ScuolAnticoli

Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca

 

L'immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell'artista danese Viggo Rhode (1900-1976). L'ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

La Terra vista da Anticoli Corrado

nel gennaio del 2016

 

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Amanda Gefter, Due intrusi nel mondo di Einstein - Un padre, sua figlia, il significato del nulla e l’inizio di tutto

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Due intrusi nel mondo di Einstein, di Amanda Gefter (Raffaello Cortina Editore, 2015, pp 493), è un libro interessantissimo: un immenso, suggestivo panorama della Fisica e della Cosmologia contemporanee, spiegate in maniera comprensibile anche a un profano (colto) ma senza eludere la complessità dell’argomento (chiarezza che la traduzione italiana conserva benché, a mio giudizio, non brilli per correttezza nella coniugazione dei verbi) e un’avvincente autobiografia, scientifica e allo stesso tempo esistenziale, della giovane autrice. Che si pone (e risponde, incontrando grandi scienziati, intervistandoli e riflettendo sulle loro teorie) domande di basilare importanza non “solo” per la conoscenza dell’Universo, ma anche per la comprensione di quel che significa essere umani.

Cos’è l’Universo? Cos’è il nulla? L’Universo è emerso dal nulla? L’Universo è nulla? L’Universo è infinito, è sempre esistito e sempre esisterà? Vi è, in esso, qualcosa di invariante, cioè che non dipenda da chi l’osserva? O esso dipende del tutto da chi (e come) lo guarda, cioè da noi? Siamo noi i creatori dell’Universo? Domande sulle quali, dalla prima all’ultima pagina, occhieggia (è proprio il caso di dirlo) lintrigante schema dell’Universo partecipativo di John Wheeler.

Intervistata nell’ottobre del 2014 dal sito Science Book a Day, Amanda Gefter ha risposto così alla domanda se stia lavorando a un nuovo libro: I’m really excited about the new book I’m working on. It’s still early in the process so I have to be a bit cagey. But when my father and I were reading Wheeler’s journals at the American Philosophical Society in Philadelphia, I came across the name of one of Wheeler’s students of whom I’d never heard. That was odd, considering Wheeler’s students all went on to become renowned physicists Richard Feynman, Hugh Everett, Kip Thorne, etc. So I started looking into it, and found a rather incredible story about this unknown guy who studied physics with Wheeler but went on to figure out some incredible things about how the mind works. And for me, personally, that’s the question that still keeps me up at night what is consciousness? And I think it’s ultimately a question of fundamental physics what kind of objective reality can support subjective experience? How does the reality wrought by our consciousness relate to the supposed reality “out there”? The new book will explore this strange tension between physics and philosophy of mind but again, these heavy ideas will be woven into a very human narrative.

Considerate attentamente queste parole: Strange tension between physics and philosophy of mind [...] woven into a very human narrative... Proprio questo mi ha colpito, leggendo Due intrusi nel mondo di Einstein: la Fisica e la Cosmologia contemporanee (molto più di ogni altra scienza, molto più avanti di ogni altra scienza, ivi comprese, e di gran lunga, le cosiddette neuroscienze) sono entrate in una strange tension con quel che sappiamo della mente umana. Tra non molto, nessuna scienza potrà più dirsi tale se non sarà anche scienza dell’essere umano. La Fisica (con la Cosmologia in qualche modo costretta, da un secolo, a seguirla) ormai sa di trovarsi a questo fondamentale hic Rhodus, hic salta da cui non si torna indietro. E non è certo un caso, io penso, che proprio da una giovane donna come Amanda Gefter le venga un impulso decisivo in questo senso.

Ha detto Carlo Rovelli, illustre fisico italiano e fra i primi al mondo: Ho amato questo libro dalla prima pagina. Dice l’essenziale, e l’essenziale qui è la passione per il fascino della Fisica. Un libro da bere d’un fiato. È quello che ho fatto io, ma... con tutto il rispetto per Carlo Rovelli, non userei il verbo bere: io, con l’autrice, ho “litigato” dall’inizio alla fine, e non sono d’accordo con le sue conclusioni! Eppure, se non l’avessi letto, non avrei conclusioni mie da contrapporre alle sue.

Sì, è in atto una strange [and wonderful] tension between physics and philosophy of mind!

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(Domenica 31 gennaio 2016. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Venezia

con chi amavo, con gli alunni e i colleghi, con me stesso...

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La nuova edizione di Divise forate, di Alessandro Placidi

La nuova edizione di "Divise forate", di Alessandro Placidi

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Vittime laiche degli Anni dei sacrifici Umani

commento di Luigi Scialanca a Divise forate, di Alessandro Placidi.

 

Si vorrebbe chiamarli belve, i terroristi. Ma le belve non hanno Dei. E non avendone, non sacrificano agli Dei i propri simili. Per darsi un Dio occorre un’immaginazione che gli animali non umani, per quel che ne sappiamo, non hanno ancora evoluto. E senza Dei, a chi sacrificarsi l’un l’altro?

Gli Dei, non esistendo, non chiedono sacrifici. Eppure ogni Dio ne ottiene: chi si fa creatore di Dei, immaginandoli infinitamente superiori a sé, non può testimoniare la sua infinita inferiorità a essi se non con il proprio e l’altrui sacrificio. Se non disprezzando e odiando, e umiliando, e talvolta uccidendo, sui loro altari, ciò che vi è di più prezioso sulla Terra: gli Esseri Umani.

Non siamo ancora riusciti a essere davvero quelli che siamo. Non ci siamo curati abbastanza, non siamo del tutto guariti. Le nostre fantasticherie, non ancora del tutto risanate, seguitano a creare Dei, a umiliarci e stravolgerci ai piedi delle nostre creazioni, a sacrificare loro noi stessi e gli altri. Ma almeno un Dio lo abbiamo cancellato, di una religione ci siamo liberati: il Comunismo.

Non è facile, per chi non crea Dei, accorgersi che in un altro, che sembra lì con lui, c’è un Dio che egli non vede perché non lo immagina. Non vi è che un modo: sentire, soffrire ― talvolta morendo ― che l’altro con cui abbiamo a che fare ci sta sacrificando. Sentire, soffrire, che l’altro con cui abbiamo a che fare non è lì con noi poiché si è messo in mente un Dio dinanzi al quale noi (e con noi perfino essi stessi, perfino i loro umani affetti) dobbiamo sparire, sacrificarci, non esistere più perché Egli sia. Sentire, come Isacco, che l’altro con cui abbiamo a che fare è Abramo, e che Abramo non è più padre né figlio, né fratello né marito, poiché non ha altro modo ― per far di sé il niente che egli vuol essere affinché il Dio sia tutto ― che render niente l’altro che per lui è tutto.

Così capimmo che il Comunismo era Dio, i suoi partiti Chiese, i leader papi, e noi, suoi adepti, umili fedeli intenti ad annullarci davanti a Lui: capendo che esso, benché inesistente e impossibile, perché sembrasse esistente e possibile era immaginato pretendere sacrifici umani.

Sentire, soffrire, che l’altro con cui abbiamo a che fare non è lì con noi poiché si è messo in mente un Dio dinanzi al quale noi (e con noi perfino essi stessi, perfino i loro umani affetti) dobbiamo sparire, sacrificarci, non esistere più perché Egli sia. Sentire, come Isacco, che l’altro con cui abbiamo a che fare è Abramo, e che Abramo non è più padre né figlio, né fratello né marito, poiché non ha altro modo ― per far di sé il niente che egli vuol essere affinché il Dio sia tutto ― che render niente l’altro che per lui è tutto.

Così capimmo che il Comunismo era Dio, i suoi partiti Chiese, i leader papi, e noi, suoi adepti, umili fedeli intenti ad annullarci davanti a Lui: capendo che esso, benché inesistente e impossibile, perché sembrasse esistente e possibile era immaginato pretendere sacrifici umani. Non di tutti: i nemici erano rispettati, ché l’anticomunismo attestava l’esistenza del Comunismo come il Diavolo quella di Dio. E non tutti con eguale ferocia: milioni di Donne, di Uomini, di Bambini, ci si “accontentava” che si sacrificassero inchinandosi alla Suprema necessità storica incarnata nel partito. Ma i Non credenti e i Laici dovevano essere colpiti senza pietà: con la scomunica, l’ostracismo, l’isolamento, là dove il Dio si credeva civile, tollerante, democratico. Con la morte, là dove il potere lo svelava per quello che era.

Niente può trattenere dai sacrifici umani i possessori di insensibili Verità, una volta che abbiano ottenuto un pur minimo potere. I terroristi rossi avevano ambedue: il Comunismo, Verità rivelata in dogmi indiscutibili, e il potere delle armi che il Dio imponeva loro di usare contro chi non doveva esistere affinché non esistesse che Lui. Solo la selezione delle Vittime sembrava loro “libera”, tanto che ogni volta dovevano, razionalmente quanto delirantemente, “giustificarla” a forza di “processi” e di “verbali d’interrogatorio”. Sembrava libera, ma non lo era: i Sacrificati al Dio non potevano che essere laici, cioè Servitori dello Stato. Carabinieri, Poliziotti, Guardie di finanza, Agenti di custodia, Magistrati: esseri umani il cui agire pubblico, nella Collettività e per la Collettività, non si basa su una fede (non c’è religione di Stato né dello Stato nella Democrazia che essi servono: entrambe sono espressamente vietate dalla Costituzione) ma sulla realtà del rapporto con noi. Con noi che da essi, per una passione che si fa lavoro e professione, siamo difesi e aiutati. Esseri umani che d’impulso, non per ubbidire a un Dio, rischiano la vita per noi, che siamo inermi dinanzi a chi ci minaccia: questo sono i Servitori dello Stato. Perciò li chiamo laici. E, perciò, proprio loro erano selezionati come Vittime dai terroristi.

Non tutti i Servitori dello Stato sono così? È un’immagine idealizzata, la mia? Certo. Ma quei Servitori dello Stato ― quelli di cui Alessandro Placidi, in questo libro pieno d’amore, testimonia con appassionata semplicità le vite “normali”, da uomini che d’impulso avevano trovato posto nel mondo legandosi agli altri profondamente ― non per caso erano invece proprio così, non per caso corrispondevano in pieno a questa immagine e perfino la arricchivano: non per caso, ma poiché i sacrificatori, malgrado le raffinate quanto deliranti “motivazioni” che in precedenza o in seguito elaboravano, selezionavano proprio loro nell’attimo in cui intuivano (e sùbito annullavano) come essi erano. Poiché le Vittime sono sempre i migliori, anche se chi li uccide si convince razionalmente che siano nulla poiché devono esserlo. E chi è migliore di chi fa quel che sente per gli Altri, anziché ciò che crede di dovere a un Dio?

Non per niente i Maya sacrificavano i Bambini.

Il discorso non cambia se noi ― che fummo comunisti e ne siamo fieri, poiché lo fummo per un impulso generoso, anche se quell’impulso ci sacrificò a far di noi stessi il gregge che i nostri pastori chiamavano partito ― giustamente ricordiamo però che non tutti i terroristi erano rossi. C’erano i neri, adepti di una fede, la fascista e nazista, che è peggiore della comunista poiché è anche consapevole del proprio odio contro l’Umanità, e lo celebra. E c’erano i fratelli Savi ― narrati da Alessandro Placidi in uno dei capitoli più lancinanti di questo libro appassionato ― “geniali” anticipatori che a Mussolini e Hitler affiancavano quel Dio Denaro a cui, negli anni ’90, i suoi “insospettabili” adepti nelle tirannie finanziarie globali già iniziavano a sacrificare (a morte o alla miseria o alla schiavitù, fra le tre c’è differenza ma non tanta) centinaia di milioni di persone in tutto il pianeta. Poiché i sacrificatori umani sono molti, anche se sono una minoranza, e se chi ammazza a mano armata è una minoranza nella minoranza. E molte, e apparentemente diverse, sono le fedi di cui si fanno sicari. Ma la spietatezza ― che è odio contro l’Umano anche quando si fa chiamare efficienza e vuol farsi credere migliorista della convivenza umana ― è la stessa per tutti loro, ed è da essa che li riconosciamo.

Come identiche sono le vittime: sempre laiche, uomini e donne che come noi vogliono “solo” vivere e realizzare al meglio, gli uni in rapporto con gli altri, la comune umanità. Non per una fede. Non per un Dio. Ma poiché ci piacciamo, siamo attratti gli uni verso gli altri, sentiamo che solo insieme possiamo fare le nostre vite migliori, cioè le più umane possibili. Vittime laiche, a decine, a centinaia, a migliaia, a milioni, ieri di fedi “politiche”, oggi e da millenni di religioni, e oggi anche di un’idolatria del Denaro che è la peggiore di tutte poiché tutte le contiene, poiché le rende più forti con la potenza devastante di una ricchezza mostruosa, poiché è addirittura capace di estinguere la nostra specie, e poiché ai suoi impassibili quanto implacabili adepti appaiono laici, cioè Vittime “predestinate”, tutti gli Esseri umani (il 99%, si è detto non a caso) ai quali è sufficiente la quantità di denaro che laicamente non è che un mezzo per vivere senza preoccupazioni quel che davvero conta: restare insieme restando umani.

Ancora una volta però, nei piani deliranti della criminalità organizzata globale che sono la verità oscura dei piani deliranti delle tirannie finanziarie globali, i primi da sacrificare sono i Servitori dello Stato, gli Uomini e le Donne che fanno sì che tutti possiamo vivere e realizzare al meglio, col minimo possibile di condizionamenti negativi, lo stare insieme che davvero conta: per le mafie i Carabinieri, i Poliziotti, le Guardie di finanza, gli Agenti di custodia, i Magistrati; per le tirannie finanziarie, i Lavoratori. Ancora una volta sono i nostri Difensori le prime Vittime, per i fanatici di tutte le fedi che nell’adorazione del Denaro hanno trovato il monoteismo vero che unifica tutti gli Dei. E noi, perciò, ancora una volta dobbiamo difendere loro, per salvare con loro noi stessi. E quando non ci riusciamo, quando, contro ogni nostra resistenza, essi vengono ancora una volta sacrificati, allora dobbiamo darci anche noi una “religione”, l’unica laica, l’unica umana: la Religione della Memoria, del Ricordo delle Vittime.

Per questo la Memoria della Shoah è fatta di ogni minimo resto, di ogni stanghetta d’occhiale, di ogni ciocca di capelli, di ogni pezzetto di carta appartenuti alle Vittime: nessuna Vittima umana (a morte o alla miseria o alla schiavitù, fra le tre c’è differenza ma non tanta) può essere dimenticata. E di chi lo è stato dobbiamo almeno, per mezzo di un oggetto, di un luogo, di una lapide, ricordare che tuttavia esistette. E di chi non sappiamo neanche se esistette dobbiamo almeno poter immaginare l’esistenza e la vita come se davvero siano state: è il solo modo che abbiamo, la Memoria incondizionata, al limite addirittura “immaginaria”, per attestare che perfino una stanghetta d’occhiale, una ciocca di capelli, un pezzo di carta bruciacchiato, che perfino il “niente”, in quanto niente umano, è infinitamente più degli Dei inesistenti, quali che siano, a cui quelle Donne, quegli Uomini, quei Bambini furono sacrificati.

Alessandro Placidi, nel suo bellissimo Divise forate ― un titolo appassionatamente semplice, “normale”, che ha pudore perfino di nominarlo, l’Umano per Natura che appassionatamente difende ― ha fatto proprio questo: Religione della Memoria di Uomini che siamo noi, poiché se essi sparissero anche in noi, neanche noi saremmo più. Perciò lo ringrazio: per avermi restituito, con loro, una parte di me.

(Giovedì 28 gennaio 2016. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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(Domenica 24 gennaio 2016. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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ScuolAnticoli sta per compiere dieci anni. Rivediamoli insieme...

La Morte e la Fanciulla - ipotesi sulla anoressia - cliccando qui

 

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ScuolAnticoli sta per compiere dieci anni. Rivediamoli insieme...

L’Immaginazione di Tattersall

di Luigi Scialanca

un affascinante viaggio nell’unicità umana... cliccando qui!

Di che si tratta? Guarda le immagini-anticipazioni che seguono:

1. Perché Tattersall?... - 2. Tattersall finirà creazionista?

3. La donna che scrisse a Darwin - 4. Comunione&liberazione contro Tattersall

5. Immaginazione e linguaggio - 6. Gli scopiazzatori di Tattersall

7. Tattersall a Roma nel 2012 - 8. E se la mente “vacilla”?...

 

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La Mamma del Linguaggio

(Pablo Picasso, Donna e Bambino, 1921)

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Ignoro se qualcuno abbia già proposto, riguardo all’origine del linguaggio umano, l’idea che esso sia creato dalla donna entro la relazione affettiva col bambino, in particolare nel primo anno dopo la nascita. A me è stata irresistibilmente suggerita, pur senza mai accennarvi neanche alla lontana, da un pacato e scintillante “libretto” (si può essere pacati e scintillanti insieme? ― sì, quando si fa scienza e poesia allo stesso tempo, e il saggio scientifico, rigoroso, è anche un saggio di umanità e una lettera d’amore individuale e universale), Piccolo Puxi ― saggio sulla lingua di una madre (“Puxi. Eine Kleine Studie zur Sprache einer Mutter”) scritto da Leo Spitzer tra il 1922 e il 1926 e riproposto oggi in italiano, curato e tradotto da Anna Maria Babbi e Massimo Salgaro, dalle edizioni de il Saggiatore.

Leo Spitzer, ci rammentano i curatori, nato a Vienna nel 1887 e morto a Forte dei Marmi nel 1960, “linguista, critico letterario, filologo, etimologo, è stato il maggiore studioso di stilistica del Novecento. Allontanato in seguito alle leggi razziali dall’Università di Colonia nel 1933, insegnò all’Università di Istambul e, dal 1937, alla Johns Hopkins di Baltimora”.

Il 22 maggio 1922 nasce Wolfgang, figlio di Emma e suo. E il linguista, all’età di 35 anni, fin dal primo giorno “applica le sue vastissime conoscenze alla lingua del tutto speciale [corsivo mio]” della madre col figlio. “Giorno dopo giorno, per quattro anni, annota i nomi con cui la moglie [...] chiama il piccolo Wolfgang, che in questa «creazione di linguaggio» è Puck, Pückchen, Pucksi, Puxi; e Bübi, Mausi, Katzi; e Matschel, Kabäuschen, Tüdülütchen, Schnützeling”... E ancora, ancora: la creazione è quotidiana, ininterrotta, e segue, momento per momento, le “avventure” degli affetti della donna e del bambino, che inizia presto a partecipare al gioco. Finché il padre, Leo (anch’egli impegnato a creare, ma con un’inventiva di gran lunga meno “spigliata” di quella di Emma) si rende conto che “la lingua individuale di una madre è la lingua per eccellenza delle emozioni”. E frutto del desiderio materno, e della gioia del bambino per esso, di “evitare il nome «ufficiale» del figlio” o, quanto meno, di arricchirlo di espressioni affettive, ancorché verbali, certo comprensibili, etimologicamente “tracciabili” (del che testimonia il padre da par suo), ma che appartengano soltanto a loro tre, soltanto a loro due, soltanto al piccolo Puxi: tre sfere linguistiche concentriche il cui nucleo risulterà, allo stesso tempo, perfettamente decifrabile e del tutto inafferrabile da ogni altro parlante.

Qualche (imprescindibile) estratto:

“La scienza è razionalizzazione del vissuto ― ma la scienza vissuta non è forse la più alta forma di scienza? La scienza dovrebbe forse indietreggiare proprio nel punto in cui iniziano la vita e il vissuto, proprio là dove potrebbe elevarsi oltre il sapere sterile è morto?” (p. 7, corsivo mio).

“Si può dire che Wolfgang non era un nome vissuto dal cuore, ma fu da sempre percepito come impostoci dai vincoli statali e sociali [...]; era, per così dire, un mezzo di denominazione burocratico, un mot savant, dal quale tentavamo invano di estrarre valori [affettivi]” (p. 15).

“Il credo comune dei genitori era che una così incantevole creatura potesse nascere soltanto da un’atmosfera da sogno e da favola, e perciò anche il suo nome dovesse portare il segno [...] e, per così dire, la polvere delle ali di un volo proveniente dal paese dei sogni” (p. 22).

“L’affettuosità nei confronti del bambino imponeva il proprio schema a tutti gli altri rapporti umani” della mamma (p. 26).

“La fantasia linguistica costruttiva [della mamma] non si ferma davanti a niente” (p. 36).

“[Si] parte dal presupposto che la lingua sia qualcosa di concreto e specchio del reale, e non la [si] considera in modo abbastanza deciso come creazione, come lingua individuale, come immagine dell’individuo” (p. 73).

“[La mamma] non è «ragionevole» nel suo amore per il bambino, poiché si concede con tutta sé stessa a questo sentimento insistente e continuo, spesso in modo tumultuoso: la lingua [della mamma] rompe gli argini e scavalca le dighe della lingua comune” (p. 77, corsivo mio).

“La lingua della madre assomiglia al tessere costante e silenzioso di un arazzo linguistico, che non verrà mai completato, ma che non si lascerà mai pervadere da una sensazione di sfinimento [...]. [La madre] osserva il mondo avendo [il bambino] come punto focale, e segue una logica onirica che si distoglie dalla vita nella realtà con contemplativa spensieratezza, laddove la vita nella realtà non sia in relazione con l’immagine da sogno [del bambino] diventata realtà” (p. 78, corsivo mio, e mia anche qualche modifica alla traduzione che non tocca però il significato del brano).

“A un tale sentire, le parole della lingua comune appaiono troppo contagiate dalla promiscuità del quotidiano” (p. 81).

“Avverto come le [mie] parole, che dovrebbero descrivere la geografia affettiva della mamma, falliscono vergognosamente, ma penso di avere reso comprensibile la commistione di gioco e sogno, scherzo e realtà, vita reale e vita mentale-affettiva, che conferisce alla creazione dei vezzeggiativi, doppiamente iridescenti, il loro vero senso” (p. 79).

“E se questo non tener conto del reale fosse tipicamente femminile?” (p. 83).

Lingua comune e lingua individuale. Nel rapporto irrazionale-affettivo con la mamma, e della mamma con lui, il neonato non “soltanto” impara a parlare: scopre, anche, di poter creare il linguaggio a modo proprio ed esclusivo, benché “senza abbandonare la sfera d’influenza della norma linguistica vigente”.

Ma se questo accade ― ecco l’idea ― nel rapporto fra Emma e Puxi (e fra Puxi ed Emma), lo stesso non può non accadere in ogni rapporto tra la donna e il bambino, purché esso sia, anche da parte di lei, umanamente affettivo e immaginoso (purché, intendo, la mamma non sia anaffettiva, o atterrita da una norma sociale pazzamente anaffettiva e perciò violenta). E pertanto deve essere accaduto sempre, fin dagli albori dell’Umanità.

Il linguaggio umano, se le cose stanno così, non nascerebbe, dunque, né allora né oggi, come strumento del rapporto razionale, pratico, collettivo e individuale con la realtà, ma come creazione femminile che si oppone alla prassi esclusivamente razionale di rapporto con la realtà (prassi che di per sé, quanto meno alle origini, non necessita in alcun modo di un linguaggio anche solo minimamente più evoluto di quelli degli altri animali superiori). E che, opponendosi a tale prassi creativamente (non distruttivamente, non antisocialmente) ricrea lo specifico umano e instancabilmente lo ripropone a ogni nuova nascita. E naturalmente al maschio, purché partecipi affettivamente al rapporto.

La prima poesia, la prima resistenza creativa alla disumanizzazione che il vivere pratico quotidiano, con le sue difficoltà e sofferenze e sconfitte, sembra imporre all’uomo e, per suo tramite, alla donna e al bambino: la lingua individuale materna è il prius, e la lingua comune l’esito di un compromesso che di tale lingua sente (anche se non in tutti in egual misura) il fascino e la necessità.

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(Giovedì 7 gennaio 2016. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Lorenzo Milani, non insegnante

La campagna contro gli insegnanti, in corso ormai da vent’anni e sempre più aggressiva (politica, legislativa, mediatica, “culturale”, religiosa ― e in certe realtà locali anche para-mafiosa) spera forse di darci il colpo di grazia, nel 2016, con la santificazione finto-laica di Lorenzo Milani. Che fu, indubbiamente, un precursore, ma nell’istigare le famiglie all’odio indiscriminato e razzista contro un’intera categoria (poiché la “professoressa” della celebre “lettera” non è una singola insegnante, ma li segna tutti come una lettera scarlatta impressa su ogni fronte) e nel confondere le menti dei bambini e dei ragazzi ottundendo la loro sensibilità umana dinanzi al docente e, di conseguenza, la capacità di valutarlo individualmente.

(Il ritaglio in alto è tratto da la Lettura, supplemento al Corriere della sera, di domenica 3 gennaio 2016).

(Lunedì 4 gennaio 2016. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Alla faccia di chi lo odia, alla faccia di chi ha fatto di tutto per distruggerlo (e finora ci si è rotto i denti), ScuolAnticoli continua a crescere malgrado la crisi, lo strapotere dei social network e gli ormai innumerevoli (e grotteschii) tentativi di imitazione! Grazie a chi lo ama! Grazie a tutti voi!

Clicca sul grafico, se vuoi visualizzarlo meglio!

(Sabato 2 gennaio 2016. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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(Giovedì 31 dicembre 467. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

Testi di ScuolAnticoli su Giordano Bruno:

Scritti di Antonio Gramsci su Giordano Bruno

Una vera Sinistra esiste ed è maggioritaria: è l’Italia laica

L’immagine è una riproduzione de La persistenza della memoria (1931), di Salvador Dalì. Il pensiero è di ScuolAnticoli).

 

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