ScuolAnticoli

Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca

 

L'immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell'artista danese Viggo Rhode (1900-1976). L'ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

La Terra vista da Anticoli Corrado

nel gennaio del 2014

 

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Ti sembra che il Paese sia abbandonato a sé stesso? Ma no, non preoccuparti: finché pensano alle banche, potranno sempre risolvere i problemi coi tuoi risparmi. (Venerdì 31 gennaio 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

(Venerdì 31 gennaio 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Spiegare un Film a un Bambino: Psycho, di Alfred Hitchcock.

47. "Psycho", di Alfred Hitchcock (1960), con Anthony Perkins, Vera Miles, Janet Leigh, John Gavin, Martin Balsam, John McIntire e Simon Oakland.

(Le schede di Spiegare un film a un bambino sono per bambini e ragazzi di Quinta elementare, Prima, Seconda e Terza media. Sono scritte, perciò, il più semplicemente possibile. Ma non sono affatto semplicistiche. Vuoi servirtene? Fai pure. Ma non spezzettarle, non alterarle e... non dimenticare di citarne l’autore!)

 

Di Psycho, in una lunga e appassionante intervista a François Truffaut, Alfred Hitchcock disse che della storia gli era importato poco, e dei personaggi anche: “Quel che mi premeva,” soggiunse, “era solo che il montaggio dei pezzi del film, la fotografia, la colonna sonora e tutto ciò che è puramente tecnico facessero urlare il pubblico”. Ma è davvero puramente tecnico, il fascino di questo film? O non è più giusto dire che la tecnica impareggiabile di Hitchcock ha magnificamente servito la sua intenzione di coinvolgere in pieno lo spettatore nel viluppo di errori, squallidi rapporti, anaffettività e disperazione che conduce alla rovina la povera protagonista? Di fargli sentire tutto ciò, più che di farglielo capire in astratto?

 

La morte di Marion Crane è il momento culminante, il centro del film.

 

Tutto ciò che accade prima la prepara; tutto ciò che avviene dopo ne consegue.

 

La morte di Marion, inoltre, come ogni morte, è anche una scomparsa. Ma lo è in modo particolare, più intensamente di quanto lo sia di solito, poiché Hitchcock ha fatto sì che questo aspetto della morte (il suo essere, cioè, anche una sparizione) avesse nel film un rilievo speciale, tale da attrarre e concentrare su di sé l’attenzione degli spettatori più di ogni altra sua caratteristica. Più del terrore di Marion, più delle tremende ferite che le vengono inflitte, più della sua orribile morte, ciò che si imprime nella mente degli spettatori è proprio il suo scomparire: che è dapprima lento, quasi impercettibile, ma diventa sempre più rapido e spaventoso a mano a mano che la povera ragazza si avvicina alla sua tragica fine.

 

Nel romanzo di Robert Bloch, invece, che è una pregevole ricerca sulla psicologia di un serial killer, questa attenzione per il tema della scomparsa non c’è. Ma Hitchcock era evidentemente interessato a esso molto più che alla follia di Norman Bates. Ne intuiva, forse, l’immensa importanza per la comprensione della genesi del crimine (dato che ogni delitto origina da un’attenuazione o, nei casi più gravi, da una cancellazione dell’umanità di tutti quelli che contribuiscono al suo verificarsi). O forse era attratto dalla sfida alla sua bravura rappresentata dalla difficoltà di riuscire a far vedere lo sparire... (Clicca qui per continuare a leggere!). (Mercoledì 29 gennaio 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Vignetta di Altan tratta da Segnalazioni. Testo rielaborato da Luigi Scialanca. (Lunedì 27 gennaio 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

Vignetta di Altan tratta da Segnalazioni. Testo rielaborato da Luigi Scialanca. (Lunedì 27 gennaio 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Qualcuno vuole Anticoli senza più Scuola Media?

Qualcuno vuole Anticoli senza più Scuola Media? (Martedì 28 gennaio 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

Clicca qui per scaricare il testo in Word e qui per scaricarlo in pdf.

 

Qualcuno vuole Anticoli senza più Scuola Media?

Non lo so. Spero di no. Che nessuno voglia legare per sempre il suo nome al ricordo di un tale scempio.

Ma se così fosse, se questo accadesse, allora vi direi chiaramente che:

 

1. Chi vuole eliminare la Scuola Media di Anticoli Corrado, vuol cancellare l’unica Scuola Media che ancora funziona. Chi non vuol più una Scuola Media ad Anticoli (qualunque scusa s’inventi o creda “in buona fede”) non la vuole più perché la odia. E la odia perché è una buona Scuola, vi si studia seriamente e vi s’insegna a rispettare gli esseri umani e i diritti fondamentali. Perché è un centro di speranza, di cultura e di legalità.

 

2. Chi vuol cancellare la Scuola Media di Anticoli Corrado, vuol cancellare Anticoli Corrado. Lo sappiamo tutti, lo capiamo bene: forze potenti mirano a far sparire i piccoli paesi, a distruggerne l’identità, la storia, le tradizioni. A tramutarli in quartieri dormitorio, in cupe Tor Bella Monaca disumanizzate e disumanizzanti.

Dall’ospedale ai trasporti pubblici, dai negozi agli uffici postali, dalle strade a ogni piccolo o grande luogo che amiamo, niente dev’essere chiuso, niente dev’essere distrutto, tutto dev’essere difeso contro i devastatori! O i devastatori, a poco a poco, ci toglieranno tutto.

E la Scuola specialmente. Poiché chi vuol distruggere la Scuola Media di Anticoli Corrado, chi vuole Anticoli senza più Scuola Media, si è già consegnato a chi vuol fare di Anticoli e della Valle una squallida periferia senza più affetti né cervello: uno zombie senza vita.

 

3. Badate bene: nessun insegnante o bidello perderebbe il posto. Nessun lavoratore della Scuola ci rimetterebbe un centesimo. E io, personalmente, non dovrei lasciare Anticoli Corrado. Nossignori: il problema non è questo. Non è per me, non è nel mio interesse che parlo e dico e scrivo queste cose, ma per voi e per i vostri figli. Poiché chi cancella le Scuole, lo sappia o meno, vuol togliere ai vostri bambini la speranza e la forza, gli affetti e il pensiero, la dignità e il futuro, e odia le Scuole perché cercano di salvarli.

 

Anticolani, non permettetelo e non siate complici:

chi vuol chiudere le Scuole vuole i vostri figli schiavi.

chi vuol chiudere le Scuole Vuole il vostro paese morto e sepolto.

chi vuol chiudere le Scuole Vuole voi e la vostra storia cancellati per sempre.

Clicca qui per scaricare il testo in Word e qui per scaricarlo in pdf. (Martedì 28 gennaio 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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La grande bruttezza de “La grande bellezza”

-La grande bruttezza de “La grande bellezza”-, di Luigi Scialanca. Nell'immagine, Valeria Ciangottini nella sequenza conclusiva de "La dolce vita", di Federico Fellini (1960). (Mercoledì 16 gennaio 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

Ho visto uno dei film più brutti della mia vita: La grande bellezza. Un insulto a Fellini, che morì nel 1960 con La dolce vita ― grande, anch’essa, solo come dolorosa celebrazione del fallimento umano e artistico dell’autore ― ma che non merita una parodia che di lui non ricorda che il lugubre circo dei mostri che fu il suo cinema successivo. Un insulto alla bellissima immagine di Valeria Ciangottini (e alla povera ragazza a cui fa una figura da idiota mettendola al suo posto in un paio di sequenze). Un insulto a Roma e all’Italia, che non sono brutte come crede Sorrentino perché in gran parte sono migliori e perché nel peggio avrebbero richiesto un’immaginazione molto meno mediocre della sua. Un insulto ai grandi scrittori russi (Dostoievski, Cechov) a cui fa il verso senza capirli. Un insulto al cinema, che non è proiezione di diapositive, e ai grandi attori che spreca usandoli come attrazioni da circo. Un insulto agli uomini, alle donne e ai bambini “veri”, a cui cerca di rifilare la vecchissima, nauseante patacca che dovrebber essere contenti della loro condizione, poiché i ricchi e potenti sono infelici (mentre la miseria morale è presente in ogni strato della Società, perché non è una malattia del portafoglio ma della mente). Un insulto a tutte le donne, che non vede che come megere disgustose (tranne la colf del protagonista, come se una donna che non si rassegni fin da giovane a disgustosa megera non possa che fare la serva). Insultanti perfino le musiche “struggenti”, così simili a quelle de L’estate di Kikjujiro di Kitano da far sospettare, più che il plagio, lo sberleffo fatuo... Ma sì, ecco, La grande bellezza è proprio questo (benché il puzzo di sacrestia che emana dal principio alla fine e soprattutto l’ultima sua megera, la “santa”, tentino di contrabbandarlo per un film drammatico): un presuntuoso quanto fatuo sberleffo a tutta la bellezza della vita e dell’arte e perfino alla loro bruttezza.

(Mercoledì 16 gennaio 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Spiegare un Film a un Bambino: Tarda primavera, di Yasujiro Ozu.

46. "Tarda primavera", di Yasujiro Ozu (1949), con Setsuko Hara e Chishu Ryu.

(Le schede di Spiegare un film a un bambino sono per bambini e ragazzi di Quinta elementare, Prima, Seconda e Terza media. Sono scritte, perciò, il più semplicemente possibile. Ma non sono affatto semplicistiche. Vuoi servirtene? Fai pure. Ma non spezzettarle, non alterarle e... non dimenticare di citarne l’autore!)

 

Tarda primavera è un “messaggio nella bottiglia” recato dal corso del tempo, anziché dalle onde del mare. Dunque, come tutto ciò che viene concepito per sfidare il trascorrere degli anni, è un messaggio che non è stato inviato per invocare il nostro aiuto, ma per arricchire l’universo fantastico umano di un’altra immagine creativa della realtà, per condividerla con noi, forse per aiutarci. Per questo, malgrado l’enorme distanza che ci separa dal suo luogo di partenza (cioè dal Giappone del 1949) è un messaggio che ci parla di un passato anche nostro, e ci illumina, quindi, anche sul nostro presente.

 

È un film, infatti, sulla separazione tra un padre che si avvia verso la vecchiaia e una figlia che ha raggiunto l’età adulta, e dunque sul rapporto fra le generazioni. È un film su un’epoca che volge al termine mentre una nuova si distacca a poco a poco da essa, e dunque sul rapporto tra passato e presente. Ed è un film che rivolge a queste situazioni e ai problemi che ne scaturiscono uno sguardo così limpido, essenziale, consapevole (lo sguardo di cui son capaci solo i bambini, e talora i geni) che tutto ciò che osserva e ci mostra non è mai più di quello che in ogni tempo e in ogni luogo potrebbe essere intuitivamente capito da ogni essere umano. È un’opera d’arte universale, insomma, e perciò continua a coinvolgere e commuovere gli spettatori benché la realtà in cui essa è ambientata sia ormai scomparsa.

 

Tarda primavera, dunque, è la storia di un Padre, da tempo rimasto vedovo, e di una Figlia che per anni si è occupata di lui non meno di quanto egli si è preso cura di lei. Intorno a loro, pochi personaggi altrettanto emblematici: una Zia (la sorella del Padre) che si adopera affinché la Figlia si sposi; un’Amica della Figlia, sposata e già divorziata, che di volta in volta turba o incoraggia la protagonista con i suoi consigli; un Collega del Padre, vedovo e padre anche lui, che si è risposato con una donna assai più giovane; un Allievo del Padre (e Amico d’infanzia della Figlia) che si stanca di aspettarla e sposa una ragazza che ha tre anni meno di lei; e infine una Bella Signora: una giovane vedova che il Padre, forse, potrebbe sposare emulando l’ardito Collega. Ma Shukichi (il Padre) non ha alcuna intenzione di risposarsi: il suo solo pensiero, da quando si è improvvisamente reso conto del trascorrere del tempo, è la preoccupazione per Noriko (la Figlia), che sembra aver del tutto rinunciato al matrimonio e all’indipendenza, cioè alla propria realizzazione, e si comporta come se avesse deciso di dedicarsi al Padre per tutta la vita.

 

Come convincerla a separarsi da lui? Quando Noriko gli confida la propria disapprovazione per il secondo matrimonio del Collega, da lei definito “immorale”, l’anziano professore ha un’idea: le farà credere di aver deciso di sposare la Bella Signora. Sperando che la prospettiva di un così profondo mutamento del loro rapporto, ormai quasi pietrificato, induca Noriko a ridestarsi dalla sua invernale immobilità, a trovare il coraggio di riprendere a creare e trasformare l’immagine di sé e della vita, e a rifiorire, prima che sia davvero troppo tardi, in una sia pur tarda primavera... (Clicca qui per continuare a leggere!). (Sabato 18 gennaio 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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"La favola di Amore e Psiche", di Lucio Apuleio (125-170). (Mercoledì 16 gennaio 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

V’erano in una città un re e una regina che avevano tre belle figlie. Le due maggiori erano, sì, attraenti, ma sempre, però, tali che la loro avvenenza poteva essere verosimilmente celebrata con lodi adeguate all’umano vocabolario; invece la bellezza della più giovane era così originale, così straordinaria, che nessuna lingua umana avrebbe potuto trovare le parole per esprimerla, né tanto meno per lodarla a sufficienza.

Così, numerosi cittadini e forestieri, raggiunti dalla fama di quell’eccezionale spettacolo, accorrevano in folla con grande curiosità, e stupefatti stavano in ammirazione di quell’inaccessibile bellezza; e, portando la destra alle loro labbra e unendo l’indice al pollice, adoravano religiosamente la giovane come se fosse la Dea Venere in persona. E già, nelle vicine città e nelle regioni confinanti, s’era sparsa la voce che la Dea, nata nell’azzurro abisso del mare e allevata tra la rugiada delle onde spumose, si compiacesse di mostrare dappertutto la sua divina persona e si mescolasse alla turba dei comuni mortali: si vociferava persino che, per un mai visto prodigio di fecondazione dell’umidità celeste, non il mare questa volta, ma la terra avesse dato alla luce una seconda Venere, ricca del fiore della purezza... Clicca qui per continuare a leggere! Clicca qui per scaricare il testo in Word e qui per scaricarlo in pdf  (Mercoledì 16 gennaio 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Spiegare un Film a un Bambino: La morte corre sul fiume, di C. Laughton.

45. "La morte corre sul fiume", di Charles Laughton (1955), con Robert Mitchum, Shelley Winters, Lillian Gish, Evelyn Varden, Peter Graves, James Gleason, Don Beddoe, Billy Chapin, Sally Jane Bruce e Gloria Castillo.

(Le schede di Spiegare un film a un bambino sono per bambini e ragazzi di Quinta elementare, Prima, Seconda e Terza media. Sono scritte, perciò, il più semplicemente possibile. Ma non sono affatto semplicistiche. Vuoi servirtene? Fai pure. Ma non spezzettarle, non alterarle e... non dimenticare di citarne l’autore!)

 

Il reverendo Harry Powell, predicatore itinerante, si è tatuato le nocche della mano destra con le lettere che compongono la parola love, amore, e quelle della sinistra con la parola hate, odio; ha creato egli stesso, parlandone in privato con Dio, la propria religione (così simile a quella cristiana che egli riesce facilmente a farsi credere un prete come tutti gli altri); e l’ha dotata di un undicesimo comandamento che Powell si guarda bene, però, dal comunicare alle sue sciagurate “pecorelle”: “Combatti con ogni mezzo la sessualità umana e uccidi ogni donna che commette il tremendo peccato di piacere agli uomini”.

 

D’altra parte, poiché di sola fede non si campa, la religione del reverendo Powell lo autorizza, quando la peccatrice da eliminare è una danarosa vedova, a sposarla e a impadronirsi di tutti i suoi beni, prima di spedirla all’Inferno e rimanere vedovo anche lui. Ed egli lo fa ogni volta che può (e in maniera scrupolosa, tanto che nessun sospetto l’ha mai sfiorato) unendo così la devozione al tornaconto.

 

Solo che Powell, oltre che un assassino, è un truffatore e un ladro. E poiché, nel commettere tali delitti “minori”, è meno accurato o ha meno fortuna di quando uccide per ubbidire al suo Dio, ecco che un bel giorno la sua carriera criminale viene interrotta da una condanna a qualche anno di galera.

 

Ma in cella il reverendo Powell non se ne sta con le mani in mano: conosce Ben Harper, condannato a morte per un omicidio commesso nel corso di una rapina, e riesce a farlo parlare quel tanto che basta per capire che il bottino mai ritrovato di quell’impresa (diecimila dollari) dev’essere nelle mani della moglie di Ben, Willa, o nascosto da qualche parte in casa sua.

 

Quando Harper viene giustiziato, Powell, che intanto ha finito di scontare la pena, si precipita da Willa, scopre che è una seducente sciocchina sola al mondo (proprio il tipo di donna che egli si fa un dovere di castigare senza pietà) e in pochi giorni la induce a sposarlo a forza di chiacchiere e gentilezze tanto pie quanto untuose (e con l’aiuto di una vecchia beghina, direttrice spirituale della piccola comunità di provincia a cui Willa appartiene, che Powell persuade facilmente di essere un santo inviato da Dio).

 

Willa, però, dei soldi non sa niente: sono i suoi figlioletti, John e Pearl, a custodirne il segreto; e Powell, dopo aver invano tentato di guadagnarsi la loro fiducia, uccide la donna (più per punirla d’aver cercato di far l’amore con lui che per essere stato da lei sorpreso mentre li interrogava), ne fa sparire il cadavere ancorandolo sul fondo di un fiume e torna dai bambini per costringerli a parlare.

 

Ma John e Pearl riescono a sfuggirgli saltando su una barchetta abbandonata che un buon vecchio ha riparato per loro; e sùbito una quieta corrente, la stessa che a qualche metro di profondità dona una parvenza di vita ai capelli della loro povera madre, li sospinge, braccati dal mostruoso reverendo Powell, verso un mondo naturale e umano di cui non immaginavano l’esistenza: un mondo magico, possente, generoso, al centro del quale una misteriosa vecchina attende i bimbi sperduti come John e Pearl...

 

Può sembrare, a una prima analisi del film, che il movente delle orribili azioni del reverendo Harry Powell sia la bramosia di denaro: la volontà d’impadronirsi a ogni costo dei diecimila dollari che il defunto Ben Harper, bandito di poca fortuna, ha affidato ai figlioli un istante prima di essere arrestato. Ma non è così. Poiché Powell (diversamente da Harper, che era diventato un rapinatore nella folle illusione di uscire con la violenza dalla miseria, ma che avrebbe anche potuto imboccare altre strade) non ha possibilità di scelta: è costretto alla rapina perché non è capace di rivolgersi agli altri se non per assassinarli, e dunque non può procurarsi il denaro per vivere altrimenti che truffando, rubando e uccidendo... (Clicca qui per continuare a leggere!). (Martedì 7 gennaio 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Roma, sabato 12 marzo 2011, via Barberini, Pierluigi Bersani alla manifestazione per la Costituzione e per la Scuola (fotografia di Luigi Scialanca). FORZA, SEGRETARIO! (Domenica 5 gennaio 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

Roma, sabato 12 marzo 2011, via Barberini, Pierluigi Bersani alla manifestazione per la Costituzione e per la Scuola (fotografia di Luigi Scialanca). FORZA, SEGRETARIO!

(Domenica 5 gennaio 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Grazie, Ungheria! Köszönöm Magyarország!

Grazie, Ungheria! Köszönöm Magyarország! (Venerdì 3 gennaio 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

Nell’immagine: Budapest, La piccola Principessa (1972) di László Marton (1925-2008).

Grazie, Ungheria! Köszönöm Magyarország!

ScuolAnticoli entra nel suo nono anno. Diventa grande (ha gli stessi anni della figlia dello scultore ungherese László Marton quando egli la ritrasse come piccola Principessa sulla riva del Danubio) e crescono sempre di più i suoi visitatori: nel 2013, anno da record, ScuolAnticoli ha ricevuto ben 759.004 visite (in media, più di duemila al giorno) e ottenuto 150.110 visualizzazioni di pagina (oltre quattrocento al giorno)! In totale, dal 2009 (da quando, cioè, ho cominciato a contarle) le visite a ScuolAnticoli sono state 1.703.754 e le visualizzazioni di pagina 654.694. Cosa c’entra l’Ungheria? Be’, il fatto è che a dicembre le visite e le visualizzazioni di pagina dall’Ungheria, che in passato si contavano sulle fatidiche dita della mano, sono balzate a 1489 e 1260, in media quasi 100 al giorno, e l’Ungheria ha superato gli Stati Uniti come secondo Paese “ospite” su ScuolAnticoli dopo l’Italia! Come mai? Avrei una risposta, forse un po’ troppo lusinghiera per il sottoscritto ma affascinante... Dopo la Cina (vedi qui), l’Ungheria: due Paesi ove la libertà, i diritti umani e la democrazia sono colpiti con durezza dal potere ma, al contempo, difesi con tenacia da una Resistenza che non si lascia intimidire. E che deve trionfare assolutamente, anche per noi Italiani e anche col nostro aiuto, poiché la dignità umana vive e vivrà a una condizione: non avere confini. Non sarebbe bello, dunque, se in Ungheria e in Cina alcune centinaia di compagne e compagni avessero trovato in ScuolAnticoli un piccolo ma autentico alleato? I numeri ci sono, e il sogno anche.

(Venerdì 3 gennaio 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Hänsel e Gretel abbandonati nel bosco

Hänsel e Gretel abbandonati nel bosco

(Clicca qui per scaricare il testo in .pdf, e qui per scaricarlo in .doc).

(Immagine di Sybille Schenker)

 

Davanti a un gran bosco abitava un povero taglialegna con sua moglie e i suoi due bambini; il maschietto si chiamava Hänsel e la bambina, Gretel.

Il taglialegna aveva poco da metter sotto i denti, e quando ci fu nel paese una grande carestia, non poteva neanche più procurarsi il pane tutti i giorni. Una sera, che i pensieri non gli davano requie, ed egli si voltolava inquieto nel letto, disse sospirando alla moglie: “Che sarà di noi? come potremo nutrire i nostri poveri bambini, che non abbiam più nulla neanche per noi?”

“Senti, marito mio”, rispose la donna, “domattina all’alba li condurremo nel più folto della foresta: accendiamo loro un fuoco e diamo a ciascuno un pezzetto di pane; poi andiamo al lavoro e li lasciamo soli: i bambini non ritrovano più la strada per tornar a casa, e ne siamo sbarazzati”.

“No, moglie mia”, disse l’uomo, “questo non lo faccio: come potrei aver cuore di lasciare i miei figli soli nel bosco! le bestie feroci verrebbero subito a sbranarli.

“Pazzo che non sei altro”, diss’ella, “allora dobbiamo morir di fame tutti e quattro; non ti resta che piallare le assi per le bare”. E non lo lasciò in pace finché egli acconsenti.

“Ma quei poveri bambini mi fan pietà!” disse l’uomo.

Per la fame, neppure i due bimbi potevan dormire, e avevano udito quel che la matrigna diceva al padre. Gretel piangeva amaramente, e disse a Hänsel: “Adesso per noi è finita”.

“Zitta, Gretel”, disse Hänsel, “non affannarti, ci penserò io”.

E quando i genitori si furono addormentati, si alzò, si mise la giacchettina, aprì l’uscio da basso e sgattaiolò fuori. Splendeva chiara la luna, e i sassolini bianchi davanti alla casa rilucevano come monete nuove di zecca. Hänsel si chinò e ne ficcò nella taschina della giacca quanti poté farne entrare. Poi tornò dentro e disse a Gretel: “Sta’ di buon animo, cara sorellina, e dormi pure tranquilla: Dio non ci abbandonerà”. E si rimise a letto.

Allo spuntar del giorno, ancor prima che sorgesse il sole, la donna andò a svegliare i due bambini:

“Alzatevi, poltroni, andiamo nel bosco a far legna!”

Poi diede a ciascuno un pezzetto di pane e disse: “Eccovi qualcosa per mezzogiorno, ma non mangiatelo prima, non avrete nient’ altro”.

Gretel mise il pane sotto il grembiule, perché Hänsel aveva in tasca le pietre. Poi s’incamminarono tutti insieme verso il bosco. Quando ebbero fatto un pezzetto di strada, Hänsel si fermò e si volse a guardar la casa; così fece più e più volte.

Il padre disse: “Hänsel, cosa stai a guardare, e perché rimani indietro? Sù, muoviti!”

“Ah, babbo”, disse Hänsel, “guardo il mio gattino bianco, che è sul tetto e vuol dirmi addio!”

La donna disse: “Sciocco, non è il tuo gatto; è il primo sole, che brilla sul comignolo”.

Ma Hänsel non aveva guardato il gattino: aveva buttato ogni volta sulla strada uno dei sassolini lucidi che aveva in tasca... Clicca qui per continuare a leggere!

(Clicca qui per scaricare il testo in .pdf, e qui per scaricarlo in .doc).

(Giovedì 2 gennaio 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Si può essere lieti anche oggi, se si sta bene. Ma per l'Italia... per l'Italia, chi oggi non piange non è diverso da chi rideva la notte de l'Aquila.

Si può essere lieti anche oggi, se si sta bene. Ma per l’Italia... per lItalia, chi oggi non piange non è diverso da chi rideva la notte de l’Aquila.

(Mercoledì 1° gennaio 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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