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Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca

 

Ricordi Immaginari - Spiegare un Film a un Bambino

 

Il buio oltre la siepe

 

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Come mai nemmeno Atticus si accorgeva che Boo non era un mostro? Scout è la sola persona, nel film,

a vedere qualcosa di buono in Boo; non si sentiva diversa dagli altri? (Sonia, a.s. 2006-2007)

 

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Titolo: Il buio oltre la siepe.

Titolo originale: To kill a mockingbird.

Registi: Robert Mulligan (1925 - 2008) e Alan J. Pakula (1928-1998).

Autrice del romanzo: Harper Lee (1926 - 2016).

Paese di produzione: U.S.A..

Anno di produzione: 1962.

Attori principali: Gregory Peck (Atticus Finch), Robert Duvall (Arthur Boo Radley), Mary Badham (Jean Louise “Scout” Finch), Phillip Alford (Jem Finch), John Megna (Dill Harris), Brock Peters (Tom Robinson), Collin Wilcox Paxton (Mayella Violet Ewell), James Anderson (Bob Ewell), Estelle Evans (Calpurnia), Richard Hale (Nathan Radley), Frank Overton (sceriffo Heck Tate).

Durata: 2 h 09’.

 

La scrittrice

Harper Lee

 

I registi

Robert Mulligan

Alan Pakula

 

Il film

Col bianco e nero quasi spietato di Russel Harlan e la toccante colonna sonora di Elmer Bernstein, Il buio oltre la siepe (buon titolo italiano di To kill a mockingbird Uccidere un usignolo1) restituisce molto bene l’atmosfera del grande romanzo di Harper Lee a cui si ispira: la tragedia, da un lato, dei due uomini ingiustamente chiamati mostri, Arthur Boo Radley e Tom Robinson, vittime delle spaventose famiglie Radley e Ewell, e dall’altro l’umanità e l’intelligenza che gli affetti dei bambini Scout, Jem e Dill e il loro indimenticabile rapporto con Atticus Finch ― padre amorevole e saggio, avvocato integerrimo quanto abile, uomo giusto che “non può vivere in città in un modo e a casa sua in un altro2 ― conferiscono alla cupa vicenda di cui sono testimoni e protagonisti: amalgama da cui forse soprattutto scaturisce il fascino che il libro mantiene ancora dopo più di mezzo secolo (un record, per un’opera basata su temi sociali) e che il film di Robert Mulligan e Alan Pakula trasferisce intatto dalla pagina alla pellicola.

 

[1] Passero, merlo, tordo: delle varie traduzioni di mockingbird quella che preferisco è quella della versione italiana del film, usignolo, perché quand’ero bambino (prima del 1960, ahimé) fu di usignoli che mia madre mi parlò per avvisarmi che gli uccellini “che non servono a niente” son più preziosi di tutti gli altri e perciò inviolabili.

 

[2] Harper Lee, To kill a mockingbird, Philadelphia e New York, 1960; traduzione italiana di Amalia D’Agostino Schanzer, Il buio oltre la siepe, Milano, Feltrinelli, 1962, 19867a, p. 307.

Il commento di Luigi Scialanca

 

C’è, nel buio oltre la siepe, il lavoro dei bambini per capire il mondo sconcertante degli adulti, bellissimo e atroce, e per non esserne distrutti fisicamente e mentalmente. In questo, il romanzo di Harper Lee continua la grande e incompresa novità ottocentesca e della prima metà del Novecento della ricomparsa dei piccoli umani dal buio di un annullamento millenario (gli abbandoni e i ritrovamenti, le fughe e i ritorni, le sparizioni e riapparizioni di Hänsel e Gretel, di Maria Stahlbaum, di Tom Sawyer, di Huckleberry Finn, di Jim Hawkins, di Pinocchio, di Egòruška, di Holden e Phoebe Caulfield) e la arricchisce e la completa immaginando una bambina , nel “luogo” cruciale in cui i bambini scompaiono, a un passo dalla siepe che divide la luce dal buio, e narrando il suo diventare grande senza mai mettere in dubbio il suo essere fin dalla nascita: una bambina ― Jean Louise Finch, detta Scout ― che fin quasi alla fine del libro comprende poco di quel che accade e mette tutti in imbarazzo con le sue gaffe, e intanto è però inconsapevolmente in rapporto con gli altri a un livello di cui solo lei è capace (Atticus: “C’è voluta nientemeno che una bambina di otto anni per farli rientrare in sé! Ciò dimostra che anche una banda di bruti può essere fermata, semplicemente perché son pur sempre esseri umani. Chissà, forse avremmo bisogno di una polizia composta di bambini... Voi ragazzi stanotte siete riusciti [ma è stata solo Scout, n.d.r.] a far sì che Walther Cunningham si mettesse nei miei panni per un attimo, ed è bastato”1) e sa intuire, o sentire, quel che nessun altro intuisce né sente: “Persino i neonati stavan tranquilli, e per un attimo mi chiesi se fossero stati soffocati al petto dalle loro madri”2 pensa, al processo, quando si rende conto che Mayella Ewell sta mentendo perché Tom Robinson muoia: una bambina capace di sentire il mondo capovolgersi e l’umano farsi disumano, ma che un attimo dopo, quando “Jem si volge a Dill spiegandogli [...] i punti più interessanti del dibattito”, si chiede “quali possano essere3!

 

C’è, poi, nel buio oltre la siepe, il rapporto di Scout e Jem e del loro amico Dill con un adulto, un padre, Atticus Finch, che è l’uomo migliore che ci possa essere, perché ha il coraggio di entrare in conflitto con i suoi concittadini (“prima di vivere con gli altri, bisogna che viva con me stesso”4) per difendere i diritti fondamentali di ogni essere umano e per meritarsi il rispetto dei figli (“Se non lo facessi [...] non potrei dire a te o a Jem: fa’ questo e non far quello”5) e che lotta, diversamente dai suoi nemici e dagli avversari, senza tentare di rendersi anaffettivo nemmeno quando la sua sensibilità per la sventurata condizione di Mayella Ewell rischia di indebolirlo nella difesa della giustizia che per lui è tutto: poiché Mayella è una “strega”, certo, ma è figlia anche lei, come Scout e Jem, e anche in lei, dunque, Atticus non può non vedere quell’umanità meno forte, e perciò “a rischio”, i bambini, le donne, i neri, i “diversi”, che egli è al mondo per difendere, per far sì che non precipitino (Atticus, infatti, è un catcher in the rye6 adulto, che è riuscito a realizzare il suo sogno) in quel buio oltre la siepe che a Maycomb non è notte, né sonno, né tanto meno l’irrazionale profondo ch’è solo umano, ma il “luogo” spaventoso della segregazione e tortura di chi non è tollerato ― perché bambino o perché donna, perché di un altro colore o perché “diverso” ― dall’ordine implacabile dei maschi adulti bianchi e delle loro signore. Ordine di cui anche Atticus, perfino Atticus, è parte, ma che egli si ostina invece a credere il “luogo” della luce, l’unico in cui si può vivere con giustizia e umanamente e rispettando i diritti di tutti. E perciò non capisce, Atticus, come sia possibile che altri vi siano invece così pieni d’odio, violenti, stupidi (lo dice più di una volta: “non capisco”; e lo dice in particolare a Scout, perché è con la figlia che Atticus arriva quasi a superare sé stesso e a vedere... che vi è qualcosa che lui non vede, nella luce e nel buio al di qua e al di là della siepe).

 

Dinanzi ai piccoli e ai deboli, vittime “predestinate” dell’ordine di Maycomb, Atticus si erge a impersonare quell’ordine da uomo buono, giusto, amorevole, ed è con loro gentile, dolce, paziente, affettuoso, sempre presente, giusto, severo solo quando è necessario (e anche allora soffrendo): tutto, insomma, Atticus è tutto quel che si può desiderare. Meno una cosa: nel buio non si arrischia, non entra, non va a vedere. E mai vi si fermerebbe a vivere. Perciò Tom Robinson, rinchiuso nella cella della morte dalla stessa Maycomb “della luce” da cui Atticus non può uscire, tenta la fuga da solo. E perciò soccombe.

 

Ha un solo difetto, infatti, Atticus: non ha una donna. Ve ne sono diverse, intorno a lui, che più o meno bene lo aiutano a prendersi cura dei figli: Calpurnia, la zia Alexandra, miss Maudie Atkinson, miss Dubose, miss Stephanie Crawford. Ma nessuna che gli stia “appresso” o a cui stia dietro lui. Egli, certo, vive nel ricordo incancellabile della moglie e in un luogo e un’epoca in cui i vedovi che si risposano non sono apprezzati... Ma è uomo che non avrebbe alcun timore di andare anche contro questa convenzione, se la ritenesse ingiusta, insopportabile o anche solo irrilevante: perché non s’innamora, dunque?

 

(E come Atticus non ha più donna, così i figli non han più madri, a Maycomb: né Scout e Jem, né Dill (in pratica), né Arthur Boo Radley, né Mayella Ewell... Che l’ordine costituito, la “luce” al di qua della siepe, faccia morire le donne prima del tempo? E perfino accanto a un uomo come Atticus Finch?).

 

Niente, nel buio oltre la siepe, autorizza a sospettare che Atticus odi le donne. L’idea è ripugnante, per chi ama questo libro (e soprattutto per chi, come me, ha cercato per decenni di essere uomo “alla sua altezza”) anche se la si rifiuta nel momento stesso in cui la si pensa, come una sorta di sacrilegio. Nondimeno le sue difficoltà di rapporto con le donne devono essere spiegate, e nel buio oltre la siepe c’è qualcosa che forse può spiegarle: Atticus non ha alcun rapporto con l’irrazionale. Non vi è una volta, negli anni d’infanzia che Harper Lee ci narra di Scout e Jem, in cui i bambini raccontino al padre un sogno.

 

Poiché a Maycomb, anche per Atticus, nel buio oltre la siepe non ci sono che mostri.

 

Ma non per Scout e Jem. Per loro nel buio oltre la siepe c’è anche Arthur Boo Radley. E nella “luce”, al contrario, non c’è alcuno, al di qua della siepe, con cui parlarne davvero. Nemmeno Atticus.

 

Bambino e poi adolescente e poi uomo che da quindici anni non vede il sole, pallido come la cera, quasi trasparente, quasi senza più capelli, “incerto in ogni suo movimento come se non fosse sicuro che le sue mani e i suoi piedi possano stabilire un contatto solido con le cose che tocca”7, Boo Radley, anzi: Arthur Radley, è ancora del tutto umano. Malgrado ciò che gli è stato fatto, l’orrore senza nome che ha subìto, la prigionia, la tortura, il piccolo Arthur è diventato adulto rimanendo perfettamente umano. Difficile? Impossibile? E se fosse invece l’unica possibilità? Se disumani non si potesse esserlo che volendolo, e insieme agli aguzzini infierendo su di sé per diventarlo? Se “non si uccide un usignolo” non fosse un divieto, ma la constatazione che l’umanità non può essere annientata? Allora sarebbe naturale, no?, che Arthur sia ancora, nonostante gli aguzzini, l’usignolo umano che è impossibile uccidere poiché non lo si può privare del suo not to do one thing but just sing his heart out for us, “non saper fare altro che cantare il proprio cuore per noi”? Fatto sta che nessun adulto a Maycomb, nemmeno Atticus, è umanamente intatto come Arthur Radley, Boo, bambino e adolescente e uomo imprigionato e torturato: il mostro, la nera ombra terrorizzante acquattata nel buio oltre la muraglia di annullamento, d’odio e di stupidità che i concittadini gli hanno eretto intorno perché non vuole, come loro, rendersi non umano. Poiché la sua mano, dopo quindici anni di buio, è ancora “incredibilmente calda, nonostante la sua bianchezza”8.

 

Scout non lo riconosce sùbito: “L’uomo che aveva portato Jem a casa stava in piedi in un angolo, la schiena al muro. Doveva essere un contadino che non conoscevo”9. Gli altri invece sanno bene chi è quel “contadino”; Atticus per primo: “Insieme, lui e l’uomo, portano dentro Jem”10; poi Heck Tate, lo sceriffo, che gli dà “una rapida occhiata” e gli fa “un cenno11; e infine il dottor Reynolds, di ritorno con le medicine per Jem, che gli dà la buona sera e si scusa per non essersi “accorto di lui la prima volta12. Sanno chi è, d’accordo. E lo trattano civilmente, cortesemente, affettuosamente, e si preoccupano per lui perché sono, tutti, ottimi uomini, a dispetto dell’ordine di Maycomb di cui pur fanno parte. Ma solo a Scout occorre qualche minuto per capire chi è quell’uomo. Solo lei è ancora in grado di fare una scoperta, a suo riguardo. Infatti capisce da sola, senza che glielo si debba dire: quando lo guarda di nuovo, e “le labbra di lui si aprono in un timido sorriso”, “le lacrime riempiono d’un tratto gli occhi” della bambina, quindi “il volto dell’uomo trema e si offusca” e lei, in quel vederlo e non vederlo con occhi fisici, lo riconosce attraverso le lacrime e nel riconoscerlo piange: “Ciao, Boo13 dice. Piange perché scopre, da sola, che Arthur Radley, il mostro venuto dal buio, dalle “mani bianche, bianche da far impressione14, è un essere umano ancora del tutto umano, e che anche lei lo è ancora, se nel riconoscerlo piange. Poiché non si può riconoscersi davvero senza versare lacrime. Ed è da esse che si capisce se si è ancora umani e quanto.

 

Si discute, poi, tra Atticus e lo sceriffo Tate, se Bob Ewell, l’assassino e stupratore per le cui false accuse il giovane nero Tom Robinson ha perso la vita, sia stato ucciso per legittima difesa da Jem (come dice suo padre) o si sia ucciso cadendo sul proprio coltello (come sostiene lo sceriffo) o sia stato ucciso da Arthur per salvare i bambini (come pensano entrambi e non dicono). Lo scopo della discussione è dunque la ricerca della verità? No: lo scopo è il nascondimento della verità fattuale (non verrà mai alla luce di Maycomb come sia morto davvero Bob Ewell, ma penso che non sia per errore che l’autrice non ha sciolto l’enigma) a favore di una verità profonda che il rapporto razionale con la realtà non può cogliere né tanto meno tutelare: Arthur e Jem devono essere protetti a ogni costo, anche contro le leggi di Maycomb scritte e non scritte, dal disconoscimento che tornerebbe a colpire il primo (e con violenza maggiore che mai) e che si abbatterebbe anche sul secondo, se della verità si andasse in cerca in piena luce senza alcun riguardo per loro. Il che significa, nudo e crudo, che qui e ora, quando nel buio oltre la siepe siamo alle ultime pagine, luce e buio si scambiano il posto e Arthur e Jem devono essere nascosti nel buio, perché si possa continuare a vederli e riconoscerli senza essere accecati dalla luce spietata di Maycomb. Poiché non c’è verità né bugia, non ci son legge né ordine che tengano, dinanzi all’assoluta necessità di difendere l’umano dal disconoscimento. Legge e ordine, correttezza e irreprensibilità, tutti i valori a cui ogni pagina del romanzo e ogni scena del film hanno reso un immenso tributo, ora si rivelerebbero impotenti, peggio: nemici dell’umano, se non gli cedessero il passo. Sarebbero valori morti, proprio come morti sono i nudi fatti se a guardarli non son gli occhi di Scout offuscati dalle lacrime. E allora “lasciamo che i morti seppelliscano i morti, signor Finch. Lasciamo che i morti seppelliscano i morti”15. E se il povero e tuttavia meraviglioso Atticus non capisce e lo ammette, Scout invece ancora una volta capisce e dice che fare l’opposto, mettere i morti fatti al di sopra di tutto, “sarebbe come uccidere un usignolo”16.

 

“Entrai nel giardino dei Radley per la seconda volta in vita mia. Boo ed io salimmo gli scalini che conducevano al portico. Le sue dita trovarono la maniglia della porta; lui lasciò andare dolcemente la mia mano, aprì la porta, entrò e la richiuse. Non lo vidi mai più17. Possibile che Arthur debba tornare per sempre nel buio, perché non si possa mai più disconoscerlo? Non penso... Penso e scrivo (a rischio di sbagliare, ma come scrivere se non rischiandolo?) che Boo, da allora, sia da qualche parte insieme a Scout. Forse in noi. E che il buio in cui è ora non sia più il buio dell’annullamento e dell’odio e della stupidità di Maycomb, ma quello da cui lui è uscito a cercare Scout e Jem e Dill, e in cui Scout e Jem e Dill sono entrati a cercarlo, e che insieme, Arthur e Scout e Jem e Dill, hanno trasformato per sempre.

 

“I vicini portano cibi quando qualcuno muore, fiori quando siamo malati e piccoli doni nelle occasioni intermedie. Boo era nostro vicino. Ci aveva regalato due bambole di sapone, un orologio rotto con la catena, due monetine portafortuna, e le nostre vite. [...] Mi volsi per andare a casa. I lampioni ammiccavano lungo la strada fino in città. Non avevo mai visto il nostro vicinato da quell’angolo. [...] Atticus aveva ragione. Una volta aveva detto che non si conosce realmente un uomo se non ci si mette nei suoi panni e non ci si va a spasso. Basta anche solo star fermi qualche attimo sul portico dei Radley”18.

 

Chi sono “i vicini”? I vicini siamo tutti noi: l’Umanità. Cosa sono i doni di Boo? Piccole cose di nessun valore, a paragone delle vite da lui salvate, ma al contempo immense cose non meno preziose, senza le quali ― senza quel “canto di usignolo che non serve a niente, ma ci dona il cuore” ― non ci sarebbe alcuna vita umana da salvare. Ma perché i lampioni “ammiccano”? Perché la loro luce è stata trasformata, non è più la gelida luce razionale dell’odio annullante di Maycomb: sono come gli occhi di Scout, adesso, “offuscati dalle lacrime”. Ma qual è “l’angolo” da cui ora Scout guarda il mondo e lo guarderà per sempre? È il buio che non è più l’orrore, che non è più Boo ma è Arthur.

 

E la “ragione” di Atticus, dunque, si può rileggere così: “Atticus aveva ragione. Una volta aveva detto che non si conosce realmente l’Uomo se non si resta nei suoi panni e non ci si va a spasso. Basta anche solo star fermi qualche attimo sul portico dei Radley”.

 

I bambini, dopo aver letto un libro o veduto un film, spesso domandano cosa accadrà dopo. Qui, per esempio, potrebbero domandare se ci saranno un’inchiesta e un processo, per la misteriosa morte di Bob Ewell, e cosa in tal caso deciderà la giuria che contro Tom Robinson andò contro la verità dei fatti brillantemente dimostrata da Atticus Finch e decise, orrendamente, di condannarlo a morte. La risposta è semplice: i bravi cittadini di Maycomb andranno di nuovo contro la verità dei fatti e decideranno, meravigliosamente, che non vi è luogo a procedere, poiché i morti fatti hanno sepolto i morti fatti.

 

Il “lieto fine” di Boo, così, benché non “risarcisca” il mondo della morte di Tom Robinson né tanto meno lo riporti in vita, tuttavia lo “vendica” chiedendo e pretendendo da noi qualcosa che è ancor più grande e meraviglioso della “semplice” ricomparsa dei neri e dei deboli, delle donne e dei bambini dal buio oltre la siepe, qualcosa che sembra impossibile ma non lo è: che oltre la siepe non vi sia altro buio, d’ora in poi, che quello in cui Boo è più che al sicuro nei sogni di Scout e di Jem e di tutti noi.

 

“Quasi tutti sono simpatici, Scout, quando finalmente si riesce a entrare nel buio con loro”.

 

Le migliori domande dei bambini sul film

 


 

[1] Ibidem, p. 175.

 

[2] Ibidem, p. 207.

 

[3] Ibidem, p. 210.

 

[4] Ibidem, p. 119.

 

[5] Ibidem, p. 86.

 

[6] Jerome David Salinger, The catcher in the rye, 1951; trad. italiana di Adriana Monti, Il giovane Holden, Einaudi, Torino, 1970. Un romanzo che non può non aver influito su Harper Lee se, com’è probabile, lo ha letto a 25 anni e pochi anni prima di dedicarsi a Il buio oltre la siepe. Tra i due finali, per esempio, c’è qualcosa di più di un’assonanza: “Io, suppergiù”, dice Holden, “so soltanto che sento un po’ la mancanza di tutti quelli di cui ho parlato. Perfino del vecchio Stradlater e del vecchio Ackley, per esempio. Credo di sentire la mancanza perfino di quel maledetto Maurice. È buffo. Non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, finisce che sentite la mancanza di tutti”. E Scout: “E, Atticus, quando finalmente lo videro, si accorsero che non aveva fatto niente... Atticus, era proprio simpatico...” “Quasi tutti sono simpatici, Scout, quando finalmente si riescono a capire” (Il buio oltre la siepe, cit., p. 315).

 

[7] Ibidem, p. 310.

 

[8] Ibidem, p. 311.

 

[9] Ibidem, p. 297.

 

[10] Ibidem, p. 294.

 

[11] Ibidem, p. 297.

 

[12] Ibidem, p. 303.

 

[13] Ibidem, p. 303.

 

[14] Ibidem, p. 302.

 

[15] Ibidem, p. 309.

 

[16] Ibidem, p. 310.

 

[17] Ibidem, p. 312; corsivo mio.

 

[18] Ibidem, pp 312 - 313; corsivo mio.

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Le migliori domande dei bambini sul film

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Rivedere ogni film ogni volta diverso, con i bambini...

 

"Rivedere ogni film ogni volta diverso, con i bambini..." (Martedì 8 aprile 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

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Mi dispiace tanto per chi non ha letto Il buio oltre la siepe o non ha, almeno, visto il film. Sono infelici che non sanno di esserlo. E, tra chi l’ha letto o l’ha visto, mi dispiace per chi non l’ha capito neanche un po’ o non ha, almeno, tentato. E tra chi l’ha letto, visto e capito, mi dispiace per chi non l’ha letto o visto con i bambini. E tra chi l’ha letto o visto con loro, mi dispiace tanto per chi, non essendo insegnante, non l’ha riletto o rivisto con altri bambini, e poi con altri ancòra, e ancòra, e ancòra...

I grandi libri e i grandi film sono ogni volta diversi, si sa. Ma letti e visti con i bambini (purché non induriti e istupiditi dalla devastante esperienza di aver avuto accanto certi adulti in quei primi, decisivi anni) essi sono, ogni volta, intensamente diversi. Magari solo per un dettaglio, e spesso apparentemente minuscolo, rileggere un grande libro o rivedere un grande film con una nuova classe è, per un insegnante, un evento sempre assoluto, e tanto più sconvolgente e trasformativo quanto più la classe per prima lo vive intensamente (e lui di riflesso, illuminato da loro). Naturalmente, purché l’insegnante non sia così indurito e istupidito dalle sue devastanti esperienze, da non esser più capace di illuminarsi: ma quelli sono insegnanti che non leggono Il buio oltre la siepe e non ne vedono il film.

Oggi, dunque, ho rivisto Il buio oltre la siepe per la ventesima volta o forse più. E di nuovo è stato diverso (tranne che in quel che non deve assolutamente cambiare: cioè le lacrime che ogni volta riempiono d’un tratto i miei occhi” come quelli di Scout nel momento in cui dietro la porta appare “Boo”, Arthur Radley; poiché sono esse che ogni volta mi dicono che anchio, come Arthur, sono ancora umano), e potentemente diverso, e lo è stato così tanto perché l’ho rivisto con una classe così poco indurita, così poco istupidita, che per tutto il tempo ha brillato nel buio dinanzi a me come una costellazione umana.

E alla fine, nella sequenza di cui vedete qui sopra un fotogramma, mentre “le lacrime riempivano d’un tratto gli occhi” della bambina e i miei e mentre il volto di Arthur “tremava e si offuscava”, ho visto una cosa che, in almeno venti visioni nell’arco di quarant’anni, non avevo mai notato: il ritratto della defunta moglie di Atticus Finch collocato (dal regista?, dallo scenografo?) proprio lì, accanto a “Boo” (Robert Duvall) che Scout incontra in quell’istante per la prima volta.

Sono andato a controllare sul libro e non vi ho trovato alcun ritratto della mamma di Scout e Jem: non in quel momento, non lì. Perché ce l’hanno messo? Per dirci (alla faccia di Harper Lee, autrice di questo meraviglioso romanzo) che chi ha salvato Scout e Jem dalle grinfie assassine di Bob Ewell non è stato Arthur Radley ma una defunta madre che dall’Aldilà vegliava su di loro tramutata in angelo custode?

Una piccola (grande) macchia su un film bellissimo, indimenticabile, ma evidentemente meno bello, e d’ora in poi meno indimenticabile, del romanzo che in quel momento ha tradito. E ancor meno bello, e ancor meno indimenticabile, dei bambini senza i quali non l’avrei mai scoperto. Nemmeno rivedendo il film (e rileggendo il libro) per altri quarant’anni.

 

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(Martedì 8 aprile 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

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(Le schede di Spiegare un film a un bambino sono per bambini e ragazzi di Quinta elementare, Prima, Seconda e Terza media.

Sono scritte, perciò, il più semplicemente possibile. Ma non sono affatto... semplicistiche.

Vuoi servirtene? Fai pure. Ma non spezzettarle, non alterarle e non dimenticare di citarne l’autore!)

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