L'immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell'artista danese Viggo Rhode (1900-1976). L'ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

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diario del Prof (scolastico e oltre)

 

29 giugno 2007

 

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Gentile Collega, scriva cento volte: "Sono un’ignorante!"

 

Gentile Collega, scriva cento volte: Sono un’ignorante!

 

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Era un piccolo bullo, il ragazzino che perseguitava un compagno di classe e gli impediva di entrare nel bagno dei maschi chiamandolo femminuccia? Senza dubbio! Meritava una lezione? Sì! Poteva l’esimia Insegnante lasciar correre, far finta di niente, tornare a chiacchierare in sala professori (come alcuni fanno, e non solo durante la ricreazione) abbandonando il prepotente e la vittima al loro destino? Assolutamente no! Aveva il diritto di fargli scrivere cento volte qualcosa che lo inducesse a riflettere sull’insensatezza e la violenza del proprio comportamento? Sicuro!

 

Perché mai, allora, l’egregia Professoressa dovrebbe scrivere cento volte: Sono un’ignorante?

 

Perché la frase che la gentile Collega ha imposto al giovane bullo di scrivere sono un deficiente – denota, per l’appunto, una profonda ignoranza.

 

E se l’ottima Collega si offendesse, per essere stata definita un’ignorante?

 

In tal caso, noi impugneremmo il vocabolario e le risponderemmo che questo termine, ignorante, altro non designa che una persona che ignora, che non sa qualcosa... Proprio come si è difesa lei, che all’intervistatrice di Repubblica (giovedì 28 giugno, pag. 31, prima colonna) ha detto che si definisce una “classica” e che in questa accezione intende la parola “deficiente”: mancante di..., nella fattispecie di sensibilità. E se la gentile Signora protestasse che la parola ignorante, al di là del significato etimologico, è obiettivamente un insulto e come tale è percepita da chi se la sente appioppare, che altro potremmo noi risponderle se non che anche il termine deficiente è usato (e inteso) dalla comunità dei parlanti per significare molto di più e di peggio?

 

Potremmo dare del deficiente a un negoziante perché gli manca un certo prodotto? Perché è sprovvisto dell’oggetto che andiamo cercando? Definiremmo un deficiente (di memoria, per carità, solo di memoria!) il nostro congiunto o amico che ha dimenticato qualcosa che gli avevamo chiesto di fare per noi? Ci piacerebbe che un presidente del Consiglio, di destra o di sinistra, ci chiamasse deficienti (di denaro, beninteso, solo di denaro!) perché non ce la facciamo ad arrivare alla fine del mese?

 

Bando alle ipocrisie, gentile Collega! Se diamo a qualcuno del deficiente, quel che pensiamo e intendiamo dire è che egli manca di qualcosa che è indispensabile per poter essere considerato umano.

 

Tant’è vero che nessuno dà del deficiente a un animale non umano!

 

Una gallina o unoca, per esempio, gentile Collega, sono da tutti considerate delle bestie stupide, come certamente saprà anche lei... Tuttavia, chi ha mai sentito chiamare deficiente una gallina o un’oca? Non si può. E lo sa, lei, perché non si può? Perché galline e oche son “fatte così” dalla Natura, e quindi, se non sono molto intelligenti, non è perché manchino di qualcosa. Sarebbe come dar loro delle deficienti, povere uccelle, perché non hanno le mani o la parola!

 

Un essere umano, invece, certo che lo si può chiamare deficiente! Lo fanno tutti quelli che non sanno che cosa sia un essere umano. Tutti gli ignoranti di che cosa sia un essere umano. E quando lo fanno (in genere, da veri bulli, nei confronti di qualcuno che è più piccolo e più debole di loro) be’, cara Signora, sanno benissimo che cosa vogliono dire! Anche se un minuto dopo, impauriti dalle possibili conseguenze, si mettono nervosamente a giocherellare col vocabolario... Vogliono intendere che quel povero disgraziato è venuto al mondo incompleto, carente, mancante di una o più d’una delle fondamentali caratteristiche umane. Vogliono dirgli non solo che è stupido o insensibile, cioè, ma che è nato stupido o insensibile, e che tale resterà per sempre, perché le tare genetiche sono incurabili.

 

Si sarebbe potuta permettere di dire una cosa del genere a quel ragazzino, cara Collega, se non fosse stata più forte di lui? Se non avesse goduto di maggior potere?

 

Le farò un esempio, così le sarà più agevole capire ciò che le sto dicendo...

 

Lei come spiega ai suoi alunni, gentile Signora, l’inciviltà della pena di morte? Non gli dice che uccidere l’assassino rende assassini? E che, una volta diventati degli assassini, non si ha più il diritto di giudicare e punire gli altri assassini, poiché ormai non si è più diversi da loro, ma solo più forti? Ci auguriamo di sì!... Ma allora come ha potuto, cara Collega, dare del minorato a un ragazzino (questo, infatti, è il vero significato della parola deficiente!) perché egli aveva dato del minorato (questo, infatti, significa la parola femminuccia se detta a un maschio!) a un altro ragazzino? Non l’ha colta il sospetto di aver fatto la stessa cosa che aveva fatto lui? Non ha esclamato, un attimo dopo: Povera me! D’ora in poi sono una bulletta anch’io? E che cosa ha pensato, egregia Signora, quando il padre del prepotente le ha dato della cogliona? Ha capito che quell’uomo si stava comportando con lei così come lei si era comportata col figlio e il figlio con il compagno? Si è resa conto di essere stata, ancora una volta, solo una rotellina del solito, tristo, infernale ingranaggio?

 

Il suo bulletto, illustre Professoressa, si comporta in quel modo perché si è lasciato persuadere che i più deboli siano dei deficienti, dei minorati: meno uomini, cioè meno umani, dei più forti. Che solo con la forza, con l’arroganza, con la prepotenza, dunque (e, al limite, con la violenza) si possano ottenere la considerazione e il rispetto che son dovuti agli uomini, cioè a chi a pieno titolo è umano. L’avranno trattato così fin da quando è venuto al mondo? Sarà stato, cioè, disprezzato e considerato non del tutto umano perché era piccolo e non grande, perché debole e non forte, perché piangeva e non faceva piangere, perché dipendeva dall’amore dei suoi simili e non era autonomo e indifferente a tutto e a tutti? Non lo sappiamo. Ma siamo certi che è così che quel ragazzo la pensa ora, che è così che egli tratta gli altri oggi: disprezzando e vessando chiunque sia o gli appaia più debole. E ciò per dimostrare a tutti, e soprattutto a sé stesso, che egli non fa più parte della categoria dei deboli, si è emancipato, si è fatto grande: che è un uomo, adesso!

 

I bulletti, gentile Signora, sono i ragazzi che non osarono ribellarsi a chi non li trattò da veri esseri umani finché non la smisero (un tragico giorno che passò inosservato) di essere piccoli, deboli, inermi e desiderosi d’affetto, di comprensione, di conoscenza. E vuol sapere come mai non si ribellarono? Per poter continuare ad amare chi li trattava così. Poiché i bulletti sono i ragazzi che, per difendere dinanzi ai propri occhi l’immagine di chi li disprezzava, per mettersi al riparo dal rischio di pensarne male, si convinsero di meritare, in quanto piccoli, tale disprezzo; sono quelli che ammirarono, in quanto grande e forte, chi li trattava così, e da quel momento fecero di tutto per diventare come lui. Poiché i bulletti, cara Professoressa, son quelli che hanno creduto che sarebbero stati dei deficienti finché non fossero stati abbastanza forti e insensibili da poter, come ha fatto lei, dare impunemente del deficiente a qualcuno.

 

Con ciò, sia ben chiaro, noi non intendiamo giustificarli, egregia Collega. Lei doveva dare una lezione al suo bulletto, doveva assolutamente! Solo che ha sbagliato lezione. Solo che gli ha dato la medesima “lezione” insensata e violenta che a questi ragazzi è stata imposta e fatta imparare a memoria per anni, finché non si son fatti furbi... Sei un deficiente, gli ha detto. Cioè sei fatto male, sei carente, non sei completo, non sei del tutto umano, sei un mostro. E ha potuto dirglielo solo perché lei è più forte e ha più potere di lui. Non avrebbe osato dare del deficiente a un adulto, specialmente se più grosso e robusto! Non avrebbe osato chiamare deficiente il suo preside, o il suo signor ministro! E dunque, esimia Professoressa, lei è stata più bulletta del bulletto, e per l’ennesima volta ha confermato la trista esperienza di tutta la sua vita.

 

La verità, cara Collega, è che lui, il bulletto, le sembra non umano, alieno, di unaltra specie. Proprio come il ragazzino offeso sembrava una creatura aliena al bulletto. La verità, cara Collega, è che proprio questa è l’orribile ideologia trasversale che sta uniformando la destra e una parte della sinistra, e non solo in Italia: l’ignoranza. L’ignoranza, intendo, di che cosa sia un essere umano. E dunque, e soprattutto, l’ignoranza di che cosa sia un bambino. Ragion per cui – a causa, cioè, di questa ignoranza che vi accomuna  le parole e i proclami rimangono diversi, addirittura opposti, ma i comportamenti dell’una e dell’altra parte tendono ad assomigliarsi, e sempre più spesso ci tocca vedere dei sinceri democratici come lei (i più sensibili e in buona fede soffrendone e disperandosi come il dottor Jekyll quando mister Hyde gli prendeva la mano) pensare e agire né più né meno come dei fascistelli: e la professoressa dalle idee politicamente corrette, per esempio, considerare e trattare un alunno bulletto esattamente come il bulletto ha considerato e trattato il compagno che non accettava di partecipare a questa bruttissima rincorsa a destra: come un deficiente.

 

Sarebbe stato molto diverso, gentile Signora, se lei al bulletto avesse fatto scrivere cento volte, per esempio: Io disprezzo tutti quelli che non sono abbastanza potenti da trattarmi da deficiente. O anche: Io mi son lasciato ridurre a disprezzare tutti quelli che non disprezzano me...

 

Troppo difficile per entrambi, per lei da capire e spiegare, per lui da capire? Non vogliamo crederlo, ma... Che ne dice, allora, di: Io MI COMPORTO COME SE FOSSI un deficiente? La punizione sarebbe stata più dura, è vero – un sacco di parole in più – ma certo non sarebbe stata violenta e insensata come la sua. Comportarsi come un deficiente, infatti (non occorre una laurea per capirlo) è assai diverso dallessere un deficiente! E così facendo lei avrebbe lasciato al suo bulletto (e anche a sé medesima) la possibilità quanto meno di sperare che un bambino umano sia pur esistito, anche solo per il primo anno di vita, nella mente e nel cuore di quello che poi è stato spinto a diventare un bulletto. E che egli non sia, dunque, un povero e incurabile deficiente, ma un piccolo essere umano guastato che è ancora possibile aiutare a ritrovare sé stesso.

 

Se fosse meno ignorante di che cosa sia un essere umano, e dunque meno coinvolta nell’identico modo di pensare del bulletto e del padre, egregia Collega – se si fosse comportata, cioè. come la vera insegnante che ama considerarsi  lei gli avrebbe spiegato e fatto scrivere cose come queste, anziché sbottare in quell’epiteto stantio, uscirsene poi sui giornali e sugli schermi con quella giustificazione “classica” ancora più stantia, e confluire, infine, modesto fuscello trascinato via da una tempesta, nella canea che da mesi si va gonfiando da destra e da manca contro i ragazzi di questo povero paese così “ben messo” dai suoi adulti di ieri e di oggi: una canea talmente vecchia, nella sua violenza e insensatezza, che una persona di onesti sentimenti come fa a non temere che nasconda, prepari ed annunci un rigurgito di preistoriche pulsioni al massacro, un’inconscia (o coscientissima) volontà di guerra come igiene del mondo, un qualche mostruoso dopo di me il diluvio di una mezza generazione di vecchi falliti in cerca di giovani capri espiatori?

 

Si consoli, comunque, poiché è in buona compagnia. Il ministro Fioroni, all’inizio dell’anno scolastico 2006-2007, non ha forse dichiarato che la Scuola deve umanizzare le nuove generazioni? Anche lui, dunque, pensa che i giovani siano deficienti di umanità! E da chi l’avrà imparato, secondo lei? L’avranno disprezzato e maltrattato a tal punto, quand’era piccolo, da indurlo a convincersi che i piccoli umani... non siano umani? Poiché, vede, è un’ideologia profondamente destrorsa e superstiziosa, quella che è persuasa e vuol persuadere che gli esseri umani non nascano umani, ma debbano essere educati (cioè forzati) a diventarlo... Eppure il ministro, evidentemente, proprio come il suo bulletto (e, come lui, senza accorgersene, poiché l’onorevole Fioroni è senza dubbio un sincero democratico) ha ceduto a questa idea violenta e insensata, ci ha creduto, l’ha fatta propria. E le televisioni dietro! E i giornali dietro! E i presidi dietro! E gli illustri Colleghi dietro! Mentre su tutti (come denuncia l’associazione La Rete degli studenti, sempre su Repubblica del 28 giugno) un gran polverone d’allarme e di sospetto si va diffondendo nella Scuola italiana, tale che gli stessi docenti non hanno più chiaro il loro ruolo, teso tra quello di educatori e quello di sceriffi e difensori dell’ordine pubblico...

 

Ieri così “buonisti” che non volevano più “bocciare” nessuno; oggi, tutt’a un tratto, così “cattivisti” che tra poco cominceranno a rimpiangere la ferula!... Poveri Colleghi, poveri presidi, poveri ministri! Come dev’essere brutto, come dev’essere penoso ignorare chi si è, chi sono gli esseri umani a noi affidati, che cosa si sta a fare nel posto che si occupa!... Studiate, fate una ricerca, pensate, pensate, pensate, invece di passare il tempo ad apparire in tv o a sprofondarvi in poltrona al cospetto di essa!

 

Scrivete cento volte: Non siamo dei deficienti, possiamo capire!

(venerdì 29 giugno 2007)

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