ScuolAnticoli

Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca

 

L'immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell'artista danese Viggo Rhode (1900-1976). L'ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

La Terra vista da Anticoli Corrado

nel novembre del 2017

 

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(Martedì 28 novembre 2017. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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(Sabato 25 novembre 2017. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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I bambini sentono la falsità. Diffidano e hanno paura degli adulti insinceri. Provano ribrezzo per una carezza ipocrita. E distinguono alla perfezione la falsità “recitata” (cioè la finzione, nel gioco o nello spettacolo) da quella di chi è falso davvero.

Tutti i bambini, a riprova del fatto che nessuno nasce insensibile. Che ogni essere umano, per natura, percepisce in ogni altro anche quel che non si vede né si tocca, e che la ragione non calcola né può misurare.

Poi, col tempo, non resistendo al dolore loro inflitto da adulti anaffettivi, alcuni lo diventano anch’essi. Pèrdono la naturale capacità di sentire la differenza tra il falso e l’autentico. Anzi: nemmeno la capiscono più. Se gli si dice che le azioni e le opere, quando non esprimono ma nascondono e contraffanno la realtà umana di chi le compie, sono ripugnanti e malsane pur se tecnicamente “perfette”, anche solo comprenderlo razionalmente è per loro impossibile.

Cosa rimane, a quel punto, del rapporto con gli altri? La valutazione razionale della loro utilità. E del rapporto con ciò che gli altri fanno? La valutazione razionale della sua perizia tecnica. Dell’abilità con cui viene eseguito.

In questo, anzi, si può diventare intenditori” così esperti, critici così raffinati”, da illudersi di essere in contatto con quel che si esamina anche se invece, dinanzi a esso, non si sente più niente.

Un’opera d’arte, per esempio, come un abbraccio, può dare piacere o ribrezzo, gioia o dolore. Ma non agli attuali “esperti”. Né tanto meno a chi non può ribellarsi alla loro tirannia perché non ha più sentimenti né affetti che gliela rendano insopportabile.

(Mercoledì 22 novembre 2017. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Non vi è imitare che non sia schernire, consapevolmente o meno.

L’adorazione del passato, come ogni altra fede, è creazione, imposizione e adorazione del falso. (Luigi Scialanca)

 

Nel bellissimo scritto di Birgitt Shola Starp Hebborn, Alegre, Dietrich, Starp... vite intrecciate di artisti in Anticoli Corrado, pubblicato su Aequa n°34 nel luglio 2008, vi è soltanto una frase con cui non sono d’accordo, l’ultima: “Affido al flusso cristallino della Vita Vera questi ricordi e questi cari morti, sperando che dal loro stato illuminato possano dare impulsi vitali e pieni di gioia e amore ad Anticoli Corrado, che tanta magia ha ispirato e vissuto”.

Non voglio intromettermi nel rapporto di Birgitt con i suoi “cari morti”. Sarebbe insensato, oltre che violento. Quel che non accetto è l’idea che essi (sia pure dall’attuale loro “stato illuminato”, ovunque siano o non siano) possano offrire ad Anticoli Corrado “impulsi vitali e pieni di gioia e d’amore”. Eric Hebborn, specialmente, secondo me ha inflitto ad Anticoli, e non solo ad Anticoli, “impulsi” non “vitali” ma distruttivi, e pieni non certo “di gioia e d’amore”, ma di disperazione e odio. E mi pare che continui a farlo, anche da morto, dallo stato molto poco illuminato che creò per sé nelle menti di certi Anticolani, per i quali il suo ricordo è ancora oggi tanto prezioso quanto incompreso.

Il rapporto in cui voglio intromettermi, dunque, è quello di Eric Hebborn (e dei suoi “seguaci” di allora e di oggi) con l’umanità, con la donna, con l’arte, con Anticoli Corrado. Per estinguere, una volta per sempre, gli “impulsi” che tale rapporto ha imposto e seguita a imporre a noi tutti.

Le parole appassionate e sincere di Birgitt Shola Starp lo dicono chiaramente: Eric Hebborn cercò di distruggerla, come donna e come artista. Perché? Perché odiava le donne. Odiava l’arte. Odiava, soprattutto, l’umanità. Eric Hebborn non fu mai un vero artista, ma per tutta la vita finse di esserlo per spacciare il proprio odio per amore. E fu Anticoli, piccola e indifesa come Birgitt allora, che odiò più di qualsiasi altro luogo: fu ad Anticoli che cercò per trent’anni di falsificare e distruggere il rapporto con l’arte sul quale si basa, da secoli, la nostra speranza e la nostra lotta per serbarci umani.

“Ci volle un anno e mezzo” scrive Birgitt “prima che Eric Hebborn mi rivolgesse la parola personalmente, anche se ogni giorno frequentavo la sua casa” [in qualità di compagna dell’artista Manfred Dietrich]. “Allora non avevo la minima idea della natura dei suoi introiti né della sua attitudine a condurre una doppia vita: ingenuamente lo consideravo un amico e un artista”. “Le [sue] lezioni furono una grande tortura, per me. [...] La mia gioia del dipingere e la passione per i colori scomparvero. [...] Il [suo] modo accademico di fare arte violentò la mia indole, il mio approccio alla creazione dell’immagine, che era sempre partito [...] da un forte senso di attrazione affettiva per i soggetti”. “Mi fu così ostico sottostare alla sua disciplina e rappresentare quei soggetti banali, che non dipinsi addirittura più. Ancora oggi [2008], per me, è una sfida enorme riprendere i pennelli: mi si bloccò l’accesso ludico, personale, passionale ai colori”. “Ero arrivata a vent’anni ad Anticoli, già piena di artisti rinomati e di vent’anni più vecchi di me. [...] Io, con talento e abilità ma compagna di un artista, dovevo essere... solo compagna. Manfred non incoraggiava la vendita delle mie opere ai suoi clienti. Anzi: se diventavo sua collega, andava in crisi”. “Quando mostrai a Eric Hebborn il mio libro di schizzi, realizzati nei cinque anni di convivenza con Manfred, mi disse con durezza e disprezzo che li avevo fatti solo per fare colpo”.

Un comportamento così disumano contro una ragazza di vent’anni, “colpevole” solo di crederlo “un artista e un amico”, da dove poté scaturire se non da un odio forsennato per tutte le donne?

Birgitt, nel suo scritto, se lo domanda: “Cosa mai era stato a suscitare in lui quella lettura contorta dei miei lavori?” Ma non risponde. Eppure intuì, forse senza rendersene conto, che Hebborn cercava di distruggere, in lei, la donna che le rappresentava tutte: tutte le splendide, vitali, appassionate, immaginose, intelligenti donne delle quali non tollerava l’esistenza.

Tant’è vero che decise di lasciare Anticoli, oltre che per sottrarsi alla mortale fascinazione di quell’odio e ritrovare sé stessa, per dedicarsi a una ricerca sull’immagine femminile: “Nell’accademia olandese di Kampen [...] andai avanti da sola nelle sale deserte, fuori orario, incoraggiata da un professore che riconobbe la mia ricerca. [...] In assenza di punti di riferimento, iniziò [per me] una lunga serie di apparizioni tematiche sugli archetipi femminili. Per decenni svolsi ricerche storiche, antropologiche, di fiabe, religioni comparate, iconografia religiosa internazionale, simbologia, psicologia junghiana, storia dell’arte, [...] per orientarmi in questa nuova, strana forma di espressione che mi scaturiva tra visione, sogno e ricerca formale e materica, e che non seguiva alcun canone stilistico e tecnico appreso fino ad allora”.

E la ricerca ebbe successo: Birgitt uscì dal nefasto “cono d’ombra” di Hebborn, e nel 1993 ne diede prova con la mostra Archeologia del seme, inizio di un nuovo, personale cammino che a distanza di un quarto di secolo continua a esserle fecondo di scoperte e di realizzazioni.

Rifiutando Hebborn, come donna e come artista, Birgitt Shola Starp non è fallita. E del proprio successo ha offerto ad Anticoli la mirabile prova che l’Amministrazione Meddi volle porre all’ingresso del Comune che ci rappresenta tutti: la Danza delle anime gemelle.

E Anticoli? Quali effetti ebbe, sulla collettività anticolana, la trentennale “intossicazione” a cui fu sottoposta dalla fucina d’odio di Eric Hebborn e della sua corte degli anti-miracoli?

Una cosa è certa: ad Anticoli, che con l’immagine femminile aveva e ha non pochi e non piccoli problemi, l’odio di Hebborn non poteva far bene, e non gliene ha fatto.

Ma c’è di più. Eric Hebborn, ripeto, non odiava “solo” l’immagine femminile: odiava anche Anticoli. Ed è ovvio: non poteva non odiarla, perché l’immagine di Anticoli è femminile. È l’immagine che le diedero le modelle anticolane1, alcune delle quali artiste esse stesse, e i pittori e gli scultori ― veri, non fasulli ― che alle donne di Anticoli si ispirarono perché le amarono. Poiché ebbero, per Anticoli e per le Anticolane, il “forte senso di attrazione affettiva per i soggetti” di cui parla Birgitt.

Delle seicento pagine dell’Autobiografia di un falsario, Hebborn ne dedica ad Anticoli Corrado, dove trascorse metà della sua vita, appena l’un per cento, vale a dire 6 (sei). Ma dire “dedica” è mistificante: in quelle pagine Anticoli è tutt’al più nominata, e sempre con irrisione. Chiamando le modelle “paesane” e sùbito disinteressandosene. O trattando da disonesti gli Anticolani che percepirono compensi dai produttori del film Il segreto di Santa Vittoria. O invocando il “perdono di Dio” su Arturo Martini e sulla sua fontana in Piazza delle Ville2. Perché?

Anche questo è ovvio: poiché l’immagine vera di Anticoli è femminile e artistica. Ed Eric Hebborn non odiava “solo” le donne: odiava anche l’arte. Non lo dico io: lo dice, senza volerlo, proprio l’Autobiografia di un falsario. Lo dice, insomma, la storia di tutta la sua vita.

La carriera “artistica” di Hebborn, infatti, ― al pari della sua vicenda umana e dei suoi rapporti, tutti imperniati sull’annullamento della donna3 ― si basò sull’annullamento, in blocco, dell’arte novecentesca. Cioè sull’annullamento di tutta l’arte, poiché (così come ogni essere umano non è quello che fu o sarà, ma quello che è nel presente), l’arte non è mai la sua storia, il suo passato, ma sempre la sua ricerca, la rotta attuale della sua navigazione attraverso l’Oceano infinito dell’Umanità. Da dove essa viene è molto importante, certo. Ma quel che l’arte è oggi è dove sta andando.

Per Eric Hebborn, la ricerca artistica del ’900 ― cioè, ripeto, tutta l’arte ― non esisteva. Non era arte. Ma se non era arte, che cos’era? Niente. “Amare” l’arte, per Hebborn, consisteva nel renderla inesistente tutta “pensando” che l’arte abbia cessato di esistere alla fine dell’800.

Ora, la gravità di tale annullamento non la può comprendere, nemmeno alla lontana, chi ignora che annullare non significa “mancare d’interesse”, “trascurare”, “distrarsi”, “dimenticare”. Non è “respingere” un rapporto. L’annullamento4 è odio attivo, ancorché inconsapevole, nei confronti della realtà umana di cui sono pieni tutti i rapporti e tutte le attività umane. Nei confronti, cioè, di quel che rende umani tutti noi e dell’individuale vissuto umano di ognuno. È, per esempio, trattare una donna come se sia nulla, come fece Hebborn con Birgitt, senza neppure accorgersene, e anzi continuando a credersi e a farsi credere in rapporto con lei. È, insomma, stroncare la realtà umana non fisicamente, con la violenza materiale, ma bensì rendendola inesistente. Inoculando anche negli altri il proprio “pensiero” gravemente patologico che essi non esistano umanamente: che siano, umanamente, nulla.

In quali altri? Viste le “ambizioni” di Hebborn, nella collettività umana: in tutto il pianeta. Vista, invece, l’effettiva portata patogena della sua azione, nella collettività anticolana.

In una collettività, cioè, la cui esigenza era ed è l’esigenza opposta di essere aiutata a uscire dall’annullamento. A sentire che la donna esiste. Che esiste l’arte. Che esiste l’umanità.

Scaltramente ― anche se forse inconsapevolmente ― Eric Hebborn dissimulava il proprio odio per l’arte professando un amore appassionato per l’arte de ’na vota (“di una volta”, in dialetto anticolano): per l’arte “classica”. Per i grandi maestri del passato e per le loro opere.

Amore vero? No.

Che amore è, infatti, quello che per tutta la vita si dedica a svalutare l’amata imitandola, contraffacendola, falsificandola, e in tal modo instillando in lei e in tutti un dubbio tormentoso sulla sua validità umana e sulla sua bellezza? Non è amore: è, ancora una volta, puro odio.

(Birgitt Shola Starp lo dice: “Eric Hebborn era troppo pieno di angosce per essere autentico: la sua autenticità gli avrebbe fatto produrre mostri come quelli che Goya dipinse nella Casa del Sordo”. Ma Birgitt, benché individui esattamente la malattia, sbaglia la diagnosi: Hebborn era falso non perché altrimenti avrebbe dipinto mostri, ma perché la sua azione mostruosa ― antiartistica, antifemminile, antiumana ― non poteva compiersi che per mezzo del falso).

Egli, dunque, non cercò di rendere inesistente “solo” l’arte del ’900. Falsificando l’arte “classica” fece sì che ancora oggi, dinanzi a qualsiasi opera, ognuno si ritrovi dolorosamente a domandarsi: “Sarà autentica o di Hebborn?” “Sarà originale, o di qualche altro falsario come Hebborn?” “C’è umanità, in questa opera, appassionata e sincera, o invece il nulla?” “C’è umanità, negli artisti, o solo finzione e raggiro?” “C’è umanità, in ognuno di noi, o solo un’ignobile commedia?”

Questo e non altro è il “pensiero” sull’arte e sull’umanità che Eric Hebborn ha diffuso per tutta la vita ovunque ha potuto. E in particolare, per trent’anni, in Anticoli Corrado.

Da Eric Hebborn, le Anticolane e gli Anticolani subirono per trent’anni un attacco continuo, oltre che al rapporto con la donna, al rapporto con l’arte (e quindi con l’umanità). Da un lato attraverso l’annullamento della ricerca artistica del ’900, dall’altro attraverso la falsificazione dell’arte classica. Come odio per l’una, e come scherno (poiché imitare è sempre schernire) per l’altra.

E oggi?

Oggi, da oltre vent’anni, Hebborn non c’è più. Ma ci sono ancora i suoi “seguaci”.

“Grazie” ai quali Anticoli, se un problema ha, è proprio l’annullamento della ricerca (nel presente e per il futuro) camuffato da “amore”, fasullo e falsificante, per il passato. E quindi l’annullamento della propria umanità, presente e futura, camuffato da “amore”, fasullo e falsificante, per i propri “avi”.

Come Hebborn, i suoi “seguaci” ― che non sono, sia chiaro, tutti gli Anticolani, e forse nemmeno la maggior parte ― continuano imperterriti a imitare (cioè falsificare e disumanizzare) il passato “pensando” di amarlo. Come se il ’900 non ci fosse stato, continuano a sfilare in processioni e pellegrinaggi che non sono altro che contraffazioni anaffettive di quelli che furono; continuano a esibire come preziose reliquie le foto d’epoca, o addirittura le foto attuali in costume “folkloristico”, mentre lasciano andare in rovina il centro storico e insozzano la splendida piazza delle Ville; continuano ad adorare le mummie di tutti quelli che direttamente o indirettamente tentarono di distruggere Anticoli (da Corradino d’Antiochia a... Hebborn, da Stalin a Renzi, da Mussolini a Berlusconi) mentre disprezzano chi tenta di ricostruirla; continuano a saltellare al ritmo dei tamburelli, degli organetti e delle zampogne mentre rendono inesistente, senza neppure accorgersene, il ritmo appassionato, talvolta splendido, talvolta tragico, del vissuto umano di tutti e di ognuno. E così facendo abbandonano i propri figli, disgustati da questa atmosfera perennemente funebre ma non sempre capaci di tentare di renderla diversa, e annullano l’esigenza comune di una ricerca nuova, di un’arte nuova, di un’umanità all’altezza di sé stessa.

Dalla morte di Hebborn a oggi, solo due opere, ad Anticoli, anziché falsificare il passato illudendosi di amarlo, si sono avventurate nel presente: la Danza delle anime gemelle, di Birgitt Shola Starp, e Agliu Vadu, la nuova fontana del Vado di Paula Caccavale5. Due donne, non a caso. Entrambe mai considerate, dai passatisti-misogini-hebbornisti di cui sopra, come meritavano e meritano.

Ma l’adorazione del passato, come ogni altra fede, è creazione, imposizione e adorazione del falso. E annullamento, al contempo, del presente, del vero, dell’umano.

Tu nun sì andicurano” (“Tu non sei anticolano”) dicono alcuni a chiunque non cerchi di umiliare sé e gli altri costringendosi e costringendoli all’eterna ripetizione coatta di un passato fasullo. Intendendo: “Tu non esisti”. “Tu sei nulla”. E continuando, perciò, ad affidarsi ai falsari, ai misogini, agli odiatori dell’umanità. Peggio: a ripetere i falsari, i misogini, gli odiatori dell’umanità.

(Domenica 19 novembre 2017. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

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[1] Sulle modelle anticolane mi permetto di suggerire ai lettori il mio saggio Modelle e Zitelle - Immagini della Donna nel Novecento della Valle dell’Aniene, reperibile su Amazon, nel quale la loro straordinaria avventura è descritta a partire dall’ipotesi che le modelle “andassero dagli artisti irrazionalmente, senza coscienza, cercando una nuova immagine di sé in un rapporto interumano e sessuale di cui non vi fosse altra convalida che quella della donna e dell’uomo che tentano insieme la creatività, la ricerca, la realizzazione che per natura distinguono l’umano dal non umano prima che lo colga un qualsiasi battesimo o altre investiture”.

[2] Su Arturo Martini, vedi il mio saggio Arturo Martini ‘cattivo’ ad Anticoli Corrado, reperibile su Amazon.

[3] Sia chiaro: l’omosessualità di Eric Hebborn niente ha a che vedere con tutto ciò. O meglio: lo avrebbe, qualcosa a che vedere, se l’omosessualità fosse sempre annullamento della donna. Ma io non lo credo. Penso, al contrario, che vi sia anche un’omosessualità che è invece ribellione (disperata?) a una certa “identità” maschile ed eterosessuale che si fonda, essa sì, sull’odio per la donna. Ma non è il caso di Eric Hebborn: egli, mi pare evidente, odiava davvero le donne (o non si spiega il suo comportamento nei confronti di Birgitt Shola Starp), ed è di tale odio che qui mi occupo, non della sua omosessualità. Non cambierei una riga di questo articolo, se egli fosse stato eterosessuale.

[4] Scoperto nella seconda metà degli anni ’60 del ’900 dallo psichiatra e psicoterapeuta Massimo Fagioli (1931-2017), e da lui descritto e spiegato nelle sue tre opere fondamentali (Istinto di morte e conoscenza, La marionetta e il burattino, Teoria della nascita e castrazione umana) e in molti altri testi, tutti pubblicati da L’Asino d’oro.

[5] Su Birgitt Shola Starp vedi anche qui, qui e qui. Su Paula Caccavale, qui, qui. Su entrambe, qui.

 

 

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(Lunedì 13 novembre 2017. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Da Franz Kafka, La metamorfosi (1916):

Quando, la mattina presto, arrivò la donna a mezzo servizio, nel fare come sempre la sua breve visita a Gregorio, all’inizio non notò niente di straordinario. Credette che quello rimanesse di proposito così immobile, per fare l’offeso; poiché lo riteneva capace di pensare come un essere umano. Con la lunga scopa che per caso stringeva, cercò di solleticarlo rimanendo sulla porta. Visto che neanche così otteneva nulla, si arrabbiò e colpì più forte. Il corpo si spostò, senza resistenza; allora si incuriosì. Appena si fu resa conto di quello che era successo, spalancò gli occhi, si mise a fischiettare, ma poi non si trattenne, spalancò la porta della camera da letto e gridò nel buio: “Vengano a vedere: è crepato; se ne sta lì disteso, proprio crepato!”

[...] “È morto?” chiese la signora Samsa guardando la vecchia con aria interrogativa, sebbene potesse vedere la cosa da sola e persino convincersene senza verifiche. “Direi” disse la donna, spingendo con la scopa, a riprova, il cadavere di Gregorio e facendolo scivolare per un bel tratto. La signora Samsa abbozzò un gesto per trattenere la scopa, ma si fermò a metà. [...] Grete, che non aveva distolto gli occhi dal cadavere, disse: “Guardate com’era diventato magro. È tanto che non mangiava più niente. I cibi uscivano dalla camera tali e quali com’erano entrati”. In realtà il corpo di Gregorio era secco e appiattito: si vedeva bene, ora che non era più sollevato dalle zampine e che nulla distraeva lo sguardo.

[...] Decisero di dedicare quel giorno al riposo e al passeggio; non solo avevano meritato quella tregua, ma ne avevano assolutamente bisogno. Sedettero al tavolo e scrissero tre lettere di scusa, il signor Samsa al suo direttore, la signora al suo commissionario e Grete al suo principale. Mentre stavano scrivendo, entrò la vecchia a dire che aveva finito e che se ne andava. I tre annuirono, senza alzare lo sguardo; poi guardarono risentiti, perché la donna non accennava a muoversi.

“Allora?” chiese il signor Samsa. La donna si era fermata sorridente sulla soglia, come se avesse da annunciare alla famiglia una grande fortuna ma volesse farsi pregare. La piccola penna di struzzo dritta sul cappello, che il signor Samsa, da quando la donna era al suo servizio, non aveva mai potuto soffrire, oscillava di qua e di là. “Ma cosa vuole, insomma?” chiese la signora Samsa. Per lei la donna mostrava più rispetto che per gli altri. “Eh sì”, fece quella, ma non poté continuare, tanto rideva contenta. “Insomma, volevo dire che non si devono preoccupare su come portare via quella roba là. Ho pensato a tutto io”.

(Venerdì 10 novembre 2017. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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(Mercoledì 8 novembre 2017. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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La mia disistima per Trump è assoluta. Malgrado ciò, non posso fare a meno di notare che è il primo presidente che ammette che “gli Stati Uniti hanno un problema di salute mentale”. Detto è vero da uno che probabilmente in qualche modo se ne intende in prima persona, ma... pur sempre detto.

(Lunedì 6 novembre 2017. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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(Giovedì 2 novembre 2017. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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(Mercoledì 25 ottobre 2017. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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