ScuolAnticoli

Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca

 

Quando la tv pubblica è diseducativa

 

di Adriana Bembina - da left n°8, 1° marzo 2014, pp 52 - 53

 

Home     Clicca qui per scaricare il testo in .pdf     Clicca qui per scaricare il testo in .doc     Il sito di left

 

Da Rai educational alle aule scolastiche. Una docu-fiction propone ai giovani il ricorso agli psicofarmaci come metodo per risolvere ogni disagio: "Quando la tv pubblica è diseducativa", di Adriana Bembina, da "left" 8, 1 marzo 2014.

Clicca qui per scaricare il testo in .pdf     Clicca qui per scaricare il testo in .doc

 

Per sei settimane, a partire dall’ottobre 2013, è andata in onda su Rai educational e su Rai 3 la docu-fiction Disordini. Sei puntate che rielaborano altrettanti casi clinici di adolescenti, riscritti e raccontati in prima persona dal professor Stefano Vicari, primario del centro di neuropsichiatria infantile dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. I curatori del progetto dichiarano che “le storie raccontate da Disordini vogliono essere un contributo alla conoscenza dei disturbi che affliggono gli adolescenti, mostrando come sia possibile identificarli per non sottovalutarne i rischi”. Come medico psicoterapeuta dell’età evolutiva ho visto il docu-film con comprensibile interesse. Ma la mia iniziale curiosità, con lo scorrere delle immagini, si è trasformata in un crescente disagio. Gli attori interpretavano i giovani pazienti e le loro famiglie, secondo un copione che li costringeva a sciorinare di fronte al terapeuta, che diligentemente prendeva appunti, una fin troppo ridondante messe di comportamenti patognomonici, cioè caratterizzanti la patologia.

 

Alla fine del resoconto, il medico, dopo un fugace sguardo ai suoi appunti, proponeva la sua diagnosi: Adhd, disturbo oppositivo provocatorio, anoressia, disturbo bipolare... Alla diagnosi seguiva la prescrizione di psicofarmaci da abbinare ad una psicoterapia, in genere di tipo cognitivo-comportamentale, ma spesso finalizzata a controllare l’effetto dei farmaci. Ho saputo in seguito che la messa in onda della docu-fiction non sarebbe stata, purtroppo, fine a sé stessa. Alcuni istituti scolastici superiori di Roma e provincia hanno infatti accolto l’invito del professor Vicari a lavorare con i ragazzi sul tema della salute mentale, proponendo la visione di Disordini come inizio di un percorso didattico che porterà, attraverso il confronto nelle classi, alla produzione di elaborati che saranno pubblicati sul nuovo magazine online di neuropsichiatria infantile del Bambino Gesù. Anche per questo ho sentito l’esigenza di rivendicare un approccio differente alla psicopatologia in età evolutiva, che non solo è possibile ma viene praticato da tempo, da me e da molti miei colleghi.

 

Vorrei quindi proporre una breve riflessione sul significato del comportamento disfunzionale non solo in adolescenza, ma anche nella prima e seconda infanzia. Salvo rarissime eccezioni, il primo colloquio con un minore è la conseguenza di un invio da parte della famiglia e/o della scuola. L’invio in genere segue il manifestarsi, per un tempo più o meno lungo, di un comportamento disfunzionale più o meno grave da parte del minore: scarso rendimento scolastico, condizione di forte disagio nei rapporti interpersonali, abuso di sostanze, apatia, stati ansiosi, paure immotivate, problemi legati all’alimentazione. Al netto di evidenti e banali considerazioni sulla pericolosità di taluni comportamenti, ho sempre ritenuto mio specifico dovere metodologico coinvolgere emotivamente il paziente e spostare il baricentro del rapporto oltre il comportamento. Seguendo questa impostazione, la prescrizione di psicofarmaci non rappresenta soltanto un grave errore, ma addirittura un imperdonabile “abbandono di campo”. Non è infatti molto importante comprendere “che cosa si sta facendo”, cioè il sintomo, ma piuttosto il “perché” di un determinato comportamento, ciò che in termini medici è detta: eziopatogenesi. Lo psicofarmaco, di cui sono per altro fin troppo noti i pesanti effetti collaterali, aggredisce il comportamento e lo altera, impedendo di fatto al medico di sviluppare una ricerca insieme al suo paziente sulle cause che lo hanno determinato. Bisognerebbe invece avere il coraggio di considerare certi comportamenti disfunzionali addirittura necessari per il minore, in quanto possono rappresentare l’estremo tentativo di comunicare ai genitori la disperata necessità di essere compreso.

 

È dunque un grido muto che spera di farsi udire, in modo da determinare in loro un cambiamento, una discontinuità altrimenti impossibile. Come se ciò non bastasse, la prescrizione di psicofarmaci viene immediatamente tradotta dall’inconscio del nostro giovanissimo paziente in una condanna: “Non c’è nulla di sbagliato nel mondo che mi circonda, sono io che non funziono”. È questo il suo pensiero più profondo. “Il mio organismo non produce una sostanza che mi permetterebbe di essere felice”. Egli si dispera e insieme si deresponsabilizza, allontanandosi dal necessario lavoro di analisi e ricerca su di sé e sui suoi rapporti interumani. I genitori si deresponsabilizzano a loro volta, chiudendo la porta a qualunque possibile riflessione sulle modalità di rapporto con il figlio.

 

Questa condizione in breve tempo può precipitare i pazienti in una spirale di rabbiosa impotenza, prevedibilmente distruttiva. Il fatto, di per sé grave, lo diventa ancor di più se il trattamento farmacologico, o/e una terapia centrata sul sintomo, avviene nella prima e seconda infanzia. Infatti la mente dei bambini, ancor più degli adolescenti, può rispondere con la completa guarigione se si verificano dei profondi cambiamenti nei rapporti interumani che hanno causato la malattia. Nella presa in carico di moltissimi pazienti in età evolutiva, ho avuto modo di vedere che nessuna cura è possibile se non si modifica la relazione tra l’adulto significativo e il bambino. Certamente sono dialettiche appassionate costellate di fughe e di ritorni, crisi e vittorie, parole e lunghissimi silenzi. Il silenzio infatti, mai come nell’età dello sviluppo, prende il sopravvento sulla comunicazione verbale, confinandola a un ruolo subalterno e del tutto marginale. Occorre perciò penetrare quel silenzio con l’interpretazione di ciò che non è visibile ai cinque sensi e cioè la realtà mentale dell’essere umano che si ha di fronte. Una realtà in continuo divenire, sorprendentemente plastica e creativa, che non si può ridurre ad alterazioni del funzionamento dell’organo cervello.

 

*

Clicca qui per scaricare il testo in .pdf     Clicca qui per scaricare il testo in .doc

*

Su argomenti simili, su ScuolAnticoli:

Infanzia drogata, di Maria Gabriella Gatti

Assalto all’infanzia, di Joel Bakan

La medicina della mente - Storia e metodo della psicoterapia di gruppo, di Daniela Colamedici, Andrea Masini, Gioia Roccioletti

La ragione dell’irrazionale - Lettura critica delle lezioni di Rovatti su Basaglia, di Gianfranco De Simone

Si può “dimenticare” un Bambino?, di Luigi Scialanca

*

Vuoi commentare? Clicca qui e scrivici!

Vuoi servirti di questo articolo? Ci fa piacere! Ma abbi la correttezza di indicare la fonte!

*

 

*

Torna in cima alla pagina     Home