L'immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell'artista danese Viggo Rhode (1900-1976). L'ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

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La Terra vista da Anticoli Corrado

 

diario del Prof (scolastico e oltre)

 

ottobre 2009

 

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mercoledì 14 ottobre

La professoressa Cristina Pratesi con alcune delle Alunne e degli Alunni che hanno partecipato al viaggio di istruzione in Puglia e ai Sassi di Matera del 22, 23 e 24 aprile 2009.

La professoressa Cristina Pratesi con alcune delle Alunne e degli Alunni

che hanno partecipato al viaggio di istruzione in Puglia del 22, 23 e 24 aprile 2009.

 

Le mille facce di una donna senza faccia

 

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Licenziamento è una parola che fa paura. Eppure in origine era un eufemismo, come extraordinary rendition invece di sequestro a scopo di tortura, o terminare invece che assassinare, o soluzione finale invece che sterminio totale. Dal latino licentia, insinuava che il “licenziato” avesse domandato lui di essere “messo in libertà”, che per sua richiesta e insistenza gli fosse stato benevolmente concesso il “permesso di congedarsi”: era, cioè, uno di quei termini “analgesici” che la ragion violenta, ma esteriormente cortese e perfino premurosa ― individuale o aziendale o istituzionale che sia ― astutamente conia per meglio dissimulare la propria brutalità; per far sì che l’offeso, confuso e abbindolato dai modi gentili dell’offensore, dal suo tono pacato, dalla razionalità delle sue considerazioni, non riesca a reagire, si paralizzi, dubiti che sia proprio da lui che gli viene l’offesa, e addirittura finisca col crederlo quanto meno neutrale, se non amico, e sinceramente dispiaciuto di non poter fare alcunché per aiutarlo.

 

Poiché son passati secoli, però, da quando licenziare significava dare il permesso di andar via, oggi la parola licenziamento non edulcora più: fa paura e basta. Perciò, coniato un nuovo eufemismo, si preferisce parlare di esuberi: come se i “licenziati” fossero Donne e Uomini troppo “esuberanti” per star fermi ai propri posti, troppo “iperattivi” per non mettersi da sé in mobilità (altro eufemismo). Ma comunque la si dica, la verità che si cerca di non vedere, non pensare e soprattutto non sentire e soffrire è questa: chi è licenziato è scacciato. Chi è licenziato è una Donna o un Uomo a cui qualcuno ha detto: Vattene via, non farti più vedere, sparisci: non mi servi più e perciò ti butto fuori, ti scaccio, ti cancello dalla lista.

 

Ecco, dunque, chi è la donna nel collage di foto qui sotto. Ecco chi è la signorina ministro Mariastella Gelmini: è la donna che ha detto alla professoressa Cristina Pratesi: Vattene via, non farti più vedere, sparisci: non mi servi più e perciò ti butto fuori, ti scaccio, ti cancello dalla lista.

 

L’anno scorso la professoressa Cristina Pratesi ha insegnato Matematica e Scienze a Roviano, e i suoi Alunni e i loro Genitori ― ci ha raccontato il preside ― speravano molto di rivederla: ma la signora Pratesi non è tornata. Non perché abbia chiesto licenza di congedarsi, non perché sia troppo esuberante per riuscire a star ferma al suo posto: la signora e professoressa Cristina Pratesi, con altre decine di migliaia di Docenti e Non docenti in tutta Italia, è stata scacciata senza neppure guardarla, senza porsi su di lei neanche una domanda, senza sapere nemmeno il suo nome, solo con una firma in calce a una lista di decine di migliaia di Nomi non letti. E a scacciarla è stata la signorina ministro Mariastella Gelmini.

 

Perché? Per non pagarle più lo stipendio. Perché? Per non far pagare a un ladro le tasse per pagarle lo stipendio. E chi sarà mai, per la signorina ministro Mariastella Gelmini, la signora e professoressa Cristina Pratesi, chi saranno mai i suoi Alunni e i loro Genitori, che cosa sarà mai la sua Scuola attaccata e saccheggiata, dinanzi a un ladro che nascosto nell’ombra deruba gli Italiani onesti ma a viso aperto entra in una cabina elettorale e vota per chi lo lascia continuare a rubare?

 

Abbiamo parlato, qualche giorno fa, con la professoressa Pratesi. Con l’intensa, severa dignità di chi non vuole che lo si veda soffrire, ci ha ricordato che prima che un’Insegnante è una Geologa, e ci ha fatto capire, così, che la passione per la scienza e la speranza di lavorare un domani come Ricercatrice la sta aiutando a non sentirsi troppo male, nella sua nuova condizione di Donna scacciata: di Donna, di Signora e di Madre che la signorina ministro Mariastella Gelmini ha cacciato via senza guardarla, senza nulla voler sapere di lei, solo con una firma in calce a una lista di decine di migliaia di Nomi ignorati, cancellati, fatti sparire con un tratto di penna dalle vite dei loro Alunni, delle Famiglie, dei Colleghi.

 

Qualche giorno prima avevamo ricevuto una mail dalla professoressa Maria Adelaide Miotto, che l’anno scorso ha insegnato Francese ad Anticoli Corrado. Anche lei Donna, anche lei Signora, anche lei Madre scacciata senza nemmeno guardarla dalla signorina ministro Mariastella Gelmini, la professoressa Miotto ci ha scritto parole che da quando le abbiamo lette ci fanno star male ogni volta che ci tornano in mente, e lo fanno spessissimo: Io sto così così..., ci ha scritto la signora e professoressa Miotto. Sono un po... sfiduciata, è la parola giusta! Niente scuola... rimarrò in attesa per un altro po e poi devo prendere delle decisioni sul mio futuro! La situazione è difficile, per le abilitazioni poi è tutto bloccato e non posso aspettare che si ammali qualcuno per lavorare... Cambiare mi dispiacerebbe, perchè la scuola in questi anni mi ha dato molto e pensavo fosse la mia strada... Ora devo ricominciare e sinceramente non so ancora da dove ripartire, trovare lavoro in questi tempi non è facile e gli anni stanno passando anche per me!!! Comunque non voglio annoiarti con i miei problemi... spero di venire presto a trovarvi. Ciao!

 

Questo ci hanno detto e scritto la professoressa Pratesi e la professoressa Miotto, le uniche due Scacciate dalla Gelmini che conosciamo di persona. Vogliamo provare a immaginare che cosa ci direbbero le Altre e gli Altri centotrentamila, compresi quelli che ancora non sanno di essere stati scacciati perché lo sapranno l’anno prossimo o quello dopo? Vogliamo provare a immaginare, a sentire, a soffrire, a piangere per quel che Ognuno di Loro a modo proprio ci direbbe? Vogliamo provare a essere, Ognuno di Noi, come la signorina ministro Mariastella Gelmini e i suoi signori e signorini colleghi non riusciranno a essere mai, campassero centotrentamila anni? Vogliamo provare a vedere, Ognuno di Noi, se abbiamo ancora la faccia che le donne e gli uomini senza faccia non hanno più? La faccia di chi sente, di chi soffre, di chi piange, di chi si arrabbia, di chi non sopporta che Cristina Pratesi, che Maria Adelaide Miotto, che decine di migliaia di Donne e di Uomini siano scacciati e cancellati dalle nostre vite?

 

O vogliamo far finta di niente? O vogliamo ridurci anche Noi come le donne e gli uomini senza faccia che scacciano e fanno sparire le Donne e gli Uomini senza guardarli, senza immaginare, senza domandare? O vogliamo essere anche Noi come quelli che ogni giorno entrano nelle Scuole e fingono di lavorare, di insegnare, di parlare, di sorridere, di essere ancora vivi, e invece stanno precipitando senza un grido nei buchi neri che fingono di non vedere, ma sanno benissimo che l’anno scorso non c’erano, che l’anno scorso non erano buchi neri ma Donne e Uomini che lavoravano, insegnavano, parlavano, sorridevano, erano vivi davvero, e sono stati scacciati e cancellati contando proprio sul fatto che Noi, tanto ― non Donne, non Uomini ― saremmo morti dentro per far finta di niente?

 

Come vogliamo essere, Noi? Come la signorina ministro Mariastella Gelmini? Come i colleghi che muoiono dentro pur di far finta di niente? O come le nostre care Colleghe scacciate e fatte sparire?

 

È più facile, quando tutto va bene o quasi, avere una faccia e una voce. Molto più difficile è avere una faccia e una voce per i giorni bui, per le notti insonni, per i mesi e gli anni in cui dal gelo pullulano i lupi e prendono le città, corrono le strade, assediano e invadono le case. Molto più difficile è avere una faccia e una voce quando di notte non dormi perché senti le urla di chi in casa sua ― in una casa proprio come la tua ― è azzannato e divorato dai lupi.

Antonio Gramsci (1891-1937)

Antonio Gramsci (1891-1937)

 

 

È vero, siamo Partigiani

 

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(...) Chi vive veramente non può non essere cittadino, e partigiano. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia.
È la palla di piombo per il rinnovatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che circonda la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scoraggia e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica.
L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera.
È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare.
La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un’epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E quest’ultimo s’irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo?
Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano. I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere. Odio gli indifferenti anche per questo e mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti.
Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze meravigliose della mia parte già pulsare l’attività della città futura che appunto la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrificio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti e ogni opportunista.

 

Antonio Gramsci

(dal sito http://lavoropolitico.it)

 

“Che faccia avrò domani,” pensi, “quando a Scuola non vedrò né Lei né Lui ― scacciati, cancellati, spariti ― e saprò che erano loro a urlare e che non torneranno mai più? Che faccia avrò, che voce, per i Bambini e i Ragazzi che imparano da me, quando mi vedranno sfiorare o addirittura calpestare i vuoti che ancora ieri erano le Scacciate e gli Scacciati di oggi?”

 

“Potrò avere anch’io, allora,” pensi, “sì, forse potrò avere anch’io l’impulso di diventare una donna o un uomo senza faccia... Sì, l’impulso forse l’avrò di far finta di niente e tirare avanti sperando che quelli che scacciano e fanno sparire mi scambino per uno di loro, o ancora meglio per un automa radiocomandato, e mi lascino in pace... Ma chissà: forse, invece, resisterò... Sì, forse resisterò ― pur sapendo che resistere significa soffrire, piangere, arrabbiarsi, lottare, e rischiare di essere a mia volta scacciato, fatto sparire, e sul nero vuoto lasciato dalla mia sparizione insultato e deriso ― perché più che di quelli che scacciano e fanno sparire avrò paura di diventare anch’io come loro. Di ritrovarmi anch’io, come loro, a mettermi sul viso ogni giorno una faccia diversa, alla disperata e sempre vana ricerca di una faccia che vada bene, che non mi tradisca, che non sveli a chiunque mi guardi che sono una donna o un uomo senza faccia, una donna o un uomo che è morto scacciando, cancellando Donne e Uomini con un sol tratto di penna, senza sentire, senza immaginare, senza voler sapere di essi alcunché, e che da allora cammina e parla e sorride come se fosse vivo ma vivo non è, e sa che si vede, se lo sente addesso, e disperatamente cerca una faccia che nasconda quella che non ha, e ogni giorno ne prova un’altra. E nessuna va bene.”

 

Alcune delle mille facce della signorina ministro Mariastella Gelmini.

 

I centotrentunomilacentoquarantacinque Donne e Uomini scacciati e cancellati dalla signorina ministro Mariastella Gelmini.

 

Post scriptum:

 

Per la serie "De gustibus non est disputandum": Mariastella Gelmini e Maurizio Lupi.

Per la serie "De gustibus non est disputandum": Mariastella Gelmini e Maurizio Lupi.

 

(su) Mariastella Gelmini (signorina ministro della Pubblica Istruzione) e Maurizio Lupi (pidiellìno): Nell’aula si discute del decreto sui precari della scuola o “lodo salva Gelmini”, come l’hanno battezzato dall’opposizione dopo la bocciatura del Tar e l’incombente commissariamento. Non c’è tempo da perdere. Ma ministro e capigruppo del centrodestra si accorgono che non ci sono i numeri. Chiedono la sospensione dei lavori. Niente da fare: mancano 20 pidiellìni e 4 leghisti, il Pidì è presente, la maggioranza va sotto per dieci voti e lo stop non passa. Si passa all’esame del primo, decisivo comma: contratti a tempo dei precari, che il governo non vorrebbe trasformare a tempo indeterminato, e maturazione della loro anzianità pensionistica durante il precariato, che il decreto vuole evitare. L’opposizione propone di cancellarlo del tutto. La Gelmini vede nero. Il berlusconiano Maurizio Lupi prima apre la votazione, poi concede la parola a tre deputati di maggioranza, che fanno melina, e in dodici (tra cui la Lussana) riescono a precipitarsi alle postazioni. A quel punto sì, Lupi chiude le votazioni e il centrodestra la spunta per due voti: 271 a 269.

(La Repubblica, mercoledì 21 ottobre 2009).

Lasciamo perdere il povero berlusconiano Lupi (lo si potrebbe considerare moralmente responsabile del proprio comportamento non istituzionale se la signorina ministro Mariastella Gelmini, ipoteticamente, emanasse effluvi che a un innamorato del premier risultano irresistibili?) e notiamo che il comma approvato, se il resoconto de La Repubblica è esatto, dice: 1°, che la signorina ministro Mariastella Gelmini non vuole trasformare i contratti a tempo determinato dei Precari in contratti a tempo indeterminato, cioè vuole che i Precari restino tali per tutta la vita; 2°, che la signorina ministro Mariastella Gelmini non vuole che i Precari, mentre restano tali per tutta la vita, maturino la loro anzianità pensionistica: vuole, cioè, che i Precari la pensione non la maturino mai.

 

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sabato 3 ottobre

 

E sul tItalyc intanto si fa festa...

 

E sul tItalyc intanto si fa festa...

 

Nelle stesse ore in cui a Milano la Destra, in ghingheri e moccichini verdi, festeggiava e si sdilinquiva alla prima del Barbarossa (il cosiddetto kolossal leghista prodotto dalla Rai anche coi nostri soldi), in Sicilia Uomini e Donne e Bambini sepolti dal fango gridavano e invocavano aiuto con voci sempre più fioche.

 

Vittime dell’abusivismo, come senza vergogna va dicendo quel Bertolaso che è diventato uno degli uomini più potenti d’Italia badando bene a non pestare i piedi ai governi ― di Destra e di finta sinistra ― sotto i quali l’abusivismo e l’incuria hanno prosperato e prosperano? Vittime, dunque, solo di sé stessi? Compresi i Bambini?

 

No. Noi diciamo che quegli Uomini, quelle Donne, quei Bambini ieri in Sicilia come pochi mesi fa a L’Aquila ― sono soprattutto le Vittime di un Popolo che delira che la Libertà sia fare ognuno come gli pare: senza alcun rispetto, senza considerazione, senza neppure immaginare che gli Altri esistano. Peggio: senza immaginare di esistere nemmeno essi stessi!

 

Un Popolo di cui è possibile che facciano parte anche alcune delle Vittime, certo, ma soprattutto un Popolo che a delirare è spinto e incoraggiato ogni giorno dalle urla, dagli insulti e dalle minacce con cui la Destra aggredisce Noi che ci ostiniamo a ricordare che Libertà è tutt’altro. Una Destra che poi, dopo aver urlato e insultato e minacciato, si dà a feste e festini mentre l’Italia affonda.

 

Un’immagine ― questa dell’Italia come di un Titanic (anzi: di un tItalyc) con la sua ineffabile orchestrina di media suonanti e cantanti che La Repubblica di sabato 3 ottobre ci ha irresistibilmente suggerito con le pubblicità che ha accostato (certo senza volerlo) alle terribili immagini della tragedia di Messina. A pagina 3 quella del Gratta e Vinci: sotto una spaventosa marea di fango e di macerie, una strada di città sommersa invece dall’oro e le fatue parole Presto, tutto si ricoprirà di magia. E a pagina 5 quella dell’Emporio Armani: accanto a una via devastata dalla frana ― e a Soccorritori abbandonati a sé stessi al pari di Quelli che soccorrono ― un bellimbusto devastato invece dal tatuaggio di un angelo si cala dal cielo non con le ali, che non ha (i tagli della Destra e della finta “sinistra” per non perseguire i delinquenti fiscali devono aver colpito anche le creature ultraterrene) ma tenendosi stretto a una fune che non ha il coraggio di lasciare.

 

Non è forse così, l’Italia del 2009? Da un lato Uomini, Donne e Bambini che gridano sotto le macerie e il fango, dall’altro Uomini, Donne e Bambini che si affidano al gioco d’azzardo e agli angeli. Mentre nella Milano da bere fa festa indisturbato chi da vent’anni avvelena le menti e i cuori degli Italiani col delirio che sia Popolo di libertà un Popolo che se ne frega e odia, insulta e minaccia chiunque si azzardi a dirgli che così affonderemo e saremo ricoperti Tutti. E non di magia.

 

Le pubblicità che La Repubblica di sabato 3 ottobre 2009 ha accostato alle immagini del fango e delle macerie. (Cliccale per ingrandirle!)

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