Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca
La Terra vista da Anticoli Corrado nel settembre del 2014
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L’assassinio1 del padre buono, base di ogni potere disumano nell’Amleto di Shakespeare - Atto primo - di Luigi Scialanca Clicca qui per scaricare il testo in .pdf Clicca qui per scaricare il testo in .doc
La Danimarca di Amleto si rivela fin dal primo istante un mondo capovolto: “Chi va là?” grida Bernardo, ufficiale della guardia, al soldato che è di sentinella, Francesco. Doveva accadere l’opposto, e Francesco, quindi, giustamente ribatte: “A te rispondere. Fermati e fatti riconoscere”. Poco dopo, infatti, è Francesco a dare l’altolà a Orazio e Marcello, benché ufficiali anch’essi, e il primo addirittura amico personale del principe Amleto. Cosa è accaduto? Perché, e come, a Elsinore la realtà si è rovesciata? Orazio è scettico. La sua battuta di spirito (Bernardo: “C’è Orazio?” Orazio: “Sì, ce n’è un pezzo”), lì per lì incomprensibile (ma che irrita Bernardo, pur nel doveroso rispetto da cui non deflette, al punto che non estende a Orazio il “buon” con cui saluta Marcello), si chiarisce quando Marcello annuncia: “Orazio dice che è soltanto effetto della nostra fantasia”. Orazio, cioè, è lì soltanto col “pezzo” più credulo di sé stesso. (Marcello, infatti, riferendosi allo spettro che tanto ha impressionato le sentinelle, parla già di “fantasma” ― “apparition” ― benché ancora non l’abbia visto; Orazio, invece, prudente, lo chiama “quella cosa” ― “that thing”). Apriamo una parentesi, giacché siamo in argomento, sui modi in cui si parla dello spettro o si tenta di spiegarlo in questo primo atto. Orazio: “A quale particolare ordine d’idee appigliarmi, non so; ma grosso modo credo che questo presagisca lo scoppio di qualche grave calamità per il nostro Stato”. Ancora Orazio: “È un bruscolo, questo, che viene a infastidire l’occhio della mente” (corsivi miei). Orazio, cioè, interpreta l’apparizione come un turbamento dell’ordine mentale che prefigura uno sconvolgimento dell’ordine delle cose. (Non sa, infatti, che lo sconvolgimento è già avvenuto, e non è la ribalda dichiarazione di guerra di Fortebraccio al Regno di Danimarca, ed è molto più grave di essa). Amleto concorda con Orazio fin da prima di parlare con lo spettro (“C’è qualcosa che non va” ― “All is not well”, I,2) e la pensa così anche dopo (“Il mondo è fuor di sesto” ― “The time is out of joint” ― “o maledetto dispetto della sorte che io sia nato per rimetterlo in sesto”, I, 5). Ma aggiunge all’interpretazione dell’amico un elemento tanto importante da cambiarne, almeno in parte, il senso: lo spettro, dice il principe (quando ormai lo ha “ufficialmente” riconosciuto ― “Ti chiamerò Amleto, re, padre, regale danese”, ma ancora non sa se “rechi [...] aure di origine celeste o raffiche infernali”, I, 4) porta “l’orrore nella notte” e “mette in noi, vittime degli inganni della natura (ma il testo originale dice fools of nature, “stupidi per natura”), [...] tremiti di terrore al pensiero di cose irraggiungibili per le nostre anime” (I, 4). E ancora: “There are more things in heaven and earth, Horatio, than are dreamt of in your philosophy” (I, 5). Capiamo, così, che il “fuor di sesto” di Amleto non coincide del tutto col turbamento dell’ordine mentale e naturale a cui allude Orazio. Per quest’ultimo (più vicino a Claudio che ad Amleto, in ciò, come vedremo) l’ordine dev’essere ripristinato, punto, poiché “nella sua filosofia” non c’è altro né sulla terra né in cielo: o l’ordine, oppure la follia e la distruzione. Ad Amleto, invece, quello stesso turbamento dell’ordine ― e l’apparizione dello spettro che ne è, allo stesso tempo, l’annuncio e un sintomo ― lasciano intravedere l’esistenza di “cose irraggiungibili per le nostre anime”. Il che porta “orrore e terrore”, certo, ma ha anche il merito di permettere una “discesa” (o una “salita”) “al di sotto” (o “al di sopra”) dell’ordine costituito, naturale e mentale e statale. Il merito, insomma, di farci vedere qualcosa al di là della nostra filosofia. Per Orazio, “seguire” lo spettro, cioè dargli retta, è solo perdere “il dominio della ragione” ― “the sovereignity of reason” ― e “precipitare nella pazzia” ― “madness”, I, 4 ― della quale avrebbe una gran paura anche se lo spettro non ci fosse (“Basta il solo posto, senz’altra causa, a mettere idee di disperazione in qualsiasi cervello che getti lo sguardo da tanta altezza sopra il mare”, I, 4). Per Amleto, invece, benché egli sia di gran lunga il più colpito dallo sconvolgimento in corso e dall’apparizione, tali eventi sono anche un’occasione positiva. Perché? Amleto, contrariamente a Orazio e a tutti gli altri, già prima dell’apparizione è (parole sue) “anche troppo al sole” (= “mal ridotto”, I, 2). Ha dentro “qualcosa che supera l’ostentazione, che supera quelle che sono appena le bardature e i paramenti del dolore” (I, 2). Amleto, addirittura, vorrebbe uccidersi: “Oh, se questa troppo, troppo compatta carne volesse struggersi, sciogliersi e ridursi in rugiada [...]! O Dio, Dio, quanto mi sembrano vieti, stantii, privi di senso e di costrutto tutti gli usi di questo mondo!” (I, 2). Amleto, cioè, già da sé è arrivato vicino alle “cose irraggiungibili dalle anime” di tutti gli altri, e proprio per questo è così turbato. Non sono i preparativi della guerra contro Fortebraccio (il “quotidiano fondere bronzo in cannoni” di cui parla Marcello, I, 1) a preoccuparlo, e del resto egli è ben più che preoccupato: soffre terribilmente, fin quasi al suicidio, per una realtà che non sente con “l’anima” (poiché per “l’anima” tale realtà è, appunto, “irraggiungibile”) né tanto meno con “la filosofia”, ma con qualcos’altro. Con che cosa? Cercheremo (ma non basterà esaminare il primo atto) di capirlo andando avanti. Ma intanto possiamo cominciare a raccogliere indizi... Clicca qui per continuare a leggere su ScuolAnticoli! Oppure: Clicca qui per scaricare il testo in .pdf Clicca qui per scaricare il testo in .doc (Giovedì 18 settembre 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
[1] O, più “civilmente”, la rottamazione.
Jules Verne previde Osama Bin Laden (o, se non lui, il terrorismo antioccidentale contemporaneo) Clicca qui per scaricare il testo in .pdf Clicca qui per scaricare il testo in .doc
Dopo molte altre navi, da guerra e passeggeri, speronate e affondate con mostruosa ferocia insieme a tutti quelli che vi si trovavano, l’ultima vittima del sottomarino Nautilus fu, il 1° giugno 1868, una fregata inglese il cui nome fu tenuto segreto. Ecco gli ultimi istanti di quell’orribile tragedia nel racconto del professor Pierre Aronnax, del Museo di Storia naturale di Parigi, che era a bordo del Nautilus: Eravamo prigionieri, testimoni forzati del dramma che incominciava. Chiusi tutti e tre nella mia cabina, ci guardavamo senza parlare. Io aspettavo, ascoltavo: nel silenzio, non vivevo che nell’udito. La velocità si accrebbe: il Nautilus prendeva slancio. Tutto lo scafo fremeva. Improvvisamente gridai. Si era prodotto un urto, ma abbastanza leggero. Sentii quasi in me la forza penetrativa dello sperone d’acciaio. E un suono come di rotture, di raschiamenti. Il Nautilus entrava nella nave nemica come un grosso ago nella tela! Non potei reggere. Corsi nel salone. Il capitano Nemo era là. Cupo, implacabile, guardava dal cristallo di babordo. Un’enorme massa colava a picco, dietro quel cristallo; il Nautilus, accompagnandola, controllava la sua discesa nell’abisso. Vidi uno scafo squarciato in cui l’acqua affluiva spaventosamente, poi la doppia linea dei cannoni, i bastingaggi. Il ponte era coperto di ombre che si agitavano. L’acqua saliva. Quei poveretti balzavano nel sartiame, si aggrappavano agli alberi. Era un formicaio umano, invaso dal mare. Venne un’esplosione. L’aria compressa fece volare i ponti come se nella nave fosse scoppiato l’intero deposito di munizioni. Ne risentimmo un contraccolpo terribile, il Nautilus ebbe una forte deviazione. Adesso il vascello sprofondava rapidamente. Intravidi le sue coffe affollate di vittime, le barre che portavano grappoli d’uomini, infine la cima dell’albero di maestra. Tutto scomparve nel risucchio. Mi volsi a guardare il capitano. Non si era mosso. Quando la tragedia fu conclusa andò verso la porta della sua stanza, dove lo vidi entrare: alla parete di fondo erano collocati i ritratti di una donna ancora giovane, di due bambini. Li guardava. Poi tese le braccia verso di essi e s’inginocchiò piangendo. Chi era il capitano Nemo? Perché progettò e fabbricò la prima “arma di distruzione di massa” della Storia, il sottomarino Nautilus? Perché divenne il primo terrorista antioccidentale di tutti i tempi? Il 6 novembre 1867 egli si presentò a un gruppo di prigionieri, tra i quali il professor Aronnax, con queste parole: Siete dinanzi a un uomo che ha rotto i ponti con l’umanità. [...] Io non sono quello che voi chiamate un uomo civile! Ho rotto con la società intera, per ragioni che io solo ho il diritto di giudicare. Quindi, non ubbidisco alle sue regole. Sette mesi dopo, annunciando l’imminente terribile speronamento di cui abbiamo appena letto il resoconto, egli disse: Io sono il diritto, io sono la giustizia! Io sono l’oppresso. Quello, invece, è l’oppressore! Per sua mano ciò che ho amato e adorato e venerato, patria, moglie, figli, mio padre, mia madre, tutto ho visto perire. E tutto quello che io odio è su quella nave. Qualche anno dopo, l’ultimo uomo che incontrò il capitano Nemo poco prima che morisse fu l’ingegnere statunitense Cyrus Smith. Ecco ciò che il capitano Nemo gli rivelò di sé stesso: Sono un indiano, il principe Dakkar, figlio di un rajah della regione allora indipendente del Bundelkund e nipote dell’eroe indiano Tippo-Saïb. All’età di dieci anni mio padre mi mandò in Europa affinché ricevessi un’educazione completa, ma con il segreto desiderio che un giorno potessi lottare ad armi pari contro quelli che egli considerava gli oppressori del suo Paese. Dai dieci ai trent’anni mi istruii in tutte le cose, e nelle scienze, nelle lettere e nelle arti spinsi i miei studi molto a fondo e lontano. Viaggiai in tutta Europa. I miei nobili natali e la mia ricchezza mi imponevano all’attenzione di tutti, ma le seduzioni del mondo non mi attirarono mai. Benché fossi giovane e bello, rimasi serio, ombroso, divorato dalla sete di imparare, con un implacabile risentimento che mi rodeva il cuore. Odiavo. Odiavo l’unico Paese in cui non volli mai metter piede, la sola nazione di cui rifiutai costantemente le lusinghe: odiavo l’Inghilterra, e tanto più in quanto sotto certi aspetti la ammiravo. In me erano tutti gli odi feroci del vinto nei confronti del vincitore. Allevato negli ideali della rivendicazione e della vendetta, ineluttabilmente innamorato del mio poetico Paese oppresso dalle catene inglesi, non volli mai metter piede su quella terra per me maledetta, a cui l’India doveva la propria schiavitù. Tutti mi vedevano come uno scienziato e un artista cosmopolita, ma in realtà ero molto di più: nel mio cuore ero rimasto indiano. Indiano per il desiderio di vendetta, indiano per la speranza che nutrivo di poter un giorno rivendicare i diritti del mio Paese, scacciarne lo straniero, restituirgli la libertà. Tornai nel Bundelkund nel 1849. Sposai una nobile indiana il cui cuore sanguinava come il mio per le sciagure della nostra patria. Ne ebbi due figli che adoravo. Ma la felicità familiare non poteva farmi dimenticare l’asservimento dell’India. Aspettavo un’occasione. Si presentò. Nel 1857 scoppiò la grande rivolta dei cipayes. Io ne fui l’anima. Organizzai l’immensa insurrezione. Misi i miei talenti e la mia ricchezza al servizio di quella causa. Pagai di persona; mi battei in prima fila: rischiai la vita come il più umile di quegli eroi insorti per liberare il loro Paese; fui ferito dieci volte in venti scontri, senza però riuscire a trovare la morte quando gli ultimi soldati dell’indipendenza caddero sotto i proiettili inglesi. Il mio nome divenne famoso. Non mi nascosi, lottai a viso aperto. Fu messa una taglia sulla mia testa, e se pure non si trovò un traditore che la consegnasse agli Inglesi, mio padre, mia madre, mia moglie e i miei figli pagarono per me prim’ancora che fossi informato dei rischi che correvano a causa mia. Ancora una volta il diritto era caduto di fronte alla forza. Tornai fra le montagne del Bundelkund. Là, ormai solo, colto da un immenso disgusto per l’umanità, pieno d’odio e di orrore per il mondo civile, deciso a fuggirlo per sempre, racimolai i resti del mio patrimonio, riunii una ventina dei miei compagni più fedeli e un giorno scomparimmo tutti. Dove andai a cercare l’indipendenza che la terra abitata mi rifiutava? Sott’acqua, nelle profondità del mare, dove nessuno poteva seguirmi. Lo scienziato si alleò, in me, all’uomo di guerra. Un’isola deserta del Pacifico ospitò i miei cantieri e là, su mio progetto, fu costruito un battello sottomarino. Lo chiamai Nautilus, mi ribattezzai capitano Nemo e scomparvi definitivamente sotto i mari. Note 1. Questo articolo non è un’esaltazione di Osama Bin Laden, del terrorismo e della violenza. Ma, di sicuro, non è neanche una difesa della violenza e del terrorismo delle potenze dell’Occidente contro il resto del mondo, che già imperversava un secolo e mezzo fa e continua e imperversare ancora oggi. Il genio artistico di Jules Verne non “profetizzò” (in Ventimila leghe sotto i mari) “solo” il sottomarino, o (in Dalla Terra alla Luna) la conquista dello spazio: immaginò, anche, a quali estreme conseguenze avrebbe portato la disumana pretesa dei Paesi cosiddetti “civili” di ridurre in schiavitù l’intero pianeta. Ma le classi “dirigenti” di quei Paesi, oltre che disumane, erano (e sono) troppo imbecilli per ascoltare le “farneticazioni” di un artista, non è vero? E così, purtroppo, il capitano Nemo è diventato realtà. 2. I brani in corsivo sono tratti da due dei più famosi romanzi di Jules Verne, nato a Nantes nel 1828 e morto ad Amiens nel 1905: Ventimila leghe sotto i mari, pubblicato nel 1869, e L’isola misteriosa, pubblicato fra il 1874 e il 1875. Clicca qui per scaricare il testo in .pdf Clicca qui per scaricare il testo in .doc (Lunedì 29 settembre 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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La foto e una parte del testo sono tratti dal sito di Repubblica. (Martedì 29 settembre 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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Da
Segnalazioni:
È
lecito pensare che l’improvviso arresto del cardinale pedofilo da parte
della gendarmeria di Bergoglio, con i conseguenti (blandi) “arresti
domiciliari” (sic!) sia servita in realtà ―
o almeno anche ―
allo scopo di risparmiare all’orco una dentenzione “laica” molto, ma
molto meno comoda?
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(Martedì 23 settembre 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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(Lunedì 22 settembre 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
Che cos’è la giustificazione delle assenze da Scuola? Clicca qui per leggere tutto il testo su ScuolAnticoli. Oppure: Clicca qui per scaricare il testo in .pdf. O qui per scaricarlo in .doc.
Il “rito” laico mattutino della giustificazione dell’assenza è l’abbraccio a distanza, rinnovato ogni giorno, che solennemente ribadisce, davanti all’alunno e figlio, l’alleanza tra genitore e insegnante nell’affetto e nella cura per lui.
La vignetta qui sopra si riferisce alla situazione degli Stati Uniti, dove le assenze da scuola sono ormai un problema nazionale (come si può vedere anche dalla fotografia che conclude questo articolo). Ad Anticoli Corrado le cose non stanno (ancòra?) così, e tutti ― genitori e insegnanti ― operiamo perché così non stiano mai. Affinché i bambini e i ragazzi anticolani non arrivino mai a considerare “normale” un così scarso rispetto per la propria vita scolastica da indurli poi, quando andranno alle “superiori” e godranno di maggiore libertà, a comportamenti che potrebbero essere molto rischiosi. Perciò ho deciso di scrivere questo articolo: perché ho l’impressione che alcuni (ovviamente non solo ad Anticoli, e non solo tra i genitori) si siano fatti un’idea errata del significato della cosiddetta “giustificazione” delle assenze da Scuola. E che perfino una parte di noi educatori, quale che sia il ruolo che ricopriamo, non abbia ben chiari il valore e l’importanza di quell’umile “pezzetto di carta”. Vi è chi “pensa” e dice, addirittura, che la richiesta, da parte degli insegnanti, della giustificazione dell’assenza da Scuola sia “una dimostrazione di sfiducia nei confronti della famiglia”! Verso tale idea, chi opera nella Scuola e le famiglie stesse, a mio parere, devono essere compatti nel dimostrarne l’erroneità e la pericolosità. Da parte mia, faccio quel che posso da anni. E oggi con questo articolo, le cui intenzioni positive saranno comprese, ne sono certo, da chiunque non sia prevenuto. La giustificazione delle assenze è l’opposto di una manifestazione di sfiducia nei confronti dei genitori degli alunni. È, al contrario, un pilastro (forse il pilastro) del rapporto di fiducia reciproca tra la Scuola e le famiglie, tra genitori e insegnanti. Senza la giustificazione, la Scuola (e le tante ore delle proprie vite che i bambini e i ragazzi vi trascorrono) perderebbero ogni significato, con le dolorose conseguenze che in altri paesi sono già in atto (come si vede dalle illustrazioni di questo articolo)... Clicca qui per continuare a leggere su ScuolAnticoli. Oppure: Clicca qui per scaricare il testo in .pdf.
L’insegna che negli Stati Uniti contraddistingue i locali pubblici responsabili. Il testo dichiara solennemente che il locale che lo affigge (bar, negozio, centro commerciale e quant’altro) non permette l’ingresso ai minori in orario scolastico. In basso, notate il numero della linea telefonica sempre attiva a cui chiunque è tenuto a segnalare le assenze ingiustificate da Scuola. (Domenica 21 settembre 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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Claudia onora ScuolAnticoli con la sua presenza con questa pagina e con questa. (Martedì 16 settembre 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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Clicca qui per la circolare ministeriale! Clicca qui per il manifestino! Clicca qui per il sito dell’Unicobas! (Martedì 16 settembre 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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(Martedì 16 settembre 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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Bentornata, Italia!!! Alla faccia di tutti quelli che non ci amano!!! (Clicca sull’immagine, se la vuoi in formato desktop!). (Lunedì 15 settembre 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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Qualche altra “chicca” dell’intervista di Stefania Giannini, successore di Benedetto Croce sulla poltrona di ministro della Pubblica Istruzione, a il Fatto di martedì 9 settembre 2014? Eccole: Magari posso piacere, posso affascinare. Credo di essere gradevole. [...] Io sono sempre me stessa, anche se mi stendo a prendere il sole. Il paparazzo ha rubato un pezzo di me, s’è intrufolato in casa mia, perché il mio corpo è la mia casa: ne tengo cura, la miglioro, la capisco. [...] Io resto una ragazza di campagna. E così via, ma è meglio che vi risparmi le parti più paurose, cioè quelle più “serie”. Mentre i bambini e i ragazzi italiani soffrono, e gli insegnanti con loro, in una Scuola derubata e umiliata (e tra poco definitivamente distrutta da una “riforma” il cui unico, vero obiettivo, incostituzionale, è quello di privare i docenti della libertà d’insegnamento), la signora ministro discetta sulla propria avvenenza e sulle cure che prodiga al proprio corpo. Meschino, insensato disprezzo per tutti gli Italiani, oltre che per i bambini e i ragazzi e i loro insegnanti? No: il vero disprezzo non è della Giannini, ma di chi l’ha messa dove sta. Non era mica il povero cavallo di Caligola che disprezzava il Senato di Roma: era Caligola.
(Martedì 9 settembre 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
La grave ingiustizia del cosiddetto “accorpamento classi” Clicca qui per leggere tutto il testo su ScuolAnticoli Clicca qui per scaricare tutto il testo in pdf Clicca qui per scaricare tutto il testo in Word Contenuto dell’articolo: 1. I cosiddetti “accorpamenti” di classi sono illegittimi, dannosi e pericolosi. 2. Contro di essi, cosa possono fare i docenti, i genitori e (nelle scuole superiori) gli studenti? 3. La legislazione sulla sicurezza delle classi. 4. Modulistica per gli insegnanti e per i genitori.
1. I cosiddetti “accorpamenti” di classi sono illegittimi, dannosi e pericolosi. Nelle Scuole può il dirigente scolastico assegnare supplenze, anche brevi, per evitare che le classi siano “accorpate” (ancor più di quanto già lo sono per colpa dei governi italiani di finta sinistra-destra) danneggiando l’attività didattica e indebolendo la sicurezza fisica dei bambini? Su questo punto cruciale è in corso una difficile, talora aspra, discussione fra molti dirigenti scolastici e amministrativi, contrari (la parte più paurosa dei dirigenti? la più asservita alle forze politiche? qualcuno che, addirittura, ha contratto o vuol contrarre debiti di “riconoscenza” con la classe politica?) e la stragrande maggioranza delle/dei docenti, per la maggior parte favorevoli, sostenuti dai sindacati. Perché le famiglie degli alunni non si fanno sentire? Sul tema, quanto mai importante, mi è stato segnalato il testo che segue... Clicca qui per continuare a leggere su ScuolAnticoli Clicca qui per scaricare tutto il testo in pdf Clicca qui per scaricare tutto il testo in Word (Lunedì 8 settembre 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
La “buona Scuola” di Matteo Renzi L’unica buona Scuola di Matteo Renzi, del Pd democristiano e dei berluscisti è la Scuola morta, lo sappiamo da anni e ne abbiamo oggi l’ennesima conferma. Clicca qui per scaricare il mellifluo depliant pubblicitario di regime dell’ennesima finta riforma per derubare i bambini e i ragazzi italiani e per consegnarli a una casta di “caporali” (alias i dirigenti scolastici e i loro “cocchetti”) e a insegnanti ridotti in schiavitù (tre anni di lavori forzati extra-contratto gratuiti, poi si vedrà) col ricatto del trasferimento forzato. E privati di ogni potere con il golpe scolastico della riduzione del Collegio docenti a consiglio dei docenti, cioè a organo solo consultivo. (Golpe che fa il paio, del resto, col colpo di Stato della riduzione del Parlamento a megafono del cosiddetto premier). (Mercoledì 3 settembre 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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Cosa c’è che non va? I capi. In ogni impresa, in ogni attività, in ogni luogo, ovunque cerchiamo di realizzare qualcosa insieme, ecco che arrivano i capi. Chi sono? Sono quelli che nella vita non sono riusciti né a stare insieme né a far da soli. Perciò vengono a infastidire noi, a ostacolarci, ad addolorarci, a farci fallire. A far di tutto per sfasciare tutto. Non capi, no: “caporali”, nell’accezione che diede al termine il grande Totò. Un capo vero andrebbe scritto con la C maiuscola, poiché è l’opposto del “caporale”... Clicca qui per continuare a leggere il testo su ScuolAnticoli. Oppure: Clicca qui per scaricare il testo in .pdf. (Martedì 2 settembre 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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L’immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell’artista danese Viggo Rhode (1900-1976).
L’ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.
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