ScuolAnticoli

Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca

 

Ricordi Immaginari - Spiegare un Film a un Bambino

 

L’avventura

 

Home     Torna all’indice generale dei film

 

 

Clicca qui per scaricare la scheda in formato pdf

Clicca qui per scaricare la scheda in formato Word

 

Titolo: L’avventura

Regista: Michelangelo Antonioni

Paese di produzione: Italia.

Anno di produzione: 1960.

Attori principali: Gabriele Ferzetti (Sandro), Monica Vitti (Claudia), Lea Massari (Anna)

Durata: 2h 20’.

 

Il regista

 

Michelangelo Antonioni

 

Il film

 

Anna si reca con l’amica Claudia a casa di Sandro, un architetto con cui ha una relazione e che le ha invitate a una gita in barca tra le isole Eolie. Ma Anna non ha molta voglia di andarci. Dice a Claudia che invidia la sua solitudine, poiché, non avendo un uomo, lei può ancora desiderare d’incontrarne uno e immaginarlo meraviglioso; mentre Anna sa fin troppo bene cosa può aspettarsi da Sandro, ogni volta che ce l’ha davanti. E le propone di rinunciare alla gita, di andarsene senza farsi vedere da lui. Ma in quel momento Sandro si affaccia alla finestra e la chiama, e Anna entra.

 

Mentre Claudia li aspetta in cortile, Sandro e Anna fanno l’amore. Ma la ragazza è depressa, insoddisfatta, piena di rabbia per la freddezza dell’uomo nei suoi confronti e per il cinismo con cui si è lasciato indurre a rinunciare, in cambio di una rapida e lucrosa carriera, agli ideali e alle speranze con cui da giovane si era accostato all’architettura. Più di una volta, a casa e poi sulla barca, tenta di fargli capire il proprio stato d’animo scontrandosi con la sua ottusa e ostinata incomprensione. Poi, durante una passeggiata su un isolotto, apparentemente deserto, si allontana da lui e scompare.

 

Sandro e i suoi amici la cercano invano, e neanche la polizia ha miglior fortuna. Allora, nella speranza che sia solo salita su una barca di passaggio e si sia fatta accompagnare da qualche parte, Sandro e Claudia decidono di recarsi in Sicilia e di mettersi sulle sue tracce. Ma quasi subito, invece, la ricerca di Anna comincia a perdere importanza ai loro occhi, a trasformarsi in un pretesto per stare insieme (come se la ragazza stia ora scomparendo anche dalle loro menti) e tra i due nasce una relazione che all’inizio sembra a entrambi appassionata e risolutiva, ed è invece un disperato tentativo di preservarsi a vicenda dal prendere atto delle terribili verità che la scomparsa di Anna ha rivelato loro.

 

Nato da una geniale intuizione (quella che la definitiva e mai spiegata scomparsa di uno dei personaggi principali, anziché violare in maniera grottesca una regola narrativa fondamentale, avrebbe permesso di gettare una luce su vicende umane ancora inesplorate) e realizzato malgrado ogni sorta di difficoltà, L’avventura è il film che ha dato a Michelangelo Antonioni la fama internazionale, ed è oggi unanimemente considerato una delle opere più importanti della Storia del Cinema.

Il commento di Luigi Scialanca

 

Di rado, nella Storia del Cinema, l’odio, l’invidia e la rabbia di un uomo che ha devastato la propria immaginazione (e con essa la propria umanità) sono state espresse con la magistrale efficacia della sequenza de L’avventura in cui Sandro, il protagonista del film, versa deliberatamente una boccetta d’inchiostro sui disegni di un giovane architetto.

 

Il giovane sta studiando la più famosa cattedrale barocca della Sicilia, quella di Noto, della quale è venuto a riprodurre la bellezza per meglio capirla. Sandro lo scorge, e con una sola occhiata al suo disegno (poiché è un architetto anche lui, e il fatto che da tempo si sia tramutato in un cinico affarista non ha spento, ma anzi acuito la sua invidiosa capacità di intuire negli altri le qualità che egli ha soffocato in sé stesso) si rende conto della passione, della serietà, del rigore di quel ragazzo, e soprattutto del fatto che egli è ancora in grado non solo di vedere e sentire la bellezza, ma di stabilire con essa un rapporto creativo: di concepire, incontrandola, un nuovo che potrebbe essere altrettanto o anche più bello.

 

Anche Sandro è attratto dalla bellezza. È capace, anzi, di scorgerla prima e più chiaramente di altri. Ma questo infallibile intuito non ha più niente di affettivo ed egli, di conseguenza, non può più mettersi in rapporto con essa e creare a sua volta, ma solo negarla e distruggerla intellettualmente (razionalmente) un attimo dopo che l’ha individuata e un attimo prima di accorgersi di averla individuato.

 

Non può fare altrimenti, Sandro, poiché da tempo, essendosi a poco a poco persuaso che i rapporti umani si fondino sul mors tua vita mea, si è “liberato” degli affetti affinché essi non potessero più trattenerlo dall’ingannare, danneggiare e opprimere gli altri per avvantaggiare sé stesso. Sessualità e creatività, in lui, si sono tramutate in prepotenza e volontà di distruggere: sono questi i suoi veri sentimenti, quando si accosta a qualcuno o a qualcosa e dice – e s’illude – di apprezzarlo o addirittura di amarlo.

 

Sandro non può mettersi in rapporto con le cose e le persone belle e quindi non può dar vita a niente di valido, né dentro né fuori di sé, attraverso il rapporto con esse: la sua mente è diventata una sorta di buco nero, nel quale ciò che è bello, intelligente e generoso scompare nel momento stesso in cui egli lo vede, e l’ammirazione, l’interessamento, l’amicizia e l’amore si tramutano all’istante nei loro opposti: diventano disprezzo, indifferenza, risentimento, odio. E fanno soffrire.

 

Ma Sandro deve nasconderli, i suoi veri sentimenti: non può confessare né a sé stesso – poiché equivarrebbe a dover accettare un’immagine di sé molto diversa da quella dell’uomo realizzato e di successo alla quale si sforza di prestar fede – né tanto meno agli altri, che si ritrarrebbero da lui inorriditi. Ed è costretto, così, a recitare in continuazione la stanca e mal riuscita commedia dell’amico e dell’innamorato, a cui gli altri credono – o fingono di credere – solo perché sono altrettanto anaffettivi di lui. Ma è una commedia puramente verbale, poiché i suoi gesti, appena abbozzati e subito interrotti, e l’espressione quasi immutabile del suo viso, da mimo svogliato, non riescono a comunicare – come fanno le parole bugiarde – un’amicizia, un affetto e un interessamento che in realtà non esistono.

 

Attraverso i gesti e le espressioni di Sandro, in apparenza amichevoli e affettuosi, ciò che si comunica agli altri, quando essi sono in grado di sentirlo, è in realtà il suo odio. Ed è un odio assai pericoloso, poiché penetra nella vittima senza che essa se ne accorga e la fa star male moralmente e fisicamente senza che essa capisca da dove il male provenga, dal momento che dinanzi a sé non vede un uomo che apertamente le si dichiara nemico, ma uno che le si presenta invece come un buon amico o un tenero amante.

 

Così, se una donna si lascia ingannare e s’innamora di lui – com’è accaduto ad Anna e come accade a Claudia – ecco che l’odio di Sandro (non più riflesso dall’insensibilità che egli incontra di solito negli individui della sua cerchia) entra in lei come un virus invisibile, la fa soffrire senza una causa apparente, la colma di rabbia, ne deforma i sentimenti e i pensieri, e a poco a poco la distrugge.

 

È per questo che Anna sparisce: forse ha solo deciso di andarsene, di abbandonare quella gente disumana e insensata (compreso il padre, che probabilmente non è diverso dagli altri) e di far loro perdere le sue tracce affinché non riescano ancora una volta a trattenerla come ha fatto Sandro il giorno prima, quando si è affacciato alla finestra e l’ha richiamata proprio nel momento in cui lei aveva deciso di lasciarlo. O forse si è suicidata perché ha perduto la speranza di riuscire a liberarsi di lui e dei suoi amici, e con gli occhi di un’immaginazione sconfitta si è vista diventare a poco a poco come loro e peggio di loro. Ma il significato della sua sparizione, che non ha bisogno di rivelazioni e spiegazioni poiché è del tutto chiaro fin dall’inizio (e che leggiamo negli sguardi spenti che la ragazza rivolge alle pareti mentre Sandro “fa l’amore” con lei senza accorgersi che ella si sta costringendo a non sentire nulla nel vano tentativo di non farsi invadere dal suo odio) è che Anna è sparita nel vuoto che Sandro ha scavato dentro di sé.

 

È sparita come tutte le cose e le persone belle di cui Sandro si appropria (riuscendo solo a sciuparle e a distruggerle) nella sua insaziabile smania di recuperare un po’ dell’umanità di cui si è liberato come se fosse un ingombro inutile. È sparita dentro di lui senza dargli alcun sollievo, come tutte le cose e le persone belle che egli ha preso di mira e aggredito illudendosi di apprezzarle ed amarle.

 

Anna ha cessato di esistere, per Sandro e per quelli come lui, e sul suo futuro (in una geniale e orgogliosa contrapposizione alla regola narrativa che imporrebbe di dar conto fino in fondo della sorte di ogni personaggio) il regista non ci darà ulteriori spiegazioni, oltre a quelle che ha già fornito con le immagini di Anna e di Sandro insieme: non c’è niente da spiegare, poiché tutto è già stato mostrato nei lunghi sguardi senza luce di Anna e nelle sue poche e rabbiose parole, nei furiosi abbracci di Sandro e nei suoi sciatti e svogliati commenti, lugubremente spiritosi, alle informi proteste di lei.

 

Quando vede il disegno del giovane architetto, perciò (pochi istanti dopo aver promesso a Claudia che lascerà il socio in affari, che da anni lo sfrutta e lo arricchisce, e ritroverà in sé stesso l’uomo creativo e appassionato al quale non ha mai permesso di crescere) Sandro non può fare a meno di abbandonarsi all’odio e alla violenza (cosa che si permette di fare solo quando gli sembra di poter dare sfogo ai propri veri sentimenti senza gravi conseguenze). Potrebbe limitarsi ad aggredire il giovane a parole, come avrà fatto chissà quante volte, ma la critica e l’ironia sono in fondo armi smussate, non meno false delle sue profferte d’amicizia o d’amore, e non gli arrecano che in minima parte la soddisfazione di cui ha un disperato bisogno la sua rabbia (sentimento che in lui è l’unico autentico, ma quasi sempre soffocato e represso). Perciò rovina il disegno: per una volta, così, Sandro si concede di essere pienamente sé stesso.

 

Poi, però, quando il ragazzo lo smaschera (Lei l’ha fatto apposta!) l’uomo è costretto a rinnegarsi: non può ammettere di essere davvero quello che il suo gesto rivela, e cerca di sostenere che il rovesciamento della boccetta d’inchiostro sia stato solo un incidente. Ma il giovane non si lascia ingannare, tenta di colpirlo (fermato, giustamente, da un amico più anziano che capisce la sua reazione ma vuole impedirgli di mettersi nei guai – e qui non si può evitare di notare che le facce di questi due, il giovane e il suo amico, sono le uniche due facce maschili accettabili di tutto il film) e Sandro, allora, dopo avergli chiesto la sua età, gli grida in faccia che anche lui ha avuto vent’anni, che anche lui ha fatto mille volte a pugni, da giovane. Tradendo così, nel momento stesso in cui aggredisce il ragazzo per la seconda volta (con l’ammonirlo, implicitamente, che prima o poi dovrà calmarsi e rassegnarsi anche lui) la propria disperata consapevolezza di non poter più tornare indietro e di non poter mantenere, quindi, la promessa di riscattarsi che con fatua leggerezza ha rivolto a Claudia poco prima.

 

Ma Claudia è diversa da lui? No, verrebbe da dire, ricordando come sull’isolotto di Basiluzzo, nonostante sia stata l’unica a piangere per la scomparsa di Anna, sia poi riuscita a dormire tranquillamente. E invece sì, verrebbe da ribattere, rammentando i suoi tentativi di rispondere creativamente alle prime avances di Sandro, compulsive e umilianti (una frase per tutte: “Lei, Sandro, che adesso sembra così attento a ciò che posso pensare io, perché non ha avuto altrettanta attenzione per i pensieri di Anna?”). No, verrebbe da concludere, ripensando a come anche Claudia, mentre finge di voler continuare le ricerche di Anna, in realtà non speri altro che di ritrovare Sandro, e a un certo punto, in un raggelante soprassalto di sincerità, arrivi a dichiarare: “Son passati solo due giorni dalla sua scomparsa, e già spero che Anna sia morta”. Ma poi, quando ormai si è sul punto di condannare anche Claudia senza appello, ecco che ci si ricorda della scena straziante in cui la ragazza, lasciata sola da Sandro, viene circondata, seguita, scrutata e soppesata per alcuni interminabili minuti dagli sguardi di decine di uomini, che per le vie di quella cittadina italiana della fine degli anni ‘50 sembrano condannati a vagare non solo senza donne ma – proprio come Sandro – senza la minima idea di cosa sia, per la specie umana, il rapporto fra i sessi. E allora anche la disperazione di Claudia, il suo rassegnarsi a Sandro per un pensiero recondito che niente di meglio possa esistere né essere desiderato, diviene ai nostri occhi qualcosa che dev’essere collocato nel contesto di quell’epoca, e che in tal modo – se non giustificato – può e deve essere almeno compatito.

 

Ed è la compassione, infatti, il registro su cui Antonioni modula le ultime sequenze del suo capolavoro. Poiché il gesto apparentemente più squallido e irrimediabile di Sandro (lasciar sola Claudia nella stanza d’albergo per andar giù a pianterreno a coricarsi su un divano con una donnaccia) è in realtà un disperato e patetico tentativo di smettere di fingere, di gettar via una volta per tutte la sua maschera soffocante e di mostrarsi per quel che è non solo a Claudia, ma soprattutto a sé stesso: di compiere un gesto così abietto, così miserabile, che non gli sia più possibile tornare a ingannarsi, a presentarsi a sé e agli altri come l’uomo di successo che alla vita ha saputo prendere tutto.

 

Allora, finalmente, vediamo Sandro fare la sola cosa che un uomo nella sua situazione possa fare: piangere. Non tanto per Anna, né per Claudia, né per tutto ciò che ha distrutto nel corso della vita, ma per quel che ha fatto a sé stesso. E quel pianto, benché egoista e disperato, contiene tuttavia una presa d’atto della propria miseria interiore, e dunque anche una possibilità (benché minuscola) di un futuro riscatto. Ed è a questa considerazione che ci aggrappiamo, per non dover vedere come un suicidio la compassionevole carezza con cui Claudia lo perdona e si consegna a lui.

*

(Le schede di Spiegare un film a un bambino sono per bambini e ragazzi di Quinta elementare, Prima, Seconda e Terza media.

Sono scritte, perciò, il più semplicemente possibile. Ma non sono affatto... semplicistiche.

Vuoi servirtene? Fai pure. Ma non spezzettarle, non alterarle e non dimenticare di citarne l’autore!)

*

 

*

Torna in cima alla pagina                    Home