L'immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell'artista danese Viggo Rhode (1900-1976). L'ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

ScuolAnticoli

Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca

 

La Terra vista da Anticoli Corrado

 

diario del Prof (scolastico e oltre)

 

luglio 2008

 

Home     Indice delle puntate precedenti

domenica 13 luglio

 

La Classe 2005 - 2008 della Scuola Media di Anticoli Corrado giovedì 22 novembre 2007 a Roma.

La Classe 2005 - 2008 della Scuola Media di Anticoli Corrado giovedì 22 novembre 2007 a Roma.

La Classe 2005 - 2008 della Scuola Media di Anticoli Corrado giovedì 22 novembre 2007 a Roma.

La Classe 2005 - 2008 della Scuola Media di Anticoli Corrado giovedì 22 novembre 2007 a Roma.

La Classe 2005 - 2008 della Scuola Media di Anticoli Corrado giovedì 22 novembre 2007 a Roma.

La Classe 2005 - 2008 della Scuola Media di Anticoli Corrado giovedì 22 novembre 2007 a Roma.

La Classe 2005 - 2008 della Scuola Media di Anticoli Corrado giovedì 22 novembre 2007 a Roma.

 

Com’è bello fare l’Insegnante

 

Clicca qui per scaricare il testo - 140 kb, 7 pagine - in Word     Clicca qui per scaricare il testo - 108 kb, 7 pagine - in pdf

 

Sia io che Andrea siamo entrati in questa classe un po’ in ritardo, quando era già una Seconda media. Con problemi diversi? Non tanto. Quelli di Andrea erano quelli del Prof in miniatura. La differenza d’età, per esempio. La sua ben più esigua della mia (ahimé) ma quando si è così giovani, dodici mesi possono valere anni. L’estraneità, poi ― anch’essa minima, nel suo caso, ma non pari a zero ― rispetto a un gruppo esistente da tempo e molto affiatato, che sembrava non avere alcun bisogno né di lui né di me. E infine una qualche diffidenza personale nei nostri confronti (per lui, per fortuna, mille volte meno che per me) ispirata contro entrambi dai discorsi psicotici di certi adulti. Che avvelenano la vita al prossimo, purtroppo, anche nel Paese immaginario. Ebbene: Andrea se l’è cavata molto meglio di me. Già dopo poche settimane, non solo si è fatto pienamente accettare, ma per il Prof era addirittura diventato un valido aiutante. In che cosa? Per esempio, nel moderare ― mai da gendarme, solo con un comportamento sempre garbato e responsabile ― i momenti di (lieve) intemperanza in cui talvolta incorrevano i compagni. Intemperanze solo verbali, si badi bene (ne riparleremo, tra poco, a proposito del raffinato sense of humour di Davide) ché questa è stata la classe di gran lunga più corretta e responsabile che ho incontrato in vita mia (comprese quelle di quand’ero ragazzo io) ma che in Andrea comunque suscitavano l’istintivo disappunto cui va soggetto chi ama la perfetta armonia fra le persone.

 

Questa, infatti, secondo me, è la miglior qualità di Andrea: il suo amore per la naturale consonanza fra gli esseri umani (collegato forse a un ereditario istinto musicale ― rammento di essermi più duna volta incantato nel mezzo di una lezione, anni fa, udendo gorgheggiare sua sorella Valentina) e la capacità di rinfocolarla e mantenerla viva con un gesto, una parola, uno sguardo, un sorriso, un moto del corpo, come un mastro vetraio di Murano che con un sospiro e pochi tocchi leggeri rifinisce la trasparente, fragile creatura che intanto sembra venire al mondo da sé sola, riempiendo di gioia chi la guarda e lui.

 

Poi, certo, Andrea ha anche qualche difetto (e chi non ne ha?) Un po’ di pigrizia, per esempio, che lo coglie però non dinanzi alla fatica in quanto tale ― più d’una volta, in classe, l’ho visto lavorare duro su un tema per ore in gran concentrazione, sentendo intorno a sé il concerto degli altri intenti a far lo stesso ― ma quando la fatica è da compiersi in solitudine tra oggetti inanimati: come i libri, i quaderni, fra i quali non si crea larmonia che fanno tra loro i viventi quando la vogliono (e talvolta anche quando non la vogliono) e che Andrea ama e sa così bene rinvigorire e far durare.

 

Se scoprirà che anche gli oggetti son vivi e umani per l’umanità di chi li ha concepiti e prodotti ― l’opposto di ciò che vuol farci credere chi anche negli umani non vede che oggetti ― la pigrizia che la loro inanimata apparenza suscita in lui si dileguerà come si dilegua in classe la reciproca noia (comunque rara e lieve) quando Andrea sbuffa su di essa il suo Oh, regà!..., ed egli potrà impegnarsi con successo anche in ciò che oggi lo affatica senza remunerarlo quanto merita. Ma questo ampliamento di orizzonti, benché auspicabile, non è necessario alla felicità di Andrea: ne avrà da qualsiasi attività che dia modo a uomini e donne e bambini di godere (anche senza accorgersene, anche senza sapere da dove vengano) degli impercettibili colpetti di bacchetta magica che con sorridente discrezione egli profonde intorno a sé.

 

Cecilia, invece, è forse colei che in classe interviene meno ― in pubblico, intendo, ché nel privato mi è parso di capire, per esempio da ciò che talvolta diceva suo fratello Giacomo, che sia molto più intraprendente. Non solo ai rapporti fra i compagni, ma anche a quelli fra loro e il Prof, Cecilia assiste infatti come un’antropologa appassionata, che ami i suoi selvaggi malgrado la loro rozzezza: non con indifferenza, cioè, ma anzi coinvolta e attentissima e sempre intenta a prendere di quel che accade dettagliati appunti e a comporre immagini e pensieri che però non rivela mai, neanche con lo sguardo, nemmeno con un fremito, come temendo che la profondità di essi sia fraintesa, immiserita, e di conseguenza faccia senza volerlo del male a chi, come noi, si è ormai abituato a vivere assai più vicino alla superficie.

 

Dicono che Cecilia sia timida, ma io credo invece che sia riservata. Che è una cosa molto diversa. Il timido, quello vero, dubita del proprio valore e dellaltrui, che è come dire che dubita del valore degli esseri umani. Non vede tesori, dentro di sé e intorno a sé, che inducano e valgano lo strenuo impegno delle relazioni umane. Riservato, al contrario, è chi cerca di tenere al riparo dalle ferite della volgarità ciò che sente prezioso: i rapporti, i sentimenti, le immagini, i pensieri, non solo propri ma anche degli altri. E Cecilia è così. Se fosse un personaggio di Shakespeare ― cosa che per sua fortuna non è ― sarebbe Cordelia. Porre domande sui film, per esempio, le riesce più difficile che a Sonia non perché intuisca e desideri meno, ma perché forse si rende conto perfino più di lei di quanto siano intime le corde che io cerco di far suonare in loro pretendendo quelle domande. E però anche le sue corde suonano, e come se suonano, e lo capisci quando un bel giorno ti porge un fogliettino con sei o sette laconici quesiti colossali e ti ritrovi a cercar tu le parole per sapere da lei fino a che punto sia su sé stessa che sta ponendo questioni così alte e drammatiche.

 

Le sarà di grande aiuto, la riservatezza. La proteggerà dalle percosse morali a cui l’intelligenza e la bellezza altrimenti la esporrebbero ogni volta che avrà a che fare con persone guaste, di quelle che scorgono e profittano di ogni resa alla loro volgarità per inquinare e ferire nei bambini, nei ragazzi, ciò che da bambini e ragazzi non difesero in sé stessi. E, così protetta, immagino Cecilia procedere nella vita come una regina in incognito, un Harun ar-Rashid femmina che perlustra i suoi domini ― poiché i domini umani, diversamente dai territori degli altri animali, son vasti quanto desidera e sa ognuno di noi, e quelli di una ragazza anche di più ― in gran segreto, senza che alcuno sappia chi è e quanto può, senza toccare né essere toccata, ma raccogliendo ovunque immensi tesori, per sé e per i fortunati che ama.

 

In ogni umano è racchiuso un incommensurabile mistero, ignoto agli altri e anche a lui. Non tanto per quel che non riveliamo o perfino non sappiamo di noi stessi, ma per l’infinita creatività di cui son capaci i nostri cuori e le menti. Ed è per questo che c’è chi diffida della propria umanità: perché fin da bambino gli fu inculcato il terrore che dal fondo di essa non emergano che mostri, per difendersi dai quali si debba rinunciare alla libera esplorazione di sé e rassegnarsi a che altri, uomini o dei, contro natura stabiliscano una volta per sempre chi siamo. Cecilia, invece, non solo non ha alcun timore del proprio mistero, ma con affascinante eleganza si veste di esso come di un abito di gran lusso, che la difenda da ogni ten­tativo d’invasione. E al cui riparo, lo so per certo, altro che mostri: immagini e idee personali e bellissime. Fa’ come lei, Sonia, quando sarete insieme al liceo: ammantatevi di mistero tutte e due, e concedete di farvi un po’ di luce solo a chi ne abbia di buona, e calda come un bel focherello anticolano...

 

Di tutti e sei questi ragazzi dovrei magnificare l’intelligenza (non così, tanto per dire ― a chi si nega, oggi, un intelligente o perfino un geniale? ― ma intendendo l’intelligenza che fa sentire l’insegnante ogni giorno a rischio di non arrivare tanto in alto o in profondità da riuscire anche questa volta ad affacciarsi nei loro cuori e nelle menti sempre più vasti e mirabili e insidiosi, di restarne fuori una volta per sempre a ripetere pantomime svogliate che non incantano più nessuno né lui medesimo.) Ma di Davide, in particolare, devo dire che è uno dei ragazzi più intelligenti e intuitivi che ho conosciuto in vita mia. Riservato, anche lui ― e più di Cecilia, al punto da non scoprirsi davvero mai, nemmeno quando sarebbe facile fingere di star solo facendo una domanda su un film ― e deciso per di più a celare l’intelligenza per salvarsi la fanciullezza dall’immane impegno a cui l’intelligenza costringe quando la scopre uno come il Prof, incapace di risparmiarle quasi tutto ciò che può metterla alla prova. Solo che Davide non riesce a nascondere le sue doti ― tranne, è ovvio, agli insegnanti disposti a riconoscerle solo a chi mai li cimenta sul serio ― perché di continuo lo tradiscono, negli occhi e sulle labbra, lampi d’ineguagliabile comprensione che forse non sa di lanciare e fulminanti battute di spirito che potrebbe ma non vuol trattenere. È il raffinato sense of humour di Davide a cui accennavo, e la sua condanna ― presso, s’intende, gli insegnanti veri ― a una visibilità, a una simpatia, a un’attenzione sempre in cerca di appigli per indurlo al lavoro e alla ricerca (oltre l’immenso lavoro e le instancabili ricerche che Davide già svolge nei giochi e nelle amicizie) alle quali mi auguro che egli non riesca mai a sfuggire.

 

Ma comprensione e humour fanno di Davide soprattutto l’allegro, fiabesco, mansueto, insospettato leader dei compagni e l’idolo delle compagne (specialmente di Sonia) poiché tutti intuiscono (o addirittura vedono) che esse lo rendono pari ai migliori fra gli insegnanti, e di gran lunga superiore ai peggiori. E ciò intuendo (o addirittura vedendo) tutti sono da Davide aiutati a riconsiderare grande il proprio valore, che il ruolo di alunni, di piccoli (e di figli) sembra invece rimpicciolire. Povere classi, dunque, quelle ove non c’è un Davide a cogliere col sorriso affettuoso dell’autentico saggio i limiti, le contraddizioni, le assenze, le buffonate di chi ogni giorno monta in cattedra, sì, ma qualche volta ne cade! Poiché, se non c’è un Davide, e le classi sono perciò meno mirabili di quelle che un Davide l’hanno, il suo ruolo tocca inevitabilmente al ribelle più “bullo” e disperato, a chi dagli adulti è stato a mano a mano stretto ad entrare in una scuola e domani nella vita come un toro nell’arena, a farsi trafiggere a morte proprio mentre più s’illude d’aver atterrito e sottomesso l’universo mondo.

 

Per questo sarei stato più felice se Davide avesse scelto il liceo scientifico, o ancora meglio il classico. Non tanto perché il suo successo ― secondo me indubitabile ― in istituti di tal rango sarebbe stato un bel ceffone in pieno muso per chi non lo apprezza come merita (rivincita che immagino non gli prema, essendo lui un saggio, quanto invece importerebbe a un Prof che ha da perdonarsi di non aver sempre còlto in passato, per esempio in sua sorella Elisabetta, qualità analoghe alle sue) ma soprattutto perché è in quelle scuole che Davide avrebbe ritrovato classi come questa: quante Sonie, quante Cecilie in un liceo! Anche se, naturalmente ― ma questo varrà in qualsiasi scuola ― la loro età, il loro essere non più bambine dovrà indurlo a un grande (ma piacevole) lavoro di ricerca per adeguare la sua leadership, fino a oggi infantile, alla realtà ormai mutata per sempre delle nuove compagne. Niente più zaini aperti da dietro le spalle, niente più spinte, pizzicotti, tirate di capelli, caro Davide: anche Peter Pan deve crescere, ora, se vuol conservarsi l’affetto delle sue Wendy e anzi tramutarlo in amore. E crescere è un’operazione che è sempre meglio compiere in isole protette, dove non circolino troppi pirati...

 

La famiglia di Lorena, ad Anticoli, è quella che più di tutte ha dovuto frequentare (e sopportare) il Prof: prima suo cugino Mirko, dal 1990 al 1993; poi suo cugino Igor e sua sorella Giada dal 2000 al 2003; e infine lei, Lorena ― con un anno di sconto ― dal 2006 al 2008. Oggi li lascio, a 57 anni ― o meglio son loro che lasciano me ― ma quando li ho conosciuti ne avevo 39. Lorena, dunque, l’ho vista davvero nascere: il 27 settembre 1994 avevo appena cominciato il mio secondo anno con la classe 1993-1996 (succeduta a quella di Mirko nella sventura, tutta anticolana, di avermi come insegnante) e alla stessa data del 2000, quando lei è approdata in prima elementare, suo cugino Igor e sua sorella Giada stavano facendo la mia conoscenza in prima media. Ecco perché Lorena per me è sempre stata ed è la sorellina più piccola: perché lo era e lo è per l’età, per l’aspetto di vispa e graziosissima scoiattolina, per gli enormi zaini che le ho visto sulle spalle fin dalle elementari quando cominciò ad andare e venire da sola, per il numero di miei anni anticolani dai quali il suo ingresso nella popolazione del paese e poi della scuola è stato preceduto. E per la vastità e varietà della sua famiglia quando d’estate li incontravo tutti insieme a Santa Marinella: allora Lorena, vicino alla nonna, agli zii, ai genitori, ai cugini, alla sorella, tutti grandi e uniti e fieri di sé ― spero, anzi, di non aver scordato qualcuno ― davvero era per me come una scoiattolina accanto a un immenso albero dai grandi rami frondosi. Ma una scoiattolina forte come una roccia, che all’insaputa dell’albero, ai cui piedi sembra quasi invisibile, lo sorregge tutto sulle esili spalle non dico con facilità ― neanche i suoi zaini sono mai facili da sopportare, e solo io e lei sappiamo quante volte ho cercato invano di indurla a svuotarli almeno un po’: non c’è verso, forse perché appunto le servono a non perdere l’allenamento di cui ha bisogno ― ma certo senza soffrirne come si potrebbe temere: come se una famiglia così numerosa e forte (più di tutte le classi e i corpi docenti che Lorena si è trovata a fronteggiare sinora) sia per lei non più difficile da reggere di quanto lo sono per un giocoliere gli ammennicoli colorati che senza mai cadere si librano tra le sue mani e lo spazio.

 

Anche per questa classe, ho idea, Lorena è la sorellina più piccola. Benché Sara sia più piccola di nove giorni, e Sonia più grande di solo due settimane. Ma in quest’ultimo anno delle medie abbiamo come sempre letto e studiato la sorellina più piccola (e con lei tutti i Più piccoli d’ogni tempo e luogo) nel personaggio di Phoebe Caulfield, la sorella di Holden. E abbiamo capito, così, che Lorena è Phoebe fatta persona, Phoebe davvero esistente. Che suoi fratelli (e cugini) maggiori lo siamo anche tutti noi. E che Lorena, per noi e per la sua grande famiglia come Phoebe per Holden, è stata ed è la persona importantissima che sostiene, senza che lo riconosciamo e neppure lo sappiamo, non poca parte della nostra stima di noi stessi. Perché? Ma perché lei ci regge. Che non vuol dire che ci sopporta, ma che Lorena cresce e si realizza, scoiattolina com’è, nonostante il nostro peso ― mai terribile, intendiamoci, ché questa, come abbiamo detto e ripetuto, è una bellissima classe, così come bellissima è la famiglia; ma... sì, anche pesanti, sia la classe che la famiglia, perché lo è ogni essere umano per ogni altro anche se l’uno non può fare a meno dell’altro, e assai di più lo è un insieme di esseri umani ― eppure Lorena ci regge, avanza spedita nonostante noi così come si muove agile malgrado il fardello del suo zaino che quasi la nasconde alla vista: e ciò significa, ed è Lorena che ce lo significa, che noi  ― il Prof, la classe, la famiglia, forse perfino Anticoli ― siamo in fondo belle e brave persone, incapaci di infliggere gravi danni non solo a chi è più grosso, ma anche alla sorellina più piccola. E se così è, grazie non al cielo ma a noi stessi e a chi ci volle e ci vuole bene, allora possiamo amare noi stessi.

 

A proposito di amare, è il momento di dire che voglio molto bene a tutti e sei questi “miei” (ex) alunni. Se mi domandassero a chi ne voglio di più, mi metterei a ridere o mi indignerei. Ma se mi obbligassero a esprimere una preferenza puntandomi addosso un fucile mitragliatore, dovrei dire che a Sara, forse, voglio un pochino più bene che agli altri (esclusi, naturalmente, Andrea, Cecilia, Davide, Lorena e Sonia.) E sarei anche in grado ― sempre se minacciato a mano armata ― di spiegarne il perché.

 

Il fatto è che Sara, in questa classe, è sempre stata la mia grande piccola avversaria. Intendiamoci: di alunni che avevano a che ridire sulla mia visione del mondo e della vita ne ho avuti più d’uno, in venticinque anni. Ma quel che avevano da ridire... non lo dicevano mai. Dovevo scoprire da solo perfino se ci fosse un problema del genere, e per scoprirlo dovevo riuscire a “vedere” attraverso un’inappuntabile ipocrisia da consumati viveur che si tradiva ― le rare volte che si tradiva ― non per una parola o un atto, ma per (lievi) omissioni sfuggite al controllo: una certa passività, un silenzio che si protraeva, un’impercettibile mancanza di entusiasmo, un sorriso reso al sorriso con qualche avarizia o non concesso affatto... Impossibile replicare, impossibile anche solo manifestare d’aver capito ― aver capito cosa?, e con quali prove? ― impossibile reagire altrimenti che cercando di nascondere un dispiacere, uno sconcerto, che avrebbero fatto del male a chi incolpevolmente ne era la causa ― sì, perché le prevenzioni dei piccoli non germinano in loro da loro stessi ― ma che per me potevano anche mutarsi in dolore se al di là della diffidenza vestita di formale correttezza, che comunque permette un certo successo scolastico, finivo per andare a sbattere contro un muro alto e spesso che qualcuno aveva elevato nel bambino non tanto contro di me, ma già molto prima contro il desiderio e la ricerca in quanto tali di qualcosa di umanamente più, e meglio, della ripetizione del “destino” familiare.

 

Sara invece no. Sara le cose me l’ha sempre dette chiare e tonde. E se qualcuna non l’ha detta, be’, l’ha lasciata intuire col disappunto che subito rannuvolava il suo bel viso incapace di mentire. Non con freddezza, attenzione ― non con l’ottusa lucidità di chi gioca con te come il gatto col topo per indurti a manifestazioni d’affetto e interesse di cui ridere tra sé, senza darti alcuna possibilità di penetrare le sue difese, di sedurlo, di trarlo dalla tua: Sara invece rischia, quando ti salta addosso inviperita, e col dire che rischia non intendo solo che i compagni si agitino e spazientiscano, che Sonia sbuffi e che Andrea si metta in ansia, ma che tu, il Prof, giovandoti degli affetti con cui lei scaglia la sua critica appassionata, riesca a convincerla, la conquisti, la cambi. Prof, si può sapere perché nei film ci fai sempre vedere genitori cattivi?... Una domanda così ― che fu la prima, se non ricordo male, con cui Sara mi dichiarò guerra non via foglietto, ma a voce e in piena faccia e con tutti i sentimenti ― non solo può cambiare il Prof (e in effetti lo cambiò, non son più stato lo stesso) ma mette colei che la rivolge in un rapporto profondo con l’insegnante che quest’ultimo può tradire e sciupare, purtroppo, ma da cui il bambino o il ragazzo non può più tanto facilmente ritrarsi in caso di pericolo.

 

Ecco: Sara ha avuto il coraggio di attaccarmi nel modo che fa restare attaccati, il solo dopo il quale chi ha subito l’attacco si ritrova più umano. Ed è successo, così ― fenomeno mirabile che nella mia vita si è verificato di rado, ma che in alcune non accade mai ― che più mi attaccava più le volevo bene, e più le volevo bene più diventavo diverso dal Prof che il suo attacco aveva dipinto alla mia mente come a quelle dei compagni, e che in effetti, sì, qualcosa di vero l’aveva colto. Ma perché la faccio lunga? Sara mi ha reso migliore, ecco cosa voglio dire, non ci volevano tante parole. E questo mi rende certo che la sua vita sarà felice, se avrà cura, sapienza e fortuna di attaccare solo avversari della levatura del sottoscritto.

 

(Poi dovrei dire dell’immenso impegno di Sara ― non ho mai visto una così possente e gioiosa macchina da studio ― ma sarebbe banale dopo quel che ho già detto, e perciò mi astengo.)

 

E adesso come parlare di Sonia, che in ordine alfabetico è l’ultima della classe?

 

Potrei dire che lascia la scuola di Anticoli Corrado non con l’ottimo, ma con la media dell’ottimo. Che è ogni giorno e ogni minuto la prima della classe ― nell’ordine non alfabetico stabilito dalla maggiore o minore capacità di trarre il massimo dai compagni, dagli insegnanti, dai testi, da tutto ― senza mai essere antipatica, spiacevole o anche solo un po’ indisponente, neanche per un secondo all’anno; senza dar mai la sensazione, intendo, che per il proprio eccellere ella stia sottraendo un qualche prezzo agli affetti, alla generosità, alla natura che ci ha fatti per creare, non per memorizzare; anzi: come se non sia un apprendere, un accumulare quantità di nozioni, il suo, ma proprio una spontanea creazione di sapere nel rapporto con gli altri, col mondo, con sé stessa, con tutto. Potrei dire che la sua presenza, la passione, la vitalità, la tenerezza e perfino i suoi pochi difetti ― come l’assurdo timore di trovarsi una volta o l’altra a non farcela, con un argomento di studio o un compito ― cambiano ogni giorno la classe in meglio assai più di quanto la cambiano gli altri, insegnanti e Prof ovviamente compresi. Solo che dire queste cose è ripetere ciò che tutti sanno, mentre io vorrei dire di Sonia quel che so solo io...

 

Per farlo ― non ho scelta ― devo parlare di me. Devo rivelare che Sonia mi mette in grande difficoltà. Non, come spesso accade agli insegnanti, la difficoltà di raggiungerla, di stabilire un rapporto, di suscitare interesse e desiderio di imparare. Tutto questo c’è già, con lei, fin dal primo giorno, e senza alcun merito del Prof. Ma per starle appresso, per non deluderla, per non crollare come un mulo troppo carico sotto il peso di tutte le sue domande, il suo intùito, la sua capacità di non accontentarsi della superficie, di voler vedere, di capire... Con Sonia comprendi che la bellezza e l’intelligenza umane son più impegnative, più ardue di qualsiasi forza della natura, per chi (come i genitori sempre, ma gli insegnanti via via più di rado quanto più ci si avvicina all’Università) si trova ad aver a che fare con esse quando nulla è ancora riuscito a offenderle; talvolta ti sembra perfino d’intuire che cosa provarono i maestri di Mozart; e mentre cerchi tuttavia di resistere, di reggerla, per la prima volta nella tua carriera d’insegnante sperimenti un po’ di comprensiva indulgenza per chi non ce la fa e un brutto giorno si rassegna a preferire i mediocri e i bruttini.

 

Lei non si mostra mai insoddisfatta, è troppo generosa ed elegante per farlo. Quindi non so e non saprò mai quante volte sia riuscito e quante volte l’abbia invece lasciata senza riposta, senza quel di più di verità che è sempre lì accanto a me da qualche parte, tanto che la sento, quasi la vedo ― ed è chi come Sonia la vuole da te che ti ci fa arrivare almeno così vicino, se non sei di pietra ― ma che solo di quando in quando son certo di aver infine raggiunto. Il che naturalmente non accade solo con Sonia ― soprattutto in una classe di... gran classe come questa ― ma con lei è una sorta di grandiosa condanna, sotto la quale prima o poi finisci col capire come dovevano sentirsi i sapienti e i maghi quand’erano schiavi di lusso alla corte dell’imperatore dei Persiani, e se non inventavano ogni giorno come minimo gli scacchi gli saltava la testa.

 

Continua, Sonia, a mettere il mondo in difficoltà! L’evoluzione ci ha reso così: incapaci ― a meno di non condannarci a soffrire molto più di leoni in gabbia ― di esser mai del tutto soddisfatti di ciò che al mondo troviamo, di ciò che i nostri simili hanno stabilito e ordinato, di ciò che noi stessi facciamo. L’archeologia che ti appassiona è proprio questo, ed è cosa che tu già fai ma farai sempre meglio: cercare l’umano ― cioè il solo vero di più che l’Universo offra ― anche là dove in apparenza non vi è che terra brulla, e se non c’è crearlo, e una volta creato desiderarne e cercarne e crearne ancora di più. In questo senso quasi tutto è archeologia, perché quasi ovunque ― in un aula di giustizia come in una scuola, in un ospedale come in un conservatorio, in un’azienda come in una famigliola nella sua casetta anticolana ― l’umano ch’è infinitamente più che divino è tesoro nascosto sempre presente, spesso a pochi centimetri dalla superficie, talvolta assai più in profondità, in rovina o mirabilmente intatto; e tu sei persona che in qualsiasi campo tu scelga avrai successo nel portarlo alla luce perché è ciò che desideri e ti appassiona: ti servono solo gli strumenti ― ogni campo ha i propri ― che sei così brava ad apprendere a usare.

 

Grazie, ex alunni carissimi, per il privilegio (che non potevate non conferirmi, lo so, ma che non per questo ha minor valore in sé) dessere stato il vostro insegnante di tantissime cose nei due anni che si sono appena conclusi. È un gran dolore vedervi andar via. Dicono di no, dicono che è come con i figli, che è bello veder crescere e liberarsi e che si sarebbe pazzi come James Barrie, quello di Peter Pan, a voler trattenere nelletà in cui inizia la loro esultanza di non più dipendere da noi. E io son d’accordo, del tutto: mai ― neanche in cambio dell’eterna giovinezza vi chiuderei per sempre in quest’aula che non mi sembra più la stessa dacché per sempre ne siete usciti. Ma come con i figli non è, ecco tutto. I figli anche grandi rimangono in rapporto con te, se non sei stato uno di quei padri ch’è meglio perdere. Continui a seguirli, ad aiutarli, a sapere cosa gli accade, i dispiaceri, le gioie. Voi invece ve ne andate davvero, uscite dalla mia vita, e anche se di quando in quando vi rivedrò, e di molti (di tutti, nel vostro caso) intuirò che avete conservato un buon ricordo di me, e potrò avere vostre notizie, e perfino riuscire anch’io a darvi ancora qualcosa di buono come ai vecchi tempi ― anche se tutto ciò è vero e importante, ed è anch’esso un privilegio che mi viene personalmente da voi ― anche così la separazione è dolorosa come ben poche perché mi fa di nuovo un insegnante e basta, e per di più un ex; mentre voi, per me, restate e resterete ciò che siete stati in questi due anni passati così in fretta: i soli amici davvero degni di me, i soli amici per i quali davvero m’importi di essere importante.

 

 

Post scriptum:

 

Un’altra classe indimenticabile ha tagliato in questi giorni un importante traguardo:

la classe 2000 - 2003, che dopo cinque anni è arrivata alla Maturità...

 

Congratulazioni Alessandro, Alessandro, Beatrice, Claudio, Giada, Igor, Marta, Matteo, Nicoletta e Sara!

 

Congratulazioni

Alessandro, Alessandro, Beatrice, Claudio, Giada, Igor, Marta, Matteo, Nicoletta e Sara!

 

*

 

*

Questo sito non costituisce testata giornalistica, non ha, comunque, carattere periodico ed è aggiornato secondo la disponibilità e la reperibilità

dei materiali. Pertanto non può essere considerato un prodotto editoriale ai sensi della L. n. 62 del 7/3/2001... Clicca per continuare a leggere.

 

*

 

L’immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell’artista danese Viggo Rhode (1900-1976).

L’ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

 

*

 

Torna in cima alla pagina     Torna all'Indice generale del Diario     Home