Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca
La Terra vista da Anticoli Corrado nel dicembre del 2015
Questa pagina segue dalla homepage. I post più recenti li trovi lì. Vuoi andare ai post del mese precedente, novembre 2015? Clicca qui! Vuoi andare all’Indice di tutti i post precedenti dal 2002 a oggi? Clicca qui!
*
Alla faccia di chi lo odia, alla faccia di chi ha fatto di tutto per distruggerlo (e finora ci si è rotto i denti), ScuolAnticoli continua a crescere malgrado la crisi, lo strapotere dei social network e gli ormai innumerevoli (e grotteschii) tentativi di imitazione! Grazie a chi lo ama! Grazie a tutti voi! Clicca sul grafico, se vuoi visualizzarlo meglio! (Sabato 2 gennaio 2016. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
*
(Giovedì 31 dicembre 467. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com). Testi di ScuolAnticoli su Giordano Bruno: Scritti di Antonio Gramsci su Giordano Bruno Una vera Sinistra esiste ed è maggioritaria: è l’Italia laica L’immagine è una riproduzione de La persistenza della memoria (1931), di Salvador Dalì. Il pensiero è di ScuolAnticoli).
*
Clicca sull’immagine per visualizzare la pagina! (Sabato 19 dicembre 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
*
(Martedì 22 dicembre 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
*
Due mesi fa, in un reportage intitolato Ponte Scutonico sperduto nella giungla, ho denunciato l’abbandono in cui già versava, poco tempo dopo il suo recupero, quell’antico, importante e bellissimo monumento della Valle dell’Aniene. Sono lieto di dire (e ritengo doveroso farlo) che la situazione è oggi assai migliorata. Come si può constatare cliccando qui. (Lunedì 21 dicembre 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
*
Il mio ricorso, in primo grado, è stato respinto dal Tribunale di Tivoli. Compensando, tuttavia, le spese tra me e la controparte, la qual cosa non è priva di significato. In ogni caso, i gradi di giudizio, in Italia, sono tre: ho dunque già chiesto al mio avvocato di ricorrere immediatamente in Appello, presso la Corte d’Appello di Roma, e ho piena fiducia che le mie ragioni (che poi non son tanto le mie, quanto soprattutto quelle di un servitore dello Stato e della Scuola) saranno infine pienamente riconosciute. Luigi Scialanca. Anticoli Corrado, 17 dicembre 2015.
*
Fidati di chi s’innamora. Dubita di chi si sposa. Clicca qui per leggerlo in .pdf o qui per leggerlo in .doc.
Sono passati quasi cinquant’anni dall’inizio dell’estate del 1967. Quando a Nizza, mentre i giovani di quasi tutto il mondo ricevevano in dono Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band e preparavano il ’68, una ragazza di venticinque anni che correva verso l’aereoporto rimase uccisa in un incidente. Si chiamava Françoise Dorleac, ed era la sorella maggiore di Catherine Deneuve (che invece portava il cognome della madre). Aveva girato il suo primo film nel ’61, due anni prima della sorella, e da allora ne aveva fatti altri otto, proprio come lei. L’ultimo, di Ken Russell (Il cervello da un miliardo di dollari) mentre Catherine si accingeva a interpretare il personaggio di Séverine in Bella di giorno, di Luis Buñuel. Avevano successo entrambe, piacevano ai critici e piacevano al pubblico. Sommando i punteggi che a quei diciotto film assegna il Morandini (tra i quali un musical che le sorelle interpretarono insieme nel ’66, Les demoiselles de Rochefort, in Italia Josephine, di Jacques Demy), i film di Françoise ricevono 23,5 punti di critica e 27 di pubblico, i film di Catherine 25 punti per l’una e per l’altro. Ho rivisto, qualche sera fa, quello che per me è il migliore dei film interpretati da Françoise Dorleac nella sua brevissima carriera: La peau douce, di François Truffaut, del 1964, che in Italia si chiamò La calda amante. I critici preferiscono Cul de sac, di Polanski (1966) ma io non sono d’accordo, anche se per motivi che a un critico farebbero storcere il naso: poiché Cul de sac riesce solo a stuzzicare una meschina curiosità, è una vicenda grottesca, scritta e filmata con feroce sarcasmo, di sconfitta per tutti, senza dignità né passione per alcuno; mentre La calda amante, benché sia la storia di un uomo che fallisce il rapporto con la donna e muore di una morte insensata per mano della moglie, avvince e commuove dalla prima all’ultima scena, e con umana intelligenza guarda e vede, senza disprezzo, anche gli sconfitti. E poi in Cul de sac Françoise è una prostituta senza cuore, mentre ne La peau douce è la giovane donna stupenda e appassionata che era fatta per essere, nella realtà e sullo schermo... Le dice Pierre, l’uomo sposato che si crede innamorato di lei (un intellettuale, mentre Nicole è una hostess), citando André Gide non so quanto esattamente: “Credete in quelli che cercano la verità. Dubitate di quelli che l’hanno trovata. Ma soprattutto non dubitate mai di voi stessi”. Innamorarsi è dunque un modo (anche se non il solo) per cercare la verità? Se è così, dovremmo credere solo in chi s’innamora. Mentre di chi si sposa ― di chi, cioè, la verità l’ha trovata ― dovremmo dubitare. Amore e matrimonio sarebbero divisi dal medesimo abisso che separa chi fa ricerca da chi impone dogmi, l’incertezza dalla fede, chi vive da chi tenta di controllare la vita degli altri. Tuttavia, pur dicendole cose come queste, Pierre non è davvero innamorato di Nicole. Crede di esserlo (se ne fa una fede, cioè, e persino con fanatismo), ma tutto avviene in lui nel pensiero soltanto, nel dominio che a questa e ad altre idee egli accorda sulla propria mente. Non nella realtà. Nella realtà Pierre non rischia il rapporto, non si abbandona a Nicole, non la cerca con l’audacia e insieme l’incertezza con cui l’esploratore si avventura sull’oceano su una fragile navicella. Fin dall’inizio, benché intenerito e come ringiovanito dalla bellezza, dalla dolcezza, dall’appassionata sincerità con cui la ragazza invece ricerca un’intesa con lui, Pierre fa prevalere sulla spontaneità del rapporto il rispetto dell’astratta “verità” delle convenienze e delle convenzioni. Nicole lo lascia entrare di notte nel suo appartamento pur sapendo che la padrona di casa la sfratterebbe, se li sorprendesse; Pierre, invece, quasi non osa ― per tornare da lei che lo attende in albergo ― nemmeno liberarsi dell’importuno conoscente che gli si è messo alle costole dopo una conferenza e non lo molla. Nicole di giorno in giorno conosce Pierre sempre di più, sempre un po’ meglio, e in questa comprensione si estasia, anche quando non è del tutto gradevole, poiché riconosce in essa una prova del proprio amore, del proprio aver cercato davvero; Pierre invece, col passar del tempo, sempre più vede in lei ciò che astrattamente confligge con le astratte “verità” che lo dominano ― i jeans invece della gonna, o il volume troppo alto della sua voce in un locale, quando lei si lascia andare alla gioia di ritrovarsi con lui dopo una separazione ― e perciò s’infastidisce, si rabbuia, si irrita. Nicole vive il rapporto con lui nel mondo rischiosamente libero dei fatti; Pierre, invece, in un mondo da schiavi in cui le passioni le hanno soltanto le idee nel loro muoversi verso o contro altre idee, e il peggio che possa capitare a chi si agita fra l’una e l’altra è di dover, dall’oggi al domani, cambiar padrone dentro. Perfino quando sembra decidersi a lasciare la moglie, infatti, Pierre in realtà non sta andando da nessuna parte. Sta solo creando una situazione mentale in cui poter “perfezionare” in un odio risolutivo, per quel che Nicole “lo costringe a fare”, l’incapacità di amarla con cui l’ha odiata fin dall’inizio, anche quando credeva (aveva fede) di amarla. Tant’è vero che mai lo vediamo così duro e insofferente contro Nicole come quando la porta a visitare la casa in cui in teoria vuol andare a vivere con lei. Così duro e insofferente, che è proprio allora che Nicole apre definitivamente gli occhi e dolcemente gli dice addio. E lui la lascia andare! La spia, dall’alto, piccola come una formichina mentre in piazza sale su un taxi e scompare per sempre ― così minuscola da non poter più apparire né bella né dolce né sincera se non per l’immaginazione che in Pierre non è più libera da chissà quanto tempo d’inseguire nessuno ― e non la chiama, non si muove, non fa un gesto per farla tornare. Esce, dopo un po’, raggiunge il solito locale, pranza da solo davanti a un quotidiano come se niente fosse. Ed è lì che la moglie impazzita lo sorprende e lo uccide, ignara che egli, in verità, non ha mai cessato, neanche per un attimo, di essere un marito e di credere nel matrimonio. Non è strano, pertanto, che questa morte insensata, che senza dubbio nella vita di Pierre è finalmente un fatto e non solo un’idea, dispiaccia a noi spettatori non tanto per Pierre quanto soprattutto per Nicole, che ne soffrirà più di ogni altro. Poiché per Pierre questa morte è un contrappasso poeticamente “giusto ” impostogli dalla realtà in cui mai ha osato entrare, e che ora tragicamente lo punisce non perché egli l’abbia sempre fuggita, tenuta a bada e controllata, ma bensì per esser andato a stuzzicarla senza vero coraggio né sincerità, facendo assai più danno, nel cuore e nella mente di Nicole, di quando alla realtà si opponeva e la oltraggiava restando sottomesso alla finzione matrimoniale. “Credete in quelli che cercano la verità. Dubitate di quelli che l’hanno trovata. Ma soprattutto non dubitate mai di voi stessi”, aveva detto a Nicole citando André Gide. Ma doveva dirlo e ripeterlo, fino alla nausea, solo a sé stesso. Poiché non era Nicole che dubitava di sé fino a non osare di lasciarsi andare ad amare. Nicole aveva la tenera e splendida incertezza con cui, nonostante essa, s’innamora e si fa avanti chi di sé stesso è certo. Pierre, invece, solo il durissimo e spinoso dubbio fra il credersi amante e il credersi marito con cui mai ama e mai si fa avanti chi, di sé, si è lasciato sempre indurre a dubitare. Françoise Dorleac era nella vita come la sua Nicole ne La peau douce. E ciò che l’ha uccisa è stato il dover correre poiché non doveva perdere quell’aereo. Non l’imponderabile casualità dell’incidente, ma la disumana necessità del dovere. Non un desiderio, ma un’idea. Non un’incertezza, ma una convinzione. Non la libertà, ma l’obbedienza. Cose con cui non si può giocare, danzare, far l’amore. Cose che mai lascian libere le donne di essere donne, gli uomini di essere uomini. Cose per le quali si può solo affaticarsi, torturarsi, morire. Rimane un film, un fotogramma, un’immagine meravigliosa di donna. Che con uno sguardo, uno solo, anche dopo cinquant’anni (e ormai anche dopo cinquecento o cinquemila, come la fanciulla della Villa dei Misteri di Pompei) sconfigge la verità ormai trovata dell’opera d’arte, che niente può più cambiare, e torna magicamente a cercarla, a metterla alla prova nei nostri occhi. Clicca qui per leggerlo in .pdf o qui per leggerlo in .doc. (Mercoledì 16 dicembre 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
Clicca qui per leggerlo in .pdf o qui per leggerlo in .doc.
È un luogo comune: i bambini (quasi fossero cani, o gatti) sarebbero “gelosi” dei fratellini neonati. No. Se i genitori hanno con i figli un rapporto sano, la gioia, la tenerezza e la curiosità sono gli unici sentimenti dei fratelli e delle sorelle più grandi verso i “nuovi venuti”. Perché dovrebbero accoglierli meno affettuosamente del papà e della mamma? È vero l’opposto: quanto più i maggiori sono piccoli (cioè quanto meno sono “provati” dalla vita familiare), tanto più sono felici del nuovo arrivo. Mentre, se la differenza di età è sensibile, possono talvolta sembrare “indifferenti” (qualora le esperienze pregresse li inducano a una prudente dissimulazione dell’affetto), mai ostili. Quando invece sono astiosi, o quanto meno di malumore, la cosiddetta “gelosia” non è affatto tale: è un sano risentimento verso certi genitori che, manifestando una repentina e finora insospettata diffidenza nei confronti dei primogeniti, mostrano di voler “proteggere” il neonato dal fratellino o dalla sorellina più grandi impedendo loro di rapportarsi liberamente e gioiosamente con lui. La madre e il padre, cioè, più o meno consapevolmente, temono che il fratello o la sorella maggiori “facciano male” al neonato, lo espongano a pericoli, o quanto meno che non lo trattino con delicatezza nemmeno se hanno ricevuto le necessarie spiegazioni sulla sua relativa fragilità. E quindi li sorvegliano: in maniera apparentemente “affettuosa” controllano ogni loro gesto, si frappongono in continuazione tra loro e il piccolo, li “raggelano”, li rendono innaturali, li spingono a diffidare di sé stessi. Per il fratello o la sorella più grandi è un trauma di cui è difficile sopravvalutare la gravità: non avevano mai pensato di essere inaffidabili! Non sapevano che è sui bambini (come del resto sulle donne) che soprattutto si abbatte il millenario, religioso, “filosofico” e ideologico “pensiero” che l’essere umano sia naturalmente perverso, finché l’imposizione della razionalità non lo rende il controllore di sé stesso! Lo scoprono per la prima volta in quei giorni, sulla propria pelle, in età così tenera! Non è del tutto naturale, dunque, che esprimano delusione e risentimento, non certo contro il neonato (come si vuol credere e si tenta di far loro credere) ma nei confronti degli adulti che più o meno consapevolmente mostrano di considerarli anaffettivi, pericolosi, disumani? E non è orribile che quella sana delusione, quel sano risentimento, vengano ritorti contro di essi facendoli passare per “gelosia”, cioè per un’ulteriore prova della loro inaffidabilità? Clicca qui per leggerlo in .pdf o qui per leggerlo in .doc. (Venerdì 10 dicembre 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
*
(Lunedì 7 dicembre 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
Lo Human Brain Project deve fallire Clicca qui per leggerlo in .pdf o qui per leggerlo in .doc.
Un articolo molto interessante, su le Scienze di dicembre (Un progetto nei guai - Due anni di attività, e il programma da un miliardo di euro per simulare il cervello umano è allo sbando, di Stefan Theil) non coglie, tuttavia, a mio modesto avviso, il nocciolo della questione. Dopo aver affermato che oggi lo Human Brain Project, fortemente voluto e diretto dal neuroscienziato Henry Markram, è allo sbando, oggetto di controversie quando non di scherno, [...], ha dato origine a una profonda e pubblica spaccatura fra i neuroscienziati europei, [...] e attualmente sta subendo una massiccia riorganizzazione, Theil si domanda, infatti, se tutto ciò sia dipeso dal temperamento di Markram, dalla cattiva gestione dell’Unione Europea (il progetto gemello statunitense, a quanto pare, procede meglio) o se vi sia qualcosa di fondamentalmente sbagliato... nella Big Science (cioè nella tendenza, sempre più diffusa in tutto il mondo, a finanziare faraonici megaprogetti scientifici per cercare di forzare l’innovazione e riavviare i motori dell’economia e della Società). L’autore propende per la seconda ipotesi, e si compiace del fatto che la riorganizzazione del progetto europeo si stia ora concentrando, come negli Stati Uniti, su software e strumenti per il trattamento dei dati che non siano esclusivamente volti a simulare il cervello, ma piuttosto a produrre strumenti computazionali, integrazione di dati e modelli matematici da usare nella ricerca neurologica. Negli Stati Uniti, infatti, quando anche lì molti neuroscienziati espressero il timore che l’analogo progetto Brain, lanciato da Barak Obama nel 2013, fosse mal concepito e togliesse fondi alle altre ricerche per perseguire fini nebulosi e magari irraggiungibili, l’iniziativa fu sùbito riconvertita in un ambizioso programma interdisciplinare per lo sviluppo di nuovi strumenti tecnologici che diano ai ricercatori la capacità di osservare, misurare e stimolare meglio il cervello. E in Europa, ora, si farà lo stesso. Nient’altro? L’Europa nella parte del “cattivo” (che però si ravvede), Henry Markram nella (contraddittoria) parte del sognatore arrogante, e i neuroscienziati nella parte dei “buoni”? Dopo di che, tutto è bene quel che finisce bene? Penso, pur con le dovute cautele, che non sia così... Ciò che sta davvero accadendo mi pare evidente. In entrambi i casi, negli Stati Uniti e in Europa, si è mirato a riprodurre il cervello umano in un supercomputer. La qual cosa è impossibile. O, se non impossibile, inutile. O, se non inutile, pericolosa. Impossibile poiché il cervello è una realtà biologica, e dunque non può essere replicato senza replicare, insieme a esso, l’intero organismo. Inutile poiché, quand’anche vi si riuscisse, si otterrebbe un cervello le cui prestazioni più elevate sarebbero altrettanto incomprensibili, per le neuroscienze main stream, di quelle dei cervelli attualmente in funzione in ognuno di noi. Pericolosa poiché un supercomputer siffatto, nella fantascientifica ipotesi che venga realizzato (“Possiamo farlo nel giro di dieci anni” ha detto Markram, suggerendo che un tale modello matematico potrebbe forse arrivare addirittura alla coscienza), sarebbe del tutto anaffettivo, cioè pazzo. Stando così le cose, il totale fallimento del progetto sarebbe, paradossalmente, uno straordinario successo, poiché dimostrerebbe una volta per tutte che l’organicismo oggi dominante nello “studio” del cervello umano (l’idea, cioè, che esso umano sia prevedibile e controllabile come una macchina) è un vicolo cieco dal quale si può soltanto tornare indietro. Ma questo segnerebbe la fine di tutte le “ricerche”, in corso in ogni angolo del globo, basate su quell’erronea convinzione. Nonché la fine, con esse, di tutti i finanziamenti, di tutte le carriere dei neuroscienziati che in tali “ricerche” sono impegnati, e... di tutte le sofferenze di chi continua a non ottenere risposte, da quei laboratori, alla malattia mentale. Non sia mai! Ai “buoni” neuroscienziati sembra meglio sottometterlo, lo Human Brain Project, anziché lasciarlo gloriosamente fallire insieme alle loro “ricerche”, ai loro finanziamenti e alle loro carriere.. Clicca qui per leggerlo in .pdf o qui per leggerlo in .doc. (Domenica 6 dicembre 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
*
Pochi dicono, e ancor meno sanno, che tra il 10 e il 15% dei giovani francesi “bianchi” simpatizzano o si definiscono neutrali nei confronti dell’Isis: più o meno il doppio, cioè, dei loro coetanei arabi, francesi di seconda generazione. Segno che il terrorismo religioso, in Europa, non è una “guerra” (tanto meno “di civiltà”) ma un’emergenza psichiatrica generazionale. Segno, cioè, che i terroristi, in Europa e in tutto l’Occidente, sono giovani gravissimamente malati, che delirando di aderire all’Isis forniscono al proprio odio contro ogni essere umano, inclusi sé stessi, una razionalizzazione, una mostruosa “giustificazione” e una “grandiosità” che gli atti di pazzia quotidiana, “spicciola”, per quanto tendenzialmente non meno omicidi e suicidi, non possono dare loro. (Sabato 4 dicembre 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
*
(Venerdì 4 dicembre 2015. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
*
Vuoi andare ai post del mese precedente, novembre 2015? Clicca qui! Vuoi andare all’Indice di tutti i post precedenti dal 2002 a oggi? Clicca qui! |
* |
|
* |
Questo sito non costituisce testata giornalistica, non ha, comunque, carattere periodico ed è aggiornato secondo la disponibilità e la reperibilità
dei materiali. Pertanto non può essere considerato un prodotto editoriale ai sensi della L. n. 62 del 7/3/2001... Clicca per continuare a leggere.
*
L’immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell’artista danese Viggo Rhode (1900-1976).
L’ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.
*
Torna in cima alla pagina Il diario del Prof: puntate precedenti Home