ScuolAnticoli

Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca

 

L'immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell'artista danese Viggo Rhode (1900-1976). L'ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

La Terra vista da Anticoli Corrado

nel dicembre del 2016

 

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Appollaiate sulle cime più alte, le Arpie piombano sui Bambini, li ghermiscono, e ne fanno strame per i nidi dai quali spiccano il volo.

Odiano tutti i Bambini, ma specialmente quelli che vengono da altri paesi. Odiano vederli felici, ignari di essere stranieri, insieme a compagni ignari che lo siano. Perciò le Arpie li aggrediscono per primi, frullando le nere ali, e gracchiando stonate ne storpiano i nomi fino a farglieli dimenticare. Insinuando così, nelle menti degli altri, il sospetto che i compagni venuti da lontano abbiano nomi estranei, diversi dai nomi umani. Poiché le Arpie li vogliono divisi, i Bambini, affinché comincino a perdere la naturale socialità. E con essa l’umanità.

Furono donne, in un tempo remoto. Ma fecero incubi di non voler più esserlo, e un brutto giorno si destarono da un sonno agitato tramutate in uccellacci dalle maschere di sfingi. Fuggirono, allora, le nostre piazze assolate e festose. Si annidarono sui picchi, nel vuoto e nel gelo. E di là presero a scagliarsi sui Bambini poiché l’umanità, in essi, è più intatta che negli adulti, e dunque alle Arpie più ripugnante a vedersi, ma anche più tenera e indifesa.

Dividendoli, impediscono loro di reagire e difendersi collettivamente. È l’astuzia di ogni predatore, ma le Arpie, a differenza di quest’ultimo, odiano le prede senza aver di esse alcun bisogno: le divorano non con le fauci, non inghiottendole, non digerendole, ma delirando di averne pieni i ventri a mano a mano che li confondono, li stravolgono e ― se ci riescono ― li disumanizzano. A mano a mano che li rendono, mostruosamente, creature proprie.

Iniziano, dicevo, rendendone alcuni stranieri agli occhi degli altri. E continuano, poi, a uno a uno, individuandoli e isolandoli tutti. Privilegiandone qualcuno col non aggredirlo, perché egli si creda superiore e i compagni si sentano inferiori. Starnazzando come ossesse su questo e su quello per farlo sembrare strano, anomalo, antipatico. E picchiando i più soli con le ossute ali nere, pesanti come magli, ferendoli coi gialli becchi puntuti, calpestandoli con le figide zampe rugose.

Sui corpi dei Bambini non lasciano segni, lividi, piaghe? Sì, ne lasciano e come. Ma invisibili. E le madri e i padri, così, benché in vita loro abbiano creduto di tutto, non credono ai racconti dei figli, non credono che le Arpie li abbiano davvero attaccati, colpiti, lacerati, inghiottiti a metà senza lasciare segni, lividi, piaghe, sui piccoli corpi apparentemente integri.

Inganna i genitori, oltre che la credulità, l’ottundimento degli affetti e dei sensi che di essa è la causa. “Vedono” i figli allegri, contenti, perfino gioiosi, e non capiscono che lo sono, lontano dalle Arpie, come lo è negli intervalli tra un ascesso e l’altro chi è torturato dal dolor di denti: senza mai poter sperare, neanche per un attimo, che il dolore non torni. Che la nera tempesta starnazzante e gracchiante non si abbatta ancora sui loro piccoli corpi, da un momento all’altro, in un tempo che non sanno calcolare, e che perciò sentono sempre imminente.

E così accade perfino che vi siano donne e uomini del tutto “normali” ― che mai e poi mai alleverebbero ratti e piattole ― che recano cibo alle Arpie sottraendolo alle proprie magre risorse. Accade, perfino, che intere comunità si tassino ― pur non avendo quasi più mezzi neanche per procurarsi luce e acqua ― per nutrire le Arpie!

I Bambini paiono sani, malgrado non pochi siano già per metà divorati. Essi stessi, fidando nelle madri e nei padri, arrivano talvolta a credere che le Arpie siano buone, e cattivi siano loro. Finché, dopo anni, nei più fragili appariranno i primi sintomi di un disastro umano che si aggraverà per decenni. Sintomi di cui nessuno comprenderà la causa. Che nessuno collegherà agli attacchi di neri uccellacci appollaiati sulla cima più alta. Poiché nessuno ha l’amore e il coraggio, finché si è in tempo, di vederli e sentirli come li sentono e li vedono le Bambine e i Bambini ai quali nessuno crede.

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(Mercoledì 28 dicembre 2016. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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(Venerdì 23 dicembre 2016. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

 

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Straordinario scoop di ScuolAnticoli!!! Tremenda notizia in esclusiva!!!

(Mercoledì 21 dicembre 2016. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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(La foto di Gianni è di Danilo Toppi. Il montaggio di ScuolAnticoli)

 

Sono passati dieci anni. Era appena cominciato l’anno scolastico 2006-2007 quando a Scuola, durante un’ora “di buco”, un signore che non conoscevo, un tipo grande e grosso ma con la faccia da buono, chiese di me. Era Gianni Proietti Micozzi ma, anche quando si presentò, il suo nome non mi disse niente. Non era uno dei “nostri” genitori delle Medie: Veronica era ancora in quinta, Francesco ancora all’asilo... Non capivo, insomma, cosa volesse da me. Ma lo capii poco dopo, e la mia gioia e la mia riconoscenza furono immense.

Gianni mi spiegò, per prima cosa, che aveva visto il mio sito, ScuolAnticoli, e lo aveva trovato molto interessante e ben fatto. Mi era già simpatico, a prima vista, ma appena pronunciò quelle parole lo avrei baciato in fronte. ScuolAnticoli aveva cominciato a crescere da qualche mese soltanto (era nato nel 2003 come saggio conclusivo del corso di informatica tenuto gratuitamente da mia sorella Paola alla Classe 2000-2003, ma per tre anni era rimasto immobile) e io, che in cuor mio dovevo aver già intuìto quanto sarebbe stato importante nella mia vita, ero addirittura assetato di riconoscimenti che mi spingessero ad andare avanti. Quelle parole di Gianni, dunque, furono e restano fondamentali, nella mia memoria: gliene fui profondamente grato, continuai a esserlo anche quando, dopo il 2011, ci fu tra noi qualche divergenza di natura politica, e gliene sarò finché campo. Non dimenticherò mai quel momento. Anche perché... Gianni non si limitò ai complimenti: aveva un dono per me, per ScuolAnticoli, e quando me lo diede rimasi letteralmente a bocca aperta, come un bambino davanti ai regali di Natale.

Disse che qualche anno prima, lui e alcuni suoi amici dell’Associazione il Borgo avevano realizzato una Mostra fotografica per la quale avevano raccolto centinaia di immagini antiche e recenti delle donne, dei bambini e degli uomini di Anticoli Corrado nel corso del tempo. Disse che quelle immagini erano in suo possesso, e che lui, Gianni, aveva deciso di donarmele perché le pubblicassi su ScuolAnticoli. Poiché, aggiunse, aveva capito quanto amavo Anticoli Corrado e mi giudicava il più degno di ricevere un simile dono.

Immaginate la mia gioia! Non credevo alle mie orecchie! Anticoli, sì, io certamente l’amavo, ma... potevo solo parlarne e scriverne, avevo appena iniziato a fotografare io stesso il paese, non avevo nessuna immagine, assolutamente nessuna, per esprimere il mio amore estendendolo nel tempo ai decenni passati, a prima del mio arrivo, a prima della mia nascita! Ed ecco apparire Gianni, e regalarmi questa immensa possibilità!

Chissà, altrimenti, se sarei riuscito a fare di ScuolAnticoli quel ch’è oggi... Forse sarebbe miseramente fallito nel giro di poco tempo. Ma Gianni lo rese in un attimo talmente bello e ricco, come con un colpo di bacchetta magica, che abbandonare l’impresa mi divenne per sempre impossibile, anche di fronte alle enormi difficoltà e persino all’odio che più volte dovetti affrontare negli anni successivi.

Mai, né allora né dopo, Gianni mi chiese qualcosa in cambio. E sia chiaro: sua figlia, l’anno successivo, approdò alla Scuola media, ma lui sapeva benissimo che non sarebbe stata mia alunna. Né poteva certo prevedere, allora, che lo sarebbe stato Francesco nel 2012 (il che, tra l’altro, fu un caso dovuto all’introduzione delle pluriclassi).

Non solo: Gianni non mi permise neppure di citarlo come collaboratore (o, per meglio dire, benefattore) di ScuolAnticoli. Mi impose di non fare il suo nome poiché, mi disse, c’era chi non avrebbe gradito che egli mi avesse incoraggiato in un’opera che, come alcuni avevano già compreso, dato il mio carattere sarebbe potuta diventare una “spina nel fianco” di quanti, ad Anticoli, non mirano che al potere.

Io, però, ribattei che volevo lo stesso ringraziarlo pubblicamente con uno scritto a lui dedicato, altrimenti gli avrei restituito le foto. E Gianni allora mi autorizzò, ma a condizione di apparirvi sotto falso nome. E così feci: lo ribattezzai Corrado (sì, proprio come Anticoli e, ancor prima, il signore di Antiochia) e premisi alle pagine di Anticoli che non sparisce l’articolo in suo onore, Gli Anticolani veri, che oggi ripubblico qui (potrete leggerlo tra poche righe) per celebrare la sua memoria ora che, infinitamente purtroppo, Gianni non c’è più.

Sì, è vero: come accennavo poc’anzi, ci sono stati giorni, dopo il 2011, in cui il nostro rapporto si incrinò per motivi politici. Ma, per quanto grave, fu appunto un’incrinatura, non una rottura. Tant’è vero che nei nostri occhi, ogni volta che ci incontravamo, insieme alla reciproca collera c’era sempre anche un barlume di reciproco riconoscimento e di rimpianto.

Grazie, Gianni! Ti devo molto, te lo devo da tanto tempo e, anche se non posso più pagare il mio debito, posso almeno dichiararlo. A tutti. Compresi quelli, essi sì nemici, che sarebbero capaci di rimproverarti ancora oggi, per il tuo dono inestimabile.

Ed ecco, finalmente a tuo nome, la dedica che ti scrissi allora:

 

Gli Anticolani veri

 

C’è chi scrive di Alessandro Magno o di Napoleone. Chi racconta la storia gloriosa della Repubblica di Venezia, o la grande epopea del Risorgimento italiano, o la Seconda Guerra Mondiale. Chi si occupa delle vicende delle persone comuni, e dedica anni di laboriose ricerche alla ricostruzione, per esempio, di come si viveva a Roma all’epoca di Giulio Cesare o a Firenze al tempo dei Medici...

Ma chi ci racconta le vite dei nostri genitori, dei nostri nonni, dei nostri bisnonni? Chi ci rivela l’aspetto delle case, delle vie e delle piazze al tempo in cui i nostri avi erano uomini e donne, come noi lo siamo oggi, e i nostri nonni erano bambini e ragazzi come lo sono i nostri figli? Chi ci fa vedere i volti dei nostri cari che non abbiamo potuto incontrare? Chi ci aiuta e insegna ad amare coloro che senza saperlo hanno amato noi e i nostri figli ancora prima che venissero al mondo quelli che al mondo ci hanno messo?

Qualche settimana fa, ad Anticoli Corrado, è venuto a trovarmi un signore che non conoscevo e mi ha parlato di un gruppo di persone che per passione fanno proprio questo: vanno in cerca del nostro passato perduto, dei nostri cari sconosciuti, delle case che non abbiamo più ― e nelle quali non possiamo più entrare nemmeno in sogno ― e ci restituiscono tutto ciò per il puro piacere che ne traggono, per la gioia di farlo.

Non lo fanno per noi. Non sono missionari, né della memoria né d’altro. Lo fanno perché li fa stare bene. Quanta gente c’è, ad Anticoli e fuori, i cui piaceri e divertimenti privati sono al contempo pubblici doni?

Beati loro, ho pensato! Non solo saranno molto amati, ma per esserlo devono solo divertirsi!...

E invece ad Anticoli c’è chi non li ama. Al punto che questo signore mi ha chiesto di tacere, per ora, il suo nome. Come si fa coi bambini sui giornali, per proteggerli da ulteriori moleste attenzioni da parte di certi adulti. Ragion per cui ho deciso di parlarne chiamandolo Corrado: per dire che Anticoli, almeno per me, è sua, allo stesso modo in cui l’America porta il nome di Amerigo o lo stretto di Magellano il cognome di Ferdinando: poiché è stato lui, Corrado, che mi ha svelato e restituito l’Anticoli che avevo perduto.

Ma com’è possibile ― mi sono chiesto ― che ad Anticoli ci sia chi non ama gli uomini e le donne che riempiono i vuoti dei nostri cuori e delle nostre menti restituendoci quel che è sparito o è stato fatto sparire?

Proverò a rispondere a questa domanda, e facendolo vi parlerò di Corrado e di quelli come lui. Ma prima vorrei “parare” un’obiezione che ad alcuni forse piacerebbe rivolgermi: si può sapere di cosa t’impicci ― e cos’hai da dire “nostra” e “mia” parlando di Anticoli ― tu che non sei di qui e non hai in questi luoghi né genitori né figli? Tu che non sei, non puoi essere e non sarai mai un Anticolano vero?

Be’, vedete: sì dà il caso che gli esseri umani ― contrariamente a quello che alcuni ci vorrebbero far credere ― non sono animali territoriali allo stesso modo in cui lo sono gli animali non umani…

Si dà il caso, cioè, che i “territori” che noi umani conquistiamo e ampliamo non siano di pianure e di monti, di fiumi e di vallate. E neanche d’asfalto e di cemento, o di terra cavata fuori dalla terra.

Poiché i nostri veri territori ― per i quali ci distinguiamo da tutte le altre bestiole ― si estendono nei cuori e nelle menti. Non si vedono, non si toccano. Non si misurano, non si comprano, non si vendono. Sono fatti della stessa materia dei sogni, dei desideri, delle poesie, delle invenzioni.

Pensate agli imperi dei conquistatori: gli Alessandri, i Cesari, i Napoleoni. Cosa ne è? Spariti per sempre.

Pensate, invece, agli “imperi” dei grandi pensatori, degli inventori e degli artisti: sono ancora qui. Siamo ancora loro sudditi.

Ci commuoviamo ancora, dopo cinquecento anni, per l’infelice amore di Romeo e Giulietta, come volle Shakespeare; e dopo ottant’anni ci curiamo ancora con gli antibiotici, come prescrisse il dottor Fleming nel 1929. Mentre dell’impero di Tiberio, della corona della prima Elisabetta e dei ricconi che si rovinarono e suicidarono a Wall Street in quello stesso 1929 non ce n’importa più un bel niente.

Spariti i confini di migliaia di chilometri e le possenti legioni, in rovina i suoi grandiosi edifici, cosa rimase di Roma? Le leggi che i suoi legislatori concepirono, l’arte e la cultura greca che i suoi artisti e filosofi trasmisero, la civiltà che le sue armi propagarono. Cose, cioè, che nascono e vivono nelle menti. Mentre le pietre, se ancora oggi le conserviamo con ogni cura, è solo perché ci aiutino a immaginare e capire cosa pensavano e amavano, gli uomini che con esse costruirono le proprie città.

Sono imperi immensi, quelli di Omero e di Dante, di Galileo e di Einstein, di Michelangelo e di Van Gogh, di Mozart e di Beethoven. Imperi che sfidano i millenni, e che non tutti sono capaci di creare. Ma accanto e dentro di essi ci sono anche i piccoli appezzamenti che ogni essere umano degno di questo nome dissoda e coltiva a poco a poco: il campicello d’amore che riesce a far suo nel cuore di una donna, la vigna di saggezza che riesce a lasciare nella mente di un figlio, il frutteto di bei ricordi che ha tirato sù nella memoria degli amici... Ed è per questi territori non materiali, piccoli o sconfinati che siano, che ci distinguiamo dalle creature che marchiano gli alberi e le pietre con l’urina e li difendono con i denti e gli artigli.

Quindi non vi stupite, vi prego, perché chiamo mia la vostra Anticoli: insegno qui, parlo con i vostri bambini, scrivo cose che voi leggete. E dunque possiedo anch’io la mia parte dell’Anticoli umana che gli animali non umani non vedono e non conoscono. L’Anticoli che non si può marchiare con l’urina, né difendere con le zanne o con le armi, nè vendere o comprare, quella è anche mia. E chi me la toglierà? Finché vi sarà un Anticolano che discenda dai vostri figli, piccole parti di questo invisibile demanio continueranno ad appartenere a me.

Ma Anticoli ― è ovvio ― non è solo mia. È di chiunque vi lasci una traccia degli affetti e dei pensieri suoi, nati e coltivati in lui, o in lei. E quindi è di molti, poiché sono pochi quelli che ad Anticoli, in tutta la vita, niente hanno creato ma hanno solo ripetuto e sfruttato quel che altri avevano fatto: che non hanno dipinto, né hanno scritto poesie, né hanno alzato anche solo una capanna o piantato un’aiuola disegnandola da sé nel pensiero e sperando innanzi tutto che sarebbe stata bella; né hanno mai immaginato una critica, una ribellione al potere e al denaro; né hanno a poco a poco costruito una propria saggezza per donarla agli altri; né hanno amato come solo gli esseri umani possono amare... No, certamente non sono molti, quelli che si son guastati a tal punto, che ad Anticoli non hanno dato niente di ciò che solo gli esseri umani possono dare.

Tanti o pochi che siano, Anticoli appartiene agli altri. Ai vivi e ai morti, a chi vi è nato e a chi vi è giunto da fuori: a tutti quelli che ad Anticoli ― di passaggio o in permanenza ― hanno creato qualcosa, per minuscolo che fosse, per la pura gioia di realizzare la bellezza che avevano in mente e nel cuore. Ma soprattutto appartiene alle persone come colui che ho chiamato Corrado per dire che Anticoli è sua: alle persone, cioè, che non solo creano, ma che lottano contro la sparizione di ciò che è stato creato. Alle persone che ricordano, cercano, ritrovano e ci restituiscono ciò che abbiamo fatto sparire: i volti e gli sguardi che non siamo stati così forti da non dimenticare; le case che qualcuno costruì per averle immaginate e che noi abbiamo abbattuto e sostituito con altre, tutte uguali, che nessuno ha disegnato con amore per noi e per i nostri discendenti; gli alberi che qualcuno ha piantato perché avessimo ombra anche quando lui sarebbe stato nell’ombra per sempre, e che noi abbiamo divelto per denaro o per idiozia... Anticoli appartiene agli uomini e alle donne che ogni giorno la ricostruiscono dentro di sé, dentro di noi e in quelli che verranno dopo di noi: a coloro che rendono immenso il nostro passato ― e quindi il nostro presente ― molto più di quanto siamo stati capaci di fare da soli.

Corrado, nel corso degli anni, insieme ai suoi amici ha cercato e ritrovato un’Anticoli e degli Anticolani che non ci sono più, o che sono così mutati da non ricordare quasi più quelli che furono. E qualche settimana fa mi ha portato queste immagini, raccolte in anni di appassionate e pazienti ricerche, e me ne ha parlato con la calma e la sicurezza di chi sa di star facendo un onore e un grande favore alla persona a cui si rivolge, e con la contentezza di chi sa di trovarsi dinanzi a qualcuno in grado di apprezzare il tesoro che gli viene offerto: “Pubblichiamole su ScuolAnticoli” mi ha detto. “Mi sembra il solo luogo, anche se virtuale, dove oggi, nel nostro paese, è possibile proporre agli Anticolani una ricerca e un lavoro come questi”.

Mi ha dato tre dischetti e se n’è andato, senza chiedermi niente: un comportamento molto umano, poichè gli esseri umani si distinguono dagli altri animali anche per essere gli unici in grado di fare le cose in cambio di niente. E io sono tornato a casa con questo dono ― sapendo bene, com’è naturale, che non era solo per me, ma per tutti gli Anticolani ― ho inserito i cd nel lettore del computer e ho guardato queste immagini. E la mia mente e il mio cuore si sono riempite di uomini e donne e bambini e luoghi e momenti che non sono mai stati nella mia vita, che non sono mai stati i miei cari, i miei luoghi, ma che ora stavano diventando anche miei.

Ho trascorso, guardandole, momenti bellissimi. Non era come se guardassi le foto d’epoca di qualsiasi altro luogo... Erano immagini del luogo in cui da vent’anni lavoro, in cui trascorro la maggior parte del mio tempo. Le persone che vedevo mi emozionavano come se fossero i miei nonni e i bisnonni, i luoghi come se fossero quelli che ho scorrazzato in lungo e in largo quand’ero bambino. Sentivo i miei affetti moltiplicarsi, la mia esperienza e la mia memoria farsi più profonde, e la mia stessa vita farsi più vasta ed estesa: come se anch’io fossi stato in piazza delle Ville quando non era ancora lastricata; e ancora prima, quando Arturo Martini non aveva ancora scolpito la sua bellissima fontana, e Luigi Massimiani, detto Giggi il Moro, aveva gli anni che ho oggi io; e ancora prima, quando Ernst Stückelberg dipingeva il Violinista di Anticoli e la Processione di ragazze anticolane... Mi son sentito, insomma, non solo molto più anticolano di quanto finora son riuscito a essere, ma un anticolano migliore: più intelligente, più profondo, più creativo, più umano. E tutto ciò lo dovevo a Corrado, che un giorno ha avuto la bella pensata di estendere alla mia mente e al mio cuore il suo territorio umano di lavoro e di ricerca creativa, di immagini e di idee.

Il mio sentimento per lui è di grande riconoscenza, che desidero con queste righe testimoniare. E mi domando: quanto sarà grande, a maggior ragione, la riconoscenza per lui degli Anticolani veri? Di quelli che davvero sono nati qui e davvero ritrovano in queste immagini ciò che il tempo cerca di cancellare? Di quelli che ― se non ci fossero Corrado e i suoi amici, che “conquistano” e “occupano” parti delle nostre menti per arricchirle di immagini e di idee ― sarebbero preda di chi non è come loro, di chi dimentica e cancella, distrugge e annulla? Beati loro, io penso con un po’ d’invidia, poiché di certo ad Anticoli tutti li stimano e vogliono loro un gran bene, per il grande valore che essi danno e conservano ai tesori che altrimenti non solo perderemmo, ma non sapremmo mai di aver posseduto.

Tutti, intendo, gli Anticolani veri. Tutti noi.

(Venerdì 16 dicembre 2016. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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C’è chi si scompiscia dalle risa, in questi giorni, sui social, per le invettive di quanti protestano contro “il quarto presidente del Consiglio non eletto dal popolo”. Io no. Io non son capace di deridere le vittime dell’ingiustizia, e men che meno per la loro ignoranza.

Sì, larticolo 92 della Costituzione stabilisce che “il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i Ministri”: razionalmente è una verità incontrovertibile, e chi la ignora può, logicamente, essere definito un ignorante. Ma tale verità, per quanto vera sia, ha forse il potere di cancellare il fatto che da anni, in Italia e in quasi tutte le “democrazie” occidentali, la volontà del popolo sovrano, benché più volte chiaramente espressa, viene sistematicamente disattesa da governi che non rispondono che alle tirannie finanziarie che servono?

Chi ha davvero torto, chi è troppo incolto, o disperato, per dare un nome all’ingiustizia che subisce, o chi gliela infligge rispettando la forma della Costituzione ma corrodendone e distruggendone la sostanza?

Chi è più umano, chi esprime con urla scomposte il dolore che prova, o chi lucidamente e freddamente gli dimostra, ripetendo parole imparate a pappagallo, che non si è espresso correttamente?

Da che parte staremo, noi che siamo ancora capaci di sentire, con la giustizia che sentiamo nelle urla “sbagliate” delle vittime o col torto che sentiamo nelle “corrette” parole degli oppressori e dei loro sgherri?

Sì, è vero, le vittime dell’ingiustizia sono talora troppo incolte per darle un nome, ma chi perciò li deride è forse ancor più vile di chi gliela infligge.

(Mercoledì 14 dicembre 2016. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Intendiamoci, che il neoministro della Pubblica Istruzione, Valeria Fedeli, voglia introdurre la teoria gender nella Scuola m’interessa meno di niente: finché la Costituzione sancisce la libertà d’insegnamento, io la eserciterò checche lei voglia o non voglia. Mi lascia allibito, invece, che non sia laureata, ma... in fondo non troppo: visto il livello intellettuale e culturale della nostra classe politica, è possibile che il suo diploma sia il massimo che potevamo aspettarci.
(Nell’immagine, l’imperatore romano Caligola cena col cavallo che nominò senatore).

(Mercoledì 14 dicembre 2016. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Paolo Gentiloni? Come Renzi, peggio di Renzi

 

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Fra i precedenti di Paolo Gentiloni ― tutti rigorosamente destro-cattolici, al servizio delle tirannie finanziarie e contro i lavoratori ― il più adatto a fungere da epigrafe è il seguente: Il Colle ci richiama alle responsa bilità e noi dietro alla Cgil, che errore. Il Pd fa un altro mestiere e noi sbagliamo si ci arruoliamo dietro le bandiere della Cgil” (La Repubblica, 7 settembre 2011).

Discendente di quel Gentiloni che nel 1912 ebbe la sciagurata idea di promuovere il rientro dei cattolici nella vita politica del nostro Paese (che nel 1870 se n’era liberato prendendo a cannonate Porta Pia), su Wi kipedia si fa raccontare così: “Paolo Gentiloni discende dai conti Gentiloni Silveri, Nobili di Filottrano (AN), di Cingoli (MC) e di Macerata. Frequenta un istituto montessoriano e riceve un’educazione cattolica (fa anche da catechista assieme ad Agnese Moro). Al liceo Tasso, partecipa a un’occupazione nel novembre 1970. Fugge di casa per partecipare a una manifestazione a Milano. Entra quindi nel Movimento Studentesco di Mario Capanna, e dopo la sua confluenza in Democrazia Proletaria rimane nel Movimento Lavoratori per il Socialismo fino alla sua unificazione con il Partito di Unità Proletaria per il Comunismo.

Nella sinistra extraparlamentare incontra i suoi amici Ermete Realacci e Chicco Testa. Grazie a quest’ultimo ottiene nel 1984 la direzione de La Nuova Ecologia. Dal 1990 è giornalista professionista. Durante gli otto anni di direzione del mensile di Legambiente si lega a Francesco Rutelli, di cui nel 1993, all’elezione a sindaco di Roma, diventa portavoce e, in seguito, assessore al Giubileo e al Turismo.

Nel 2001 viene eletto deputato nelle liste di Democrazia è Libertà - La Margherita, di cui è uno dei fondatori. Nella XIV legislatura è membro della IX commissione (trasporti, poste e telecomunicazioni) e della commissione sui servizi radiotelevisivi. Dal 2005 al 2006 presiede la commissione di vigilanza Rai. Nel 2006 è nuovamente eletto alla Camera. Dal 2006 al 2008 è ministro delle Comunicazioni del governo Prodi II.

Rieletto deputato nella XVI legislatura, dal 2008 al 2013 è di nuovo membro della IX commissione (trasporti, poste e telecomunicazioni) e della commissione sui servizi radiotelevisivi.

Il 5 dicembre 2012 annuncia via Twitter la sua candidatura (sostenuto dai renzisti) alle primarie del centro sinistra come sindaco di Roma. Si classifica terzo, con una percentuale di consensi intorno al 15%, dopo David Sassoli (27%) e Ignazio Marino (55%).

Nel 2013 è nuovamente eletto deputato. Nella XVII legislatura ricopre gli incarichi di membro della III commissione (Affari esteri e comunitari), del Comitato permanente Africa e questioni globali, e di presidente della sezione Italia-Stati Uniti dell’unione interparlamentare.

Il 31 ottobre 2014 Matteo Renzi lo sceglie come ministro degli Esteri al posto di Federica Mogherini, nominata Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza”.

Paolo Gentiloni, dunque, dopo aver tentato di occuparsi di ecologia (con esiti dei quali l’ambiente non sembra essersi avvantaggiato granché), dopo aver servito il sindaco Rutelli curando i suoi rapporti (e soprattutto i propri) col Vaticano, e dopo aver partecipato, fin dal 2001, allo smantellamento berlusco-veltroniano dell’identità della Rai ― dopo essere stato per anni, insomma, un modesto reggicoda ― a un certo punto spicca il volo. Come? Con chi? Con gli –oni come lui: alleandosi con Veltroni e Fioroni, cioè, e con i loro seguaci, nel fare del Pd un partito cattolico di destra ultra-liberista al servizio delle tirannie finanziarie.

Achille Serra, ex prefetto, eletto per il Pd in Toscana, è il primo a scoprire che Gentiloni è diventato qualcuno: “Era una riunione di vertice, c’erano Veltroni, D’Alema, Marini, Bersani, Gentiloni, Enrico Letta, Franceschini. Mi affaccio, e Franceschini: «Achille, scusa, ma ti devo chiedere di uscire. Siamo riuniti...» Insomma, mi hanno cacciato. Ma io non sapevo che era un comitato ristretto” (La Repubblica, 16 aprile 2008).

Nell’autuno del 2009, quando Bersani vince le primarie e diventa segretario, Rutelli lascia il Pd, ma Gentiloni (insieme agli altri due –oni) si guarda bene dal seguirlo: “Paolo Gentiloni considera l’uscita dal Pd una strada senza sbocchi (La Repubblica, 1° novembre 2009). È convinto che la battaglia per la metamorfosi (kafkiana) del partito sia tutt’altro che perduta, e purtroppo ha ragione.

Negli anni successivi (fino alla caduta di Berlusconi e al governo Monti) gli attacchi dei catto-destro-liberisti del Pd a Bersani sono continui: è impossibile darne conto per intero. I più violenti vengono da Veltroni e Fioroni: Franceschini e Gentiloni, invece, molto più opportunisti (come dimostra il fatto che a differenza degli altri due hanno seguitato a far carriera fino a oggi) esternano meno, ma quando lo fanno colpiscono duro: “Ancora più esplicito di Franceschini è l’ex ministro Paolo Gentiloni: l’accusa a chi dirige attualmente il partito è di volerlo trasformare in una forza di sinistra. Da qui l’invito di Gentiloni a Bersani di non rivolgersi con il tradizionale compagni quando parla a una platea del Pd. (Terra, 9 maggio 2010).

Nasce il Movimento di Veltroni, Fioroni e Gentiloni. Una «Cosa» che punta «all’esterno e all’interno» a sostenere il Pd, a ridargli forza. Questo certifica il manifesto, preparato da una parte della minoranza, su cui si sta ultimando la caccia alle firme con l’obiettivo di arrivare almeno a 75. Significa che nel Partito democratico c’è una nuova corrente. Dentro la quale però vivrà un’ala scissionista. Lunedì sera un gruppo di parlamentari si è visto in casa di Paolo Gentiloni. Alcuni non hanno usato mezzi termini: dobbiamo andarcene al più presto. Lo hanno detto il senatore Andrea Marcucci, fratello di Marilina, ex editore de l’Unità vicino a Veltroni, l’ex rutelliano Maurizio Fistarol, il tesoriere della Margherita Luigi Lusi. Gentiloni non condivide ma quasi: «Proviamo a rimettere in piedi questa baracca» dice, pessimista” (La Repubblica, 16 settembre 2010). E il giorno dopo: Il documento di dieci pagine promosso da Veltroni, Fioroni e Gentiloni e presentato come un contributo «in positivo» demolisce l’alfa e l’omega della linea bersaniana. Il Nuovo Ulivo viene definito un’ipotesi «neo-frontista» richiamando l’esperienza perdente del Fronte popolare, cioè tutta la Sinistra contro la Dc. [...] Tutto sbagliato, quindi. Il risultato è che il Pd, scrivono Veltroni e gli altri, «naviga senza bussola»”.

Una settimana dopo, a conferma dell’importanza che gli viene ormai riconosciuta, Gentiloni, intervistato “a tutto campo” da La Repubblica, delinea un programma che, a rileggerlo oggi, è già quello di Monti, Letta e, soprattutto, Renzi: “Pietro Ichino ha formulato una proposta” dichiara “riunificare i diritti dei lavoratori, che oggi sono divisi tra i garantiti delle medie e grandi imprese e quelli che non hanno nessuna tutela. Il Pd dovrebbe accogliere quella proposta. Diritti a tutti, quindi, e contrattazione libera per le aziende. [...] Non dobbiamo essere il partito della Cgil contro Confindustria. [...] Il secondo fronte sarà quello della scuola e dell’università. Va bene denunciare il massacro dei tagli, ma non dobbiamo dare l’idea che la scuola vada bene così com’è. Né lasciare al ministro Gelmini temi come quelli della competizione tra atenei e della valutazione del merito. Quelli devono essere temi nostri. [...] E soprattutto non bisogna rinunciare al bipolarismo. Non vogliamo più chiamarla «vocazione maggioritaria»? Chiamiamola Pasquale, se volete. Qualcuno ha il dubbio che vogliamo semplicemente spostare al centro l’asse del Pd? Be’, semplificando può essere anche così (La Repubblica, 24 settembre 2010). Jobs act, “Buona” Scuola... c’è già tutto. Anche il Partito della nazione, solo che per il momento si chiama Vocazione maggioritaria. O Pasquale, se volete.

E infatti, tempo un mese e mezzo, Renzi appare: “C’è per Bersani la spina nel fianco dei Modem, il movimento di Veltroni, Fioroni e Gentiloni, che annunciano un nuovo Lingotto (il 15 gennaio, invitati Renzi, Chiamparino e Bersani). Veltroni va all’attacco: «L’anomalia di questa situazione è che la maggioranza è in crisi, ma non esiste ancora un’alternativa credibile. Il Pd deve riprendere il cammino originario, senza vocazione maggioritaria non ha identità» (La Repubblica, 10 novembre 2010).

Da questo momento, La Repubblica diventa la grancassa degli –oni. Fioroni: “Il Pd non faccia come il moscone che sbatte contro la finestra perché vede la luce e spera che qualcuno gli apra per uscire. Basta zig zag. Dobbiamo dire con nettezza che vogliamo l’alleanza al centro con Casini e con Rutelli e, se qualcuno pensa a Fini, anche con Fini. No però al “Nuovo Ulivo” con Vendola e Di Pietro, perché si finisce succubi della sinistra. Non si può fare un’alleanza dal diavolo all’acquasanta”. Gentiloni: Di fronte alla crisi del governo, non possiamo rassegnarci a uno schema minoritario. No ad essere confinati in una coalizione di sinistra nobilitata dall’espressione «Nuovo Ulivo». Promuoviamo con coraggio l’intesa con le forze che vogliono dare vita a un terzo polo (La Repubblica, 16 novembre 2010).

Gentiloni: “Il Nuovo Ulivo non ha niente a che fare con il predecessore. È una minicoalizione di sinistra che lascia praterie al centro. Bisogna correggere la rotta” (La Repubblica, 27 novembre 2010).

Risponde Bersani: “Non dobbiamo fare i berlusconiani. Nel campo di là hanno percepito che il berlusconismo non funziona, non vorrei che di qua pensassimo che adesso tocca a noi giocarci questa carta. Il berlusconismo è l’escrescenza di un problema di fondo rappresentato dalla crisi della nostra democrazia: la Sinistra non si faccia tentare. Non si raccontano balle: sogni sì, ma con le gambe” (La Repubblica, 27 novembre 2010). E Gentiloni, pronto: “Quanto tempo ci vuole per capire che è sbagliata l’idea di un partito identitario che si rifà alla sinistra del Novecento?” (Corriere della Sera, 27 novembre 2010).

Ancora Gentiloni: “Faremo una battaglia dentro al Pd, ma non con tempi illimitati. La nostra è una scommessa: rifondiamo il partito, se ne siamo capaci. Ma non possiamo aspettare anni. Se si dimostra che non c’è spazio per costruire qualcosa nel Pd, bisognerà pensare a una nuova stagione” (La Repubblica, 22 dicembre 2010).

Si avvicinano le elezioni amministrative del 2011, e Veltroni cita Renzi come un forte alleato della battaglia per la metamorfosi del partito della Sinistra nel suo “ultracorpo” di destra: “Walter Veltroni chiede una verifica sulla linea impressa da Bersani al Pd. Da fare a prescindere dal risultato delle amministrative di maggio. Il capo dei Modem, la minoranza che comprende anche Fioroni e Gentiloni, affida il messaggio alle colonne de Il Foglio. Una lunga intervista, pubblicata oggi, che infrange la tregua interna pre-elettorale e con essa un tabù: per la prima volta Veltroni nomina la parola congresso (se necessario lo chiederemo). Da sùbito, invece, invoca nuovi assetti con il coinvolgimento delle stelle emergenti del partito, da Zingaretti a Renzi a Chiamparino: «A prescindere da come finiranno le elezioni, credo che dopo il 16 maggio sia opportuno aprire con il segretario Bersani una discussione seria per capire se il percorso scelto dal partito è quello giusto. [...] “Io non so cosa succederà nei prossimi mesi, so solo che sarà importante che nel futuro prossimo siano coinvolte sempre più nel progetto del Pd tutte quelle persone di qualità che potrebbero dare una mano e che, indiscutibilmente, giocheranno una partita importante per il domani del Pd. Penso naturalmente a gente come il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, come il presidente della provincia di Roma, Nicola Zingaretti, e come Sergio Chiamparino»” (La Repubblica, 30 aprile 2011). Sono le parole, affidate al Foglio, di quello stesso Veltroni di cui Giuliano Ferrara, poche settimane prima, ha dichiarato: “Sono stato consigliere di Veltroni suggerendogli la vocazione maggioritaria e il partito liquido” (La Repubblica, 10 marzo 2011).

Passa l’estate, e Gentiloni cita Napolitano per colpire, insieme a Bersani, la Cgil: Il Colle ci richiama alle responsabilità e noi dietro alla Cgil, che errore. Il Pd fa un altro mestiere e noi sbagliamo si ci arruoliamo dietro le bandiere della Cgil” (La Repubblica, 7 settembre 2011).

Ed è a questo punto che alla “banda” si aggrega un catto-destro-liberista il cui nome non finisce in –oni, ma in compenso è nipote del berluscista Gianni Letta e bisnipote di un gerarca fascista che piaceva molto a Hitler: Enrico Letta. E dove lo fa? Ma a un raduno neofascista, che domande! Dove, insieme a lui (disertando il comizio di Bersani alla Festa democratica nazionale di Pesaro) è presente la “banda” al completo, Gentiloni compreso: «Mi auguro che nelle prossime settimane si formi un governo di responsabilità». Lo ha detto Enrico Letta alla festa di Atreju, la manifestazione dei giovani del Pidièlle. «C’è bisogno di un governo che tenga insieme le forze responsabili riformiste e che tenga un’agenda per la quale la questione dell’occupazione giovanile e l’abbattimento del debito pubblico sia la principale»”. (L’Unità, 8 settembre 2011). Notate l’espressione “l’agenda”: Letta parla già come parlerà Monti. Freneticamente applaudito (insieme a Gentiloni, Fioroni, Civati, Gasbarra, Binetti, Veltroni e Violante) dai giovani neofascisti.

Intanto contro Stefano Fassina, responsabile del Pd per l’Economia, che ha dichiarato che la lettera di Trichet e Draghi contiene una ricetta «iniqua e irrealistica» e che la Banca centrale europea è «una istituzione senza legittimazione democratica e limitata dal suo statuto al controllo dell’inflazione» si scagliano Enrico Letta e Paolo Gentiloni: «L’europeismo a intermittenza sarebbe un errore: lasciamo a Berlusconi la polemica contro la tecnocrazia europea» (Letta). «Se il nemico è la Bce, addio Nuovo Ulivo» (Gentiloni)” (La Repubblica e L’Unità, 4 ottobre 2011).

Poteva mancare Benigni? A Gentiloni, che dichiara: Non è scontato che Bersani sia il candidato del Pd alle future elezioni, anche se fossero nel 2012”, Benigni risponde: Matteo Renzi è un sindaco straordinario e come sapete sarà il prossimo presidente del Consiglio” (L’Unità, 5 ottobre 2011).

Ancora Gentiloni: Il Pd ha coltivato l’illusione che dandosi un’identità un po’ più precisamente delimitata a sinistra avrebbe avuto maggior terreno favorevole per le alleanze. L’idea è stata rinunciare alla vocazione maggioritaria per garantirsi un sistema di alleanze. Alla luce dei fatti però l’obiettivo non è stato raggiunto. Dobbiamo tornare ad essere fino in fondo il partito del riformismo coraggioso di cui abbiamo parlato a gennaio al Lingotto, un partito interclassista che non interloquisce con solo una parte del sindacato, plurale, delle primarie. Se invece siamo il partito che si mobilita contro Draghi non andremo lontano. Sul quale sono stati espressi giudizi che sono diventati la pietra dello scandalo. Un conto è dire che la lettera della Banca centrale europea costituisce un terreno obbligato su cui misurarsi, come ha detto anche Bersani. E un conto, come ho sentito da Stefano Fassina, è dire che è una sorta di manifesto dell’Europa neocapitalista contro cui dobbiamo batterci. Lo può pensare un ragazzo che scende in piazza per protestare, ma non può diventare la linea di un partito che si candida per governare” (L’Unità, 10 ottobre 2011).

Ma è la “banda” al gran completo a darsi da fare, a “posizionarsi”, o almeno a scodinzolare: Napolitano celebra Pella e omaggia Ratzinger, Draghi incontra Enrico Letta nell’abbazia di Spineto, Capaldo, banchiere cattolico, invoca “un grande progetto condiviso”, Buttiglione vuole una nuova Democrazia cristiana, Gentiloni si pronuncia contro la sinistra del Pd e per un “grande partito interclassista”, Veltroni tuona contro Bersani, Fioroni invoca un governo ispirato dalla Divina Provvidenza, Tarquinio, direttore de L’Avvenire, li benedice tutti, Riccardi dichiara che “l’unica cultura valida è quella cattolica”, ancora Fioroni descrive con ammirazione la riscossa cattolica in atto come esplicitamente antidemocratica, Sorbi, Barcellona, Vacca e Tronti chiedono un nuovo compromesso storico, il Vaticano allunga le mani sulla Banca d’Italia, cosa che per Eugenio Scalfari la renderebbe più indipendente, Casini incontra Rutelli e Fini, e il Financial Times (presumibilmente in the name of God) invoca le dimissioni di Berlusconi...

Finché, il 17 ottobre 2011, i catto-destro-liberisti del Pd si radunano a Todi per un “seminario” che un mese dopo, a governo Monti insediato, sarà ricordato e celebrato da La Repubblica così: A nostra insaputa, il seminario dei cattolici del 17 ottobre a Todi era un piccolo consiglio dei ministri. Tre volti del nuovo governo Monti parteciparono ai lavori del convegno che mise una pietra sopra al governo Berlusconi e anticipò la richiesta si un governo tecnico. Quel giorno presero la parola Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Università cattolica e oggi ministro della Cultura, e Corrado Passera, neotitolare dello Sviluppo economico e infrastrutture. Andrea Riccardi, che non volle mancare pur avendo in programma un viaggio all’estero, adesso siede al ministero della Cooperazione e integrazione. Non sorprende perciò un certo entusiasmo del segretario di Stato Tarcisio Bertone: «È una bella squadra». C’è un filo bianco che lega l’esecutivo tecnico al cuore della Santa sede e delle gerarchie vaticane. Se Passera non si può certo definire un cattolico militante, lo è invece a tutti gli effetti il ministro della Salute Renato Balduzzi, costituzionalista già presidente del Movimento dei laureati dell’Azione cattolica. Ornaghi è da sempre vicino a Camillo Ruini e alla Cei. A Todi divenne quasi uno slogan la sua ricetta per un nuovo protagonismo cattolico: «Abbiamo bisogno di una scomposizione e ricomposizione delle forze politiche». Il Sir, l’agenzia di stampa della Cei, lo dice senza ipocrisie: «Nasce un esecutivo di livello. Deve disegnare la nuova fase del sistema politico che si sta aprendo». Festeggia il Forum delle associazioni cattoliche: «Era quello che volevamo» dice il portavoce Natale Forlani (La Repubblica, 17 novembre 2011).

Monti o non Monti, però, nel Pd c’è chi continua a tirare la volata a Renzi, e tra costoro non manca mai Gentiloni: “Non c’è niente di meglio che un Big Bang, per ridisegnare la geografia di un partito. Le nuove linee di frattura del Pd si erano già delineate dopo l’estate, non è «merito» di Renzi, giurano i suoi rivali, ma la musica suonata alla Leopolda non ha certo aiutato. Le wikidee dei nuovi rottamatori, per intenderci sì alla Bce no alla Cgil, sì a Marchionne no alla Fiom, sì a Steve Jobs no a Nichi Vendola, superano i confini di chi si è già proclamato renziano. Volano oltre l’ex sindaco di Torino Chiamparino, l’economista Ichino, il prodiano Gozi. Sorpassano l’endorsemont arrivato dall’uomo ombra del «professore», Arturo Parisi. E arrivano nel cuore della segreteria del Pd, nella compagine che fa capo al vice di Bersani, Enrico Letta. Toccano i modem di Veltroni. Interloquiscono con Areadem di Franceschini. Il nodo è per tutti lo stesso: non appiattirsi sulla Cgil, saper affrontare i nodi posti dalla lettera della Bce. Lo dice chiaramente il modem Gentiloni: «Bisogna allargare il campo e non rinchiudersi nel recinto della sinistra tradizionale»” (La Repubblica, 31 ottobre 2011).

Gentiloni sulla Fornero: “Fornero sicura e rassicurante. L’alternativa è la difesa dello status quo: è questa la linea più di sinistra?” Sostenuto, come sempre, da Veltroni: “Bisogna discutere senza totem anche di articolo 18, la priorità è dare garanzie ai giovani” (L’Unità, 19 dicembre 2011).

Gentiloni è convinto che «il Pd non può fare le barricate a difesa dell’esistente»” (L’Unità, 5 gennaio 2012).

Ancora Gentiloni: Dice bene Scalfari: un Pd socialista non sarebbe il Pd” (La Repubblica, 13 febbraio 2012).

Mentre i veltroniani parlano di appiattimento sulla Cgil, che non piace affatto neanche al vice Enrico Letta” (La Repubblica, 24 febbraio 2012).

E intanto pensano già alla “deforma” della Costituzione: “La «legislatura costituente» a cui tanti pensano nel Pd per il dopo 2013 ― chiamiamola Grande coalizione, chiamiamola governo di ricostruzione ― non uscirà tanto facilmente dall’orizzonte di una parte consistente del Partito democratico: è nei progetti di Walter Veltroni, Enrico Letta, Paolo Gentiloni, Beppe Fioroni, Dario Franceschini” (La Repubblica, 2 marzo 2012).

Gentiloni: Sintetizzo così: è cambiato tutto, tranne la nostra linea di condotta. Non possiamo continuare a ragionare con schemi maturati due anni fa di fronte a una situazione radicalmente nuova. Per questo è necessario convocare la Direzione del Pd, per rimediare al deficit di discussione collegiale che c’è stato e per analizzare finalmente la nostra linea di condotta. Non serve una resa dei conti, ma una correzione della linea politica. C’è stato un cambio di stagione che noi abbiamo lungamente atteso e in buona parte anche determinato. Oggi non possiamo e non dobbiamo vivere questa nuova fase come se fosse un periodo di penitenza. Allora il primo punto da mettere a fuoco è che questo è il nostro governo. Che ci ha rimesso al centro dell’Europa, ha archiviato Berlusconi e ha avviato alcune riforme che fanno parte da sempre dei nostri programmi. È paradossale che il Pd lasci spazio a Berlusconi per dire “questo è un mio governo”. Guai a farci “scippare” Monti come se fosse un governo Badoglio, una parentesi dopo un regime, fa male al Pd. Soprattutto, dobbiamo lasciarci alle spalle la vecchia idea che il Pd non debba avere concorrenti alla sua sinistra. (L’Unità, 7 marzo 2012).

E Mario Monti, difeso a spada tratta dalla “banda” degli –oni, promulga un anticipo di Jobs act: Per quanto riguarda i licenziamenti, l’obbligo di reintegro sul posto di lavoro resta solo nei casi di cause discriminatorie anche nelle aziende con meno di 15 dipendenti. In caso di illegittimo licenziamento per crisi economica sarà invece previsto solo un indennizzo; sui motivi disciplinari, seguendo rigidi criteri, deciderà il giudice. Il Pd rischia di spaccarsi? «Certo!» è la risposta secca del vice segretario Enrico Letta. I filo-Monti hanno già indossato l’elmetto: «Il provvedimento del governo sarà comunque blindato» dice Paolo Gentiloni senza nascondere la soddisfazione” (La Repubblica, 21 marzo 2012).

Paolo Gentiloni non trova «scandaloso ricevere un risarcimento economico in caso di licenziamento». Non vuole il partito «cinghia di trasmissione della Cgil» e vedrebbe «molto bene la Fornero nel Pd» (La Repubblica, 24 marzo 2012).

E intanto sia da destra che da sinistra arriva la proposta di eleggere un’Assemblea Costituente che modifichi la seconda parte della Costituzione: lo chiedono l’ex presidente del Senato Marcello Pera e il presidente dell’Istituto Gramsci, Giuseppe Vacca. (La Repubblica, 27 maggio 2012).

E del Porcellum cosa ne pensano gli –oni? Tutto il male possibile, ma solo perché, con Bersani segretario, c’è il “rischio” che la composizione delle liste elettorali non li favorisca: “«C’è una sola certezza: con il Porcellum, Monti verrebbe tagliato fuori» dice terrorizzato Paolo Gentiloni. «Il Pd non vuole Monti a palazzo Chigi nel 2013. Ma vuole sicuramente l’agenda Monti anche per il futuro» spiega Letta. «Continuità è la parola d’ordine. Nessuna retromarcia sulle riforme del lavoro e delle pensioni. E sulla spending review» precisa Gentiloni” (La Repubblica, 10 luglio 2012).

Il ragionamento che spazia dai todiani (i cattolici di Todi) a Italia futura di Montezemolo fino ai full Monti del Pd (capeggiati da Ichino, Gentiloni, Ranieri, Ceccanti) passando per la leader radicale Emma Bonino, è che alle politiche di risanamento avviate dal premier l’Italia non può rinunciare. Ecco che il movimento montiano avanza e raccoglie affluenti. Paolo Gentiloni cita fra questi anche l’appello di Oscar Giannino, Luigi Zingales e Benedetto Della Vedova (fermareildeclino) che ha raccolto centinaia di firme e si muove tra ultrà liberisti e liberali tradizionali. Di certo poi ci sono i ministri Corrado Passera e Lorenzo Ornaghi, il sindacalista Raffaele Bonanni, i cattolici di Todi appunto, che hanno il montismo nel cuore. Per non parlare di Montezemolo: a settembre Italia futura presenterà programma e lista. Se non ci sono altre leadership convincenti, è il ragionamento, si prepara a sua volta a sponsorizzare un Monti dopo Monti. Nel Pd, il premier divide. Il montiano Paolo Gentiloni è convinto che «ci vuole la continuità con Monti» e che «pur non avendo i montiani democratici nessuna intenzione di andarsene dal Pd», faranno parte del cantiere pro Monti. Il punto di caduta sarà una lista civica per l’attuale premier? «Molto probabile» ritiene Gentiloni” (La Repubblica, 29 luglio 2012).

Invece la “continuità” con Monti la faranno Letta (per poco) e soprattutto Renzi, e Gentiloni sarà ancora più contento: “La partenza è stata buona. Nel messaggio di Matteo non c’è solo il ricambio generazionale, ma un’idea del Pd che mi ricorda da vicino quella che disegnammo con Veltroni e Fioroni al Lingotto 2. La proposta va irrobustita, ma l’inizio è incoraggiante. Il programma ha un impianto liberale che condivido, non disfa alla Penelope dieci mesi di governo, è in continuità con l’agenda Monti. Se va avanti su questa strada, io sarò dalla sua parte” (La Repubblica, 15 settembre 2012).

Nella dialettica tra Renzi e Bersani scelgo il primo perché ha le idee più vicine alle mie” (Gentiloni a La Repubblica, 25 settembre 2012).

Il séguito è cronaca recente.

Occorre altro, per farsi un’idea di quel che dobbiamo attenderci dal governo Gentiloni?

(Domenica 11 dicembre 2016. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Whitby, Gran Bretagna, tra il 1890 e il 1900. Fotografia di Frank Meadow Sutcliffe (1853 - 1941).

(Venerdì 9 dicembre 2016. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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(Mercoledì 7 dicembre 2016. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Ora tutti i partiti vorranno farci credere che abbiamo votato per loro. Lo fanno fin dalla Resistenza: cercare di

impadronirsi degli spontanei movimenti di lotta delle Italiane e degli Italiani e tentare di metterli sotto controllo. Ma è sempre stata una menzogna, una politica tanto scaltra quanto insensata, e lo è anche oggi: il 4

dicembre, nella cabina elettorale, ogni elettrice o elettore ha votato secondo sé stesso, per come ella o egli davvero è. Qualcuno sarà perfino rimasto sorpreso dal proprio voto! E dunque possiamo essere certi che chi ha votato Sì, qualunque fosse l’area di provenienza, è intimamente di destra. Mentre chi ha votato NO, qualunque fosse l’area di provenienza, è intimamente di sinistra. O quanto meno, in cuor suo, di sinistra vuol tornare. A Renzi, perciò, va riconosciuto un (involontario) merito: ha costretto la vera Sinistra, il popolo di Sinistra, a evadere dal carcere della cosiddetta appartenenza” e a votare non per fede, più o meno razionale, ma “di pancia” (proprio come i media renzisti lo scongiuravano di non fare): cioè dal profondo del cuore. Oggi, “grazie” a Renzi e al suo partito-chiesa, sappiamo che la vera Sinistra è di gran lunga maggioritaria, fra le Italiane e gli Italiani. Ma non abbiamo, ancora, un partito che la rappresenti. Né sappiamo, ancora, se riusciremo a non ricadere nei “credi” politici (che non saranno mai più di sinistra)

e a continuare, invece, a sentire e a pensare. Sappiamo solo che se saremo bravi, il 4 dicembre sarà, in futuro, una seconda Festa della Liberazione.

Avevo preparato un’immagine anche per il caso che vincesse il Sì: se qualcuno vuol vederla, clicchi qui!

(Lunedì 5 dicembre 2016. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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L’immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell’artista danese Viggo Rhode (1900-1976).

L’ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

 

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