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Ricordi Immaginari - Spiegare un Film a un Bambino

 

Il sorpasso

 

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Titolo: Il sorpasso.

Regista: Dino Risi.

Paese di produzione: Italia.

Anno di produzione: 1962.

Attori principali: Vittorio Gassman (Bruno Cortona), Jean-Louis Trintignant (Roberto Mariani), Catherine Spaak (Lilly Cortona), Claudio Gora (Bibi), Luciana Angiolillo (moglie di Bruno), Linda Sini (zia Lidia).

Durata: 1h 45’.

 

Il regista

 

Dino Risi

 

Il film

 

A Ferragosto, in una Roma deserta, una potente Lancia Aurelia sport percorre le strade a folle velocità. L’uomo al volante, Bruno Cortona, è uno spavaldo e aggressivo quarantenne sempre annoiato, sempre in cerca di qualcosa o qualcuno che lo diverta e lo distragga. Ma oggi è solo, perché nei giorni di festa tutti stanno con i loro cari, e lui invece non ha parenti né amici, da tempo li ha perduti o abbandonati tutti. E allora si annoia ancor più del solito, e diventa più aggressivo e spavaldo che mai.

 

In modo apparentemente casuale, Bruno fa la conoscenza di uno studente universitario intelligente e serio, ma timido e solo, il cui nome è Roberto Mariani. E in pochi minuti, con inspiegabile e inquietante facilità, lo induce a salire in macchina e a partire per un’insensata scorribanda attraverso l’Italia.

 

Il ragazzo, in realtà, prova un’istintiva diffidenza per quel nuovo amico, del quale è l’opposto in tutto. Ma al contempo, e forse proprio per questo, non può fare a meno di sentirsi anche un po’ attratto dai suoi modi sicuri e sfrontati, dal suo tono di beffarda protezione, dall’ironico cinismo con cui tratta ogni argomento, dalla superiore esperienza del mondo e degli esseri umani (soprattutto delle donne) di cui sembra invidiabilmente dotato. E dunque non riesce, benché lo desideri, a separarsi da lui: lo segue ovunque, di sorpasso in sorpasso si lascia trasportare sempre più lontano da casa e da sé stesso, gli confida ciò che non ha mai detto ad alcuno, e finisce col mettersi completamente (e tragicamente) nelle sue mani.

 

In questo viaggio di distruzione (da parte di Bruno) e di auto-distruzione (da parte di Roberto) il regista li segue in maniera discreta, senza farsi notare, con quella capacità di rendere invisibile sé stesso e il proprio lavoro che è tipica dei grandi “narratori” del cinema. Spingendo così gli spettatori (mentre li guida con mano sicura senza che neppure si accorgano della sua presenza “al di qua della scena”) a lasciarsi trasportare anch’essi (un po’ come Roberto da Bruno) da una storia che sembra leggera, veloce, allegra e scanzonata come una corsa in macchina, e che invece è un inesorabile inseguimento della morte.

Il commento di Luigi Scialanca

 

Vedere un’altra auto davanti alla propria è cosa che Bruno Cortona non può tollerare neanche per un secondo: deve liberarsene, lasciarsela alle spalle, dimenticarla per sempre. E per farlo la deve superare. Il sorpasso, per Bruno, non è una manovra come le altre: è un obbligo a cui non può sottrarsi.

 

Perché? Per essere libero.

 

Quell’auto davanti alla sua, infatti, lo costringe a qualcosa che Bruno, da quando è al mondo, non ha mai sopportato di dover fare: stare appresso a un altro essere umano.

 

“Caso mai sono gli altri,” egli pensa, “che devono stare appresso a me!”

 

Anche se gli staranno appresso, però, non è detto che Bruno li accetterà per questo: poiché il minimo segno di vita, di affetti e d’intelligenza da parte loro basterà a far sì che egli se li senta di nuovo davanti, a ingombrargli la strada con la loro presenza improvvisamente molesta, fastidiosa, insopportabile. E lui, allora, li sorpasserà, se li lascerà alle spalle, se ne andrà. E non li penserà più.

 

È così che Bruno ha perduto moglie e figlia, è per questo che non ha più un amico al mondo. Li ha sorpassati una volta per sempre.

 

Perché? Perché non lo lasciavano “libero”. Perché gli creavano troppi “problemi”. Perché avevano troppe “pretese”. Così direbbe Bruno. Ma la verità è che li ha sorpassati perché altrimenti avrebbe dovuto accorgersi di non essere capace di amarli, di capirli, di aiutarli. Di non esser capace di nulla, con nessuno. Poiché lui, con gli altri, sa solo trastullarsi, come se fossero tutti pupazzi e bambole.

 

Così, Bruno è solo. Conosce tanta gente ed è sempre in compagnia, certo. Ma nei giorni di festa, quando gli altri stanno con coloro che amano, lui è solo. Ha un taccuino pieno di nomi e di numeri di telefono di belle donne, come no. Ma nessuna gli vuol bene. Ha molti conoscenti, Bruno, ma nessun amico. Poiché Bruno, con l’andar del tempo, ha sorpassato tutti quelli che “minacciavano” la sua anaffettività chiedendogli di star loro un po’ appresso. Gli son rimasti solo quelli come lui, che di lui se n’infischiano.

 

C’è qualcosa, però, che Bruno non è mai riuscito a sorpassare. Qualcosa che, al contrario, a un certo momento ha sorpassato lui, e che da allora, nonostante tutti gli sforzi di Bruno per non farsi distanziare, lo sta lasciando sempre più indietro. Facendolo disperare. (Disperare segretamente, beninteso, perché Bruno non è capace di provare sul serio emozioni forti come la disperazione: così segretamente, anzi, che in un certo qual modo non lo sa neanche lui, di essere un povero disperato).

 

Questo qualcosa è il tempo.

 

Il tempo passa, infatti. Cioè, per Bruno, lo sorpassa. E a lui, che senza saperlo ha la morte dentro perché ha disseccato gli affetti e asfissiato la fantasia, sentire il tempo passare e sorpassarlo fa un bruttissimo effetto. Come Capitan Uncino, si sente divorare pezzo a pezzo da un feroce coccodrillo.

 

È per questo che Bruno Cortona odia i giovani. Suo malgrado, e cercando in ogni modo di tenerlo nascosto perfino a sé stesso, Bruno gelidamente odia tutti gli uomini più giovani di lui. Poiché sa che quasi tutti lo sorpasseranno, un giorno o l’altro. Senza fatica, semplicemente aspettando, lo lasceranno alle spalle. Lo dimenticheranno, e non ci penseranno più. Faranno sorpassi quando lui non potrà più farli. Si divertiranno quando lui non potrà più divertirsi. Ci saranno quando lui non ci sarà più.

 

In modo particolare, però, Bruno odia i ragazzi come Roberto Mariani. Intuisce, infatti, che essi lo hanno già superato. Poiché sono diversi da lui. Hanno sentimenti profondi. Son capaci di serietà, attenzione e fantasia nel rapporto con gli altri. Si coinvolgono così tanto con la realtà, che non riescono a sorpassarla, a rendersi anaffettivi, neanche quando gli altri li fanno soffrire. Pretendono, anzi (invece di infischiarsene) di muoverla, di trasformarla secondo i propri desideri. Son capaci non solo di divertirsi, ma perfino di gioire. Son capaci addirittura di soffrire, se accade, e di resistere alla sofferenza. E soprattutto amano e desiderano e rispettano così tanto le donne, da non poter neanche immaginare il contrario.

 

Quando incontra ragazzi come questi, Bruno non può sorpassarli tanto facilmente. È come, in un certo senso, se avesse davanti una Ferrari: ne è affascinato e perfino intimidito, non osa. Deve prima rovinarli, sciuparli, distruggerli: farli diventare come lui. Se ci riesce, se i principi diventano ranocchi e la Ferrari si tramuta in una macchinetta, Bruno può sorpassare ancora, e per un altro po’ non pensarci più.

 

Nel caso di Roberto, l’operazione riesce.

 

Roberto, infatti, ha un punto debole. L’unico (ma drammatico) punto debole dei ragazzi come lui, per il resto splendidi: l’incertezza. Il timore di essere lui, quello sbagliato.

 

Quando si guarda intorno, infatti, Roberto ha l’impressione che i tipi come lui siano pochi. E vede anche che quei pochi sono spesso soli, poiché gli altri (i tipi che si avviano a diventare come Bruno) li considerano strani. E Roberto, perciò, teme di essere “fatto” male. E siccome è generoso, e intellettualmente onesto, si domanda: “È mai possibile che solo io abbia ragione, e tutti gli altri abbiano torto?”

 

Questo però non lo danneggerebbe, se Roberto avesse qualche adulto che lo sostiene, che gli dice come stanno davvero le cose e lo aiuta a maturare senza corrompersi. Ma Roberto (come tanti ragazzi che prima di essere ragazzi furono bimbi sperduti) non ce l’ha, uno così. E quindi cerca una guida: qualcuno che gli sembri più forte, più saggio, più sicuro. Qualcuno che gli mostri “come si fa”.

 

Quando incontra Bruno, la prima impressione di Roberto (che non è uno stupido) è di fastidio e diffidenza. Intuisce che Bruno non è una bella persona. Ma è così forte, il suo desiderio di qualcuno che sia per lui il padre saggio, forte, buono e autorevole che non ha avuto, che Roberto mette a tacere sé stesso, si istupidisce, si annulla, pur di continuare a sperare d’aver trovato la persona che cerca: l’eroe della sua vita. E così, da giovane eroe che ha trovato un condottiero, Roberto segue Bruno fino alla morte.

 

Bruno, dal canto suo, sa bene (poiché anche lui fu distrutto, un tempo) come si distrugge un giovane.

 

Basta disprezzarlo.

 

Basta dirgli che la profondità del suo rapporto con gli altri è cosa da stupidi, poiché gli impedisce di calpestarli e di trionfare su di loro. Basta dirgli che i suoi affetti sono sciocchi, poiché permettono agli altri di sottometterlo. Basta deridere la sua onestà, sostenendo che non gli servirà che a farsi ingannare da tutti, poiché al mondo non è onesto nessuno. Basta sciupare e distruggere i suoi ricordi, e tutto ciò che gli è caro, mostrandoglieli come stupidaggini a cui presterebbe fede solo un bambino, come Babbo Natale e la Befana. È così che i tipi come Bruno distruggono i giovani come Roberto, quando questi si affidano alla loro apparente “superiorità”. Ed è così, infatti, che Bruno riduce Roberto a suo burattino, da sbatacchiare di qua e di là per l’Italia fin quando lo fracasserà come un giocattolo vecchio che l’ha stancato.

 

E per utto ciò non occorre faticare né far tanti discorsi. I tipi come Bruno, per distruggere i ragazzi come Roberto, una volta ottenuta la fiducia e la sudditanza del “soggetto” devono solo essere sé stessi.

 

È il puro e semplice comportamento, la grande arma dei Bruni: è il loro agire che a poco a poco (“divorato” giorno per giorno dal soggetto “conquistato”) distrugge tutto ciò che negli affetti e nella memoria del soggetto non gli permetteva di diventare come il proprio “eroe”. Il serpente, ipnotizzata la vittima affinché non scappi, deve solo inoculargli il veleno. E poi aspettare.

 

Un’ultima riflessione. Di tipi come Bruno Cortona ce ne sono di ogni dimensione: dal bulletto della classe (che “fa pratica” per il futuro tramutando i compagni più sperduti in una piccola gang di adoratori della sua disperazione e del suo vuoto interiori, scambiati per libertà e saggezza) al “grande” e “geniale” seduttore mediatico e/o politico che ipnotizza e affascina i popoli insegnando loro a sorpassare tutto ciò che credevano importante: l’onestà, la giustizia, la solidarietà, la tolleranza, la democrazia, e perfino la propria storia. Senza far fatica: solo allargando la bocca e ridendone, di queste cose. Solo dando a intendere che se ne può fare a meno, e tuttavia campare “alla grande”. Solo con il comportamento.

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(Le schede di Spiegare un film a un bambino sono per bambini e ragazzi di Quinta elementare, Prima, Seconda e Terza media.

Sono scritte, perciò, il più semplicemente possibile. Ma non sono affatto... semplicistiche.

Vuoi servirtene? Fai pure. Ma non spezzettarle, non alterarle e non dimenticare di citarne l’autore!)

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