Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca
La Terra vista da Anticoli Corrado
diario del Prof (scolastico e oltre)
maggio 2008
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Lorena Cultraro
Prima il Nome, poi il Cognome
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Clicca qui per andare all’interessante blog Il nome va prima del cognome
Lorena Cultraro, poco più che una bambina. Assassinata da tre coetanei, a loro volta odiati e maltrattati fin dalla nascita. E gli insegnanti ― ultima sua occasione di riscatto ― invece di chiudersi in casa a piangere, rilasciano interviste: “Trenta alunni, la classe di Lorena,” dicono, “ma non sono mai più di dieci. Non sono minimamente interessati alle lezioni, vengono solo per l’obbligo scolastico, un giorno sì e quattro no. I ragazzi vanno ad aiutare i genitori nelle campagne, le ragazze fanno le faccende di casa...”
E voi dove siete, signore e signori insegnanti, mentre Lorena e altri venti bambini e ragazzi spariscono nel nulla e nelle vostre aule si fa il vuoto? In quali campagne, in quali faccende affaccendati?
Come
sopportate che sotto i vostri occhi giorno per giorno si compia una tale
rovina? Perché non bussate ogni mattina alle porte di quelle case?
Perché non denunciate ai carabinieri l’evasione dell’obbligo
scolastico che non vi vergognate di spifferare agli inviati dei
quotidiani?
Perché
non date il tormento al cosiddetto dirigente scolastico (nei
paesi civili lo chiamano preside), al sindaco, ai consiglieri
comunali, a chiunque incontriate? Perché
non vi rendete antipatici a tutto il paese fino a farvi chiamare matti,
pur di far sentire a quelle ragazze, a quei ragazzi, che c’è qualcuno
― che c’è
qualcuno, nel vasto mondo dell’indifferenza, dell’odio, della
violenza ―
a cui importa di loro? Per paura, vorreste forse
balbettare? Ma la paura la superereste, signore e signori insegnanti
― e come se la
superereste! ―
se ne andasse di voi stessi e di chi vi preme davvero.
Ammesso e non concesso che ci sia, chi vi
preme davvero.
Invece
no: così tanto, quelle ragazze e quei ragazzi non vi stanno a
cuore, vero? E c’è
perfino chi lo
“teorizza”: per quello che ci pagano..., dice. Come se al
Paese che vi paga potesse importare qualcosa di voi, quando voi per
primi vi stimate così poco da mostrargli senza arrossire così poca
cura ―
prim’ancora che per gli alunni, ai quali non è possibile
interessarsi se non si ama e non ci si interessa a sé stessi
― per
il vostro lavoro, cioè per il vostro tempo, cioè per il vostro
stare al mondo.
Quanti
di voi ―
fatto che può apparire banale solo a chi lo consideri con indifferenza,
appunto, mentre è importante come pochi
― quanti di voi,
signore e signori insegnanti, insegnano a firmare scrivendo prima
il Nome e poi il Cognome? Quasi nessuno. Sarebbe già qualcosa,
per quelle ragazze e quei ragazzi, ma voi non lo sapete. Sarebbe tantissimo,
anzi, ma voi per primi lo ignorate. Poiché voi stessi vi firmate
così, senza sapere ciò che fate: Scialanca Luigi, invece che
Luigi Scialanca. Ed è così che poi accade di leggere sui manifesti Cultraro
Lorena, invece che Lorena Cultraro. Sono ignoranti i tipografi? No. Lo
siete voi, cari colleghi. Che per primi ignorate, e perciò non
insegnate, che ogni essere umano è qualcuno e ha valore, infinito,
semplicemente per sé stesso
― perché è
un essere umano, quell’essere umano lì, diverso da ogni
altro, irriproducibile nei secoli dei secoli
― e non per
l’appartenenza a una famiglia, a un gruppo, a un branco, a un partito,
a una religione, a un popolo, a un’etnia... Poiché sono gli esseri
umani che fanno le famiglie (e gli dei), non le famiglie (e gli dei) che
fanno gli esseri umani.
Cosa
pensate che immaginino i “vostri” bambini e ragazzi, signore e
signori insegnanti
― cosa pensate che
immaginino, intendiamo, pur senza esserne consapevoli
― quando sentono
non diciamo grandi uomini e donne, non un William Shakespeare, un
Galileo Galilei, un Ludwig van Beethoven, una Rita Levi Montalcini, ma
la più scrausa delle veline, il più scalcagnato dei
“famosi”, l’ultimo dei politicanti, correttamente menzionati per
Nome e Cognome? E loro invece no, loro sempre e soltanto Cultraro
Lorena, su ogni pagina di ogni registro, sul verso di ogni compito,
sul frontespizio di ogni quaderno e ogni libro di testo, senza che
alcuno mai se ne accorga, senza che alcuno mai se ne curi, giorno dopo
giorno, anno dopo anno? Come se solo quelli fossero importanti,
preziosi, umani, e invece loro fossero niente? Ve lo diciamo noi,
se per caso non ne aveste idea: fantasticano, i “vostri” bambini e
ragazzi ―
fantasticano, intendiamo, pur senza esserne consapevoli
― di essere, solo
loro, esclusi per nascita dall’Umanità.
Se
lo intuiste, signore e signori insegnanti! Se aveste una pur vaga
fantasia di come sarebbe stato bello, per Lorena Cultraro e per quei
poveri suoi venti compagni che vanno a scuola un giorno sì e quattro
no, sentirsi così importante per sé stessa da esser da voi
chiamata Lorena prima che Cultraro! Forse non avrebbe capito,
all’inizio, ma voi glielo avreste spiegato, se l’aveste saputo.
“Prima
il Nome e poi il Cognome, Lorena,”
avreste detto, “perché
tu sei troppo preziosa
― sì, proprio tu,
una ragazzina come dicono ce ne siano tante
― per essere
menzionata dopo qualcos’altro: fosse pure dopo la tua famiglia
con i suoi campi e le sue faccende, fosse pure dopo il tuo Paese con il
suo Pil e le sue tasse. Poiché tu sei una ragazzina come non ce n’è
nessuna, Lorena, un essere unico nello Spazio e nel Tempo,
con l’infinito ch’è solo umano nella mente e nel cuore: ecco perché
devi sempre venir prima tu, e poi tutto il resto.”
Vi
rendete conto, signore e signori insegnanti, che se a Lorena Cultraro
aveste suggerito e spiegato e preteso questo, per lei sarebbe
stata la prima volta? La prima immagine del suo inestimabile
valore, la prima scoperta di sé come bene assoluto? Nessuno
gliel’aveva mai detto, nessuno gliel’aveva mai fatto sentire,
nessuno l’aveva
mai preteso, da lei e dai suoi venti sventurati compagni che
vanno a scuola un giorno sì e quattro no. Sareste potuti essere la
sua ultima occasione, se foste stati così importanti per voi
stessi da immaginarvi così importanti per lei. Invece non
c’eravate. E Lorena è morta, per questo. Poiché valeva troppo
poco, perché la si chiamasse e pretendesse più importante della
sua famiglia. Valeva troppo poco, perché si andasse a cercarla un
giorno no e quattro sì. Valeva troppo poco, perché non
si sopportasse di vederla buttarsi via.
(Peggio
di voi, signore e signori insegnanti
― peggio di voi,
intendiamo, non in assoluto, ma in quanto ultima occasione
di Lorena Cultraro
― peggio di voi
c’è solo quel prete, Rosario Di Dio (!), sul cui operato nessuno, a
quanto pare, ha mai avuto alcunché da ridire. Quel prete, Rosario Di
Dio (!), che alle ragazze e ai ragazzi di quella classe proiettava The
ring, film dell’orrore
― probabilmente a
pezzi e a bocconi, dieci minuti oggi e un quarto d’ora la settimana
prossima, come gli antichi Cinesi la tortura della goccia
― per far loro che
cosa? Per convincerli a uno a uno, come in The turn of the screw,
dell’orrore che delirava di vedere in loro? Ed è stato contento,
Rosario Di Dio (!), si è sentito soddisfatto, realizzato, quando infine
ha indotto Lorena Cultraro a dire di sé: “Io finirò così”
vedendo la protagonista morire in fondo a un pozzo?)
Sembra
niente, vero, prima il Nome e poi il Cognome? Una piccola,
piccolissima cosa. Piccola, diciamo, come un bambino? Come un essere
umano al cospetto dell’Umanità e dell’Universo? Come tutte le
piccole cose che mettendosi reciprocamente in rapporto danno vita alle
grandi, che senza le piccole non sarebbero? Una piccolissima cosa,
prima il Nome e poi il Cognome
― è vero, signore
e signori insegnanti
― dinanzi agli
immani problemi pedagogici che vi si chiede di affrontare e risolvere.
Ma chi non ha cuore né mente neanche per le piccole cose, da dove
partirà per arrivare alle grandi? Dove troverà il coraggio di
contendere un ragazzo a una famiglia, a un paese, a un sistema, se fin
dal primo istante, fin dal momento dell’appello, la famiglia,
il paese, il sistema, vengono prima, per lui, di quel
ragazzo?
Da
questa “piccola” cosa, da questa regoletta che regola non è
― ma bensì attenzione
e presenza a ciò ch’è umano, in noi e negli altri
― scaturisce
l’unica possibile spiegazione del perché i nomi dei popoli si
scrivano sempre con l’iniziale maiuscola. Italiani, Ebrei,
Rumeni, Rom: quando non è un aggettivo
― la cui iniziale
è invece minuscola: il governo italiano, i campi rom
― quando,
intendiamo, è un sostantivo plurale
― gli Italiani, i
Rom ―
al nome di un popolo si può apporre un’iniziale minuscola solo
nell’immaginare e pensare e scrivere di chi non sa e non vuol sapere
che un popolo ―
ogni popolo
― è creazione
collettiva di una miriade di esseri umani unici
― ciascuno irripetibile,
ciascuno infinito nella sua umana creatività
― ognuno dei quali
ha prima un Nome, poi un Cognome e infine gli
appellativi di ogni altro insieme, laico o religioso, che col suo
individuale essere in rapporto egli fa sorgere e permanere.
A
dire il vero, anzi, di un popolo nel suo insieme
― degli Italiani,
per esempio, o dei Rom
― non si dovrebbe
parlare affatto, mai, così come non si dovrebbe mai mettere sul
banco da macellaio di un notes da giornalista o di un registro da
insegnante dieci alunni da una parte e venti dall’altra che a
scuola ci vengono un giorno sì e quattro no. Ma poiché talvolta si
è pur costretti a menzionare insieme tante Donne e Bambini e
Uomini anche se mai e poi mai si vorrebbe farlo
― per esempio
quando si vuol scrivere, come noi qui, di Bambini e Ragazzi abbandonati,
odiati, maltrattati, o di Rom minacciati da leggi razziali e da
aggressioni squadriste o camorriste
― proprio per
questo, proprio per scusarsi di non poter fare altrimenti, poiché
sarebbe impossibile menzionarli uno per uno come pur si desidererebbe
fare, ecco che ai loro nomi collettivi si offre la (parziale)
riparazione di quell’iniziale maiuscola
― gli Italiani,
gli Ebrei, gli Arabi, i Rumeni, i Rom
― di quel
capolettera in cui si racchiude, come diamanti in uno scrigno, la
preziosa miriade di iniziali di nomi propri, prima il Nome e poi
il Cognome, che purtroppo, pur desiderando farlo, non si potrebbero
menzionare uno per uno neanche se uno per uno personalmente li si
conoscesse.
(“La
lista è il bene assoluto,” dice Isaak Stern a Oskar Schindler nel
capolavoro di Steven Spielberg. E dice una cosa che in quel momento
terribile è vera, poiché gli Ebrei della lista di Oskar
Schindler sono gli Ebrei che non saranno sommersi ma si salveranno. E
tuttavia, in un senso più vasto, Isaak Stern dice invece una cosa non
vera, poiché le liste sono un bene assoluto (o un assoluto male) solo
nei tempi e momenti mostruosi in cui di liste c’è l’orrenda
necessità e orrendamente ci si permette di stilarne. Mentre nei tempi e
momenti umani, quando ognuno è prima di tutto un essere
umano, prima il Nome e poi il Cognome e infine
tutto il resto, non solo non c’è il bisogno né l’esigenza
di liste di alcun genere, ma addirittura è disagio e disgusto perfino
soltanto l’immaginarne una.)
Anche
questo, però, nessuno lo dice e lo spiega e lo pretende più. Come
l’insegnante che pensa alla bambina chiamandola Cultraro Lorena
perché non sa pensare a sé stesso come a un Insegnante con la I
maiuscola, così sui quotidiani e nei dispositivi di legge si scrive
― e si pensa!
― italiani
anziché Italiani, rom invece che Rom. Piccola cosa, anche
questa? Piccola, certo. Infatti ci parla, anche questa
― come l’altra e
come tutte le cose umane: così minuscole, secondo alcuni, al cospetto
delle cose divine
― di qualcosa d’immenso
e meraviglioso ma che può farsi terribile, se un brutto giorno non lo
sappiamo più e nessun insegnante, nessun politico lo dice e lo spiega e
lo pretende più: di che cosa, cioè, stiamo davvero dicendo e
scrivendo ―
e pensando! ―
quando ci permettiamo di menzionare un popolo nel suo insieme.
Se
lo riscopriamo, invece
―
se ora, in questo momento, leggendo queste righe, anche
solo per un attimo pensiamo alle Donne e ai Bambini e agli Uomini che
fanno un Popolo immaginandoli ciascuno secondo il suo Nome, prima
il Nome e poi il Cognome
―
ecco che a un tratto, come cadendo per la stanchezza di una buona ma
faticosa giornata in un sonno profondo ma ricco di sogni, noi comprendiamo
il dramma quasi inenarrabile che stiamo vivendo. Il dramma di un Paese,
l’Italia, ove milioni di Donne e di Bambini e di Uomini ancora oggi
ignorano che i propri Nomi vengono prima dei Cognomi delle
Famiglie che essi creano. E quasi nessuno glielo dice, glielo spiega, lo
pretende da loro, poiché quasi nessuno lo sa di sé stesso e da
sé lo pretende. Che poi è anche il dramma di un Paese, l’Italia, in
cui milioni di Donne e di Bambini e di Uomini si permettono di fare il
nome di un popolo nel suo insieme
―
oggi il nome dei Rom, ieri quello degli Ebrei
―
senza riparare all’offesa con l’iniziale maiuscola che ne
racchiude come in uno scrigno i preziosi Nomi e Cognomi. Senza
l’iniziale maiuscola che al cuore e alla mente li rammenta e li
riconosce uno per uno tutti, prima il Nome e poi il
Cognome, ciascuno umanamente infinito.
Questa
sì è un’emergenza, non i Rom o i Rumeni. La nostra emergenza
nazionale: l’emergenza ignoranza. Che invero non è, in noi,
solo povertà di conoscenze, ma un’immensamente più grave povertà
umana: la perdita dell’istintivo rispetto per l’essere umano
―
cioè, in primo luogo, dell’istintivo rispetto per noi stessi
che i genitori avrebbero per primi dovuto infondere in noi, e gli
insegnanti confermare, e i politici non deludere né smentire
―
che naturalmente immagina e menziona e chiama ogni essere umano
per Nome, prima il Nome e poi il Cognome, anche e soprattutto
quando osa
immaginarli e menzionarli e chiamarli insieme. Miseria di umanità
a cui si somma ―
a rendere più doloroso il dramma, più grave l’emergenza
―
la
miseria materiale che su di noi si abbatte per la bramosia di
ricchezza e di potere di quanti tentano l’impossibile rapina di
colmare profittando e violentando il vuoto di umanità, di fantasia e
d’intelligenza
che
dalla nascita fu istillato in loro.
Contro questa duplice, spaventosa emergenza, un politico che sia degno di chiamarsi tale ― un Politico con la P maiuscola, non un Silvio Berlusconi o un Walter Veltroni! ― ci direbbe e spiegherebbe e pretenderebbe, da noi, tutto ciò che abbiamo detto e spiegato e preteso in queste righe. Non ci permetterebbe di perderci nel nulla stravaccati davanti ai televisori, busserebbe ogni giorno alle nostre porte, ci darebbe il tormento, si farebbe chiamar matto da tutto il Paese pur di non lasciare alcunché d’intentato per convincerci a uno a uno a chiamarci l’un l’altro per Nome, prima il Nome e poi il Cognome, e a menzionarci tutti, sempre, quando proprio non possiamo fare a meno di menzionarci insieme, con l’iniziale maiuscola ― gli Italiani, i Rom ― che racchiude come in uno scrigno il Nome e il Cognome di ciascuno di noi. Contro questa duplice, spaventosa emergenza, un Politico che sia degno di chiamarsi tale ci chiederebbe e spiegherebbe e pretenderebbe ― e potrebbe farlo perché saprebbe, lui per primo, che cosa sia un Politico ― d’interessarci alla “scuola” assai di più che alle campagne e alle faccende nostre, assai di più che al Pil e alle tasse da pagare! Ci chiederebbe e spiegherebbe e pretenderebbe che “facciamo i compiti” e “studiamo” mobilitando tutte le nostre risorse mentali ed economiche per dare scuole vere agli Ignoranti, case vere ai Poveri, scuole vere e case vere agli Italiani e scuole vere e case vere agli Stranieri che son venuti a domandarci di chiamarli, prima il Nome e poi il Cognome, come nessuno mai li chiamò nei loro Paesi. Poiché non abbiamo altro modo che spendere, tutti noi, per non precipitare nell’abisso che ci si è aperto davanti: spendere noi stessi, i nostri affetti, le immagini, le idee, la fatica, il denaro ― molto affetto, molta intelligenza, molta fatica, molto denaro. Spendere, per uscire dalla miseria umana e materiale in cui stiamo rovinando, con la generosità di chi non disprezza sé stesso.
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L’Esperto è Nudo (e forse è anche un pallone gonfiato?)
Presentato come “esperto di temi giovanili” (cosa vorrà dire?!) il professor Franco Garelli, preside di Scienze politiche a Torino intervistato da La Repubblica sul “tema giovanile” del cosiddetto bullismo, afferma che va distinto il bullismo leggero ― quello che (lui) chiama “il come s’impara a stare al mondo” ― dal bullismo pesante...
Bella distinzione, non c’è che dire: essere leggermente bulli va bene, perché insegna a vivere (nel mondo in cui a questi “esperti” piace vivere), esserlo pesantemente invece è da condannare. Naturalmente, onde appurare dove finisca il bullismo leggero e cominci quello pesante, bambini e ragazzi faranno pratica a forza di progressive violenze, cercando di capire dall’intensità delle grida delle vittime o del loro sanguinamento se il limite è stato superato.
Quanto alle cause del bullismo, l’Esperto non ha bisogno di distinzioni: Un tempo i rapporti di fratellanza e cuginanza accompagnavano l’ingresso in società ― dichiara ― garantendo ai più giovani un bagaglio di esperienze. I ragazzi adesso hanno meno forme di crescita e di socializzazione “mediate.” Il che, tradotto in italiano, significa che la colpa del bullismo sarebbe delle donne che lavorano e usano gli anticoncezionali, invece di starsene a casa e “produrre” fratellini e cuginetti con i quali i futuri bulli possano esercitarsi a comprendere la fondamentale distinzione tra bullismo leggero e pesante...
Potrebbe bastare. Ma l’intervistatrice, non abbastanza rispettosa del sapere dell’Esperto per accontentarsi, insiste: Che cosa li spinge alla violenza, alla prevaricazione? E l’Esperto: L’esigenza esasperata di apparire, di essere protagonisti, di avere ed esercitare il potere. Se tutto ciò non viene incanalato nelle forme giuste, diventa sopraffazione. Dovevamo capirlo da soli: ogni bambino, fin dalla nascita, ha l’esigenza di essere esibizionista e violento ― che diamine!, è o non è un homo homini lupus? Basta incanalare questa sua esigenza nelle forme giuste, in modo che la naturale prepotenza umana rimanga entro i limiti fissati dal codice penale.
Argomento esaurito? Problema del bullismo risolto? No, l’Esperto deve ancora rivelarci che a rovinare i bambini sono le famiglie in cui si mira più al “volersi bene” che al “crescere...” E finalmente tutto è chiaro: basterà che li amiate di meno, queste vostre bestioline, e vedrete come troveranno le forme giuste per stare al mondo. Bastonandosi a vicenda? Sì, ma... leggermente!
Desideri sapere che cosa ne pensa un non esperto? |
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Tony Blair, uno degli inventori della finta “sinistra” europea.
La finta “sinistra” muore dov’è nata
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Il
tracollo del partito laburista inglese ―
il peggiore degli ultimi 40
anni, con i laburisti (24%) ridotti a terzo partito dopo
i conservatori (44%) e i liberali (25%) ― è
una campana a morto non solo per Togliattino Veltroni,
ma per l’intero gruppo dirigente della finta
“sinistra” italiana e per tutti i “geniali”
innovatori che dal 1989 a oggi si sono consacrati alla
miserabile impresa di fare del Pds-Ds-Pidì un
clone del partito di Blair.
Sommata alla sconfitta di Veltroni e Rutelli, la disfatta del blairismo dimostra che seminare ignoranza, disperazione e indifferenza nei cuori e nelle menti degli elettori di Sinistra annullando come “obsolete” la speranza e la ricerca di una Società pienamente umana e imponendo come unica meta possibile la “modernizzazione” secondo il modello americano (ovvero la rassegnazione più o meno imbellettata alla “razionale” violenza e stupidità del capitalismo) serve solo ad accrescere, anno dopo anno, l’elettorato della Destra aggregando ai suoi “naturali” consensi quelli dei più fragili tra gli elettori di Sinistra. Che non resistono, non sopravvivono alla sistematica campagna di disillusione e terrore, distruzione della memoria e intossicazione della fantasia condotta contro di essi dai loro stessi leader (parallela e speculare all’istupidimento causato dalle televisioni berlusconizzate) e a poco a poco, in una progressiva catastrofe degli affetti e delle idee che fa di essi i fantasmi delle donne e degli uomini che furono, finiscono col ritrovarsi tra gli “autentici” elettori della Destra ― tra quelli, cioè, che votano a Destra perché vuoti e rabbiosi, spirituali e accaniti, religiosi e violenti ― non, come quelli, per brutalità idealizzata in convinzione, ma come una massa di manovra ormai per sempre dimentica di sé, come una sorta di ultracorpi, di zombies disumanizzati che chiunque può sospingere dove vuole senza che neppure s’accorgano di andar contro i propri interessi, contro il futuro dei propri figli, contro sé stessi.
Per questo il blairismo
non può che fallire, e per questo sta miserabilmente fallendo il veltronismo
che di esso è l’ultima e più spaventosa incarnazione nostrana: perché
di quelli che non gli resistono fa altrettanti disperati senza più
immaginazione né ricerca, e in quanto tali non può che perderli e
consegnarli alla Destra per l’esercito di utili servi di cui la sua
vera base elettorale abbisogna per far numero e vincere.
Cosa accadrà in Gran Bretagna? Cosa accadrà in Europa e nel mondo, ora che una Sinistra vera sembra quasi non esistere e non poter esistere più? Difficile fare previsioni. Ma per quel che riguarda l’Italia una cosa è certa: il fallimento del veltronismo ― il fallimento, lo ripetiamo, della teoria e della prassi che dal 1989 a oggi ha delirato di poter evirare l’elettorato di Sinistra del nostro Paese senza pagare alcun prezzo e anzi realizzando sui suoi resti mutilati le proprie fortune ― assai più che il fallimento di un uomo o di un partito è una crisi (per ora strisciante) della democrazia che un infelice sviluppo della situazione mondiale può far deflagrare in qualsiasi momento. Una crisi dalla quale potremo sperare di uscire per il meglio ― ma non prima del tracollo definitivo del delirio di cui sopra ― solo quando (e se) avremo in Italia un partito di Sinistra che tenti ciò che in Italia la Sinistra Vera ha finora fallito per non aver immaginato e pensato qualcosa di più compiutamente umano del socialismo e del comunismo ― qualcosa di più umano della mera, “animalesca” redistribuzione della proprietà dei beni materiali ― e la “sinistra” finta ha delirato per un quarto di secolo di poter annullare e negare come se impunemente si potesse annullare e negare quel che ci rende umani: la via della speranza e della ricerca di una Società il cui fine preminente (che comprenda il benessere materiale ma non si esaurisca in esso) sia la piena realizzazione dell’infinito valore di ogni essere umano. |
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Charles Darwin (1809-1882)
Fiori nel Cemento
Una notizia che farà piacere a quanti amano Charles Darwin per l’immensa e gioiosa libertà di pensiero che ha donato all’Umanità: l’evoluzione delle specie è tuttora in corso intorno a noi, e per vederla in azione non siamo più costretti a rivolgerci ai batteri che di anno in anno diventano sempre più resistenti agli antibiotici evolvendosi sotto i nostri stessi occhi (e nei nostri corpi). Ora sono forme di vita assai più simpatiche, i fiori, a provarci che sì, la cosiddetta “creazione” è in realtà una rete di processi naturali (e casuali) enormemente complessa ed è in pieno svolgimento anche adesso, mentre alcuni grottescamente la negano o (più astuti) la attribuiscono a un mitico “disegno intelligente”.
Disegno intelligente? La pianta di cui parliamo ― il Crepis sancta, un fiore selvatico giallo molto comune ― si sta evolvendo per puro caso perché alcuni (gli stessi alcuni?) asfaltano o cementificano tutto ciò che esiste tranne minimi spazi quadrangolari o circolari, chiamati aiuole, in cui concedono alla terra di continuare a esistere intorno a miseri alberelli, e a ricevere (oltre alle cacche dei cani di alcuni) quel po’ di luce solare che i palazzi non intercettano. Ebbene: questi graziosi fiorellini ― come riferisce l’ultimo numero de Le Scienze ― non possono riprodursi se i loro semi, troppo leggeri, sono trasportati dal vento fuori dalle aiuole, sul cemento o sull’asfalto. Riescono a farlo solo gli esemplari che per caso producono semi così pesanti da cadere a terra, dentro l’aiuola. Cosicché, nel giro di dodici anni (solo dodici anni!) i fiori dai semi leggeri, morti senza lasciare discendenti, sono spariti. Mentre i fiori dai semi pesanti, prima rari come topi albini, oggi sono gli unici rappresentanti di Crepis sancta in cui sia possibile imbattersi nelle nostre città.
Buon per loro? Fino a un certo punto. Quanti esemplari di Crepis sancta possono convivere in un minuscolo appezzamento di terra, anche se pieno di cacche e quindi ben concimato? Pochi. Ogni aiuola è lontana da ogni altra, lo scambio di geni tra i fiorellini che le popolano è assai ridotto ― come in un (autistico) paesino i cui pochi giovanotti e giovanotte siano condannati a sposarsi solo fra di loro ― e Crepis sancta rischia dunque di estinguersi per la scarsa resistenza alle malattie causata dallo stesso isolamento grazie al quale ha evoluto quei “provvidenziali” semi extralarge.
Quante generazioni di fiorellini si susseguono in dodici anni? Dodici? Ventiquattro? Non di più. Cinque o seicento anni potrebbero dunque essere sufficienti per constatare mutamenti non meno notevoli anche in una popolazione umana, se esposta a condizioni ambientali particolarmente “pressanti”. Mutamenti, per quanto notevoli, che potrebbero però non essere visibili se non per gli effetti (positivi o negativi) che ne conseguono sulla salute fisica (e psichica?) della prole. Proprio come non si vede se son pesanti o leggeri i semi di un esemplare di Crepis sancta finché non li ha prodotti. |
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Questo sito non costituisce testata giornalistica, non ha, comunque, carattere periodico ed è aggiornato secondo la disponibilità e la reperibilità
dei materiali. Pertanto non può essere considerato un prodotto editoriale ai sensi della L. n. 62 del 7/3/2001... Clicca per continuare a leggere.
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L’immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell’artista danese Viggo Rhode (1900-1976).
L’ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.
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