ScuolAnticoli
Libera Scuola di Umanità diretta da
Luigi Scialanca
La Terra vista
da Anticoli Corrado
nel gennaio
del 2017
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Domenica mattina, 29 gennaio 2017, in
piazza delle Ville ho ricevuto una
coltellata al cuore che ricorderò finché
campo. Ma non entrerò nei dettagli, non
è di coltellate che voglio parlarvi. Vi
dirò soltanto che poi sono stato male
tutto il giorno. Dapprima
“solo”
moralmente,
sentendomi offeso negli affetti e allo
stesso tempo impaurito (poiché l’odio,
oltre che ferirmi, mi fa tremare come
per un pericolo imminente), poi anche
fisicamente, come se mi stessi
ammalando. E oggi, lunedì, quando mi
sono svegliato, benché la sofferenza e
la paura si fossero dileguate nel corso
della notte (chissà, forse per un bel
sogno?), il malessere fisico si era
aggravato, tanto che sono andato a
Scuola col timore di dover assentarmi
già domani, nel pieno dell’ultima
settimana prima degli scrutini...
Invece, come mi è successo altre volte,
due ore con i ragazzi che mi aiutano a
insegnare loro mi hanno completamente
guarito. O almeno, così mi sembra.
Certi rapporti fanno star male, certi
altri curano: è proprio così.
La Scuola, in particolare, ha
questo potere, quando è davvero
una buona Scuola. E che lo sia non
dipende dalle tecnologie di cui dispone,
e neppure dalle innovazioni didattiche e
pedagogiche, ma dalla qualità del
rapporto tra l’insegnante e gli
alunni, e tra gli alunni e l’insegnante.
Quanto più il rapporto è umano, tanto
più fa star bene; quanto più lo è in
entrambi, tanto più fa star bene sia lui
che loro.
Tutto il resto è un di più. Il quale ben
venga, sia chiaro, ma a condizione che
non se ne faccia, superstiziosamente, un
idolo.
Detto ciò, guardate la foto qui sopra
(e, se volete, cliccatela per
ingrandirla).
È di Frank Meadow Sutcliffe (1853-1941),
grande fotografo inglese, fu scattata
nel 1893
a Whitby, e l’autore la intitolò
Libera educazione. Protagonisti:
Robert Ledley, un libero
insegnante che per vivere faceva il
pescatore (Whitby è una città di mare)
e... i suoi liberi allievi.
Liberi? In che senso?
Non certo
“liberi”
dallo Stato, come immagino stiano
pensando (ammesso che càpitino su
ScuolAnticoli) gli spregiatori e i
distruttori della Scuola pubblica. No:
liberi da tutte le sovrastrutture
(dalla tecnologia alle ideologie, dalla
burocrazia all’occhiuta
sorveglianza dei “caporali”)
che alcuni stupidamente credono
essenziali al rapporto tra l’insegnante
e i bambini (o i ragazzi) che lo aiutano
a insegnare loro. Mentre a quel rapporto
(oltre, naturalmente, al sapere, senza
il quale non si ha niente da insegnare)
solo una cosa è essenziale:
l’affettività.
(Post scriptum: mamme e papà di
Anticoli, avete notato, nella foto, che
quella libera classe è felice...
nonostante sia una pluriclasse?)
(Martedì 31 gennaio 2017. Luigi Scialanca,
scuolanticoli@katamail.com).
Una Scuola che funziona. Nonostante le pluriclassi. E in cui i bambini arrivano dalle Elementari preparati e interessati. Nonostante le pluriclassi. (Ripeto, ma solo per chi non vuol sentire o non è più in grado di pensare e capire: nonostante le pluriclassi).
(Gli alunni sono della Classe 2016-2019 della Scuola media di Anticoli Corrado. La perfetta ricostruzione in legno dell’esterno e dell’interno di un tempio greco è un’opera originale della loro professoressa di Educazione artistica, Alessandra Malatesta).
(Giovedì 26 gennaio 2017. Luigi Scialanca,
scuolanticoli@katamail.com).
*
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il testo in .pdf. O
qui per scaricarlo in
.doc
Vi sono donne che si credono tua madre. Furibonda.
Pazze? Non lo sai con certezza.
E tu? Come stai?
Forse, da quand’eri bambino, ti è rimasta dentro una fragilità: gli occhiacci, il muso di totale (e potenzialmente mortale) disamore, che ti faceva tua madre quando ti scoprivi e ti lasciavi scoprire in disaccordo con lei, riescono ancora a sconvolgerti.
Quegli occhiacci, quel muso, a un tratto così disumani, non erano arrabbiatura: erano un carcere in cui venivi mentalmente rinchiuso per sempre, se non ti
“ravvedevi”. Se i tuoi affetti e il tuo pensiero non tornavano, da sé, a mettersi il guinzaglio.
(Madri così non ti fanno quegli occhiacci, e non ti mettono quel muso, per qualcosa che hai fatto e che non dovevi fare. Non sentono, infatti, e perfino non vedono quello che fai. No di certo, poiché non ti amano. Qualsiasi cosa tu faccia, non puoi farle soffrire. Ma puoi farle freddamente impazzire ― puoi scatenare, in esse, la gelida furia del potere offeso ― se i tuoi affetti e il tuo pensiero si azzardano a divergere dai loro calcoli.
No, non vi è amore né odio nelle madri così: solo un metallico attaccamento al loro potere su di te, e una metallica capacità di difenderlo strenuamente. Contro tutti. Ma soprattutto contro di te).
Tu, addolorato, impaurito, sentendoti quasi morire ― sentendoti a rischio di venire ucciso! ― nonostante ciò resistevi. O, se cedevi, cedevi per finta. Continuando, sia pure in segreto, a coltivare i tuoi affetti e il tuo pensiero divergenti dai suoi calcoli. Resistevi, non cedevi ― o, se cedevi, fingevi ― pur sapendo che non saresti riuscito a nasconderlo a lungo, a una madre così.
Lei, prima o poi, te lo avrebbe letto in faccia:
“Non sai, vero, com’è espressivo il tuo viso?” avrebbe detto, quando meno te lo aspettavi. “Non ti rendi conto, eh, che quel che pensi traspare da ogni tuo lineamento?”. E non lo avrebbe detto con ammirazione, sia pure fredda, né tanto meno con affetto, ma con l’ironia di un investigatore che trionfa su un criminale.
Oppure si sarebbe finta rabbonita, aspettando ― con un lievissimo, misterioso sorriso che non eri in grado, allora, di riconoscere come solo dipinto ― che tu, bambino, naturalmente desideroso di carezze e di baci, ti illudessi, smussando un poco i tuoi affetti e il tuo pensiero, di poter ancora essere amato.
E sì, devi ammetterlo, tu ci provavi a smussarli un poco, i tuoi affetti e il tuo pensiero ― a rischio d’intrappolarti per sempre nei suoi calcoli ― pur di ottenere che quegli occhiacci e quel muso tornassero a simulare amore. Ma poi non bastava mai. Poi dovevi smussarli ancora di più, ogni giorno di più, sempre di più. E poi dovevi dimostrarle coi fatti, sottomettendoti a riti e cerimonie di espiazione, che dai suoi calcoli non divergevi più... Finché un bel giorno ti ribellavi di nuovo, appena un attimo prima che la tua mente e il tuo cuore morissero, e allora tua madre, furibonda come in realtà non aveva mai smesso di essere, tornava a chiuderti nel gelido carcere dei suoi occhiacci, del suo muso, della sua voce che non fingeva più di non essere dura e lacerante come l’ululato di un vento pieno di sabbia.
Gli anni passeranno, e tu sarai un uomo. Ne passeranno altri, e tu sarai un vecchio. E tua madre, povera donna, sarà morta senza aver mai, a partire da chissà quale momento, davvero vissuto. Ma tu ― per una fragilità che ti sarà rimasta dentro ― continuerai talvolta a incontrare (no, siamo onesti: continuerai talvolta a esporti) a donne così. Che si crederanno tua madre furibonda. E che crederanno te, anche se uomo o addirittura vecchio, loro figlio che non deve azzardarsi ― prim’ancora che con le parole, con gli affetti e col pensiero ― a divergere dai loro calcoli. Altrimenti ti faranno gli occhiacci. E il muso. E freddamente, senza passione, urleranno senza dir parola.
Tu ne soffrirai. Anche se, allo stesso tempo ― avendo resistito a tua madre ― sarai finalmente così forte, pur nella tua fragilità, da provare compassione per loro. E, compassionandole, ridere di loro.
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(Lunedì 30 gennaio 2017. Luigi Scialanca,
scuolanticoli@katamail.com).
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(Venerdì 27 gennaio 2017. Luigi Scialanca,
scuolanticoli@katamail.com).
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Una Scuola che funziona. Nonostante le pluriclassi.
E in cui i bambini arrivano dalle Elementari preparati e interessati. Nonostante le pluriclassi.
(Ripeto, ma solo per chi non vuol sentire o non è più in grado di pensare e capire: nonostante le pluriclassi).
(Gli alunni sono della Classe 2016-2019 della Scuola media di Anticoli Corrado. La perfetta ricostruzione in legno dell’esterno e dell’interno di un tempio greco è un’opera originale della loro professoressa di Educazione artistica, Alessandra Malatesta).
(Giovedì 26 gennaio 2017. Luigi Scialanca,
scuolanticoli@katamail.com).
*
Da bambino e da
ragazzino, per anni, sognai di fare l’astronauta. Ero così sicuro di non
voler fare altro, che studiavo per conto mio astronomia e storia
dell’astronautica, mi tenevo costantemente aggiornato sulle imprese
spaziali americane e russe, e scrissi lettere (in italiano) a Werner von
Braun (del quale allora non conoscevo i trascorsi nazisti) e a John
Glenn, che cortesemente mi risposero. In estate, dopo cena, fino a tardi
scrutavo la Luna, i pianeti e le stelle con un piccolo telescopio. E
ogni settimana redigevo, su fogli di quaderno a quadretti piccoli, un
giornalino illustrato astronomico-astronautico-fantascientifico che
circolava tra i parenti al prezzo di cento lire.
Ma poi, finite le medie,
i miei genitori riuscirono a convincermi, con argomenti non
disprezzabili, a iscrivermi al Liceo classico anziché allo scientifico,
come io desideravo. Tacendomi, però, che l’argomento per loro più
importante era che se avessi scelto lo scientifico, avrei dovuto
lasciare
l’Istituto...
Così la mia vita prese
una strada diversa. Ma la passione è rimasta intatta.
Eppure, ogni anno,
quando le ragazze e i ragazzi di Terza media decidono sul proprio
futuro, provo sempre una grande emozione e sono molto preoccupato per
loro. Per quelli che all’apparenza non hanno sogni, naturalmente. Ma
anche, e soprattutto, per quelli che mi sembra che li abbiano.
(Sabato 21 gennaio 2017. Luigi Scialanca,
scuolanticoli@katamail.com).
*
Erra, o mente
per ingannare, chi asserisce o ripete
“a
pappagallo”
che la violenza della Natura dimostra, o addirittura insegna,
che noi non siamo niente.
Se davvero fossimo
niente, infatti, non saremmo sconvolti e non proveremmo alcun dolore,
quando un terremoto uccide e distrugge. Non soffriremmo, no, affatto,
assistendo impotenti alla morte e alla distruzione... del niente.
Soffriamo, forse, quando vediamo una pietra, rotolando giù da un
declivio, schiacciare un insetto? Eppure, perfino un insetto è più
che niente.
No. Noi proviamo un
immenso dolore, quando la
“violenza”
della Natura uccide e distrugge, poiché sentiamo e sappiamo che ogni
singola vita umana, anziché niente, è tutto. Poiché sentiamo e
sappiamo che quel tutto, che ogni singola vita umana è, è un
irripetibile infinito.
È vero l’opposto:
la
“violenza”
della Natura (che di per sé non è violenza) è tale soltanto per noi.
Sia nel senso che nessun altro animale può sentirla e pensarla come tale
(neanche mentre ne muore), sia (e soprattutto) nel senso che nessun’altra
morte, dalla Natura causata, è la morte di un infinito tutto.
Solo a chi non vuole e
non ammette che siamo tutto, la
“violenza”
della Natura dimostra che siamo
niente.
Solo a chi, non volendo rimanere umano, odia l’umanità
degli esseri umani. Perciò, per favore, se invece non siamo così, non
ripetiamo
“a
pappagallo”
questa pazzesca menzogna. Non mischiamoci, neanche in uno sciocco o
disperato momento di superficialità, alla
miseranda schiera di chi scambia il tutto col niente.
(Giovedì 19 gennaio 2017. Luigi Scialanca,
scuolanticoli@katamail.com).
*
Oggi, mercoledì 18
gennaio 2016, dopo la seconda e terza scossa di terremoto, tutte le
Scuole del Centro Italia sono state chiuse. Evacuate? No: chiuse. Tutte
insieme, e pressoché nello stesso momento.
L’ordine, quindi, anche
se qua e là singoli dirigenti scolastici l’hanno fatto passare per
proprio, non può che essere venuto
“dall’alto”.
E predisposto e concordato da tempo, o non sarebbe stato così
tempestivo.
Decisione
giusta? Io preferisco definirla obbligata.
Lo Stato
italiano, cioè, o quel che ne rimane, sa perfettamente che le
“sue”
Scuole ―
cioè, in realtà, le Scuole di noi tutti ― sono (per la maggior parte,
non parlo della Scuola di Anticoli Corrado) più pericolose di quasi
ogni altro edificio. E obbligatoriamente, pertanto, ha
ordinato a tutti i bambini e i ragazzi d’Italia
di andarsene a casa.
Ma le Scuole non erano,
un tempo ―
o comunque non dovrebbero essere ― gli edifici più sicuri? Mi
sbaglio, o qualche decennio fa vedevamo in tv i terremotati rimasti
senza casa rifugiarsi nelle palestre scolastiche? Cosa è successo, tra
allora e oggi?
Siamo
stati tutti abbandonati dallo Stato, sì o no? E per primi i
bambini e i ragazzi, sì o no?
Lo Stato,
o quel che ne rimane, non può ormai che ordinare: Ognuno pensi a sé!
Si salvi chi può! E mentre noi e i nostri figli abbandoniamo la
nave, lo Stato (o, per meglio dire, chi lo ha occupato) rimane a
bordo, sì, ma per continuare a farsi gli affari suoi.
(Mercoledì 18 gennaio 2017. Luigi Scialanca,
scuolanticoli@katamail.com).
*
Mi sono reso
conto che molti Anticolani e Anticolane non sanno che
Anticoli che Vorrei
e Anticoli che Desidero sono due pagine Facebook molto diverse.
Un po’ di
storia. Nella seconda metà del 2010, insieme a Laura Amicone, fondai la
pagina Anticoli che Vorrei. Ma, essendo ancora inesperti di
Facebook, commettemmo l’errore di nominare amministratori della
pagina tutti coloro che le davano il mi piace. Com’è come non è,
dopo poche settimane uno di quegli amministratori (la cui
identità è rimasta sconosciuta)
chiuse la pagina.
O, per meglio dire, la cancellò. Come se non fosse mai esistita.
Per prudenza,
avevo però copiato e salvato tutti i post e le immagini che su
Anticoli che Vorrei avevamo pubblicato. Io e Laura Amicone, quindi,
potemmo rifondarla: la chiamammo Anticoli che desidero, ne fummo
gli unici amministratori e la aggiornammo insieme (anche se ognuno per
proprio conto) per oltre cinque anni.
È l’Anticoli
che Desidero che esiste tuttora. Ma io, Luigi Scialanca, non la
amministro e non ci scrivo più dall’aprile 2016.
Circa un anno
prima, alla fine di febbraio del 2015, avevo creato una nuova pagina
Facebook restituendole l’“antico”
nome di
Anticoli che Vorrei
e amministrandola da solo mentre, contemporaneamente, continuavo a
collaborare
anche ad Anticoli che Desidero. Ma poi, nell’aprile
del 2016, quando Francesco Putignani, Andrea Pietropaoli, Laura e
Stefania Amicone, in vista delle imminenti elezioni comunali, proposero
alle forze politiche anticolane (L’Arcobaleno, diventato
Anticoli al Centro, e gli Uniti per Anticoli) di convergere
in un’unica lista (proposta il cui fallimento indusse i suoi promotori a
presentare alle elezioni una terza lista denominata LiberAnticoli),
io,
in profondo (ancorché
rispettoso) disaccordo con tali iniziative,
di mia volontà mi cancellai da amministratore di Anticoli che
Desidero.
Da allora,
pertanto, per quel che ne so, tutti i post e le prese di
posizione di Anticoli che Desidero sono da ascriversi
esclusivamente a Laura Amicone. Non al sottoscritto. Io, Luigi
Scialanca, scrivo su
Anticoli che Vorrei.
E soltanto lì.
Anticoli che Vorrei:
questa è la pagina per chi ama Anticoli. Per chi ci si
arrabbia. Per chi non ne può più. Per chi ne potrà sempre. Per chi
vorrebbe andarsene. E per chi non se ne andrebbe mai.
Anticoli che
Desidero è un’altra cosa. Rispettabilissima, intendiamoci. Ma del
tutto un’altra cosa.
(Venerdì 13 gennaio 2017. Luigi Scialanca,
scuolanticoli@katamail.com).
*
Interessante
articolo su
Le Scienze
di gennaio: Un nuovo modo di vedere il linguaggio - Gran parte della
rivoluzione linguistica operata da Noam Chomsky, compresa la spiegazione
di come impariamo le lingue, è rimessa in discussione, di Paul
Ibbotson, docente di Sviluppo del linguaggio alla Open University, con
sede nel Regno Unito, e Michael Tomasello, condirettore del
Max-Planck-Institut für
evolutionäre Anthropologie di Lipsia, in Germania.
Secondo gli autori,
“l’idea che il
nostro cervello sia intrinsecamente dotato di uno stampo mentale per
l’apprendimento della grammatica”,
cioè la teoria della grammatica universale di Noam Chomsky, dopo
oltre mezzo secolo di quasi incontrastato dominio sulla linguistica, la
psicologia e le scienze cognitive, non è più sostenibile e
“inizia a essere abbandonata in massa in seguito a nuove ricerche
dedicate a molte lingue diverse e al modo in cui i bambini imparano a
capire e parlare la lingua della propria comunità: ricerche che non
confermano le asserzioni di Chomsky”.
“Nei fatti” sostengono Ibbotson e Tomasello,
“l’idea
di una grammatica universale innata è contraria alle prove, che rivelano
invece che i bambini imparano la lingua attraverso le interazioni
sociali e si esercitano nelle costruzioni della frase elaborate dalle
comunità linguistiche nel corso del tempo”.
Se nella capacità linguistica umana vi è qualcosa di preesistente alla
nascita, si tratta
piuttosto di
“una facoltà specie-specifica di decodificare le intenzioni comunicative
altrui: ciò che chi parla vuole dire”. Con la quale i bambini non
imparano a parlare ubbidendo a strutture linguisiche innate ma
poiché, desiderando comunicare,
“corrispondono alle intenzioni comunicative (di coloro che cercano di
capire) grazie allo stesso tipo di lettura delle intenzioni che facciamo
tutti quando, per esempio, interpretiamo Puoi aprirmi quella porta?
come una richiesta d’aiuto,
e non di informazioni sulla nostra capacità di manovrare la porta”.
C’è ancora
molto da cercare e da capire perché
“nel linguaggio infantile, oltre
l’adesione alla norma grammaticale, vi è anche
la creatività”. Ma che la grammatica universale sia in crisi è
una buona notizia (con tutto il rispetto per i meriti scientifici e
politici di Chomsky), poiché la
teoria (platonica e cristiana) che nei bambini vi siano idee innate non
è meno deleteria, per la comprensione di quel che rende unico l’animale
umano, della teoria che essi siano tabulae rasae che
resterebbero tali, se gli adulti non li istruissero e li educassero.
(Martedì 3 gennaio 2017. Luigi Scialanca,
scuolanticoli@katamail.com).
*
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