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mercoledì 19 ottobre
Il Maroni non è un emotivo, caro Stefano Rodotà!
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Domanda: scrivere su La Repubblica fa male?
Sì, perché non vogliamo credere che un uomo come Stefano Rodotà, generoso, integerrimo e saggio difensore dei Diritti Umani e della Costituzione, pensi davvero quel che sotto la sua firma abbiamo letto oggi, mercoledì 19 ottobre, sul quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Preferiamo supporre, appunto (e chissà, ipotizzandolo potremmo anche non sbagliare) che in quelle stanze si respiri un’aria (intellettualmente e culturalmente e politicamente) così mefitica, di odio inconscio contro l’Umano e di maligna volontà di depistaggio (intellettuale e culturale e politico) della Sinistra italiana, che perfino una mente come quella di Stefano Rodotà non possa frequentarle senza esserne subdolamente inquinata.
Ma andiamo con ordine.
Ieri, 18 ottobre, un portatore di moccichino verde che risponde al nome di Roberto Maroni (fatto ministro degli Interni di questo infelice Paese da un individuo che risponde al nome di Silvio Berlusconi), quello stesso Roberto Maroni che contro i Migranti ideò i respingimenti in mare e lodò le mille diverse persecuzioni escogitate dagli amministratori locali leghisti, ha tentato di strumentalizzare le insensate violenze romane dei cosiddetti Black blocs per infliggere un nuovo colpo alla Costituzione italiana e ai Diritti fondamentali di tutti noi: Intendo introdurre l’obbligo, per gli organizzatori di manifestazioni, ha dichiarato, di fornire garanzie patrimoniali a copertura di eventuali danni causati dai cortei organizzati (La Repubblica, mercoledì 19 ottobre 2011).
Chi vuol manifestare in piazza, cioè, secondo questo altissimo (in senso puramente istituzionale) portatore di moccichino verde, d’ora in poi dovrebbe prima dimostrare di aver il denaro per pagare i danni, ai beni pubblici e privati, che uno o più partecipanti alla manifestazione potrebbero causare.
Un Diritto Umano fondamentale tramutato in un privilegio esclusivo di chi è ricco a milioni, questo vorrebbe il Maroni!
Come definire un’idea del genere? Roba da matti? Meglio di no: a chiamarla così si rischierebbe di prefigurare, per chi volesse davvero tentare di metterla in atto, l’attenuante dell’infermità mentale. No, la proposta del Maroni è, né più né meno, una proposta di attentato alla Costituzione in uno dei primi Diritti dei Cittadini da essa sanciti, l’articolo 17: I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica. Punto. Non c’è scritto che soltanto i cittadini milionari hanno il diritto di riunirsi. E non c’è scritto per un semplice motivo: perché i Diritti o son di Tutti o di nessuno, altre possibilità non esistono.
La proposta del Maroni, dunque, o è la proposta di un individuo così ignorante della nostra Legge fondamentale, che averlo fatto ministro è stato uno sfregio (al Paese) di gran lunga peggiore che far consigliere regionale Nicole Minetti; oppure è la proposta, lo ripetiamo, di un ministro che lucidamente si propone di attentare ai Diritti dei Cittadini.
Cosa c’entra, con questa roba, Stefano Rodotà? C’entra perché Stefano Rodotà, su La Repubblica del 19 ottobre, in un bell’articolo dal bel titolo La democrazia non ha prezzi, con l’intelligenza e la finezza a lui proprie ha smantellato le trovate maroniane fino a non lasciar di esse pietra su pietra. Bravo, grande Rodotà! Solo che (purtroppo) ha dato inizio a tale degnissima impresa con le seguenti parole: La qualità della politica e dei politici si misura nelle situazioni difficili. Grave è sicuramente quel che è avvenuto sabato a Roma, e proprio per questo sarebbe stato indispensabile, da parte di tutti, reagire senza emotività, senza cedere alla tentazione di sfruttare la situazione per catturare qualche facile consenso.
Errore. Chi tenta di assestare colpi micidiali alla Costituzione e ai nostri Diritti di Esseri umani e di Cittadini, caro Stefano Rodotà, non lo fa perché è troppo emotivo. Non lo fa perché è troppo appassionato, e quindi incapace di resistere alle tentazioni della carne. Non sono i sentimenti umani, caro Stefano Rodotà, i colpevoli dei crimini (o dei tentati crimini, o delle proposte di crimini) che alcuni Umani commettono. Anzi, è vero diametralmente l’opposto: i sentimenti umani, e in particolare l’amore appassionato per Sé e per gli Altri, per la Libertà, per i Diritti, sono gli unici veri Difensori nostri. Mentre è proprio la lucida ragione anaffettiva la gelida molla che spinge le menti come quelle dei capi berluscìsti e leghisti ad approfittare di ogni nostro momento di difficoltà umana e sociale per tentar di colpirci e di distruggere tutto ciò che abbiamo di più importante.
No, il Maroni non è un emotivo, caro Stefano Rodotà. Il Maroni (con la freddezza ch’è tipica, per esempio, dei jazzisti più che mediocri, ma non solo di essi) è uno che freddamente se ne sta in agguato come un alligatore, sotto il pelo dell’acqua, pronto a balzar fuori e ad azzannarci. E noi come potremo difenderci, caro Stefano Rodotà, come potremo evitare le trappole che gli individui come il Maroni ovunque ci tendono, come potremo salvarci, se continuiamo a criminalizzare quell’emotività umana che a pelle e irrazionalmente ce li rende odiosi e sospetti malgrado tutte le loro astuzie? |
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La setta del massacro
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Come ogni dio, il dio del massacro non esiste. Ma come ogni dio, anche l’inesistente dio del massacro ha la propria setta di creatori, manutentori, sfruttatori, adoratori e missionari più o meno fanatici. Per la maggior parte “laici”. Molti “atei”. Ma tutti riconoscibilmente religiosi per la lugubre, meccanica ostinazione con cui ripetono la monotona litania dell’indegnità umana.
“Poche volte un autore è stato capace di squarciare con altrettanto soave crudeltà i veli destinati a ricoprire la costitutiva barbarie della creatura umana”. Poche volte? A dire il vero, è dalla Genesi (nel senso di capitolo della Bibbia, non di evento reale) che autori e autorucoli ci ripetono che noi umani siamo i peggiori ospiti di questa valle di lacrime. E che, perciò, dobbiamo essere controllati e controllarci. I veli destinati a ricoprire? Ma quali, se la nostra costitutiva barbarie è ogni giorno riscoperta da quasi tutti i media e da tutte le beghine maschi e femmine del pianeta? Sembra il 1984 di Orwell con gli altoparlanti in ogni stanza, altro che veli. Ho perfino “amici” su Facebook che si premurano di rammentarmi, un giorno sì e l’altro pure, quale e quanto orrore deriverebbe da ogni nascita umana. Per ora non aggiungono, come i predicatori dell’anno Mille, che da tale orrore sarebbe bene che il “buon Dio” ci liberi al più presto. Non lo aggiungono e forse non se ne rendono conto, ma è chiaro che il senso è quello.
Sto commentando la quarta di copertina del volumetto Adelphi Il dio del massacro, di Yasmina Reza. Che (se per caso non avessimo capito l’antifona) così prosegue: “Nel lindo, assennato salotto borghese in cui due coppie di genitori si incontrano per cercare di risolvere, da persone adulte e civili quali essi ritengono di essere, una questione in fondo di poco conto (una lite scoppiata ai giardinetti tra i rispettivi figli) vediamo sgretolarsi a poco a poco le maschere di benevolenza, tolleranza, buona creanza, e di correttezza politica, apertura mentale, dirittura morale; e sotto quelle maschere apparire il ghigno del nume efferato e oscuro che ci governa sin dalla notte dei tempi: il dio del massacro, appunto. [...] Yasmina Reza [...] porge allo spettatore (e al lettore) uno specchio deformante nel quale scopriranno, non senza un acido imbarazzo, qualcosa che li riguarda molto da vicino” (corsivi miei).
Munito di tanto “viatico” (che tuttavia penosamente si contraddice: se lo specchio è deformante non mostra il vero, e allora cosa mai possiamo scoprire in esso?) sono andato a vedere Carnage – cioè Il dio del massacro visto da Roman Polanski – preparato a sorbirmi il solito sermone sulla mia (e di tutti) mostruosità originaria.
Invece è stato peggio.
Non che coppie come i Longstreet (Penelope-Jodie Foster e Michael-John C. Reilly, che nel testo originale sono Véronique e Michel Houllié, i padroni di casa) e i Cowan (Nancy-Kate Winslet e Alan-Christoph Waltz, che sono Annette e Alain Reille, gli ospiti) non esistano nella realtà: esistono e come. Se è per questo, ne esistono anche di peggiori. Ma Polanski mai e poi mai nasconderebbe una microcamera in casa dei vicini per mostrarci le loro miserie: si picca di essere un artista, come Reza, dunque i Longstreet e i Cowan non sono dei qualsiasi Longstreet e Cowan da pettegolezzo condominiale: sono universali, pretendono di essere tutti noi, di svelarci a noi stessi. Svelarci cosa? Che esisterebbe un solo dio – il dio del massacro, appunto – e che sarebbe in tutti noi da sempre e in ognuno dalla nascita. Proprio come certe beghine (maschi e femmine) al mercato (o in Internet) per i quali ogni minimo alterco tra comari è la conferma del fango con cui saremmo stati modellati.
In un primo momento i Cowan si direbbero “di destra” e i Longstreet “di sinistra”, le donne con qualche sfumatura di somiglianza tra loro e di differenza (in meglio) rispetto ai mariti, gli uomini più platealmente. Ma non è vero: a mano a mano che i famosi veli cadono, e monta in loro la rabbia di non riuscire a distruggersi l’un l’altro a forza di “civili” schermaglie verbali, i Longstreet si rivelano non meno di destra dei Cowan, i Cowan altrettanto ipocriti dei Longstreet, le donne anche peggiori degli uomini, gli uomini anche peggiori delle donne. Tutti uguali, non è così che si dice? Ragion per cui tutti quanti, loro e noi, secondo Reza e Polanski, dovremmo riconoscerci identici nella mostruosità, uscire dal cinema e cominciare a sbranarci a vicenda senza più fingere di avere importanti motivi sociali e politici per farlo, ma per il sollievo di poter soddisfare senza falsi pudori il dio del massacro che sarebbe in noi. Giustificando così, come gli homines hominibus lupi di Thomas Hobbes, ogni tirannia passata, presente e futura. E in particolare il fascismo e il nazismo, che in fatto di dei del massacro restano autorità indiscutibili.
Possibile obiezione: l’odio di Polanski e di Reza non sarebbe per l’Umanità, ma solo per la borghesia più o meno alta, “di destra” e “di sinistra”, a cui i Cowan e i Longstreet appartengono... Be’, mi piacerebbe crederlo, ma l’obiezione è insostenibile. Non perché borghesi oggi siamo tutti (che del resto non è vero), ma perché, se Polanski e Reza ce l’avessero solo con la borghesia e non con tutti gli esseri umani, ci avrebbero almeno lasciato intravedere, oltre la nefanda classe sociale in questione, anche qualcun altro che borghese non è, e che dei borghesi è migliore. Invece no: nessuno, ne Il dio del massacro o in Carnage, è diverso dai Cowan e dai Longstreet. Nessuno è più realizzato, nessuno è meno distrutto, nessuno fu migliore in un’epoca precedente della vita o potrà esserlo un domani. Nemmeno i bambini, che si specchiano l’uno nell’altro: il piccolo Longstreet che tormenta ed esclude, il piccolo Cowan che bastona e ne va fiero. Niente da fare, né da tentare, né da sperare: la barbarie è costitutiva, il dio del massacro è in tutti, ogni diversa apparenza è astuta finzione.
C’è chi ha visto bene tutto ciò, in Carnage, ma poi si è lasciato incantare dai titoli di coda. Sì, al termine del film, tornando nei giardini pubblici dove i bambini all’inizio si erano accapigliati come lupacchiotti, abbiamo la lieta sorpresa di rivederli, di nuovo amici, chiacchierare e giocare come se niente di increscioso fosse mai accaduto tra loro. E che fine ha fatto il criceto di cui papà Longstreet si è sbarazzato abbandonandolo in strada – azionaccia che agli occhi dei Cowan e nostri è la prima incrinatura della sua maschera di bravo democratico politically correct? Si è salvato, gode ottima salute nel migliore dei parchi possibili, addirittura sorride come un cartone animato. Mentre intorno a lui e ai bambini piacevolmente s’intrattiene un’Umanità serena, pacifica, bella, amica dell’infanzia, degli animali e delle piante, lieta della giornata di sole e della propria civile educazione e compostezza... Ai commentatori più fiduciosi sono bastate queste tre “cartoline dell’Unicef” per ipotizzare che Polanski “apra” alla speranza e si congedi dallo spettatore con un’immagine positiva dell’Umanità!
Non è così. Polanski, nei titoli di coda, fa ciò che nemmeno Reza osa fare: divide gli spettatori “avveduti”, in grado di reggere la tragica consapevolezza della mostruosità umana (e così tosti da non degnarli di uno sguardo, i titoli di coda) da noi spettatori “stupidi”, troppo deboli di mente per sostenere la “verità”, e perciò da far contenti e canzonati con quell’idilliaco quadretto. Ci prende in giro come i cattivi genitori e maestri prendono in giro i bambini (noi, anime belle che un lieto fine smielato basta a rincuorare) e poi, dando di gomito ai suoi spettatori veri, quelli che non si illudono, gli adepti della setta del massacro, ci fa sparire mentre rincasiamo e ci addormentiamo tranquilli, ignari che gli “adulti” intanto ridono di noi. Noi che non ci accorgiamo che l’apparente lieto fine è invece il film che ricomincia in esterni, fuori dall’angusta dimensione bifamiliare dei Longstreet e dei Cowan, sul piano più “alto” del vasto mondo, e lì ripete la sua antichissima menzogna piena d’odio contro la nascita umana: che l’educazione, la pace, la civiltà in cui fingiamo di credere, altro non siano che una patina più o meno sottile d’autocontrollo, da sotto la quale è sempre pronta a erompere la barbarie che è il nostro vero marchio d’origine. Noi che non ci accorgiamo, insomma, che i lindi giardini pubblici “conclusivi” sono come la torta che i Longstreet offrono ai Cowan all’inizio: sembrano tanto buoni, ma nascondono un contenuto – una realtà – che fa vomitare.
Venerdì 14 novembre 2008 in un’intervista a Roman Polanski apparsa sul Venerdì di Repubblica si leggevano queste parole: Roman Polanski, regista premio Oscar nel 2002 con Il Pianista, si alza dal divano di pelle nera del suo studio e va a prendere sulla scrivania una foto, ritagliata da un giornale inglese, di Berlusconi mentre sale in auto sorridente e saluta a mano aperta: “Guardi che espressione. Mi fa molto ridere questa foto ed è emblematica: ha un sorriso da clown, pare una maschera, e saluta come Hitler. E guardi il contrasto tra il suo sguardo da giullare e quello truce e solenne delle guardie del corpo. Dice così tanto questa foto...”
Ma oggi dice di più. Dice che l’emblematico contrasto apparente che Polanski colse in essa – il sorriso da clown e il saluto da Hitler, l’irrisione negli occhi e l’odio e il disprezzo nel cuore – è il medesimo che si coglie nei titoli di coda di Carnage: il criceto che sorride, i bimbi che giocano, la gente tranquilla e gentile sono lo sberleffo che i gonzi scambiano per un sorriso affettuoso; mentre la realtà, tetra come la morte, è che con quei titoli Roman Polanski manda a quel paese chiunque presti loro fede.
Dicevo, all’inizio (e lo ridico per togliermi anch’io lo sfizio della circolarità) che il dio del massacro, come ogni dio, non esiste; e che tuttavia, come ogni dio, ha la sua esistente setta di creatori, manutentori, sfruttatori, adoratori e missionari più o meno fanatici. Per la maggior parte “laici”. Molti “atei”. Ma tutti riconoscibilmente religiosi per la lugubre, coatta ostinazione con cui ripetono la monotona litania dell’indegnità umana.
Domande: la ripetono a chi? E perché?
Mi pare evidente che non è a destra che la ripetono. A destra la sanno a memoria. Se “di destra” ha un significato, per così dire, “metastorico” – al di là dell’origine e delle vicende storicamente determinate dell’espressione – essere di destra significa proprio non vedere alcuna differenza tra noi e gli altri animali, o addirittura tra noi e le cose. Che bisogno ci sarebbe, dunque, di spiegare a chi è di destra che il rispetto per ogni essere umano predicato da chi è di sinistra non ha senso, poiché l’essere umano è la peggiore delle bestiacce? Chi è di destra lo sa già: l’hanno persuaso a crederlo, fin dalla più tenera età, quelli che gli hanno sempre manifestato tutto l’odio e il disprezzo che le bestiacce meritano. No, la setta del massacro ce l’ha con noi che pensiamo che la nascita umana faccia una tale differenza, a paragone di ogni altra origine, che serbarla intatta e rispettarla sia l’unica cosa davvero di sinistra che si può fare. Di più: l’unica cosa che ogni essere umano può fare per stare al mondo da essere umano.
Ma perché mai la setta del massacro non ha pace se ogni giorno non predica l’odio contro l’Umanità? “Passi” per Polanski: ha violentato una ragazzina e vuol convincersi che nessuno sia meglio di lui e che tutti siano capaci di tanto e di peggio. Ma gli altri? Perché tanti altri, vicini e lontani (e perfino qualche “amico” su Facebook) si sono fatti così adoratori del dio del massacro da sembrare pronti a (mentalmente) ucciderci pur di fare proseliti tra noi che dinanzi a esso non vogliamo prosternarci? Quali “scheletri” nascondono, gli altri, per non poter più nemmeno immaginare che gli esseri umani nascano sani? Quali menzogne hanno stupidamente creduto, quali impotenze non hanno curato, a quali fallimenti si sono rassegnati?
Proposta: non sarebbe ora di chiamare nazista l’odio e il disprezzo contro l’Umanità, quale che sia l’immagine pubblica più o meno “di sinistra” o “ecologista” coltivata da chi lo propugna? E nazista non “tra virgolette”, ma proprio come chiamiamo nazista non solo chi ha commesso crimini contro l’Umanità, ma anche chi ha elaborato e diffuso le ideologie che hanno indotto altri a commetterli? Se è vero, com’è vero, che Hegel preparò Hitler, quali nuovi Hitler, quale sterminio su scala universale stanno preparando le miriadi di Polanski grandi e piccoli che attraverso i media istillano ogni giorno nelle menti l’idea che peggiori degli scarafaggi e dei ratti non siamo che noi? |
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L’immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell’artista danese Viggo Rhode (1900-1976).
L’ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.
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