Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca
La Terra vista da Anticoli Corrado nel giugno del 2014
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ScuolAnticoli: Richard Dawkins rivendica spesso e fieramente il suo ateismo, cosa che gli fa onore. E non sbaglia, quando dice che l’aborto non è un omicidio. Ma che ateo è, se della nascita umana niente sa? Se, quindi, niente sa dell’umanità dell’Homo sapiens? E se, così non sapendo e “pensando”, lascia le porte aperte al razzismo di quelli che sui “quarti” e i “tre quarti” di umano fondano il delirio (“divino” e/o “sovraumano”) di averne cinque o addirittura sei? (Domenica 8 giugno 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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Volevamo, amavamo sapere e saper fare ogni cosa: donne e uomini, giovani e anziani. Tutto ci era necessario, ci incuriosiva, ci appassionava, e intanto ci univa.
Avevamo anche noi inclinazioni e preferenze individuali. Più che in altre epoche, anzi, perché non era ancora spuntata l’idea di tentar di annientare l’immaginazione uniformando le menti. A qualcuno piaceva più fabbricare attrezzi e monili che raccogliere fiori e frutta. Altri erano più portati ad accudire e istruire i piccoli che ad andare a caccia o a pesca. Ognuno tendeva a dedicarsi di più a ciò che più gli era congeniale, e incoraggiarlo in quel che meglio gli riusciva era per ogni altro un piacere. Ma niente ci lasciava indifferenti, e ogni attività suscitava in noi la gioia e la fierezza di sentirci tutti reciprocamente necessari, senza le quali non vi è collettività che non cominci presto a dividersi.
Del resto non eravamo che poche decine, e tutti di vitale importanza, vecchi e disabili inclusi: come avremmo potuto, quando il valore di ogni sapere era inestimabile, affidarne sia pur solo uno a uno solo? Se egli, per malattia o infortunio, fosse morto prima di trasmetterlo ad altri, la perdita sarebbe stata irreparabile. E se qualcuno fosse rimasto solo in luoghi sconosciuti, come se la sarebbe cavata non potendo disporre che delle proprie abilità e conoscenze, anziché di quelle di tutti?
Non si isolava nemmeno chi ambiva a realizzare qualcosa senza alcun aiuto: per quanto lieto e orgoglioso del proprio successo, senza gli altri intorno non lo sarebbe stato molto meno?
Nessuna divisione di saperi e di compiti, dunque, neanche tra uomini e donne. Una donna, forse, andava a caccia un po’ meno di frequente di un uomo, e un uomo trascorreva coi bambini piccoli un po’ meno tempo di una donna. Ma né l’uno né l’altra avrebbero mai rinunciato alla soddisfazione, all’intelligenza e al merito che traevano, ognuno a modo suo, da entrambe le occupazioni.
Comuni i compiti, i saperi, e il piacere e l’impegno di condividerli con le nuove generazioni, comune era anche la proprietà. Ognuno doveva disporre di tutto, per poter fare tutto. Era inconcepibile, per noi, che quanto era fondamentale per la sopravvivenza (e cosa non lo era, a quei tempi?) fosse sottratto a chiunque ne avesse bisogno. Tutti contribuivamo alla riproduzione quotidiana della vita, della sicurezza, del benessere, perfino di un po’ di “superfluo”: chi sarebbe stato così pazzo da voler privare un altro di ciò che anch’egli aveva partecipato a produrre, e che senza di lui sarebbe risultato inutile?
Eppure una proprietà l’avevamo, e ci tenevamo immensamente: di cose inutili, ma amate. Per il niente che servivano e per la gioia che davano. Gioia di uno, legata alla sua storia e ai suoi affetti, e perciò riconosciuta da tutti come privata perché non valeva che per lui, ma che dava gioia anche a noi per la gioia sua. Un’opera d’arte, uno strumento musicale, un monile, una pietra o un legno dall’aspetto curioso, il ricordo di un bel momento, l’intonazione originale di un richiamo, un modo di guardare, un gesto caratteristico: ognuno aveva le sue private proprietà affettive di cui non avremmo mai sopportato di vederlo privo. E che cercava, per quanto possibile, di tenere con sé per tutta la vita. Perfino con le sue ossa nella tomba, se mai: così che tutti vedessero, anche nel più lontano futuro, che per sé e per noi egli non era stato un animale come gli altri: che era stato, finché era vissuto, unico nell’universo... Clicca qui per continuare a leggere il testo su ScuolAnticoli! Clicca qui per scaricare il testo in .pdf. O qui per scaricarlo in .doc. (Giovedì 2 gennaio - giovedì 26 giugno 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
Nella nuova traduzione di Holden qualcosa non va... Clicca qui per scaricare il testo in .pdf. O qui per scaricarlo in .doc.
Comincio a leggere la “nuova” traduzione de Il giovane Holden1 e trasecolo. Sùbito, a pagina 6 del primo capitolo. Dove un brano famoso, di fondamentale importanza per la comprensione del romanzo, è tradotto... come peggio non si potrebbe? Be’... quanto meno affrettatamente, diciamo. È un sabato di fine dicembre, mancano pochi giorni a Natale, e Holden Caulfield, sedici anni, ha appena saputo di essere stato espulso da scuola per la terza volta. Per questo non è alla partita anche se il derby col Saxon Hall, l’istituto rivale, a Pencey è “un affare di stato”: solo soletto sulla cima di una collina, Holden sta cercando “di provare il senso di una specie di addio”. Ma fa freddo, orribilmente freddo, ed è un freddo non solo “fisico”. Né dovuto “soltanto” alla solitudine, o alla tristezza per l’espulsione, o al timore di quel che diranno i genitori. No, il “freddo” che Holden soffre dipende soprattutto dal suo “affievolirsi”. È il “feeling” di stare per sparire, forse di aver già cominciato a sparire: cioè a non esistere più. Non la sensazione, o il timore, di morire, no: ma di poter diventare (forse di star già diventando) così poco Holden Caulfield, così poco sé stesso, così fasullo (“phony”) ― così disumano? ― da risultare non più davvero esistente. Come suo fratello D.B.: ridotto così male, ormai, che non ne restano che le iniziali. Ecco, dal testo originale, le ventidue parole in questione:
“Anyway, it was December and all, and it was cold as a witch’s teat, especially on top of that stupid hill”2.
Ecco, ora, le ventotto parole della storica traduzione di Adriana Motti:
“Ad ogni modo, era dicembre e tutto quanto, e l’aria era fredda come i capezzoli di una strega, specie sulla cima di quel cretino di un colle”.
Traduzione, a mio avviso, lievemente errata. Io avrei detto, rispettando l’originale, che “l’aria era fredda come un capezzolo di strega”. Il motivo è ovvio: Holden è ancora a tal punto un “ragazzino”, svezzato da poco, ― o almeno lo è per Salinger, e scusate se è poco ― che pensare a un capezzolo gli viene più “spontaneo”, ancora alla sua età, che pensarli entrambi. Ma sentite Matteo Colombo. Udite ― e trasecolate anche voi ― le sue diciassette parole (un italiano ancora più “stringato” dell’angloamericano, non vi sembra già questo un miracolo?):
“E comunque era dicembre e via dicendo, un freddo cane, specie in cima a quella stupida collina”.
Un freddo cane??!! Fammi capire, Matteo: fuori la strega e dentro il cane? E se traducevi Macbeth? Chi gli facevi incontrare nella brughiera, tre levrieri afgani? Anche ammettendo la “necessità” di ritradurre “giovanilmente” The Catcher in the Rye, quel “freddo cane” è inaccettabile. Nelle terze medie in cui da trent’anni leggo con successo Il giovane Holden, perché dovrei rinunciare al “giovanile” fremito (e talvolta al boato) di approvazione che sempre accoglie “i capezzoli della strega”? In cambio di cosa? Di un boato di delusione? Neppure: solo di indifferenza. Vedi, Matteo: non ci vuole un gran coraggio a tradurre “crap” con “stronzate” anziché con “baggianate”. Per non perdere di vista le “streghe” e i loro “capezzoli” assassini, invece, ci vuole immenso. Il fatto è, ripeto, che il freddo di quel giorno di dicembre non è solo “climatico”. Ha a che fare con l’anaffettività. Con quel “qualcosa”, cioè, con cui certuni “producono” intorno a sé “un’aria” in cui altri, benché fisicamente presenti, affettivamente e umanamente ― cioè realmente ― smettono di esistere.
“It was that kind of a crazy afternoon, terrifically cold, and no sun out or anything, and you felt like you were disappearing every time you crossed a road”.
Motti:
“Era uno di quei pomeriggi pazzeschi, freddo da morire3, senza sole né niente, e ti sentivi come se stessi svanendo ogni volta che attraversavi una strada”.
Be’. Un freddo solo fisico, solo climatico, solo “cane”, ti fa forse “svanire”? No. Per farlo, ha da essere un “freddo” (anche) emotivo. Non solo: dev’essere l’esito di un “affievolimento” della tua stessa esistenza in vita. Di un tuo scomparire come essere umano davvero esistente ― in questo caso, come ragazzo di sedici anni di nome Holden Caulfield ― perché quel “freddo” ha “magicamente” intaccato la tua stessa realtà. Un “freddo cane” è capace di tanto? No. Solo una “strega” (o uno “strego”) può riuscirci. E, dunque, solo “un’aria” “fredda come un capezzolo di strega”! Parlare di freddo “cane” sarà anche molto espressivo, non dico di no ― soprattutto nei Paesi islamici, suppongo, cinofobi come sono ― ma, senza dubbio alcuno, significa riferirsi a una dimensione di natura non umana. E la natura non umana, con i problemi di Holden, c’entra come i cavoli a merenda. Al punto che vien da pensare che Jerome David Salinger, qui, (consapevolmente?) stia dialogando niente meno che con Eugenio Montale:
Forse un mattino andando in un’aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore di ubriaco.
Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto alberi case colli per l’inganno consueto. Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto4.
La prima edizione di Ossi di seppia è del 1925. Salinger può averlo letto prima di iniziare, nel 1940, The Catcher in Rye? Forse. Quel ch’è certo, per Salinger come per Montale, è che un’“aria di vetro”, un’aria che ti fa sentire “come se stessi svanendo”, non basta un “freddo cane” a produrla. Intervistato da Francesco Troccoli per left del 14 giugno, Matteo Colombo dichiara: “Adriana Motti, che ammiro, godeva di una libertà giustificata dal contesto storico, ma dopo cinquant’anni di evoluzione culturale ci si può permettere maggiore fedeltà”. Tranne quando si tratta di streghe? E insiste: “La vera novità di questa traduzione è proprio la precisa volontà di incrementare la vicinanza all’originale”. Figuriamoci se fosse stata la volontà opposta! Spero, naturalmente, che le successive 250 pagine della traduzione di Colombo siano impeccabili. Ma questo suo primo errore mi sembra già fatale. E per me rappresenterà per sempre un ostacolo insormontabile all’adozione scolastica. Anche perché già vedo che non è l’ultimo:
“Era uno di quei pomeriggi assurdi, un freddo terrificante, senza sole né niente, e la sensazione di scomparire ce l’avevi ogni volta che attraversavi la strada”.
L’errore, qui, è senz’altro meno grave, ma non è da poco: “You felt like you were disappearing” dice Salinger: “Tu ti sentivi come se stessi scomparendo”. E Motti: “Ti sentivi come se stessi svanendo”. Mentre Colombo porta in primo piano la sensazione e ne fa, così, una sorta di accadimento naturale, una specie di “disgrazia”: cioè, di nuovo, annulla la “strega” che annulla e gela. Non male per uno che, come dice il titolo di left, sarebbe “Fedele alle immagini”... Forse perché fedeli sono i cani, caro Troccoli. I freddi cani.
(Venerdì 20 giugno 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com). [1] J. D. Salinger, Il giovane Holden, traduzione di Matteo Colombo, Einaudi, Torino, 2014. La “vecchia” traduzione del capolavoro di Salinger (The Catcher in the Rye, 1951) è quella, detta giustamente storica, curata da Adriana Motti per Einaudi nel 1961. Scrivo “nuova” tra virgolette perché non posso a cuor leggero definire tale una traduzione che lo è, senza dubbio, “anagraficamente”, ma che (come cerco di dimostrare in questo articolo) dal punto di vista letterario rischia di “invecchiare” il romanzo affievolendo, attenuando (annullando?) quella che, quanto meno all’epoca in cui fu scritto, era la sua rivoluzionaria novità. [2] J. D. Salinger, The Catcher in the Rye, Penguin Books, 2010, p. 4. [3] Meglio: da fare orrore (nota mia). [4] Eugenio Montale, Tutte le poesie, a cura di G. Zampa, Mondadori, Milano, 1984, p. 42.
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(Mercoledì 25 giugno 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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(Venerdì 20 giugno 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
Nel Pd la Costituzione è sospesa? Clicca qui per scaricare il testo in .pdf. O qui per scaricarlo in .doc.
Costituzione della Repubblica Italiana, articolo 21 (secondo il Pd): “Tutti (tranne gli iscritti al Partito democratico della provincia di Piacenza) hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa (tranne nel Partito democratico della provincia di Piacenza) non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’Autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili”.
Il Partito “democratico” (?) della provincia di Piacenza ha sospeso l’articolo 21 della Costituzione. I “suoi” militanti, da oggi, per sovrana decisione del Partito medesimo, non son più liberi di esprimersi, non possono più criticare. Pena l’espulsione? O che altro? Forse la gogna in piazza? Leggiamo:
“Gli iscritti al Partito Democratico della Federazione Provinciale di Piacenza [due maiuscole di troppo: indovinate voi quali, n.d.r.] debbono astenersi” ― stabilisce l’articolo 29 del neoregolamento partitico provinciale ― “da commenti negativi e acostruttivi rivolti al Partito Democratico stesso [una maiuscola di troppo, n.d.r.] nella persona [sic, invece di “nelle persone”, n.d.r.] dei singoli Segretari di Circolo [due maiuscole di troppo, n.d.r.], di Unioni di Vallata, di Unioni d’Area o del Segretario/a Provinciale [due maiuscole di troppo, n.d.r.] tramite social network o altri mezzi di informazione telematica e/o mediatica in generale, se non hanno prima richiesto idonea convocazione del Circolo di riferimento e affrontato, in tale sede, e discusso le tematiche e gli argomenti che lo [sic, invece di “li”, n.d.r.] pongono in conflitto col Partito stesso” (da l’Unità di martedì 17 giugno 2014, pagina 7).
“Reato”? Nocumento acostruttivo. “Tribunale”? la “commissione di garanzia provinciale” [questa, invece, chissà perché, tutta minuscola, n.d.r.].
(Nota: le tre proposizioni condizionali conclusive [“se non hanno prima richiesto... affrontato... discusso”] lì per lì possono sembrare attenuanti la gravità del tutto. Il lettore, infatti, da esse è furbescamente indotto a pensare: “Ah, be’, però: se prima “richiedi, affronti e discuti”, dopo puoi esprimerti come e dove ti pare!”. Ma non è così: in realtà, quelle tre proposizioni condizionali costituiscono un’aggravante, e non da poco. In primo luogo perché attribuiscono al “Circolo di riferimento” i poteri di una sorta di “Commissione di censura preventiva” (i membri del “Circolo” indosseranno in tal caso un’apposita divisa?): tu, militante, tu, iscritto al Pd per il quale la Costituzione è sospesa, prima vai lì, al “Circolo” a cui “sei riferito”, ti presenti, dici la tua... e poi ― attenzione: poi ― il “Circolo” ti autorizza, o meno, a esprimerti anche all’esterno. In secondo luogo perché la Libertà di espressione non ha più alcun significato concreto, se a chi dissente si impedisce di far conoscere il proprio dissenso (di farlo conoscere, intendo, non solo nel “Circolo di riferimento” ma in tutto il Partito e magari anche in tutta Piacenza e in tutta Italia) e di raccogliere così, intorno al proprio dissenso, gli eventuali consensi di altri iscritti e di “semplici” cittadini: se non lo si può fare, se dinanzi al “Circolo” si è costretti a presentarsi in solitudine, il “Circolo” può anche continuare a chiamarsi “Circolo” (e magari “Tavola rotonda”, se gli fa piacere) ma di fatto non è più un luogo di discussione e di confronto politico: è una Commissione di censura preventiva).
Sono almeno vent’anni, ormai, che il coacervo di forze (in parte oscure) che oggi si fa chiamare “Partito democratico” serve col massimo zelo la rifeudalizzazione della Società italiana.
Non è “colpa” del Pd, se in Italia (come nel Mondo) ogni sorta di potentati (religiosi, ideologici, economici, “istituzionali”) tendono da almeno vent’anni a tramutarsi in feudi, all’interno dei quali non valgano più altre regole che quelle che i potentati medesimi decidono e permettono. Ma è responsabilità gravissima del coacervo di forze (in parte oscure) chiamato Pd non aver mai contrastato questo processo tragicamente involutivo. Averlo, anzi, incoraggiato. E oggi prendervi parte attivamente.
Non può esservi alcun luogo, in Italia, dove i Princìpi fondamentali della Costituzione non valgono o anche “solo” si affievoliscono. Se luoghi del genere esistono, come definirli se non feudi privati? Enclaves, anche territoriali, che geograficamente si trovano in Italia, ma che in ogni altro senso non ne fanno parte più della Città del Vaticano o della Repubblica di San Marino?
Aziende, amministrazioni, scuole, ospedali, conventi, associazioni, sindacati, partiti, prigioni: la Costituzione della Repubblica Italiana [nessuna maiuscola di troppo, n.d.r.] è pienamente in vigore ovunque, in Italia, e chiunque tenti di “evaderne” ― quale che sia il “motivo” per cui dichiara di farlo ― è tanto più un nemico della Libertà, della Democrazia e dell’Umanità [nessuna maiuscola di troppo, n.d.r.] quanto più la posizione che occupa e il potere di cui è investito gli danno modo di moltiplicare la potenza distruttiva dell’offesa (per non dire dell’attentato) che a tradimento le infligge.
Si vuole continuare così? Si sappia, in tal caso, che verrà presto il giorno in cui “qualcuno” comincerà a strillare (com’è già successo per i Diritti dei lavoratori) che “la Costituzione vale ormai solo per i garantiti: cosa si aspetta, dunque, a cancellare l’evidente e ingiusta disparità per cui alcuni, di solito vecchi, godono ancòra di privilegi che per la maggioranza dei cittadini non valgono più da tempo?” Clicca qui per scaricare il testo in .pdf. O qui per scaricarlo in .doc. (Martedì 17 giugno 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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(Lunedì 16 giugno 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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L’originale di questa immagine è un dipinto di Ky Wilms. (Venerdì 13 giugno 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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(Sabato 14 giugno 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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Come riconoscere i fascisti camuffati? Dal loro odio per queste parole... Clicca sull’immagine per vedere l’originale dell’artista Abdelwaheb Majdoub! (Mercoledì 11 giugno 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
Esperimenti sull’essere umano. E per di più stupidissimi. Clicca qui per scaricare il testo in .pdf. O qui per scaricarlo in .doc.
Un “esperimento” che da qualche anno va di moda, come tutto ciò che soddisfa il fanatismo antiumano del regime finanziario-religioso-politico che sta portando il mondo alla rovina...
Si prende qualche decina di “volontari” (in genere studenti universitari bisognosi di quattrini per pagare i costi da usurai del loro “diritto” allo studio), a uno a uno li si piazza davanti a un microfono e si domanda loro se sarebbero disposti, per salvare cinque sconosciuti legati a un binario, a deviare su un altro binario, al quale invece è legato un solo sconosciuto, il treno che sta per travolgerli.
Di questo “dilemma” ci sono molte varianti (“Butteresti un ciccione giù da un ponte per fermare il treno col suo corpo?” è la più utilizzata), ma l’esito dell’“esperimento” non cambia mai: quasi tutti i “soggetti” “scelgono” di salvare cinque vite sacrificandone una e... voilà, lo “sperimentatore” annota giulivo che il “rispetto per la vita umana” non è nella nostra “natura” ― non è “scritto” nei nostri geni, insomma “non nasciamo con esso” ― ma dipende bensì, di volta in volta, da un calcolo razionale più o meno esatto dei pro e dei contro. In parole povere: noi andiamo dove ci porta... la calcolatrice.
Solo che l’“esperimento” è assurdo, fasullo fino al ridicolo. Vediamo perché.
In primo luogo, la situazione in cui si chiede ai “volontari” di immedesimarsi è impossibile. Nel mondo reale chi organizzerebbe una trappola del genere? E se qualcuno lo facesse (potrebbe anche succedere, ora che le menti malate di certi “sperimentatori” l’hanno escogitata), non sarebbe evidente quale risultato voglia ottenere, cosa tenti di dimostrare? E il “decisore”, quindi, non capirebbe sùbito, al primo sguardo, come gli convenga rispondere per non essere la prossima vittima dello scienziato pazzo? Ebbene, lo studente “volontario” è nella medesima condizione: capisce di primo acchito ciò che lo “sperimentatore” si aspetta da lui ed è fortemente motivato ad accontentarlo. Perché? Magari perché quello è il professore che lo giudicherà agli esami. O per essere chiamato ad altri “esperimenti” (e relativi emolumenti) in futuro. O per semplice quanto vile compiacenza nei confronti delle “autorità”, quali che siano.
Ma supponiamo (per non vincere troppo facilmente) che così non sia. Supponiamo che ogni “volontario” s’impegni a “costringersi” (hahaha) alla massima “obiettività” (hahaha)... Anche così, per quanto egli si sforzi di immaginare nella situazione prospettatagli proprio sé stesso così come si conosce per poi decidere di conseguenza, di quale e quanta fantasia dovrebbe disporre per ideare il vissuto a cui andrebbe incontro se si trovasse in una situazione tanto orribile e singolare? Di più: esiste un’immaginazione così potente da raffigurarsi non solo una situazione impossibile (questo non è difficile), ma anche tutti gli effetti psicofisici di tale situazione? Per dire: chiunque può fantasticare di svegliarsi una mattina con dodici braccia e relative mani, ma chi riuscirebbe a sentire ciò che proverebbe in tal caso?
In altre parole: l’“esperimento” è assurdo e fasullo perché nessuno al mondo è in grado di stabilire ― o anche solo di intuire con vaga approssimazione ― come si comporterebbe in un caso come quello.
Si dirà: ma se si volesse appunto sapere soltanto quel che i soggetti suppongono che farebbero in quella situazione? L’“esperimento” non sarebbe allora del tutto valido?
Sì, lo sarebbe, ma cosa ci direbbe sulla natura umana? Niente di più di quel che i “volontari”, più o meno condizionati dai correnti pregiudizi antiumani, “pensano” su di essa.
Ma supponiamo (per non vincere troppo facilmente) che gli “sperimentatori” siano riusciti a trovare “volontari” dotati in pari misura, di: a, fantasia e capacità d’immedesimazione potentissime; b, conoscenza di sé la più completa possibile. E supponiamo (sempre per non vincere troppo facilmente) che abbiano immaginato una situazione analoga a quella del treno e dei due binari, ma ben più plausibile. Per esempio: un chirurgo si rende conto che, se non salverà il ferito che gli hanno appena portato (grave, sì, ma operabile col 100% di probabilità di successo) con i suoi organi vitali potrà salvare cinque agonizzanti che altrimenti moriranno tra pochissimo. I sei gli sono sconosciuti, sono più o meno coetanei, e il medico non dispone di informazioni tali da indurlo a “preferire” l’uno o gli altri.
Cosa faresti tu, se fossi quel medico?
I volontari “medi”, come ho detto, rispondendo in base alla situazione in cui realmente si trovano al momento dell’“esperimento”, “verificherebbero” le aspettative dello “sperimentatore” per farlo contento. Ma come risponderebbero i volontari “perfetti”, dotati di superfantasia e superconoscenza di sé?
Ognuno darebbe una risposta diversa. Non essendo uno di essi, non riesco a immaginarne neanche una. Tuttavia, benché non dotato dei loro superpoteri, tenterò di dirvi ciò che risponderei io.
“La ringrazio” direi allo “sperimentatore”. “Lei oggi mi ha fatto capire perché non ho scelto di diventare un medico: per non dover mai trovarmi a disporre della vita di un mio simile”.
Risposta stupida? Può darsi. Ma vi garantisco che sarebbe la mia risposta.
Il fatto è che un esperimento, per avere un sia pur minimo valore scientifico, dev’essere ripetibile. Ma un esperimento su un essere umano non lo è mai, perché nessun essere umano è mai una ripetizione, neanche di sé stesso cinque minuti prima, e nessun essere umano, dunque, è mai prevedibile, né da altri né da sé. Dirò di più: nessun esperimento è mai completamente ripetibile, perché in ogni esperimento è sempre coinvolto almeno un essere umano (lo sperimentatore) e ogni esperimento, di conseguenza, avrà esiti parzialmente diversi dai precedenti non soltanto ogni qual volta sarà eseguito da altri, ma perfino se sarà “ripetuto” da quello stesso sperimentatore ma un altro giorno.
Perché ci fidiamo della scienza, allora? Perché il coinvolgimento umano, nella stragrande maggioranza degli esperimenti, non è mai così importante da determinare, di volta in volta, apprezzabili divergenze dei risultati (il che non esclude che tali divergenze possano verificarsi una volta che gli esseri umani siano così cambiati, per esempio a distanza di millenni e in realtà culturali e sociali assolutamente nuove, da avere ormai ben poco in comune con i primi sperimentatori).
Ma ciò non è sempre vero. Non lo è affatto, di sicuro, quando si pretende di ideare ed eseguire “esperimenti” sulla psiche umana. In tal caso, infatti, il coinvolgimento umano è tutto, poiché comprende l’intera situazione: lo “sperimentatore”, l’“esperimento” e il “volontario” che dell’“esperimento” è l’inconcepibile “oggetto”. E un “esperimento” siffatto, siatene pur certi, avrà esiti diversi ogni volta che sarà “ripetuto”, e per ogni individuo sul quale verrà “ripetuto”. Oppure, come ho detto, avrà esiti di volta in volta pressoché identici, sì, ma resi tali da un calcolo (delle convenienze del “volontario” dinanzi allo “sperimentatore”) che niente avrà mai a che vedere con l’infinita variabilità della psiche umana.
Inoltre ― e questo è l’argomento che davvero esaurisce la questione ― non si era stabilito con la massima solennità che “esperimenti” sugli esseri umani non sono umanamente ammissibili, poiché un essere umano (ogni essere umano, anche il più misero e impotente degli studenti universitari indebitati) non può essere che il fine di tutto ciò che si intraprende con lui, e mai il mezzo?
“Ma che c’entra?” obietterà qualche “ricercatore”. “Non siamo mica Mengele: in un esperimento psicologico non si torce un capello a nessuno!”
Sicuri? E se poi si scopre che non è possibile “toccare” o anche solo “sfiorare” la psiche senza per ciò stesso intervenire sull’intero organismo umano? Clicca qui per scaricare il testo in .pdf. O qui per scaricarlo in .doc. (Venerdì 6 giugno 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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Una fossa contenente i resti di almeno 800 bambini è stata scoperta a Tuam, in Irlanda, il Paese più cattolico d’Europa, nelle vicinanze di un centro gestito da suore ― chiamato The House, La Casa, come in un film dell’orrore ― in cui tra il 1925 e il 1961 migliaia di ragazze, diventate madri senza essere sposate, vennero segregate con i loro figli “illegittimi” considerati non umani, “creature di Satana”, piccoli esseri mostruosi che per le monache assassine era evidentemente “doveroso” sterminare. Nel centro, come nelle “lavanderie” gestite in tutta l’Irlanda dalle famigerate Sorelle di Maddalena, le povere prigioniere erano trattate come schiave, adibite ai lavori più umili senza compenso e continuamente maltrattate e picchiate mentre i loro bambini erano lentamente uccisi dalle privazioni e dagli abusi. Il quotidiano inglese Daily Mail, che ha pubblicato la notizia, afferma che molti dei bambini gettati nella fossa comune sarebbero morti di fame o di malattie che si sarebbero potute curare. I loro corpicini furono gettati in un serbatoio di cemento, senza bara né lapide, e il serbatoio fu ricoperto di terra quando le suore cominciarono a temere di essere chiamate a rispondere dei propri crimini. Si calcola che migliaia di giovanissime donne, spesso appena adolescenti, siano finite con i figli in questo e in altri centri di sterminio cattolici. Erano le famiglie stesse che chiudevano le figlie in quei luoghi d’orrore ― in una società intrisa di fanatismo religioso, che le odiava perché erano diventate madri al di fuori del matrimonio ― e da quel momento nessuno più si interessava a loro. (Giovedì 5 giugno 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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Titolo de l’Unità di mercoledì 4 giugno 2014. Completamento grafico (più rispettoso della realtà umana) a cura di ScuolAnticoli. (Mercoledì 4 giugno 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
Il Partito democratico favoreggia la prostituzione? - 2a parte
Ne ho parlato, qualche settimana fa, in un post intitolato Il Partito democratico favoreggia la prostituzione?, in cui, riferendomi a un disegno di legge presentato dalla piddìna Spilabotte e controfirmato dalla ex(?)neofascista Mussolini e da altri parlamentari di quasi tutti i partiti, mi domandavo: Il Partito democratico, i suoi dirigenti, i militanti, gli elettori, sanno o non sanno che l’idea che si possa comprare e vendere un essere umano è idea malata, sintomo di malattia mentale? E che l’idea che in un essere umano si possano separare, per poter venderli e comprarli, il corpo dagli affetti, il corpo dalla mente, il corpo dalla storia dell’essere umano ― in una parola: il corpo dalla sua umanità ― è idea non meno malata e sintomo di malattia mentale non meno grave? Forse non lo sanno più, cioè sono malati essi stessi, ed è per questo che non vedono malattia nell’idea della senatrice Maria Spilabotte e del Partito democratico (con l’autorevole sostegno di Alessandra Mussolini) di presentare un disegno di legge (sedicente) di Regolamentazione del fenomeno della prostituzione (in realtà di Depenalizzazione del favoreggiamento della prostituzione) che propone “due strategie: la decriminalizzazione dell’adescamento e del favoreggiamento, da un lato, l’individuazione [dall’altro] di regole minime che indichino dove si può e dove non si può esercitare” e, naturalmente, una “autorizzazione” statale all’esercizio della prostituzione “sia in forma individuale (comprendendola nelle attività di cui al titolo III del libro V del codice civile ― lavoro autonomo) che in forma cooperativa” al costo semestrale “di euro 6.000 per l’attività full time e 3.000 per la part time: un giusto costo, considerando che su centocinquanta giorni lavorativi si pagherebbero circa 20 euro al giorno, che è già meno del prezzo medio per prestazione stabilito in almeno 30 euro”. Il tutto purché, è ovvio, “le persone autorizzate si assoggettino ai regimi fiscali e previdenziali previsti dalle normative vigenti”. E ipotizzavo: Una delle due: o la senatrice Spilabotte e il Pd non sanno che ciò che chiamano “esercizio della prostituzione” è in realtà, sempre, esercizio di violenza. O lo sanno, ma non sanno... quel che fanno. Dopo di che, contro il mostruoso disegno piddin-mussoliniano facevo valere la ricerca su scala globale della studiosa messicana Lydia Cacho, raccolta nel suo libro Schiave del potere ― Una mappa della tratta delle donne e delle bambine nel mondo, che sulla base di un’amplissima documentazione dimostra che: 1. La prostituzione, ovunque nel mondo, è il tramite attraverso il quale l’industria della disumanizzazione del sesso avvicina, corrompe, rapisce, violenta e avvia alla prostituzione, ogni anno, centinaia di migliaia di bambine e di bambini; 2. Legalizzare la prostituzione significa rendere più agevole questo crimine contro l’Umanità; 3. Ciò che si deve fare (e già si fa in alcuni Paesi del Nord Europa) è, al contrario, punire i cosiddetti “clienti” (in realtà, violentatori). E, per quanto possibile, proporre loro (cioè ai “clienti”) di farsi curare.
Un appassionato dibattito è in corso in tutto il mondo su questi problemi, ma il Partito democratico non lo sa (o finge di non saperlo?) e in ogni caso non se ne cura. Il Pd deve “portare a casa il risultato” (per conto di chi? Chi scrive, in realtà, i “disegni di legge” degli individui come la Spilabotte e la Mussolini a favore dell’industria pedofila e nazista della disumanizzazione del sesso?) e nient’altro gli interessa, e men che meno la sorte dei più infelici e abbandonati tra i bambini.
E l’Unità? Impossibile sbagliarsi: l’Unità, sempre in prima fila nelle battaglie più retrive, corre a dar man forte alle due piddin-mussoliniane e all’industria della disumanizzazione del sesso con la squallida pagina di cui sopra, intitolata Puttanopoly (tanto per dare un’idea del livello morale di chi l’ha prodotta), in cui neanche una parola viene spesa per dar conto dei punti di vista contrari al favoreggiamento della prostituzione e delle ricerche che li sostengono: non una parola, per far sapere al lettore che non tutti sono d’accordo con le zone del sesso, e che chi non è d’accordo dispone di validi argomenti per non esserlo.
Come sarà, allora, che ogni anno nell’Unione Europea “scompaiono” 600.000 bambine e bambini? E come mai “scompaiono” soprattutto nei Paesi in cui la prostituzione è legalizzata? Lo denuncia l’Unità medesima, e nella stessa pagina in cui fa pubblicità a Puttanopoly! (Martedì 3 giugno 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
La “letteratura” che ti riporta a Dio. A calci e spintoni. Clicca qui per scaricare il testo in .pdf. O qui per scaricarlo in .doc.
Faccio male a non leggere Cormac McCarthy, pensavo. Chissà cosa mi perdo. Così ho letto Non è un paese per vecchi1, e ho scoperto che non mi “perdevo” altro che una sfilza di “letterari” spintoni, calci e urlacci: “Cammina! Pentiti! Torna a Dio! In ginocchio! Prega!”. La “letteratura”-Chigurh, la “letteratura” che sa solo ammazzare, è fasulla: è minaccia d’inferno, è promessa di paradiso, è tutto meno che arte. L’inferno della condizione umana, che non avrebbe altro “senso” che la morte, e il “paradiso” della “rassicurazione” che a morire saranno gli altri, non tu. A un patto: che tu la legga con la dovuta umiltà, ti genufletta dinanzi all’Autore e all’Onnipotente (in questo ordine) e d’ora in poi righi dritto. I cadaveri sotto i quali ti seppellisce “servono” a piegarti, uno dopo l’altro: come i calci e gli spintoni di un aguzzino, le torture, le urla da bucarti il cervello. E Chigurh, l’implacabile e imprendibile killer “sovraumano”, inesorabile come una moneta lanciata per aria, chi altri è se non l’Autore e l’Onnipotente insieme, intenti al loro sporco mestiere di spezzarti la schiena, come a Giobbe, a forza di botte?
L’ho già scritto di Stephen King, ma McCarthy è di gran lunga peggiore. Perché non “si limita” a uccidere ― non “si limita” a inchiodarti all’“evidenza” narrativa che a questo mondo non puoi che raccomandarti a Dio ― ma predica e pontifica, anche, come da un pulpito medioevale, mentre vigila con occhi da pazzo che neanche uno sguardo, dal “gregge” dei fedeli (lettori), osi levarsi a sostenere il suo. E predicando rinuncia a narrare ― rinuncia, di fatto e di diritto, a essere uno scrittore ― e si dà all’“edificazione” truculenta, apocalittica: “Da qualche parte là fuori c’è un profeta della distruzione in carne e ossa e io non voglio trovarmelo di fronte” (p. 4). “Certe volte mi sveglio in piena notte e mi sento sicuro che solo la seconda venuta di Cristo potrà fermare questo andazzo” (p. 130). “Secondo me, se tu fossi Satana e stessi pensando a come mettere in ginocchio la razza umana, è probabile che ti verrebbe in mente la droga. Forse è andata proprio così. L’altra mattina a colazione ho detto questa cosa a una persona e mi ha chiesto se credo a Satana. Ho detto Be’, non è questo il punto. E la risposta è stata Lo so, ma tu ci credi o no? Ci ho dovuto riflettere. Mi sa che da bambino ci credevo. Poi crescendo direi che la mia convinzione si è un po’ indebolita. Ma adesso sto cominciando a cambiare di nuovo idea. L’esistenza di Satana spiega un mucchio di cose che altrimenti non si possono spiegare” (pp 175-176). “Non so perché lo chiamano giornale. Quelle non sono notizie. No. Quand’è stata l’ultima volta che hanno parlato di Gesù Cristo sul giornale? Bell scosse la testa. Non lo so, disse. Direi che è stato un bel po’ di tempo fa. Direi anch’io, fece lei. Un sacco di tempo fa” (p. 199). “Non è che sei diventato un miscredente, eh, zio Ellis? No. No. Neanche per sogno. Secondo te Dio lo sa cosa sta succedendo? Immagino di sì. E secondo te può impedirlo? No. Non credo” (p. 218). “Non si può andare in guerra senza Dio” (p. 239)...
E così via. A ogni morte una predica. A ogni predica una morte. Morti la cui apparente insensatezza e imprevedibilità mirano a uno scopo (che le prediche esplicitano) che le rende, invece, assolutamente razionali: fiaccare la resistenza del lettore, costringerlo ― in ginocchio ― a maledire la condizione umana; e, all’apparire della parola “fine”, benevolmente rialzarlo tra i sopravvissuti, cioè tra i giusti: “Sei vivo, vedi? Loro sono morti, ma tu no. Gli altri muoiono, non te. Tu sei con Dio”.
“Letteratura” terrorista: ammazzarne cento per educarne, ogni volta, uno: un lettore “rinato” cristiano ogni cento morti. Ma con un pregio, anche se più “sociologico” che letterario: palesare il nesso d’acciaio che lega la dimensione religiosa a un’ideologia ― a una visione del mondo e dell’Umanità ― che chiamerei “del massacro”. Per la quale, come per il nazismo, lo sterminio ha il più “alto” dei fini: la purificazione, la “giustificazione” e la salvezza in Dio di quanti non vengono massacrati (cioè degli sterminatori, ma sia McCarthy sia gli altri adepti di questa “poetica” si guardano bene dal dirlo esplicitamente).
E che il lettore-sterminatore non si dispiaccia, per gli ammazzati. Neanche per quelli, tra loro, che son ragazzette di diciannove anni: “A me non viene in mente un solo motivo al mondo per cui quel maledetto possa aver ammazzato quella ragazza [...]. Ma sono convinto che in qualche modo era collegata perché a un certo punto della vita paghi le conseguenze di tutto quello che hai fatto” (p. 228). Quod erat demonstrandum: Chigurh ― cioè l’Autore ― altri non è che un angelo: e precisamente l’Angelo della Morte che pareggia i conti degli esseri umani, tutti assassinabili ― tutti assieme o uno a uno, a caso ― perché tutti colpevoli del “peccato originale” di essere umani. Tutti tranne te, lettore ― se d’ora in poi righi dritto ― e tranne ogni altro che, come te, legge accanto all’Angelo mentre l’Angelo ammazza.
Del resto, “qualunque cosa può essere uno strumento [di Dio]” (p. 47), no?
“La gente si lamenta sempre delle cose brutte che le capitano senza che se le sia meritate, ma non parla mai delle cose belle. Di cosa ha fatto per meritarle. Io non ricordo di aver mai dato a nostro Signore motivi particolari per sorridermi. Però lui mi ha sorriso” (p. 74). Tant’è vero che gli altri muoiono, e io no. Io sono vivo, vedi? Sono ancora qui, vivo, a chiacchierare con te sul sagrato della chiesa, fumandoci una sigaretta mentre aspettiamo che anche questa cassa, come le altre, se ne vada al camposanto.
[1] Cormac McCarthy, No Country for Old Men, 2005, traduzione italiana di Martina Testa, Non è un paese per vecchi, Einaudi, Torino, 2006. Clicca qui per scaricare il testo in .pdf. O qui per scaricarlo in .doc. (Domenica 1° giugno 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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Gustav Klimt, Adamo ed Eva (1917-18). (Domenica 1° giugno 2014. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).
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L’immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell’artista danese Viggo Rhode (1900-1976).
L’ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.
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