

Certamente. A Venezia i medici arrivavano, facevano una corsa il più veloce possibile nei reparti per andarsene sùbito. Questo ovviamente non calmava i malati, anzi li agitava, perché si sentivano presi dalla malattia, dal delirio, dalle furie, dalle rabbie, ecc.. Diciamo che io ho unito a una prassi, certo rivoluzionaria per la psichiatria del tempo, uno scontro-confronto anche con le dimensioni teoriche della psichiatria: l’organicismo, la Daseinsanalyse di Binswanger e, dietro, il pensiero di Heidegger. Teoria che stabiliva che di cure non se ne doveva parlare e neppure di conoscenza. L’inconscio era Es inconoscibile. Mentre per il comunismo l’inconscio non esisteva affatto, per loro esisteva ma non era conoscibile. Sostenevano che l’errore di Freud era quello di voler interpretare i sogni che invece “non sono interpretabili”. Questa è la grande storia. Ma ora sta venendo tutto a galla, il pensiero nazista di Heidegger e questa faccenda di liberare i malati invece di cercare di comprenderli e curarli. La libertà illuministica ha demolito ogni confine e si è arrivati a teorizzare che la cura è una violenza sulla libertà degli individui. Fino a dire che la strage di Breivik nel 2011 sarebbe stata una “libertà” politica, come disse al tempo Peppe Dell’Acqua. E allora bisogna fare un discorso enorme che riguarda proprio gli ospedali giudiziari.

 

Quale?

 

Bisogna distinguere quello che pensano e fanno i magistrati e gli psichiatri no. E cioè da una parte c’è l’assassinio per un colpo in banca, che è delinquenza. Ma dall’altra ci sono casi in cui non c’è un motivo. Come abbiamo visto nel caso di Kabobo che esce per strada col piccone e uccide tutti quelli che incontra. Questa è malattia mentale, l’assassinio senza motivo. Oppure la fatuità, direi schizofrenica, di chi uccide moglie e figli perché voleva andare alla partita di calcio. Purtroppo, nel rapporto con i magistrati, esiste solo la formula della capacità di intendere e volere. Ma abbiamo visto che coloro che fanno delitti efferati, da schizofrenici gravi, hanno un rapporto con la realtà materiale perfetto. Sono abili, lucidi e freddi. La capacità di intendere e volere è intatta, poi tornano a casa e ammazzano moglie e figli. Perché non “considerano” l’altro un essere umano ma una cosa. Eppure la cultura continua a non parlare di malattia mentale. Perché?

 

Con la chiusura degli Opg il problema della malattia mentale si pone, almeno a parole. C’è il rischio che si creino tante altre piccole strutture simili agli Opg, senza preoccuparsi della cura?

 

A questo proposito voglio ricordare Luigi Cancrini che venticinque anni fa disse che la legge 180 invece di chiudere 100 manicomi ne aveva aperti mille. In particolare mi riferisco alle cliniche private, con lo Stato che se ne lava le mani e la società che non ne vuol sentir parlare. C’è una reazione razionale-conservatrice in questa liberalizzazione e in questa sottrazione di qualsiasi impostazione medico-psichiatrica. O peggio: c’è l’eliminazione di qualsiasi possibilità e idea di fare una ricerca sulla mente umana, sulla malattia mentale, prassi cieca senza prassi di cura. Allora, se il reparto è un lager, l’ospedale non funziona, che facciamo? Aboliamo l’ospedale! Io non so se questa è fatuità, ma so che invece dobbiamo dire: miglioriamo le condizioni dell’organizzazione dell’ospedale per permettere agli psichiatri di fare psichiatria, cioè di curare. Se un reparto di cardiologia non funziona che facciamo? Aboliamo il reparto?

 

La malattia mentale non è considerata come una malattia cardiaca, perché?

 

Il problema, e lo dimostrano le parole di Dell’Acqua o di Pirella nei tempi lontani, è che si tratterebbe solo di malesseri esistenziali. Cioè di malattia mentale non ne vogliono assolutamente parlare. Hanno fatto una prassi cieca, fatua, quella dell’“aboliamo gli ospedali”, al punto che è diventata una persecuzione politica quella di ricoverare uno schizofrenico. E qui c’è di mezzo Foucault e Basaglia e tutta quella cultura che esalta questo “eroe della nuova psichiatria” che diceva che la psichiatria non doveva esistere. Mi spiego, Basaglia ha rimandato il malato di mente alla società e alle famiglie quasi come fosse una punizione nascosta: come se il malato di mente fosse una questione di famiglia o una questione ereditaria o peggio ancora ― religiosamente ― una colpa dei genitori che se ne devono prendere carico come fosse una vendetta. Perché dietro c’è l’idea di Heidegger, per cui la malattia mentale non c’è perché c’è una struttura costituzionale e un destino: ci sono quelli geneticamente nati bene, e poi tutti gli altri, che sono subumani, ebrei, zingari. I nazisti i matti li fucilarono tutti, prima gli facevano scavare le fosse e poi ce li seppellivano dentro. Li annientavano. E producevano cadaveri. Gli ebrei li facevano sparire. Volevano eliminare l’esistenza, li mettevano nei forni crematori. I termini verbali sono: anaffettività e pulsione di annullamento, rendere mai esistito il popolo ebraico... creare divinamente il nulla.

 

Clicca qui per scaricare il testo in .pdf     Clicca qui per scaricare il testo in .doc

 

*

 

(Ogni eventuale errore di questa pagina è esclusiva responsabilità di ScuolAnticoli.

ScuolAnticoli è a disposizione degli autori e di Left per l’adempimento di ogni obbligo

relativo alla pubblicazione di questo scritto. Per contattarci, cliccare qui.)

 

*

 

Home     Torna in cima alla pagina

Dal Corriere della Sera del 23 agosto 2013:

 

Infuriano le polemiche ed è scontro politico a Subiaco e nella Valle dell’Aniene per la decisione di realizzare nell’Angelucci una struttura sanitaria per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. Il decreto, firmato dal governatore del Lazio Nicola Zingaretti, garantisce un investimento di quattro milioni e mezzo e 50 posti di lavoro. Un provvedimento giunto mentre si lotta, ormai da molti mesi, per tutelare il futuro del presidio sanitario sublacense, l’unico a disposizione dei 31 comuni della Valle dell’Aniene, che soffre per la carenza di personale e di tecnologie, con gli utenti costretti, sempre più spesso, a rivolgersi ad altri ospedali anche fuori provincia.

Diversi schieramenti politici hanno già “bocciato” la decisione di Zingaretti (che è anche commissario per la sanità nel Lazio) e a loro si sono aggiunte alcune organizzazioni sindacali. Da mesi si preme affinché l’ospedale di Subiaco non sia ridimensionato, ma venga invece rilanciato in tutti i suoi servizi principali, a cominciare dal mantenimento di un pronto soccorso efficiente. Ora la decisione di aprire all’Angelucci una struttura ex opg sta scatenando un mare di polemiche. Previsti 40 posti-letto (venti per acuti, altrettanti di mantenimento). Il servizio sarà istituito al piano terra e al primo piano della struttura di Subiaco su un’area di 2.520 metri quadrati. I tempi? Passeranno ancora diversi mesi, tutto si dovrà concretizzare entro il prossimo primo aprile.

Pdl, Fratelli d’Italia (che contesta la decisione mettendo in evidenza anche possibili rischi per la sicurezza) e Idv non digeriscono la scelta del governatore Zingaretti. E sulla vicenda il M5S di Beppe Grillo ha presentato un’interrogazione alla Regione e un esposto alla Corte dei conti ipotizzando un danno erariale. “L’ospedale di Subiaco” sostiene il partito di Giorgia Meloni “ha bisogno di reparti e della gestione delle emergenze, non certo di una struttura psichiatrica giudiziaria”. Ma c’è chi è favorevole e vede, invece, nella struttura psichiatrica giudiziaria un presupposto per assicurare un futuro certo all’ospedale di Subiaco con tutti i principali servizi.

Il sindaco della cittadina sublacense, Francesco Pelliccia, che da mesi si batte in difesa dell’ospedale Angelucci, ritiene un’“opportunità” l’apertura della struttura psichiatrica giudiziaria. “Ci saranno” sostiene “54 nuovi posti di lavoro, investimenti per 4,5 milioni e si creerà un indotto di non poco conto. Abbiamo approfondito la questione: si tratta di una struttura “leggera” per malati in fase di riabilitazione, che non resteranno più di tre anni. Questo ci consentirà di mantenere un ospedale come lo vogliamo, adatto alle esigenze del territorio e con un’adeguata assistenza sanitaria per le nostre popolazioni. Sarebbe bene, quindi, evitare ogni strumentalizzazione politica”. Ma il primo cittadino di Vallepietra, il comune più distante dall’ospedale di Subiaco, ribatte: “È sbagliato” sostiene Francesco Palmieri “barattare la nuova struttura psichiatrica con il mantenimento dell’ospedale. I servizi di assistenza ai cittadini vanno comunque garantiti. Vogliamo certezze sui posti-letto, il pronto soccorso e una più elevata qualità delle prestazioni sanitarie. Il resto, poi, si vedrà”.

Intanto, salvato il reparto di rianimazione dopo il tentativo di trasferirlo a Colleferro, l’ospedale di Subiaco rimane in difficoltà. Nei giorni scorsi si è rotta di nuovo la Tac, vecchia di anni e ormai ritenuta inaffidabile (ma perché non si provvede a sostituirla evitando continui viaggi a Tivoli?). La preoccupante carenza di organici (di quattro radiologi, ad esempio, ne è rimasto uno) e le tecnologie non adeguate penalizzano gli abitanti del comprensorio malgrado gli sforzi dei direttori sanitari Pasquale Trecca e Franco Coltellessa. Sempre più utenti devono così ricorrere ad altre strutture ospedaliere, mentre nell’atto aziendale è stata accolta la richiesta di mantenere un pronto soccorso, un’area medica e chirurgica, l’Spdc e, appunto, la rianimazione. “È una situazione difficile” conclude il sindaco Pelliccia “che limita la funzionalità del nostro ospedale. La Regione deve mantenere gli impegni presi per fare dell’Angelucci un modello della sanità laziale. Vogliamo un ospedale in piena efficienza”.