L'immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell'artista danese Viggo Rhode (1900-1976). L'ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

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ottobre 2010

 

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domenica 3 ottobre

 

Comune di Anticoli Corrado. Convocazione del Consiglio comunale di mercoledì 29 settembre 2010.

 

Taccuino elettorale Anticolano N°3, 03.10.2010

 

Ad Anticoli si è ancora liberi di esprimersi?

 

Non sono d’accordo con ciò che dici, ma son disposto a morire per difendere il tuo diritto di dirlo. Siamo così convinti della validità di questo immortale principio, qui su ScuolAnticoli, che abbiamo deciso di pubblicare ― in questo nostro Taccuino elettorale ― il Comunicato del Gruppo consiliare de l'Arcobaleno (che circolava ad Anticoli negli ultimi giorni di settembre, e di cui siamo entrati in possesso anche se il Gruppo medesimo, forse per un atto d’amore nei nostri confronti, ha preferito non inviarcelo) e la Proposta di delibera del Consiglio comunale del 24 settembre 2010, n. 43, Manifestazione di solidarietà nei confronti dell'assessore Iacovelli Angelo (fattaci pervenire in copia dal consigliere Francesco Putignani, che ringraziamo) che riteniamo sia stata poi approvata dal Consiglio comunale del 29 settembre (per leggerli, cliccare sui link qui sopra).

 

Commenti? Lasciando a chi di dovere la valutazione di espressioni denigratorie (come l’avverbio vigliaccamente, o il sostantivo professore scritto tra virgolette), non vere (come “personaggi che pericolosamente distribuiscono anatemi e maledizioni”, o come “odia i genitori di quello perché fanno gli imprenditori, odia il padre o lo zio di quell’altro alunno perché è un autotrasportatore, o peggio ancora un geometra”) o senz’altro agghiaccianti, in quanto riferite a un essere umano, come “è ora di finirla” e “non servono a nulla e a nessuno”, e confidando che i Cittadini di Anticoli Corrado che non sono accecati dall’odio vedano e comprendano benissimo da soli come stanno davvero le cose, una domanda ci preme di porre ai signori consiglieri di maggioranza.

 

Per quale motivo essi hanno ritenuto di dover scrivere e approvare ufficialmente e solennemente una Manifestazione di solidarietà nei confronti dell’assessore Iacovelli Angelo?

 

Si badi bene: non siamo dispiaciuti o offesi perché la maggioranza si è invece ben guardata dall’esprimere solidarietà nei confronti del cittadino Luigi Scialanca, che da parte di un “avversario”, l’8 settembre in piazza delle Ville, ha subìto il pesante tentativo di intimidazione di cui abbiamo riferito su ScuolAnticoli e in questo Taccuino. Immaginavamo che tale solidarietà non sarebbe arrivata.

 

No. Se domandiamo per quale motivo si sia ritenuto di dover approvare ufficialmente, in Consiglio comunale, una Manifestazione di solidarietà nei confronti dell’assessore Iacovelli Angelo, è perché non ci sembra che l’assessore Angelo Iacovelli abbia subìto aggressioni o sia stato insultato. O, se ciò è avvenuto, noi non ne siamo stati informati. Ci sembra, invece, che l’assessore Angelo Iacovelli abbia subìto critiche. Che l’assessore Angelo Iacovelli, cioè, sia stato oggetto, verbalmente e per iscritto, dell’esercizio, da parte di altri Cittadini, della Libertà di espressione garantita dalla Costituzione della Repubblica.

 

La maggioranza del Consiglio comunale avrebbe dunque manifestato solidarietà all’assessore Angelo Iacovelli contro l’articolo 21 della Costituzione? Non lo crediamo possibile. Così come non crediamo possibile che la maggioranza ignori che la Circolare del ministero degli Interni del 7 giugno 1990, n. 17102 /127/1-Uff.3°, destinata a esplicitare e chiarire il senso dell’allora Nuovo ordinamento delle autonomie locali, a commento degli artt 39, 40, 49 e 64 della Riforma (Il controllo sugli Organi) afferma: Vengono configurate come ipotesi di scioglimento dei consigli comunali e provinciali le seguenti fattispecie: 1) “Compimento di atti contrari alla Costituzione”. È ipotesi nuova che non trova riscontro nella normativa previgente. È, tuttavia, opportuno considerare che detta ipotesi, la quale ricalca formalmente la fattispecie prevista dall’art. 106 della Costituzione per gli enti Regione, rientra a fortiori in quella del compimento di “gravi e persistenti violazioni di legge”, della quale costituisce una estrinsecazione particolarmente aggravata. L’ipotesi é riconducibile al caso in cui un ente locale manifesti apertamente la volontà di disattendere talune norme o principi fondamentali che regolano lordinamento repubblicano, previsti da norme costituzionali. In questo caso ― analogamente all’ipotesi di scioglimento per motivi di ordine pubblico ― il provvedimento di scioglimento non resta subordinato alla previa diffida.

 

Non siamo dei costituzionalisti, non siamo in grado di dire se approvare ufficialmente una manifestazione di solidarietà nei confronti di una persona che è stata oggetto di critiche ― oggetto, cioè, dell’esercizio da parte di terzi della Libertà di espressione ― sia o meno un “atto contrario alla Costituzione”. Lasciamo, ovviamente (e speriamo) che lo stabilisca chi è più competente di noi. Ma poiché ad Anticoli Corrado la Libertà di espressione non sembra godere di ottima salute (non sono molte le persone che osano dichiarare pubblicamente quel che pensano, l’altro giorno ― per esempio ― una signora ci ha detto chiaro e tondo che ad Anticoli esprimere i propri desideri non è facile) ci aspetteremmo ― lo diciamo molto sommessamente e con tutto il rispetto ― che l’istituzione Consiglio comunale, nella sua maggioranza, faccia d’ora in poi il possibile per irrobustirla, la Libertà di espressione ― che so io?, si potrebbe per esempio dedicarle una Festa in piazza ― anziché compiere atti che possano suscitare anche solo il timore che tale Libertà non le stia a cuore (almeno) come le altre.

 

(P.s.: E si noti che abbiamo qui difeso solo le nostre critiche. Mai e poi mai, infatti, ci permetteremmo di supporre che l’attuale maggioranza sia capace di manifestare solidarietà contro la letteratura).

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martedì 5 ottobre

 

Comunicato del Gruppo Consiliare del Partito Democratico al Comune di Anticoli Corrado - 4 ottobre 2010.

 

Un comunicato del Gruppo Consiliare del Partito Democratico

al Comune di Anticoli Corrado

 

Il gruppo consiliare di minoranza non ha partecipato ai lavori dell’ultimo Consiglio Comunale e lo ha fatto per una scelta precisa, finalizzata ad esprimere il proprio disappunto per la scelta degli ordini del giorno. Di che cosa stiamo parlando? Il 29 settembre è stato convocato un consiglio comunale che ha visto, oltre a “normali” ordini del giorno riguardanti il bilancio (salvaguardia equilibri di bilancio e debiti fuori bilancio), due voci la cui presenza contemporanea ci ha profondamente turbato.

 

Un ordine del giorno consisteva nella solidarietà al Comune di Pollica per il barbaro assassinio del Sindaco Angelo Vassallo e un altro nella solidarietà all’assessore Angelo Iacovelli del Comune di Articoli Corrado.

 

Siamo sicuri che già a questo punto è chiaro ad ogni persona ragionevole il motivo della nostra silenziosa contestazione. Nella stessa seduta la maggioranza ha manifestato il proprio cordoglio per l’omicidio di un amministratore da sempre in prima linea per difendere l’ambiente e la legalità e che per questo è stato trucidato da uomini della malavita organizzata, e la solidarietà all’assessore Iacovelli “vittima” di critiche legittime da parte di un cittadino che per questo è stato ripetutamente offeso ed aggredito verbalmente e non solo (e che avrebbe, egli sì, meritato la solidarietà del Consiglio Comunale).

 

Mettere insieme due manifestazioni di solidarietà di questo tipo è stato secondo noi inopportuno per non dire decisamente odioso. Considerando il tono con cui il Sindaco si è recentemente e pubblicamente espresso, appropriandosi in maniera indebita di una manifestazione nella pubblica piazza (quella della cerimonia dei caduti, epilogo delle nostre feste patronali), e l’acredine di tristissima memoria con cui è stato redatto il comunicato de l’Arcobaleno distribuito dopo qualche giorno nei bar, abbiamo pensato che non ci fossero i presupposti per un confronto civile e pacato in Consiglio Comunale.

 

Sottrarsi al confronto ed al dibattito non è mai un bel segnale, di questo ne siamo profondamente consapevoli, specialmente quando si sente forte l’esigenza di difendere il diritto costituzionale alla libertà di espressione (che questa maggioranza, in primis nella persona del Sindaco, ha messo in discussione), ma la preoccupazione di dover salvaguardare un clima di civile convivenza tanto faticosamente ristabilito in questi anni è stata più forte di ogni altra considerazione e siamo sicuri che i cittadini di Anticoli lo abbiano compreso.

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domenica 10 ottobre

 

Sarebbe migliore l’Italia di oggi se nel 1945 i fascisti fossero stati ammazzati tutti?Sarebbe migliore l’Italia di oggi se nel 1945 i fascisti fossero stati ammazzati tutti?Sarebbe migliore l’Italia di oggi se nel 1945 i fascisti fossero stati ammazzati tutti?

 

Sarebbe migliore l’Italia se nel 1945 i fascisti fossero stati ammazzati tutti?

 

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Diciamo sùbito che l’unica risposta possibile alla domanda del titolo è no. Perdonare i fascisti, in camicia nera o in abito talare, a giudizio di chi scrive fu un errore gravissimo, che continuiamo a scontare. Ma vendicarsene sarebbe stato un errore altrettanto grave, e non l’avremmo scontato di meno.

 

Cosa, dunque, si sarebbe dovuto fare? Cosa si dovrà fare?

 

Due libri ci hanno indotto a interrogarci su questi temi: uno del 2009, l’altro del 1960.

 

“«L’Italia è un Paese perduto, senza possibilità di riscatto, moralmente annientato. Qualsiasi impegno è inutile; sprofondiamo in un medioevo senza ritorno. Ho raggiunto il limite. Ho cominciato con l’indignazione per l’immobilità della classe dirigente, per le continue ingerenze della Chiesa nella vita politica e, a poco a poco, la mia sensibilità si è fatta più acuta: alla fine mi bastava accendere la televisione per avvertire fortissimo il desiderio di non essere più italiano, di rinnegare un Paese che delega cantanti e ballerine a discutere del suo futuro. Ora sento che potrei davvero bruciare il mio passaporto»” (p. 24).

 

“«Vorrei che comprendeste uno dei temi centrali del nostro corso, il tema che potremmo chiamare dell’emorragia. L’emorragia di forze produttive, di forze essenziali per lo sviluppo e il rinnovamento è una costante della storia italiana (...). L’Italia pare destinata a generare, a intervalli regolari, le condizioni per lo sviluppo di grandi intelligenze inidviduali e collettive. Al tempo stesso però, proprio al manifestarsi del cambiamento, sia esso politico, sociale o persino scientifico, il Paese sembra far prevalere istanze di conservazione come la repressione, il fascismo o la mafia, che inducono gli innovatori a desistere o a fuggire lontano. Nella seconda metà dell’Ottocento almeno due milioni di Italiani emigrano in Argentina: tra loro, insieme alla massa dei disperati, vi sono intellettuali anarchici ed esponenti del movimento operaio, gente che ha capito in quale direzione stia andando il progresso e che, per quanto lontana dalla Chiesa, conosce perfettamente la sentenza evangelica: nemo propheta in patria»” (pp 34-35).

 

«Nella scorsa lezione, parlando dell’emigrazione italiana di fine Ottocento, abbiamo affrontato il tema che ho chiamato dell’emorragia, dicendo che spesso le rigidità del sistema politico e sociale hanno indotto alla fuga le forze progressiste. In particolare, nel rapporto tra Italia e Argentina abbiamo testimonianze storiche che attestano le facilitazioni del governo Crispi per quei sovversivi, per quegli internazionalisti che sceglievano di stabilirsi nel vostro Paese liberando così la madrepatria del pesante fardello del loro attivismo»” (p. 43).

 

«Nel 1973 Licio Gelli era l’uomo di cerniera tra l’industria bellica italiana e il governo argentino. I militari lo riverivano come un ambasciatore e Perón lo chiamava mio comandante. La sottomissione di Perón a Gelli non me la sto inventando, la riferisce Andreotti, che partecipa a una cena privata con Perón, la moglie Isabelita e Gelli: solo loro quattro. Gelli associa Massera alla P2 e convince Perón a metterlo a capo della marina, anche se c’erano altri dieci ufficiali più in alto nella scala gerarchica»” (p. 92).

 

«Efrem, io sto impazzendo perché mi manca quel pezzo di ricordo, mi manca il dettaglio della sua morte. Ogni tanto mi siedo nel patio, nelle giornate limpide, e quando sento passare un aereo guardo in alto e appena lo vedo inizio a immaginare che nella carlinga si apra un portellone e che dalla pancia dell’aereo esca un grappolo di uomini. La mia fantasia è così forte che riesco a vederli: alcuni di loro precipitano come sacchi, come manichini, sono quelli su cui il sedativo ha fatto più effetto. Gli altri però si agitano, mulinano le gambe e le braccia e sono quasi comici nel loro tentativo di opporsi alla caduta. Sono quelli che si sono svegliati troppo presto. Lo sai, Efrem, che c’erano ufficiali che facevano la cresta sul sonnifero da iniettare ai condannati a morte? Invece di usare una fialetta ciascuno lo diluivano e una fiala bastava per quattro o cinque persone. Quelle che avanzavano le rivendevano alle farmacie. Così la gente si svegliava proprio mentre stava per essere scaricata nell’Atlantico»” (pp 114-115).

 

«Quello lì davanti è l’ammiraglio Massera. Ti dice qualcosa il suo nome? Videla, Massera, la giunta militare. (...) Questo è Licio Gelli. È un uomo accusato di delitti atroci, uno che si dice abbia organizzato colpi di Stato, attentati. Era il Gran Maestro della loggia massonica a cui erano iscritti tutti i farabutti che hanno rovinato il mio Paese. E anche il tuo. Uno che vendeva armi in tutto il mondo e che comandava perfino Perón. L’Università Gesuitica di Buenos Aires gli ha dato una laurea ad honorem e magari quello è proprio il giorno della cerimonia. (...) Hai un’idea di quanto abbiano collaborato con la dittatura i vescovi argentini? E più in là c’è (...) Pio Laghi, il nunzio apostolico, il legame diretto tra la dittatura e papa Paolo VI»” (pp 174-175)

 

«Quando vuoi capire se un uomo è cresciuto in uno Stato libero oppure sotto un regime poliziesco, basta che tu conti il numero di domande che pone a uno sconosciuto e, naturalmente, il numero di risposte che dà a uno sconosciuto. E non importa se nel Paese in cui ora vive esistano o meno le libertà democratiche; ciò che conta è la situazione ai tempi della sua adolescenza, dell’età in cui si comincia ad assumere il coraggio consapevole delle proprie parole. (...) Efrem, che aveva vissuto la sua giovinezza nell’Italia della Prima Repubblica, non aveva ancora capito che la gente, in Italia come in Argentina, oggi ha paura a esprimere opinioni che vadano al di là della fede calcistica o delle preferenze musicali»” (p. 188).

 

«Dovevamo salvare l’Argentina dall’ateismo, dai senza Dio. (...) L’Argentina è sempre stata minacciata dai comunisti. È per creare una barriera contro i comunisti che il cardinale Caggiano organizzò il passaggio nel nostro Paese dei nazisti condannati a Norimberga. Caggiano, arcivescovo di Buenos Aires e vicario castrense, non dimenticarlo. Superiore diretto di tutti i cappellani militari. Assieme al cardinale Tisserant procurarono i documenti ai tedeschi e ai patrioti francesi che fino all’ultimo avevano creduto nel maresciallo Pétain. E sai chi era che dirigeva la seconda divisione del Segretariato di Stato vaticano incaricata di rilasciare i documenti di identità ai rifugiati e agli apolidi? Montini, il futuro Paolo VI. E me lo ricordo come se fosse ieri quando l’ammiraglio Massera incontrò Paolo VI: Il Santo Padre è rimasto piacevolmente impressionato dalla personalità dell’ammiraglio Massera e dai temi della loro conversazione. Questo dicevano i telegrammi che giungevano da Roma e questo ripeteva il nunzio apostolico, Pio Laghi. Era stato Pio Laghi a propiziare l’incontro tra l’ammiraglio e il papa. Laghi e Massera giocavano a tennis insieme tutte le settimane, erano grandi amici. Adesso capisci perché non ho niente da rimproverarmi? Agivamo con il consenso del vescovo, del papa, di Dio»” (pp 218-219).

 

Sono brani di Per vendetta, curioso e interessante romanzo di Alessandro Perissinotto edito da Rizzoli un anno fa, nell’ottobre del 2009. Perissinotto, nato a Torino nel 1964, insegna Teorie e tecniche della scrittura all’Università di Torino. In un’appendice al romanzo, intitolata La verità e la finzione, afferma: “«Tratto da una storia vera», quando troviamo questa avvertenza nei titoli di testa di un film o sulla fascetta di un libro ci disponiamo a una visione più attenta, a una lettura più meditata; ci sembra che la vicenda tratta da una storia vera abbia più valore e sia più sincera di quella che è frutto di un’invenzione. Questo libro non è «tratto da una storia vera» perché, da quando dire la verità è diventato così difficile, la realtà preferisco raccontarla con la finzione: come dice Sciascia, «le opere letterarie sono quelle che meglio del saggio o dell’inchiesta raggiungono un pubblico più vasto». Però la storia vera si affaccia qui a ogni pagina, si intreccia indissolubilmente con quella che ho inventato. Forse è inutile precisarlo, ma proprio le affermazioni più dure, quelle più incredibili, proprio le tesi più deliranti a sostegno della tortura e proprio i coinvolgimenti più impensabili della Chiesa cattolica appartengono alla realtà” (e l’appendice, infatti, è seguita da un elenco di documenti ufficiali e di precisi riferimenti storici).

 

Il fascismo non può non essere criminale, sostiene Efrem Parodi, protagonista di Per vendetta, “trentacinque anni, professore di Storia contemporanea nella Piccola Città, nel nord-ovest dell’Argentina, arrivato in America del Sud inseguendo il miraggio di un Nuovo Mondo e per dimenticare il proprio passato e lo squallido presente dell’Italia”. E la Chiesa non può non essere fascista, dice il prete torturatore che di Efrem è il principale antagonista. Ma il fascismo e la Chiesa, in Argentina e in Italia, avrebbero commesso meno crimini e fatto meno danni se nel 1945, in Italia, le cose fossero andate diversamente? Se, per esempio, gli individui come Licio Gelli e Pio Laghi fossero morti quello stesso anno?

 

“Doveva parlare dell’amnistia Togliatti per i crimini fascisti e sapeva che certe analogie con la storia argentina recente, certe sovrapposizioni tra quella legge italiana del 1946 e la legge dell’«Obbedienza dovuta» promulgata da Alfonsin nel 1987, avrebbero potuto spargere sale su ferite aperte. (...) Nel preparare la lezione aveva scelto di privilegiare i documenti, di far parlare i protagonisti della vicenda, affinché la sua posizione potesse rimanere defilata e il suo intervento non venisse interpretato come un giudizio sull’amnistia di cui avevano beneficiato i criminali della giunta militare. Ne risultò un discorso fatto praticamente di sole citazioni.

 

«Per comprendere pienamente la portata, anche nefasta, dell’amnistia Togliatti, occorre provare a calarsi nel clima dell’immediato dopoguerra. Anche se non mi sentirete mai parlare di guerra civile in Italia, perché con le truppe di occupazione naziste dentro i confini nazionali questo suona ridicolo, non si può negare che l’ultima fase del conflitto, intendo dall’8 settembre in poi, oppose Italiani a Italiani, lacerando il tessuto umano della nazione. Già prima dell’avvento della Repubblica, i Savoia avevano fatto sapere, per mezzo del loro portavoce, che un’amnistia per i reati politici sarebbe stata auspicabile per ricomporre i dissidi interni. (...) Questo è il testo letto alla radio per conto del re da Falcone Lucifero: Il gesto di clemenza che attraverso una larga amnistia abbracciante i reati dei partigiani e quelli degli ex-gregari fascisti era ed è nell’intenzione del nuovo re (e anzi voleva esserne il suo primo atto), questo e questo solo voleva dire: Italiani, fratelli, dimentichiamo le passate divisioni, dimentichiamoci le lotte intestine che han fatto piangere tante madri, ritroviamoci di nuovo fratelli pacifici e non più rissosi. L’atto di clemenza che i Savoia chiedono sembra rivolto innanzitutto a loro stessi, ed è soprattutto l’invito a dimenticare che carica tutto il discorso di imperdonabile ipocrisia: auspicano qualcosa di più di un’amnistia, chiedono un’amnesia. Vogliono cancellare il ricordo della loro non-opposizione al fascismo, della loro collaborazione, delle leggi razziali controfirmate dal re, fino ad arrivare al ricordo della fuga ingloriosa e della loro sostanziale incapacità a regnare. Notate poi come i reati dei partigiani vengano sùbito associati a quelli dei fascisti, anzi, come vengano elencati prima di quegli altri. La preoccupazione non è la giustizia, ma un generico appello alla fratellanza, o come direbbero in Italia con calco romanesco, a un volemose bene. La domanda a cui cercherò di rispondere adesso è la seguente: tra la legge Togliatti e il colpo di spugna desiderato dai Savoia, ci sono sostanziali differenze?

 

La risposta è duplice. Da un lato possiamo affermare che il richiamo alla pacificazione nazionale fatto proprio dalla monarchia è condiviso da quasi tutte le forze politiche; dall’altro, però, dobbiamo riconoscere che i legislatori repubblicani non pensano affatto a una sorta di pietra tombale da mettere sul passato e sono ben attenti a distinguere tra reati minori e reati gravi. Sentite queste parole di Togliatti: Vi è infatti una esigenza non solo giuridica e politica, ma morale, di giustizia, per cui coloro che hanno commesso delitti, la cui traccia è lungi dall’essere stata cancellata, contro il Paese tradito e portato alla rovina, contro le libertà democratiche, contro i loro concittadini, o contro i più elementari doveri di umanità, devono continuare a essere puniti con tutto il rigore possibile. Un disconoscimento di questa esigenza, anziché contribuire alla pacificazione, contribuirebbe a rinfocolare odii e rancori.

 

La riprova di questa volontà di giustizia, fondamentalmente estranea all’iniziativa monarchica, è nell’articolo 3 della legge, che esclude dai benefici dell’amnistia i reati che siano stati compiuti da persone rivestite di elevate funzioni di direzione civile o politica o di comando militare, ovvero siano stati commessi fatti di strage, sevizie particolarmente efferate, omicidio o saccheggio. Concentriamoci su queste parole: sevizie particolarmente efferate. (...) Cosa ne direste se vi leggessi qualche stralcio di sentenze della Cassazione secondo le quali non possono considerarsi sevizie particolarmente efferate le percosse ai genitali o le ferite con un coltello sotto le unghie? Oppure se vi raccontassi dell’applicazione dell’amnistia a un ufficiale delle Brigate Nere che, dopo aver interrogato una partigiana, la fa violentare bendata da tutti i suoi squadristi? Per la corte, lo stupro di gruppo non costituisce sevizia e tanto meno sevizia particolarmente efferata, ma soltanto la massima offesa al pudore e all’onore di una donna, anche se essa abbia goduto di una certa libertà essendo staffetta dei partigiani. Avete capito? Se quella ragazza fosse stata una verginella Figlia di Maria forse il reato sarebbe stato più grave, ma poiché era una donna libera lo stupro non solo non è considerato sevizia, ma non è neppure un così grande attentato all’onore.»”

 

A questo punto Efrem “si accorge di quanto sia ridicolo il suo tentativo di tenere separate le due storie, come se la Storia non fosse una sola, come se la mancata punizione dei criminali fascisti italiani non avesse avuto ripercussioni sulla nascita della dittatura argentina”. E continua:

 

«A beneficiare dell’amnistia furono persino alcuni componenti della banda Koch. Non ho il tempo per affrontare compiutamente il caso, vi espongo solo le linee essenziali. Pietro Koch fu al comando di un reparto speciale della polizia fascista che si macchiò di crimini orrendi, dalla consegna alle SS di innocenti da fucilare alle Fosse Ardeatine fino alla tortura. A Milano avevano requisito un’intera palazzina e l’avevano trasformata in quartier generale, con tanto di filo spinato, celle e sale di supplizio. Nel corso degli interrogatori i prigionieri politici erano presi a calci, sbattuti contro il muro. Con una scopa li tenevano fermi e aprivano l’acqua bollente della doccia, poi li facevano correre nudi fino alle celle, in mezzo a due file di poliziotti che li manganellavano. Pare che uno degli scagnozzi di Koch, un frate, padre Ildefonso, suonasse canzonette napoletane al pianoforte per coprire le urla degli interrogati. Bene, proprio padre Ildefonso fu tra quelli che la scamparono e che vennero in America del Sud a diffondere, se mai ce ne fosse stato bisogno, il verbo del totalitarismo. Alcuni di loro furono persino riabilitati, cioè videro completamente cancellate le loro colpe». (...).

 

“«Vi leggo ora l’incipit di una lettera che, il 28 giugno del 1946, i partigiani bellunesi inviarono al ministro Togliatti: Signor ministro, le inviamo la seguente istanza perché siamo certi che lei ci comprenderà, essendo lei un comunista come noi. Lei signor ministro ha fatto scarcerare tutti i fascisti, con delitti sulle loro coscienze, gente che certamente andrà a rafforzare le file dei neofascisti. Ci domandiamo noi partigiani: è giustizia questa? Abbiamo combattuto i fascisti perché? I nostri sacrifici non sono certamente da lei riconosciuti, i nostri martiri non son vendicati!»” (pp 81-86).

 

Alla fine i protagonisti di Per vendetta, Efrem e la sua giovane allieva argentina Alicia, non hanno più dubbi su ciò che si sarebbe dovuto fare in Italia nel 1945 e su ciò che, non essendo stato fatto in Italia, si sarebbe dovuto fare nella seconda metà del ’900 in Sud America. I fascisti dovevano essere giustiziati tutti, dal primo all’ultimo. Solo il loro sterminio avrebbe messo fine al micidiale “contagio” che il fascismo mussoliniano aveva propagato nel mondo a partire dalla fine della Grande Guerra e che l’Italia repubblicana, nata dalla Resistenza, invece non osò o non seppe estirpare, con le tragiche conseguenze che ben conosciamo ― di abissale, incurabile inciviltà, di dilagante oscurantismo morale e civile, di complotti, di stragi ― che sono sotto i nostri occhi ancora oggi e che a partire dal nostro Paese si vanno nuovamente diffondendo in Europa e nel mondo. È Alicia ad affermarlo per prima: interrompendo la lezione di Efrem, si alza e gli legge questo brano di Una questione privata, romanzo che il partigiano Beppe Fenoglio scrisse (forse non a caso) nel 1960 del famigerato governo Tambroni e dei moti di Genova:

 

“Erano cinque o sei uomini di quella collina che, riparati nel bosco, spiavano le mosse dei fascisti laggiù in Santo Stefano. Erano tutti ammantellati e uno portava a tracolla una coperta arrotolata. Avevano anche fagottini di roba da mangiare. Se i soldati avessero puntato di sorpresa alla loro collina, essi erano pronti ed equipaggiati per fuggire e restar lontani per ventiquattro ed anche quarantott’ore.

 

Senza parlare, solo guardando di sottecchi la sua straordinaria infangatura, tornarono ai loro osservatorî, indifferenti allo stillicidio che gli infradiciava i berretti e le spalle. Il più anziano di loro, ed anche quello che sembrava sopportare con più buon umore la situazione, un uomo con capelli e baffi bianchi e occhi umorosi, domandò a Milton: «Quando dici che finirà, patriota?»

 

«Primavera,» rispose, ma la voce gli uscì troppo rauca e falsa. Diede un colpo di tosse e ripeté: «Primavera».

 

Allibirono. Uno bestemmiò e disse: «Ma quale primavera? C’è una primavera di marzo e una primavera di maggio».

 

«Maggio,» precisò Milton.

 

Rimasero tutti sbalorditi. Poi il vecchio domandò a Milton come avesse fatto ad infangarsi così.

 

Milton arrossì, inspiegabilmente. «Sono caduto in discesa e sono scivolato di petto per molti metri».

 

«Verrà pure quel giorno,» disse il vecchio guardando Milton con troppa intensità.

 

«Certo che verrà,» rispose Milton e richiuse la bocca. Ma il vecchio insisteva a fissarlo con un’avidità insoddisfatta, forse praticamente insaziabile. «Certo che verrà,» ripeté Milton.

 

«E allora,» disse il vecchio, «non ne perdonerete nemmeno uno, voglio sperare».

 

«Nemmeno uno,» disse Milton. «Siamo già intesi».

 

«Tutti, tutti li dovete ammazzare, perché non uno di essi merita di meno. La morte, dico io, è la pena più mite per il meno cattivo di loro».

 

«Li ammazzeremo tutti,» disse Milton. «Siamo d’accordo».

 

Ma il vecchio non aveva finito. «Con tutti voglio dire proprio tutti. Anche gli infermieri, i cucinieri, anche i cappellani. Ascoltami bene, ragazzo. Io ti posso chiamare ragazzo. Io sono uno che mette le lacrime quando il macellaio viene a comprarmi gli agnelli. Eppure, io sono quel medesimo che ti dice: tutti, fino all’ultimo, li dovete ammazzare. E segna quel che ti dico ancora. Quando verrà quel giorno glorioso, se ne ammazzerete solo una parte, se vi lascerete prendere dalla pietà o dalla stessa nausea del sangue, farete peccato mortale, sarà un vero tradimento. Chi quel gran giorno non sarà sporco di sangue fino alle ascelle, non venitemi a dire che è un buon patriota».

 

«State tranquilli,» disse Milton muovendosi. «Siamo tutti d’accordo. Piuttosto di pensare di perdonarne uno solo...»

 

Passò via senza completar la frase e prima che fosse fuori portata sentì uno di quei contadini dire pacificamente: «Non è strano che a quest’epoca non abbia ancora nevicato?» (Beppe Fenoglio, Una questione privata, Torino, Einaudi, 2006, pp 81-82).

 

Ammazzare o perdonare? Oggi che, da Destra e da Sinistra ― o, per meglio dire, dall’estrema Destra che ormai è la stragrande maggioranza della Destra italiana e da quella parte della Sinistra che sarebbe più esatto chiamare “sinistra”, fra virgolette e con l’iniziale minuscola ― si riscrive la Storia a favore dei “ragazzi di Salò” e si accusano i Partigiani di indiscriminati massacri e la neonata Repubblica italiana di aver bandito e perseguitato per decenni fascisti e “repubblichini” con spietata ostinazione, è doveroso ribadire fino a sfiatarsi che è vero esattamente l’opposto: la Repubblica perdonò tutto e tutti, perdonò il perdonabile e l’imperdonabile, e permise così a decine di migliaia di criminali e pervertiti (altro che “ragazzi”!) di tornare a inquinare indisturbati la vita culturale, economica e politica del Paese: Applicata con grande larghezza di interpretazione (a cui si prestavano alcune espressioni del provvedimento stesso, forse per la fretta con cui era stato preparato) l’amnistia del giugno 1946 ebbe come risultato la scarcerazione di quasi tutti i fascisti in prigione e poi la revisione a favore dei fascisti stessi di molti processi che si erano precedentemente conclusi con condanne severe molto spesso meritate. E questi fatti, insieme alle persecuzioni che negli anni successivi vi furono contro gli ex partigiani, resero la situazione generale del Paese assai pesante per molti antifascisti ed ex combattenti della guerra di liberazione (Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. XI, La fondazione della Repubblica e la ricostruzione. Considerazioni finali (1945-1950), Milano, Feltrinelli, 1988, p. 78).

 

Il ministro della Giustizia era Palmiro Togliatti, segretario del Partito comunista italiano, e l’amnistia del ’46 è quindi passata alla Storia come amnistia Togliatti anche se del governo che la decise, presieduto dal democristiano Alcide De Gasperi, facevano parte i rappresentanti di tutti e sei i partiti antifascisti, compreso il Partito d’azione. Ma i protagonisti di quella decisione furono soprattutto democristiani, socialisti e comunisti, che nel governo e nell’assemblea Costituente erano di gran lunga maggioritari avendo ottenuto, insieme, il 74% dei voti alle elezioni del 2 giugno. E democristiani, socialisti e comunisti, decidendo per l’amnistia, furono tutti ugualmente succubi di un’ideologia religiosa ― prim’ancora che di una Chiesa e di un papa, Pio XII, pesantemente compromessi con il fascismo e il nazismo ― che in duemila anni non è mai riuscita neanche a immaginare che perdono e vendetta non siano le uniche alternative di rapporto possibili nei confronti di chi “pecca” e commette crimini.

 

Come potrebbe essere altrimenti? Non è questione solo del Cattolicesimo: non c’è religione al mondo, in realtà, che fantasticando l’esistenza di un divino superiore all’umano non si fondi e non diffonda l’idea dell’assoluta inferiorità dell’Essere umano non solo dinanzi al divino, ma altresì dinanzi a ogni altro essere vivente che di un Dio sia invece in grado di fare a meno. E quindi non c’è religione al mondo che abbia mai anche solo immaginato, per gli Esseri umani e le Società colpiti da malattia mentale, la possibilità di una cura: che abbia mai anche solo immaginato, cioè, che gli Esseri umani e le Società malati possano trasformarsi e realizzarsi diversi, liberi dalla religione medesima e dalla follia fascista e nazista ― quale che sia il nome che l’una o l’altra epoca le dà ― che riempiendoli di bugie e d’odio di sé e degli altri li rende, di sé e degli altri, i mortali nemici: homines hominibus lupi. Poiché gli Esseri umani e le umane Società, nella mistificazione che ne fanno e ne predicano la religione “nostra” e tutte le altre, sono creduti privi dell’immaginazione creativa che li distingue dagli altri animali ― solo Dio sarebbe capace d’immaginare e creare ― e dunque come potrebbero immaginarsi e realizzarsi migliori? Alla stregua di ogni altro animale, anche l’Essere umano, per le religioni, può solo essere controllato e “corretto” a forza di lusinghe e di minacce, premi e punizioni, Paradisi e Inferni. E quando “pecca”, o commette crimini, il rapporto degli altri con lui non ha altra scelta che fra il perdono e la vendetta: che certo sono esiti non uguali per chi li subisce, ma che sono invece del tutto identici nel far credere impossibile la trasformazione individuale e collettiva, e dunque altrettanto disperanti e mortiferi per le Società che credendola impossibile delirano di non essere capaci di immaginare e realizzare il nuovo.

 

Cosa, dunque, si sarebbe dovuto fare nel 1945? Cosa, in futuro, si dovrà fare?

 

Nel 1945 non ci sarebbe dovuto essere perdono, questo è certo. Per nessun fascista, poiché anche un solo fascista perdonato è un fascista abbandonato dalla Società, cioè quasi certamente costretto a rimanere fascista per tutta la vita e a continuare a produrre e a diffondere fascismo in misura via via crescente e sempre meno resistibile a mano a mano che la Società, non curata, torna a produrre le situazioni nei confronti delle quali il fascismo, cambiato nome, appare a sempre più individui, non curati, la vendetta che sarebbe l’unica alternativa al perdono. Ma nemmeno ci sarebbe dovuta essere vendetta, questo non è meno certo. Per nessun fascista, poiché anche un’unica vendetta su un fascista non può che rendere altrettanto e più fascisti gli individui e le Società che la consumano, condannandoli a riprodurre e a diffondere in misura via via crescente e sempre meno resistibile situazioni nei confronti delle quali sempre più individui, non curati, vedono il fascismo, cambiato nome, come l’unica alternativa al perdono.

 

Nel 1945, a giudizio di chi scrive, i fascisti, quale che ne fosse l’età anagrafica e la condizione lavorativa, avrebbero dovuto essere tutti pensionati dallo Stato (naturalmente, per quanti di loro avevano commesso crimini, solo dopo aver scontato le pene detentive loro comminate attraverso regolari processi) e messi così in condizione di vivere dignitosamente e serenamente per il resto della vita, o comunque fino a quando non si fosse trovata una cura alla loro malattia ed essi avessero dato prova di desiderare sinceramente di essere curati. Liberi di andare e venire. Ma esclusi da tutte le professioni e da ogni attività lavorativa, anche umile. Esclusi da ogni rapporto o contatto con gli altri, e quindi da ogni possibile relazione umana ― ivi compresa, ovviamente, la partecipazione al confronto delle idee e alla vita culturale e politica del Paese ― fatte salve le relazioni indispensabili alla sopravvivenza come, per esempio, il diritto di rivolgersi a un medico in caso di malattia. I cittadini italiani, inoltre, cioè i non fascisti, avrebbero dovuto essere avvertiti, e da quel momento istruiti fin dall’infanzia, che ogni contatto con un fascista, oltre che vietato dalla legge, sarebbe potuto essere pericoloso per la loro salute mentale. E tutto ciò si sarebbe dovuto protrarre, come si fa con le malattie contagiose, fino a quando al fascismo ― quale che ne fosse il nome in futuro ― non si fosse immaginata e trovata una cura, e prim’ancora fino a quando non si fossero debellate le religioni e le “filosofie” che impediscono d’immaginarla e di trovarla. Sarebbe stata vendetta? E peggiore della morte? Forse no. Magari, al contrario, un’esclusione di tal fatta sarebbe stata essa stessa una cura, o almeno la sua intuizione, già per il solo fatto di aver osato immaginarla e imporla e ― i fascisti ― accettarla e subirla. E magari, come ogni cura, entro un certo lasso di tempo essa avrebbe dispiegato i propri benefici effetti e da sé si sarebbe resa non più necessaria.

Squadristi virtuali in azione ad Anticoli Corrado contro la Libertà di Espressione. Un attacco squadrista ha cancellato da Facebook la pagina Anticoli che Vorrei. Una pagina che stava avendo successo, e sulla quale sempre più Anticolani di tutte le età e condizioni scrivevano, liberamente e civilmente, i propri grandi e piccoli desideri per Anticoli, ha dato fastidio agli individui che credono Anticoli una loro proprietà, e che in maniera organizzata, attaccandola con ripetute calunnie anonime, ne hanno determinato la chiusura. Lo prevedevo, ho salvato i desideri espressi (clicca qui per leggerli!) e la pagina rinascerà su ScuolAnticoli e altrove: non sarà tanto facile chiudere la bocca agli Anticolani che amano il loro paese! Ma nessuno può più fingere di non vedere: ad Anticoli c’è chi è deciso a impedire, anche con la violenza (virtuale per ora, ma l’effetto è lo stesso: il bavaglio) che le Anticolane e gli Anticolani dicano liberamente ciò che desiderano.

Taccuino elettorale Anticolano - n°4, sabato 16 ottobre 2010.

 

Squadristi virtuali in azione ad Anticoli Corrado contro la Libertà di Espressione

 

Un attacco squadrista ha cancellato da Facebook la pagina Anticoli che Vorrei.

Una pagina che stava avendo successo, e sulla quale sempre più Anticolani di tutte le età

e condizioni scrivevano, liberamente e civilmente, i propri grandi e piccoli desideri

per Anticoli, ha dato fastidio agli individui che credono Anticoli una loro proprietà,

e che in maniera organizzata, attaccandola con ripetute calunnie anonime,

ne hanno determinato la chiusura. Lo prevedevo, ho salvato i desideri espressi

(clicca qui per leggerli in Word, qui in pdf) e la pagina rinascerà su ScuolAnticoli e altrove:

non sarà tanto facile chiudere la bocca agli Anticolani che amano il loro paese!

Ma nessuno può più fingere di non vedere: ad Anticoli cè chi è deciso a impedire,

anche con la violenza (virtuale per ora, ma leffetto è lo stesso: il bavaglio)

che le Anticolane e gli Anticolani dicano liberamente ciò che desiderano.

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L’immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell’artista danese Viggo Rhode (1900-1976).

L’ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

 

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