Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca
Ricordi Immaginari - Spiegare un Film a un Bambino
Una storia vera
|
Clicca qui per scaricare la scheda in formato pdf!
Clicca qui per scaricare la scheda in formato Word!
Titolo: Una storia vera. Titolo originale: The Straight Story. Regista: David Lynch. Paesi di produzione: Francia - Gran Bretagna - Stati Uniti. Anno di produzione: 1999. Attori principali: Richard Farnsworth (Alvin Straight), Sissy Spacek (Rose Straight), Jane Galloway (Dorothy), Joseph A. Carpenter (Bud), Donald Wiegert (Sig), Tracey Maloney (Nurse), Dan Flannery (dottor Gibbons), Jennifer Edwards-Hughes (Brenda), Ed Grennan (Pete), Jack Walsh (Apple), Gil Pearson (conducente del bus), Barbara June Patterson (donna sul bus), Everett McGill (Tom), Anastasia Webb (Crystal), Matt Guidry (Steve), Harry Dean Stanton (Lyle, il fratello di Alvin). Durata: 1h 51’.
Il regista
Il film
Un bel giorno, il vecchio Alvin Straight ha un’idea singolare: montare su un tagliaerba, partire, percorrere a passo di lumaca un migliaio di chilometri di strade e di campi di mais, attraversare il gran fiume Mississippi e tutto quel che c’è sotto l’immenso cielo degli States fra casa sua e quella di suo fratello, e andare a riconciliarsi con lui, che per un antico litigio non vede ormai da troppo tempo.
È un’impresa assolutamente non pratica, che niente ha a che fare con l’utile. Ma è un’impresa straordinaria, soprattutto per un vecchio che gli anni hanno così indebolito che può a stento camminare, e così insensata e generosa da meritare il nome di creazione artistica. Come il film di David Lynch, che racconta l’impresa (realmente compiuta) di Alvin Straight badando soprattutto a mostrarci due cose: quanto è bello il mondo, quando ci si può permettere di camminare così lentamente da non dover solo registrarlo, ma avendo il tempo di contemplarlo; e quanta bontà e saggezza ha da dare, malgrado la povertà dei suoi mezzi tecnologici e fisici, quel raro esemplare di vecchio essere umano che è Alvin Straight. Naturalmente, quando ha la fortuna d’incontrare gente abbastanza bella da esser degna d’incontrare lui. |
Il commento di Luigi Scialanca
“Due cose riempiono l’animo di ammirazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle (...) come se fossero avvolte nell’oscurità (...); io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi (...). La seconda comincia dal mio io indivisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare (...). Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla la mia importanza di creatura animale che deve restituire nuovamente al pianeta (un semplice punto nell’universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore come valore di un’intelligenza (...) in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall’animalità e anche dall’intero mondo sensibile”1.
Sono parole che il filosofo tedesco Immanuel Kant, vissuto fra il 1724 e il 1804, scrisse nella conclusione della sua Critica della ragion pratica, pubblicata nel 1788. E descrivono molto bene il rapporto di Alvin Straight con la realtà, sia esterna che interna.
Le stelle sono ciò che egli più ama contemplare fuori di sé (ma gli piace anche un bel temporale, ed è proprio perché i loro spettacoli preferiti sono di questo genere che egli e sua figlia Rose non hanno un televisore), perché la vista di esse lo fa sentire una parte infinitamente piccola dell’Universo (che è così vasto, che al suo cospetto il più grande impero della Terra non è più importante di un singolo uomo, o di una donna, o di un bambino) e al contempo l’unica creatura la cui mente può contenere l’Universo per intero. Mentre la semplice legge morale, che egli ha scoperto nelle proprie idee e azioni, è ciò che più ama avere dentro di sé, poiché la presenza di essa lo fa sentire una parte infinitamente preziosa dell’Universo: l’unica dotata di quell’umana libertà e creatività, rispetto a esso, la cui massima espressione è il sentimento del giusto e dell’ingiusto: il sentimento, cioè, della corrispondenza o meno della realtà con gli affetti e l’immaginazione umani.
Ma Alvin non ha bisogno di conoscere Kant, per sentirsi minuscolo sotto le stelle e immenso per la capacità di intuire cosa va e cosa non va nell’Universo, e per gioire di tale sensazione meravigliosamente contraddittoria ogni volta che la prova: essa rende bella la sua vita e degna di essere vissuta, ed egli ama tutte le cose che la suscitano in lui con il loro essere immense e minuscole al tempo stesso.
Immenso e minuscolo è lui, Alvin Straight2, di cui quasi nessuno al mondo conosce l’esistenza e che tuttavia ha in sé un rapporto unico e irripetibile con l’Universo, nato con Alvin e che con Alvin morirà. Immensa e minuscola è sua figlia Rose, così inerme e insignificante che non ha potuto impedire che le portassero via i figli, ma depositaria di un’immensa capacità di amare e di immenso amore e stima da parte del padre. Immenso e minuscolo è il fratello di Alvin, Lyle Straight, che vive in una baracca sperduta in una selvaggia campagna, ma il cui valore per il fratello è così grande da fargli concepire un’impresa tanto splendida ed epica per tornare da lui superando ogni ostacolo. E immensi e minuscoli sono il tagliaerba, il suo rimorchio e il contenuto di quest’ultimo: oggetti che più poveri e meno tecnologici quasi non si può, ma ognuno dei quali contiene e nasconde, come un’ostrica la perla, l’inestimabile valore che è di tutto ciò (e di ciò soltanto) che può avvicinare e mettere in rapporto noi esseri umani nonostante la selvaggia e spietata disumanità dell’Universo.
Ma immensi e minuscoli sono in fondo anche l’America e il mondo, se un tagliaerba è sufficiente a percorrerli e un minuscolo essere umano a capirli e, nel suo piccolo, a cambiarli impercettibilmente in meglio. Così come sono immense e minuscole le cose che Alvin Straight ha da offrire a quelli che incontra nel corso del viaggio: parole modeste, piccoli e semplici concetti (come il pugno di legnetti a cui paragona la famiglia per la ragazza incinta scappata di casa, ognuno dei quali è un fragile fuscello ma che insieme è impossibile spezzare) che però hanno talvolta lo straordinario potere di influire sulla vita degli altri come se operassero un incantesimo nel cuore e nella mente di chi le ascolta.
È vero, d’altra parte, che il vecchio Alvin Straight si muove molto lentamente. Va così piano, sia nel parlare che nell’andare, a piedi o sul tagliaerba, che vien da supporre che niente di ciò che egli dice e fa abbia un sia pur minimo effetto su un mondo che è così tanto più veloce di lui. Vive come in un’altra dimensione, dove gli spazi sono enormemente più vasti e i tempi immensamente più lunghi, e sembra, perciò, che la sua vita e le nostre non possano incontrarsi. Ma non è così. Noi, in realtà, quando non facciamo che correre ― spinti da una frenesia che è un passivo, servile adattarsi alla frenesia di guadagno dei nostri padroni ― ci comportiamo come se fossimo soltanto i nostri corpi e la parte più arida, forzata e compulsiva dei nostri pensieri. Ma la nostra vita psichica profonda (in chi ne ha ancòra una) non è affatto meno lenta, maestosa e contemplativa del viaggio di Alvin, e soffre, per la velocità a cui la costringiamo ad adattarsi, proprio come ne soffre la donna che egli incontra a un certo punto, sconvolta e disperata perché in poche settimane, “costretta” a correre per andare al lavoro, ha ucciso con l’auto una dozzina di cervi, gli animali che più ama. Ed è proprio così: come lei, quelli che si rassegnano a correre pèrdono la possibilità di vedere, toccare, percepire il mondo che li circonda, dal quale la velocità li distacca e li allontana tanto di più quanto più è alta; e pèrdono, soprattutto, il rapporto con la propria realtà interna. Mentre quando riescono per un momento a fermarsi (quando tornano indietro, almeno per un po’, dalla piatta ed esagitata dimensione in cui, essi sì, sono andati a smarrirsi) ecco che le loro vite possono di nuovo incontrarsi con quelle dei tipi come Alvin, le cui parole e i cui gesti ricominciano allora ad avere effetto su di esse. Come vediamo accadere alla ragazza scappata di casa e ai meccanici gemelli.
La lentezza di Straight, dunque, non è una disabilità, non è causata dalla vecchiaia e dagli acciacchi (è evidente, infatti, che Alvin dev’essere sempre stato così lento, anche quand’era più giovane e sano), ma è un’altra delle cose immense e al contempo minuscole che caratterizzano la sua umanità, la sua storia e tutto ciò che gli appartiene: minuscola perché è una qualità modesta, poco appariscente, che lo fa sembrare debole; immensa perché è invece dotata, anche materialmente, dell’invisibile potenza straordinaria della goccia d’acqua, che corrode le rocce più dure, e perché è anche grazie alla lentezza che Alvin rimane in contatto con la propria umanità e con quella dei suoi simili.
La lentezza, a volte, può anche essere la manifestazione, sul piano del comportamento, di un segreto rifiuto della realtà esterna e interna, di un timore di muoversi e di impegnarsi in essa, di una volontà di restare il più possibile immobile, acquattato come una bestiola impaurita. Ma che non sia così per Alvin Straight lo vediamo con chiarezza dal coraggio con cui egli, invece, affronta la sconfinata realtà con i propri minuscoli mezzi, e con piccoli interventi produce effetti immensi.
La verità, dunque, è che Alvin Straight è sempre andato piano perché dalla vita ha sempre tratto quell’intenso piacere che induce a soffermarsi il più possibile nelle situazioni. E che la vita gli ha sempre dato piacere perché egli non ha mai smesso di tener d’occhio, a mano a mano che s’inoltrava in essa, il cielo stellato sopra di sé e la legge morale dentro di sé. |
* |
(Le schede di Spiegare un film a un bambino sono per bambini e ragazzi di Quinta elementare, Prima, Seconda e Terza media.
Sono scritte, perciò, il più semplicemente possibile. Ma non sono affatto... semplicistiche.
Vuoi servirtene? Fai pure. Ma non spezzettarle, non alterarle e non dimenticare di citarne l’autore!)
* |
|
* |