ScuolAnticoli

Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca

 

L'immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell'artista danese Viggo Rhode (1900-1976). L'ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

La Terra vista da Anticoli Corrado

nel marzo del 2013

 

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Camerati disposti a tutto pur di impedire che una Sinistra vera governi l'Italia. (Sabato 30 marzo 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

(Sabato 30 marzo 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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(Giovedì 28 marzo 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Le migliori domande dei bambini sui film:

Le migliori domande dei bambini sui film: "L'estate di Kikujiro", di Takeshi Kitano.

2. L’estate di Kikujiro,

di Takeshi Kitano.

3. Il Cucciolo,

di Clarence Brown.

3. "Il Cucciolo", di Clarence Brown (1946), con Gregory Peck, Jane Wyman e Claude Jarman Jr.

4. "Ti-Koyo e il suo Pescecane", di Folco Quilici (1961), con Al Kauwe, Marlene Among, Dennis Pouira e Diane Samsoi.

4. Ti-Koyo e il suo Pescecane, di F.Quilici

 

5. E. T., l’Extraterrestre, di Steven Spielberg.

5. "E. T., l’Extraterrestre", di Steven Spielberg (1981), con Henry Thomas, Drew Barrymore e... E. T..

6. "Matilda, 6 Mitica", di Danny De Vito (1996), con Mara Wilson, Danny De Vito, Rhea Perlman, Embeth Davidtz e Pam Ferris.

6. Matilda, 6 Mitica,

di Danny De Vito.

7. Il Bambino Selvaggio, di F.Truffaut.

7. "Il Bambino Selvaggio", di François Truffaut (1969), con Jean-Pierre Cargol, François Truffaut e Françoise Seigner.

 

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Spiegare un Film a un Bambino:

Spiegare un Film a un Bambino non significa costringerlo a svolgere esercitazioni scritte e/o orali, o a leggere schede, o a preparare relazioni, o a studiar checchessia... né, tanto meno, pretendere che risponda alle domande del docente riproducendo, ancora una volta, l’assurdo capovolgimento della realtà per cui a scuola, molto spesso, chi dovrebbe insegnare interroga e chi è lì per imparare viene interrogato. Spiegare un Film a un Bambino significa, al contrario, rispondere alle domande dei bambini sui film. Cosa che può fare, ovviamente, solo chi alle loro domande sa rispondere. Queste, dunque, sono le semplici regole a cui mi attengo: 1. Niente compiti sui film. Le schede di accompagnamento possono essere lette dagli alunni, ma non devono esserlo: non ho mai interrogato nessuno su di esse. Tutt’al più, qualche volta, può accadere che suggerisca di leggerle a chi si lamenta di non riuscire a trovare delle buone domande. I bambini, infatti, hanno quest’unica consegna: farmi una o più domande, che mi devono consegnare scritte un paio di giorni dopo aver visto il film. Domande che io non valuto come un compito ma solo, per l’appunto, come domande: più mi mettono in difficoltà, più il voto che ottengono è alto. 2. Spiegare un Film a un Bambino è la Materiachenoncè: cerco di farla sentire agli alunni come qualcosa che un po’ infastidisce, quando non insospettisce, l’istituzione scolastica e gli adulti “istituzionalizzati”, insegnanti o genitori che siano. Senza però far mai alcunché di davvero fastidioso o sospetto, naturalmente: si fa per gioco, non siamo mica stupidi né i bambini né io! 3. All’opposto di quel che avviene sempre in tv, i film a scuola devono essere rigorosamente rispettati: nessun rumore, non una parola, nessuna interruzione (tranne che in caso di piccola o grande emergenza, è ovvio) da parte degli alunni come da parte mia: da parte mia, se possibile, ancor più che da parte loro. 4. A differenza delle altre “discipline” (termine orrendo se mai ve ne furono), tutte straordinariamente utili per il presente e per il futuro, i film a scuola servono a niente: si guardano perché son belli e/o interessanti, e basta, e s’interroga l’insegnante per far sudare lui, una volta tanto: che poi quest’ultima cosa non accada spesso (o, se accade, che l’insegnante riesca a dissimularlo) fa parte del gioco e lo rende un poco più intrigante... Bene: poiché quello in corso è l’ultimo mio Cineforum scolastico (2012-2015, se tutto va bene) ho deciso di pubblicare qui, a corredo delle schede dei film, anche le migliori domande che i bambini mi hanno rivolto da quando devono farlo per iscritto, cioè dal 2000 a oggi...(ovviamente dopo che avrò ricevuto le vostre, ragazzi, altrimenti è troppo facile!). Cominciamo, dunque, dalle domande sul Monello, di Charlie Chaplin. Che chi vuole potrà andare a leggere semplicemente cliccando qui! (Lunedì 18 marzo 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Spiegare un Film a un Bambino: Bashu, di Bahram Beizai.

"Bashu, il piccolo straniero", di Bahram Beizai (1986-1989).

(Le schede di Spiegare un film a un bambino sono per bambini e ragazzi di Quinta elementare, Prima, Seconda e Terza media. Sono scritte, perciò, il più semplicemente possibile. Ma non sono affatto semplicistiche. Vuoi servirtene? Fai pure. Ma non spezzettarle, non alterarle e... non dimenticare di citarne l’autore!)

 

Ci si accorge della guerra solo quando non si può più far finta che non ci sia: quando esplode in tutta la sua mostruosa ferocia, quando distrugge, massacra, tortura. Allora ci rendiamo conto che la guerra non è scomparsa dalla faccia della Terra, che non è stata davvero ripudiata e confinata nei libri di Storia, che può di nuovo raggiungerci e stritolare tutto quello che ci è caro e le nostre stesse vite. È una terribile sorpresa. Credevamo, infatti (soprattutto dopo la fine del cinquantennale confronto tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica che chiamavamo Guerra Fredda) che la guerra fosse una follia in estinzione, destinata ben presto a sparire anche dai pochi luoghi del pianeta, remoti e sfortunati, in cui ancora ci si ostinava a praticarla. Ma ci sbagliavamo, e il nostro errore scaturiva dal non capire che la guerra è molto più che un conflitto armato tra due o più nazioni, più o meno circoscritto nel tempo e nello spazio, per il controllo delle risorse economiche o per il trionfo di una religione o di un’ideologia su un’altra. La guerra è un fenomeno molto più diffuso, molto più presente, in corso in tutto il mondo: anche nel nostro Paese, nella nostra città, talvolta perfino nelle nostre case. Si svolge intorno a noi e fra noi in ogni momento delle nostre giornate, e coinvolge, suo malgrado, anche chi finge di non vederla. Poiché la guerra, appunto, non è “solo” quella che si combatte con le armi. Guerra sono tutti i comportamenti, gli atti e le parole che si rivolgono o si riferiscono a uno o più esseri umani come se umani non fossero, o lo fossero meno di altri. Guerra è imbrogliare e derubare un essere umano come se valesse meno di chi lo danneggia. Guerra è non rispettare i diritti di un essere umano e le leggi che sono state promulgate per difenderli. Guerra è sfruttare il lavoro di un essere umano come se fosse il lavoro di un animale. Guerra è usare il corpo di un essere umano come se fosse un oggetto. Guerra è danneggiare l’ambiente in cui un essere umano vive. Guerra è diffondere l’odio contro chi è diverso come se la diversità lo rendesse meno umano. Guerra è tentare di impedire a un essere umano di manifestare il suo pensiero come se le sue idee e le sue parole non fossero, anch’esse, le creazioni di una mente umana. È guerra, tutto ciò? Sì, lo è, anche se questi comportamenti, atti e parole non feriscono e non uccidono. Poiché sono comportamenti, atti e parole che a poco a poco infondono e diffondono l’idea che certi esseri umani siano meno umani di altri; o che addirittura non lo siano affatto; o perfino che siano mostri, creature demoniache; e che pertanto si possa e si debba combatterli e ucciderli come animali nocivi. Dunque, chi considera e tratta un essere umano meno di come un essere umano dev’essere considerato e trattato, è lui che... (Clicca qui per continuare a leggere!). (Sabato 16 marzo 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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ScuolAnticoli è felice per l'elezione della compagna Laura Boldrini a presidente della Camera.

È l’8 maggio 2009. Il leghista Roberto Maroni, ministro degli Interni del governo Berlusconi, dichiara: La politica del respingimento sostituisce quella del rimpatrio. È una svolta storica. I clandestini non li facciamo entrare. Commenta Piero Fassino, che con Veltroni segretario del Pd era “ministro-ombra” degli Esteri e ora, con Franceschini, è responsabile Esteri: Il respingimento degli Immigrati non è uno scandalo, si è fatto anche nel passato quando eravamo noi al governo. (La Repubblica, 9 maggio 2009). Gli dà ragione Silvio Berlusconi: Nessuno scandalo per il rimpatrio dei clandestini, abbiamo solo applicato il diritto internazionale. La sinistra vuole un’Italia multietnica, noi no. (La Repubblica, 10 maggio 2009). Commenta Francesco Rutelli: Sono favorevole ai respingimenti. Basta con le ipocrisie. (La Repubblica, 12 maggio 2009). Il giorno dopo, in un’intervista al Mattino, Sergio Chiamparino difende i respingimenti alle frontiere, chiede “confini blindati” e attacca il Pd, “sinistra degli snob”. “La mia linea sugli immigrati clandestini,” dice, “coincide con quella di Fassino”. (La Repubblica, 14 maggio 2009). Ed Enrico Letta, Filippo Penati e Giorgio Merlo? Non si fan certo pregare: Le idee di Chiamparino sono di buon senso (Enrico). Se il vertice del Partito democratico non discute di questi argomenti fa un grave errore (Filippo). Chiamparino ha interpretato i sentimenti di molti elettori. E parlo dei nostri, non dei leghisti (Giorgio) (La Repubblica, 16 maggio 2009). Lo stesso giorno, però, intervengono Laurens Jolles e Laura Boldrini, rispettivamente rappresentante e portavoce per l’Italia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati: Abbiamo invitato il governo italiano a sospendere il respingimento dei Migranti in mezzo al mare, perché questa politica è in contrasto con il principio di non respingimento, che trova applicazione anche in acque internazionali, sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951... Chiediamo che le persone finora respinte in Libia dalle acque internazionali siano riammesse in Italia per dare la possibilità ai richiedenti asilo di essere accolti... In caso contrario, l’Italia sarà responsabile delle conseguenze del respingimento. ( La Repubblica, 16 maggio 2009). Poteva tacere Ignazio La Russa, ministro della Difesa? Certo che no: Laura Boldrini, la portavoce dell’Unhcr, dichiara, è disumana o criminale. È nota per essere di Rifondazione comunista. Porta il cognome di un noto capo partigiano. E l’Unhcr è uno di quegli organismi che non contano un fico secco, finché la stampa non decide che contano qualcosa. (La Repubblica, 17 maggio 2009). Roberto Maroni, Silvio Berlusconi, Piero Fassino, Francesco Rutelli, Sergio Chiamparino, Enrico Letta, Filippo Penati, Giorgio Merlo, Ignazio La Russa: è bello sapere, oggi che Laura Boldrini è presidente della Camera dei deputati, che io ero con lei quando voi eravate insieme contro. (Sabato 16 marzo 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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da l’Unità di domenica 17 marzo 2013. Chi vuole, poi, accosti la bella foto di Laura Boldrini con un piccolo profugo, qui sopra, a quella non meno bella, anche se immaginaria, di Sussan Taslimi con il bambino Bashu in cima alla pagina: mi son capitate l’una accanto all’altra così, come per caso, ed è passata qualche ora prima che mi accorgessi, con gioia, che insieme componevano un’immagine ancora più bella: una di quelle coincidenze che ci fanno sentire molto bene con noi stessi, perché vengono, irrazionalmente quanto esattamente, dal profondo di noi. (Domenica 17 marzo 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Vi ricordate di Giulio Tononi, psichiatra e direttore del Centro sul sonno e la coscienza dell’Università del Wisconsin, U.S.A.? No? ScuolAnticoli ne parlò il 3 febbraio 2010, quando l’ineffabile Elena Dusi scrisse su La Repubblica le seguenti parole: Anche a sognare si impara. Le trame piene di azioni ed emozioni non sono affare da bambini, ma si costruiscono solo crescendo. Nonostante quel che s’immagina osservando le smorfie o i movimenti del corpo, le notti dei piccoli sono calme e placide come specchi d’acqua senza vento. (...) Prima di elaborare scene ricche di movimenti, colori, interazioni ed emozioni, secondo i ricercatori Giulio Tononi e Yuval Nir, del dipartimento di psichiatria dell’università del Wisconsin a Madison, un bambino deve aver sviluppato le proprie capacità cognitive e arricchito la propria immaginazione. E questo avverrebbe attorno ai sette anni di età. (...) Fino a cinque anni le scene sono fisse e i protagonisti immobili. (...) Le emozioni sono assenti. (...) E l’incapacità dei bambini di sognare scene complesse fa pensare a Tononi e Nir che neanche gli animali sappiano elaborare trame di caccia, corsa o avventurosi salti fra gli alberi”. Carino, vero? Il commento di ScuolAnticoli fu: Ma come? È un caso di omonimia o questa è la medesima Elena Dusi che nell’aprile del 2009 scrisse (sempre su La Repubblica) che un’indagine sulle pecore aveva “dimostrato” che il feto umano sogna già nell’utero materno? Nonché la medesima Elena Dusi che poi, nel luglio, aggiunse (citando sempre le pecore) che il feto “sente” i rumori, ne conserva memoria e in base a tali suoi “ricordi” sogna alla grande? Difficile capirci qualcosa. Prima uno “studio” “dimostra” (su un animale non umano) che il feto (umano) sogna. Poi un altro “studio” “dimostra” che il neonato e il bambino invece non sognano, “proprio come gli animali non umani”... E le pecore, che fine hanno fatto? La pecora sogna, il feto umano pure, gli altri animali non sognano e il bambino e il neonato nemmeno?! Elena! Sei connessa? In realtà siamo sempre lì. Agli sproloqui della Cesira al mercato e del Cesiro in oratorio. Tu, mamma, e tu, papà, che udendo gemere nel sonno la bimba o il bimbo accorrete premurosi al lettino e con una carezza e un bacetto cercate ingenuamente di indirizzare i loro incubi verso immagini più liete, la prossima volta restatevene a lettone e lasciateli gemere fino a domani: tanto, fino a sette anni non ci sono emozioni, nei sogni dei piccoli umani. E perché non ci sono? Perché i piccoli umani... non sono umani. Sono come gli animali non umani (tranne le pecore) e dunque non sognano né tanto meno hanno sentimenti, finché i genitori, i nonni, le monache, i preti e i maestri non gli insegnano a essere umani. A questo punto vi starete forse chiedendo come mai, tre anni dopo, io torni a infastidirvi ricordandovi il professor Giulio Tononi. Me ne scuso, ma la colpa è sua: è Giulio Tononi che è tornato a. E che, intervistato da Riccardo Staglianò per il Venerdì di Repubblica (i venerdì non mancano mai ai Tononi di questo mondo) ha fra l’altro pronunciato le quattro parolette che seguono: mentre sogni sei cosciente. Mentre sogni sei cosciente?! O bella, e com’è possibile?, mi son domandato. O piuttosto: che tipo è uno che può convincersi di ciò? Solo un tipo, mi pare: uno i cui sogni non si distinguono in alcun modo dalle esperienze reali. I cui sogni, cioè, sono riproduzioni “fotografiche” (sia detto senza offesa per l’arte della fotografia) della realtà. Come quelli delle pecore? Be’, questo non lo so, perché di sogni di Giulio Tononi conosco solo quello da lui riferito a Riccardo Staglianò: L’altra sera mi son sognato un amico, ricercatore al Mit, che mi domandava: “Ma se io potessi fare un clone di un essere umano, in totale sarebbero due coscienze o resterebbe una?” E io, nel dibattito onirico, gli ho risposto che non potrebbero essere due, perché ciò violerebbe il principio degli indiscernibili di Leibniz, per il quale, se non c’è modo di distinguere due enti, allora in realtà è uno solo. Che ne dite? Non vi sembra, in effetti, un sogno indiscernibile dall’esperienza cosciente? (Venerdì 15 marzo 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Horacio Verbitsky

Doppio gioco – l’Argentina cattolica e militare

Traduzione di Andrea Grechi e Fiamma Lolli.

Fandango Libri s.r.l., Roma, 2011

 

San Giovanni della Croce

 

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I gesuiti Orlando Yorio e Francisco Jalics vivevano in una comunità di base in un quartiere confinante con la baraccopoli del Bajo Flores, dove svolgevano la loro opera pastorale. Dieci giorni prima del colpo di Stato militare il superiore provinciale dei gesuiti, Jorge Mario Bergoglio, li avvisò che dovevano lasciare la comunità. Poiché Yorio e Jalics non volevano abbandonare gli abitanti in un momento così difficile, Bergoglio propose ai due sacerdoti di uscire dalla Compagnia di Gesù. In aggiunta, il cardinal Aramburu li privò dell’autorizzazione per celebrare messa. Yorio e Jalics furono sequestrati il 23 maggio 1976 insieme a un gruppo di catechisti e catechiste e condotti alla Scuola di Meccanica della Marina e in una struttura clandestina nel Gran Buenos Aires, dove furono torturati. Cinque mesi dopo, li addormentarono con narcolettici, li caricarono su un elicottero e li abbandonarono in un campo incolto alla vigilia della visita del ministro Martinez de Hoz all’Assemblea dell’Episcopato. Ma i catechisti, tra cui Mónica Candelaria Mignone, scomparvero per sempre. Questo è uno dei casi che la Conferenza Argentina dei Religiosi aveva preso in esame quando scrisse la richiesta d’aiuto a Primatesta.

 

Dopo la sua liberazione, Yorio andò a Roma con l’aiuto di Laghi e Bergoglio. Lì, padre Gavigna (segretario del superiore generale dei gesuiti), contrariamente agli accordi presi con Bergoglio, lo informò che era stato espulso dalla Compagnia. Gli riferì inoltre che secondo l’ambasciatore argentino in Vaticano il sequestro era dovuto al fatto che “i nostri superiori esclesiastici avevano informato il governo che almeno uno di noi era un guerrigliero”.

 

Bergoglio negò di essere stato lui a tradire i suoi sacerdoti e disse che, al contrario, aveva incontrato Videla e Massera per ottenere la loro liberazione, versione che Yorio sminuì. Il caso divise per anni il mondo delle associazioni di difesa dei diritti umani e il laicato cattolico. Emilio Fermín Mignone, presidente e fondatore del Centro de Estudios Legales y Sociales (Cels) e padre di Mónica, accusò esplicitamente Bergoglio. Quando Bergoglio provò ad avvicinarsi a lui dopo una messa nella cattedrale per dargli spiegazioni, Mígnone si rifiutò di ascoltarlo. Al contrario Alicia Oliveira, una delle avvocate che lavorò al fianco di Mígnone negli anni peggiori della dittatura, sostiene che Bergoglio (che è padrino dei suoi tre figli) disse ai sacerdoti di andare via dalla baraccopoli per salvarli, e che quando gli disobbedirono fece tutto il possibile per ottenere la loro liberazione.

 

La controversia si protrasse fino al 2004, quando trovai nell’archivio del ministero degli Esteri una serie di documenti che sciolgono l’enigma: Bergoglio fece sia quello che diceva Mígnone sia quello che, in buona fede, crede Alicia Oliveira.

 

Si tratta della corrispondenza che Bergoglio intrattenne con la Direzione nazionale per il Culto per sollecitare, a favore di Jalics, un’eccezione alla normale procedura di rinnovo del passaporto. Il primo documento è la richiesta formulata da Bergoglio, con il suo sigillo e la sua firma in veste di provinciale dei gesuiti. Il secondo è il pronunciamento ufficiale del direttore del Culto cattolico, Anselmo Orcoyen, il quale “con riguardo ai precedenti del ricorrente” ritenne di “non doversi accedere alla richiesta” (sottolineato nell’originale). Il terzo documento è una nota di poche righe, anch’essa siglata da Orcoyen. Afferma che a carico di Jalics c’erano precedenti di disubbidienza e infrazioni in congregazioni religiose femminili; che era stato “detenuto” con Yorio nella Esma “per sospetti contatti con i guerriglieri”; che entrambi si erano rifiutati di obbedire quando il superiore gesuita aveva sciolto nel febbraio del 1976 la piccola comunità nella quale vivevano; che per questo Yorio e un altro sacerdote del gruppo erano stati espulsi dalla Compagnia e che nessun vescovo del Gran Buenos Aires aveva voluto accoglierli. Quindi aggiunge:

 

“Queste informazioni sono state fornite al signor Orcoyen dallo stesso padre Bergoglio, firmatario della nota, con particolare raccomandazione di non dare corso alla richiesta”.

 

Nello stesso archivio è presente un documento d’intelligence anonimo, dedicato ai temi ecclesiastici e alle figure di spicco della Chiesa, intitolato “Nuova penetrazione egemonica dei gesuiti argentini”. Vi si afferma che “a dispetto della buona volontà del padre Bergoglio, la Compagnia in Argentina non ha fatto pulizia al suo interno. I gesuiti di sinistra sono rimasti nell’ombra per qualche tempo, ma ora, con forte sostegno dall’esterno e da certi vescovi terzomondisti, hanno avviato una nuova fase”. Ho raccontato questa storia nel mio libro L’isola del silenzio, la cui prima edizione venne pubblicata in Argentina nel febbraio del 2005, negli stessi giorni in cui a Roma era ricoverato in ospedale papa Giovanni Paolo II, che morì il 2 aprile. Secondo il quotidiano italiano Il Giornale il cardinal Bergoglio fu l’unico serio antagonista del tedesco Joseph Ratzinger, che risultò eletto il 19 aprile e adottò il nome di Benedetto XVI.

 

Bergoglio rispose attraverso il suo portavoce ufficiale, il presbitero Guillermo Marco, che il libro era un’infamia che aveva l’unico scopo di influire negativamente contro di lui nel conclave dell’aprile del 2005. Ciò è cronologicamente impossibile, perché si può dimostrare che lo consegnai alla Editorial Sudamericana nell’agosto del 2004, molto prima della malattia del Papa, e che fu pubblicato prima della sua morte. Bergoglio sa meglio di chiunque altro quanti anni durarono le mie indagini. Per screditarle, il suo portavoce disse che Yorio non poteva confutare il libro perché era morto e che la mia fonte a proposito di Jalics era anonima.

 

“Il cardinale aveva molta stima di te”, mi disse un sacerdote che conosce Bergoglio.

 

“Anch’io di lui”, gli risposi.

 

“E allora, cos’è successo?”

 

“Che ho trovato quei documenti nell’archivio del ministero degli Esteri. Avrei forse dovuto far finta di nulla, come se non li avessi visti?”

 

Il silenzio della sua risposta si protrae fino a oggi. Né Bergoglio né le persone a lui vicine hanno speso una parola su questa prova di doppiezza della quale lo accusano Yorio e Jalics.

 

Yorio era ancora vivo quando pubblicai la prima intervista nella quale accusava Bergoglio, nel 1999. Lungi dal confutarmi, mi inviò alcune righe intitolate “Grazie” nelle quali menzionava “la chiarezza, la professionalità e l’attaccamento alla verità con cui ha trattato il tema e il lavoro di inchiesta” e mi raccomandò la lettura del libro di Jalics Ejercicios de contemplación.

 

Figlio di un proprietario terriero e ufficiale dell’esercito ungherese, Jalics sostiene in quelle pagine che il padre morì avvelenato nella sede della polizia politica comunista, ma che la madre gli insegnò a non odiare. Nel raccontare il suo sequestro, scrive:

 

“Molta gente con idee politiche di estrema destra non vedeva di buon occhio la nostra presenza nelle baraccopoli. Interpretavano il fatto che vivevamo lì come un sostegno alla guerriglia e si proposero di denunciarci come terroristi. Noi sapevamo da dove soffiava il vento e chi era il responsabile di quelle calunnie. Per questo motivo andai a parlare con la persona in questione e gli spiegai che stava giocando con le nostre vite. Mi promise che avrebbe fatto sapere ai militari che non eravamo terroristi. In seguito, grazie a dichiarazioni successive di un ufficiale e a trenta documenti ai quali riuscii ad accedere, potemmo comprovare senza ombra di dubbio che quell’uomo non aveva mantenuto la sua promessa; al contrario aveva presentato una falsa denuncia ai militari”.

 

Quell’uomo è Bergoglio. La sua identità è rivelata da una lettera che Yorio scrisse da Roma nel 1977, indirizzata all’assistente generale della Compagnia di Gesù, padre Moura. I fratelli e i nipoti di Yorio me ne diedero copia dopo la sua morte, come attestato di fiducia per la pubblicazione del mio libro. Quel testo permette di conoscere il resto della storia.

 

Yorio elenca le critiche verso la sua persona che circolavano nella Compagnia di Gesù (“orazioni stravaganti, convivenza con donne, eresie, impegno nella guerriglia”), del tutto analoghe a quelle che Bergoglio trasmise in seguito al ministero degli Esteri. Bergoglio disse loro che il lavoro che svolgevano nella comunità di base rientrava “nell’ubbidienza e nella disponibilità della Compagnia” e che non dovevano preoccuparsi delle critiche. Infine invitò Yorio a professare gli ultimi voti, vale a dire il passo conclusivo dell’esigente formazione gesuitica, ma quando Yorio si decise a compierlo, Bergoglio gli chiese di aspettare sei mesi. Scaduto il termine, gli disse che aveva ricevuto resoconti negativi su di lui. Sorpreso, Yorio parlò con le persone consultate da Bergoglio. Almeno tre di loro (i sacerdoti Oliva, José Ignacio Vicentini e Juan Carlos Scannone) gli dissero che non si erano espressi contro di lui bensì a suo favore.

 

Nel clima che si viveva a quei tempi in Argentina, l’accusa di appartenenza alla guerriglia proveniente da “una voce importante (come quella di un gesuita) poteva significare la nostra condanna a morte. Le forze di estrema destra avevano già mitragliato la casa di un sacerdote e ne avevano sequestrato un altro, torturandolo e poi abbandonandolo cadavere. Vivevano entrambi nelle baraccopoli. Quanto a noi, ci avevano messo sull’avviso”.

 

Jalics parlò non meno di due volte con Bergoglio per fargli notare il pericolo in cui queste versioni mettevano Yorio.

 

“Bergoglio riconobbe la gravità del fatto e si impegnò a frenare le voci che giravano nella Compagnia e a parlare con persone delle Forze armate per testimoniare la nostra innocenza. [Ma siccome] il provinciale non faceva nulla per difenderci, cominciammo a dubitare della sua onestà. Eravamo snervati dalla situazione nella Compagnia e ci sentivamo totalmente insicuri”.

 

Avevano i loro motivi. Per anni Bergoglio li aveva sottoposti a una forma di vessazione insidiosa, senza assumersi apertamente la paternità delle accuse contro di loro, che attribuiva sempre ad altri sacerdoti o vescovi i quali, una volta tirati in ballo, lo smentivano. Bergoglio aveva garantito ai due sacerdoti una continuità di tre anni nell’opera che svolgevano a Bajo Flores, ma l’arcivescovo Aramburu lo informò che si trovavano lì senza autorizzazione. I due sacerdoti furono avvisati da uno dei fondatori del Movimento dei sacerdoti per il Terzo mondo e della pastorale delle baraccopoli, Rodolfo Ricciardelli, al quale fu lo stesso Aramburu a raccontarlo. Quando Yorio si rivolse a Bergoglio, quest’ultimo gli disse che Aramburu “era un bugiardo” e che ricorreva a queste “tattiche per infastidire la Compagnia”. Dice Yorio: “Credetti pienamente al superiore provinciale”.

 

Nel nostro scambio epistolare, Yorio respinse la tesi difensiva del suo ex provinciale. Scrive che nel clima di paura e delazione che si era instaurato nella Chiesa e nella società, i sacerdoti che operavano a contatto con i più poveri “erano demonizzatì, additati con sospetto nelle nostre stesse istituzioni e accusati di sovvertire l’ordine sociale”. In quel contesto furono sottomessi “all’infamante divieto di esercitare il sacerdozio, dando così adito e giustificazione al tentativo delle forze repressive di farci scomparire. Da un lato ci avvisavano dei pericoli, ma dall’altro non frenavano le diffamazioni di cui erano complici le stesse persone che ci facevano la cortesia di avvisarci. Ci allertavano che eravamo segnalati e accusati, ma allo stesso tempo mantenevano nel mistero e nell’ambiguità le motivazioni dell’accusa, privandoci così della possibilità di difenderci”.

 

Una volta usciti dalla Compagnia di Gesù, Bergoglio raccomandò ai due sacerdoti di andare dal vescovo di Morón, Miguel Raspanti, nella cui diocesi avrebbero potuto trovare rifugio e continuare a esercitare il sacerdozio. Il superiore provinciale si offrì di inviare un rapporto favorevole affinché fossero accolti.

 

“Monsignor Raspanti ci accolse molto bene. Si mostrò disposto ad accettarci. Venimmo anche a sapere che avevamo già delle parrocchie assegnate. Quando però arrivarono i rapporti del provinciale, tutto si fermò. Monsignor Raspanti mi chiese di andare dal provinciale e di ritrattare”.

 

“Ritrattare cosa?”, gli domandò Yorio, stupito.

 

“Parlerò di nuovo con Bergoglio”, promise Raspanti, suggerendo a Yorio di fare lo stesso.

 

Yorio e Jalics seppero cosa era successo grazie al vicario e ad alcuni sacerdoti della diocesi di Morón. Durante una riunione del Consiglio presbiteriale, Raspanti aveva letto la missiva del provinciale Bergoglio. Conteneva accuse “tali da non permetterci più di esercitare il sacerdozio”.

 

“Non è vero. Il mio rapporto fu favorevole. Quello che è successo è che Raspanti è una persona di una certa età, che a volte si confonde”, si difese Bergoglio davanti a Yorio.

 

Tuttavia nel suo nuovo incontro con il vescovo di Morón confermò le accuse, stando a quel che Raspanti riferì a un altro sacerdote della comunità del Bajo Flores, Luis Dourrón. Yorio provò allora a insistere con Bergoglio.

 

“Raspanti dice che i suoi sacerdoti si oppongono al vostro ingresso nella diocesi”, si giustificò questa volta il superiore provinciale.

 

Un’altra possibilità era che si unissero al Gruppo pastorale delle baraccopoli dell’Arcivescovado di Buenos Aires. Il responsabile, il presbitero Héctor Botàn, prospettò questa eventualità all’arcivescovo Aramburu.

 

“Impossibile. Ci sono accuse gravissime contro di loro. Non voglio nemmeno vederli”, gli rispose.

 

Uno dei sacerdoti delle baraccopoli si lamentò con il vicario episcopale della zona di Flores, Mario José Serra.

 

“Le accuse provengono dal provinciale”, gli spiegò Serra.

 

Lo stesso Serra fu incaricato di avvisare Yorio che gli era stata revocata l’autorizzazione per esercitare il suo ministero nell’Arcidiocesi, a causa del fatto che il provinciale aveva comunicato che “io lasciavo la Compagnia”.

 

“Non avevano motivo di revocarti l’autorizzazione. Il problema è Aramburu. Io ti do licenza per permetterti di continuare a celebrare messa in privato, fino a quando non troverai un vescovo che ti accoglierà nella sua diocesi”, gli disse Bergoglio.

 

L’ultimo tentativo di trovare un vescovo disponibile lo fece il sacerdote dell’Arcidiocesi Eduardo Gonzalez. Convocato all’Assemblea Plenaria dell’Episcopato che ebbe inizio il 10 maggio 1976, espose il caso all’arcivescovo di Santa Fe, Vicente Zazpe.

 

“Non è possibile farsi carico di loro, dal momento che il provinciale continua a ripetere che li manda via dalla Compagnia”, sostenne Zazpe.

 

Il Gruppo pastorale delle baraccopoli inviò una lettera di protesta a Bergoglio, e in copia a Laghi, Aramburu e Raspanti, nessuno dei quali rispose.

 

Provarono a ricorrere anche al diritto canonico. Jalics consultò un sacerdote canonista, il quale argomentò che quello che stava avvenendo nei loro confronti era gravissimo e si offrì di combinare un incontro con un altro dei vicari di Aramburu. L’assai esperto monsignor Horacio Bozzoli si rifiutò di riceverli. Prima di partire per Roma, per essere creato cardinale, Aramburu gli aveva lasciato rigide istruzioni di negare udienza ai due sacerdoti, se l’avessero sollecitata.

 

Poche ore prima che Paolo VI consegnasse la berretta cardinalizia ad Aramburu, li sequestrarono.

 

Il rapporto di Yorio alla Compagnia di Gesù racconta che lo interrogarono solo i primi giorni e che possedevano una conoscenza precisa delle questioni interne alla Chiesa e del dibattito teologico.

 

“Mi drogarono per farmi parlare in stato d’incoscienza. Avevano ricevuto pesanti accuse secondo cui ero un guerrigliero. Mi chiedevano di chiarire come mai non avevo l’autorizzazione sacerdotale. Mi domandarono della mia attività nella baraccopoli, delle mie opinioni sulla storia argentina e se avevo relazioni sessuali con una catechista”.

 

Incappucciato, Yorio dovette ascoltare un messaggio paternalista. Gli dissero che era un buon sacerdote ma che era incorso nell’equivoco di andare a vivere insieme ai poveri. Era “un’interpretazione materialista del Vangelo”, perché “Cristo parla di povertà spirituale e in Argentina i poveri sono i ricchi. È di loro che mi sarei dovuto curare”.

 

Dopo essersi risvegliato in un terreno abbandonato, Yorio si rifugiò in una chiesa e poi a casa di sua madre. La protezione di un vescovo era più urgente che mai. L’unico che lo accettò fu Jorge Novak, che era stato nominato vescovo durante la sua prigionia, nel settembre del 1976. Per evitare nuovi problemi, Bergoglio si incontrò con Novak in presenza di Yorio.

 

“Parlò di me in modo molto favorevole. Disse che non lasciavo la Compagnia per problemi di ordine sacerdotale, religioso, o disciplinare, e che l’unico problema era quello di tensioni tra gruppi di esseri umani”.

 

Ma i problemi non erano terminati. Quando cominciarono le retate nella zona e si venne a sapere che Yorio era ricercato, Novak insistette affinché abbandonasse il Paese. Laghi gli procurò i documenti e Bergoglio gli pagò il volo per Roma, intervenendo perché fosse accolto nel Collegio Pio Latino e per facilitare il suo ingresso nella Pontificia Università Gregoriana.

 

“Però non riuscì a darmi alcuna spiegazione di quanto avvenuto in precedenza. Si affrettò a chiedermi cortesemente di non fare domande al riguardo, perché si sentiva molto confuso e non avrebbe saputo darmi risposte. Neanch’io gli dissi nulla. Che cosa avrei potuto dirgli?”

 

Jalics invece partì per gli Stati Uniti e poi andò in Germania. La sua situazione gli ricorda quella di san Giovanni della Croce, “tenuto in prigione per mesi dai suoi compagni”. Jalics provava risentimento più nei confronti di chi lo aveva tradito che non verso i suoi sequestratori; a dispetto della distanza “non cessavano le menzogne, le calunnie e le azioni ingiuste”. Tuttavia, come racconta nel suo libro, nel 1980 bruciò i documenti che comprovavano quello che definisce “il delitto” dei suoi persecutori. Fino a quel momento li aveva conservati con la segreta intenzione di utilizzarli. “Da allora mi sento veramente libero e posso dire di aver perdonato con tutto il cuore”.

 

Il giornalista dell’agenzia di stampa Associated Press Ignacio Covarrubias lo intervistò in seguito alla pubblicazione de L’isola del silenzio. Covarrubias, legato da un rapporto di vecchia data a Jalics, di cui fu alunno, conserva la trascrizione testuale del dialogo:

 

“Sporsero una falsa denuncia contro di noi e rimasi prigioniero per cinque mesi. Non ho voglia di rimestare queste cose del passato”.

 

“Cosa pensa del ruolo svolto da Bergoglio?”

 

“Non ho alcuna opinione”.

 

“Né a favore né contro?”

 

“Né a favore né contro. Non ho voglia di parlarne”.

 

(pp 109 – 121)

 

Epilogo

 

Tuttavia, neppure l’attuale Episcopato è stato capace di sistemare i conti con quel periodo sinistro, né di farla finita con il doppiogiochismo. Il suo uomo forte è il cardinale Jorge Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, che dal 2006 presiede la Conferenza Episcopale, della quale in precedenza è stato secondo e poi primo vicepresidente.

 

Insieme all’ex comandante in capo dell’Esercito, il generale Ricardo Brinzoni, tentò di porre fine ai processi nei confronti dei militari accusati di violazioni dei diritti umani. Brinzoni rivelò che fu Bergoglio l’ispiratore della parola d’ordine della “memoria completa”, con la quale entrambi credettero possibile accantonare la rivendicazione di giustizia della società.

 

Nel marzo del 2001, tuttavia, su istanza del Centro de Estudios Legales y Sociales, il giudice federale Gabriel Cavallo dichiarò la nullità delle leggi del Punto finale e dell’Obbedienza dovuta, decisione confermata dalla Corte suprema di giustizia nel 2005, con il beneplacito del nuovo presidente Néstor Kirchner. Ciò consentì la riapertura dei procedimenti contro i responsabili, tra cui Videla e Bignone, i ritratti dei quali Kirchner ordinò di rimuovere dalla galleria di ex direttori del Collegio militare, dove si formano le nuove generazioni di ufficiali.

 

La sentenza della Corte suprema di giustizia vanificò le manovre episcopali. Nel dicembre del 2002 era diventato titolare del Vicariato militare, trasformato in vescovado, Antonio Baseotto. Uno dei suoi primi atti fu richiedere alla Corte suprema, prima per iscritto e poi personalmente, di dichiarare costituzionali le due leggi di impunità. Nessun vescovo fece una piega.

 

Nel febbraio del 2005, il vescovo militare inviò una lettera al ministro della Salute, Ginés Gonzalez Garcia, che aveva deplorato il numero di morti evitabili che si registrano a causa della criminalizzazione dell’ aborto: “Chi scandalizza i piccoli meriterebbe di essere gettato in mare con una pietra legata al colo” gli disse. Kirchner chiese alla Santa Sede di designare un nuovo vescovo militare, ma il Vaticano rispose che non ne vedeva alcuna ragione dal punto di vista canonico.

 

A marzo, Kirchner dichiarò la nullità del beneplacito rilasciato a Baseotto come vescovo militare, lo privò della qualifica di sottosegretario di Stato e sospese il pagamento del suo stipendio. Il decreto presidenziale afferma che le parole di Baseotto,

 

“ricorrendo ad allegorie dalle connotazioni molto forti per la Repubblica Argentina, tali da rievocare i cosiddetti voli della morte, rivendicano i metodi della dittatura, sostengono gli autori di tali crimini e sono ben lungi dal contribuire alla pace e all’armonia o alla cura spirituale delle Forze armate”.

 

Sia il Vaticano sia l’Episcopato argentino presero le difese di Baseotto e negarono qualsiasi nesso tra la parabola e i “fatti avvenuti, stando a quel che si dice, durante la famosa dittatura militare”, cui si fa riferimento come parte di “una campagna diretta contro la Chiesa”, secondo le parole dello stesso Baseotto. La sua affermazione non è innocente: il segretario generale del Vescovado militare è il prelato Alberto Angel Zanchetta, che nel 1977 era uno dei cappellani della Esma i quali, stando al racconto di Adolfo Scilingo, consolavano gli ufficiali che ritornavano turbati dalle missioni durante le quali eseguivano con i detenuti desaparecidos quegli stessi auspici che Baseotto espresse nei riguardi del ministro della Salute. Il vicario generale del Vescovado militare, monsignor Pedro Candia, è un ex ufficiale dell’Esercito che andò in congedo con il grado di primo tenente nel maggio 1987, una volta naufragata la rivolta militare dei Carapintadas, nella quale fu arrestato suo cugino, Luis Alejandro Candia. Solo allora entrò in seminario.

 

Il governo vagliò l’ipotesi di denunciare il trattato complementare del Concordato, in base al quale esiste il Vescovado militare, e disporre che uomini e donne delle Forze armate si rivolgessero alle strutture territoriali dei differenti credi religiosi, proprio come accade oggi con i notai, le manicure, i cartoneros o qualsiasi altra categoria, che si confessa dove preferisce.

 

Nel novembre del 2005 l’Episcopato divulgò una lettera pastorale dal pretenzioso titolo Una luz para reconstruir la Nación (Una luce per ricostruire la Nazione). Al punto 30 cita le proposte di riconciliazione contenute nel documento Chiesa e comunità nazionale, concepito nel 1981 , quando l’esperienza della dittatura era ormai esaurita e occorreva pianificare una via d’uscita che salvaguardasse le Forze armate dalla loro stessa follia sanguinaria. Nella postilla del 2005 la Chiesa riconosce per la prima volta “la gravità del terrore di Stato, i metodi impiegati e i conseguenti crimini di lesa umanità” e afferma che non sono paragonabili ai “crimini della guerriglia” che “terrorizzarono la popolazione e contribuirono a listare a lutto la Patria”. Tuttavia, secondo l’Episcopato, si sta offrendo ai giovani “una visione distorta" di quanto accaduto negli anni Settanta.

 

“I giovani devono conoscere anche questo capitolo della verità storica. A tal fine, tutti, ma in modo speciale voi, fedeli laici, che avete vissuto in quell’epoca e in quegli anni eravate adulti, avete l’obbligo di rendere la vostra testimonianza. È pericoloso per il futuro del Paese compiere letture parziali della storia. A partire dal nostro presente, e su un fondamento di verità e giustizia, dobbiamo farci carico del nostro passato e risanarlo”.

 

Nel marzo del 2006 l’Episcopato emanò un altro documento, Recordar el pasado para construir sabiamente el presente (Ricordare il passato per costruire saggiamente il presente), un po’ più sobrio del precedente. Ad ogni modo insiste sulla stessa linea della dichiarazione di Laguna e Casaretto del 1995. Il golpe, afferma, fu “reso possibile dalle classi dirigenti dell’epoca”, senza alcun riferimento al ruolo attivo dell’Episcopato, e sostiene che la memoria ha senso solo come strumento di riconciliazione. Respinge tanto l’impunità (che non può più perorare) quanto i “rancori e risentimenti che possono dividerci e farci scontrare”, come hanno sempre definito le richieste di giustizia.

 

Meno sottile è la compilazione di documenti Iglesia y democracia (Chiesa e democrazia), diffusa da Bergoglio il 10 marzo 2000. Il capitolo sulla difesa dei diritti umani sostiene che “non dobbiamo aver paura della verità dei documenti”. No, davvero. Ma della sua manipolazione certamente sì.

 

Per esempio, il capitolo teso a dimostrare che la Chiesa condannò sempre ogni forma di violenza si apre con il documento di San Miguel, che nell’aprile del 1969 adattò alla realtà del Paese le conclusioni della Conferenza dell’Episcopato latinoamericano di Medellin. Ma al punto 2 si interrompe bruscamente e, senza spiegazioni, si passa al 4. La conclusione del punto 2, quello troncato, dice che è dovere evangelizzatore dei vescovi “operare per la liberazione totale dell’uomo e illuminare il processo di cambiamento delle strutture ingiuste e oppressive generate dal peccato”. Il punto 3, omesso, è quello in cui l’Episcopato sentenziò che “la liberazione dovrà realizzarsi in tutti i settori in cui c’è oppressione: quello giuridico, quello politico, quello culturale, quello economico e quello sociale”. L’introduzione dello stesso documento, anch’essa soppressa, affermava che in adempimento agli orientamenti fissati da Paolo VI (che includevano una pastorale rivolta in via preferenziale a sacerdoti, studenti, lavoratori e giovani, in un continente segnato dal “cambiamento in tutti gli ordini”) i vescovi disporranno “della violenza evangelica dell’amore per proclamare pubblicamente il nostro impegno in tutte le sue dimensioni”. Quando una generazione influenzata dalla Chiesa seguì il cammino indicato in quel documento, l’Episcopato benedisse le armi degli oppressori che la massacrarono.

 

I documenti episcopali dei primi anni Settanta sono molto diversi da quelli successivi, perché sono influenzati dal clima rivoluzionario con cui il Movimento dei sacerdoti per il Terzo mondo condizionò l’Episcopato argentino, che lo temeva come un “Magistero parallelo”, secondo l’allarmata espressione di diversi vescovi raccolta nel memorandum riservato “Punti di conflittualità nella Chiesa argentina”, preparato dalla Conferenza Episcopale nell’ottobre del 1972 e che, beninteso, non figura al pari degli altri in questa antologia interessata.

 

La raccolta di Bergoglio riporta integralmente quei documenti posteriori al golpe del 1976 che ebbero diffusione pubblica e che permettono di operare un confronto, come si è fatto in questo libro. Tuttavia ne omette diversi nei quali si elogiava la dittatura; organizza tutto il materiale in ordine cronologico senza indicare quali parti furono rese pubbliche e quali rimasero segrete, e riassume solo in poche righe gli incontri conviviali tra la Commissione Esecutiva o il suo presidente e la giunta militare o il suo delegato presidenziale, o quelli della Commissione di contatto con i segretari delle tre Forze armate. Il memorandum sulla riunione del 15 novembre 1976 tra Primatesta, Aramburu e Zazpe da un lato e Videla, Massera e Agosti dall’altro occulta che la Commissione Esecutiva dell’Episcopato comunicò in quella circostanza la propria adesione alla dittatura, perché “un fallimento condurrebbe, con molta probabilità, al marxismo”. Rende nota la critica per la repressione operata al di sopra della legge, ma sottace che i vescovi, di loro propria iniziativa, la attribuirono a livelli intermedi del regime, mentre si evidenziavano “i considerevoli sforzi del governo a beneficio del Paese” e la “buona immagine delle massime autorità”; omette che, per non vedersi obbligati a “un silenzio compromettente per le nostre coscienze che, comunque, nemmeno servirebbe al processo” o a “uno scontro che sinceramente non desideriamo”, furono i vescovi a proporre di creare la Commissione di contatto, che a dispetto della sua riconosciuta inutilità continuò a concedersi gli amabili pranzi mensili con i capi della dittatura fino alla conclusione del regime militare.

 

Nel 1981 la Chiesa ricercava il perdono reciproco e la riconciliazione. Ora che sono cominciati i processi nei confronti dei militari, punta all’equiparazione giuridica tra i crimini di lesa umanità commessi dallo Stato terrorista e gli atti della guerriglia che si scontrò con la dittatura. È questo l’insidioso cammino attraverso il quale considera possibile arrivare alla sempre auspicata amnistia.

 

Tra i sopravvissuti di quell’Episcopato non figura alcun rappresentante della corrente integralista che avallò la crociata repressiva. Ciò mette ancor più in risalto il tono retrogrado dei documenti, la reiterazione di istanze che la società ha respinto e la sua crescente ingerenza nella politica del Paese, persino nella competizione elettorale, contro quel governo che ha reso possibile l’esame giudiziario dei crimini della dittatura per il quale gli organismi di difesa dei diritti umani lottarono per decenni. Per capirne i motivi basta osservare chi ha in mano le redini della Chiesa: due vescovi che ebbero veramente legami con la giunta militare: il cardinale Bergoglio, che presiede la Conferenza Episcopale, e Jorge Casaretto, che dalla Commissione per la Pastorale sociale sovrintende alle relazioni politiche della Chiesa argentina. Come negli anni 1880, 1920, 1950 e 1970, la Chiesa, grazie a loro, torna a trasformarsi in un attore politico che è impossibile ignorare.

(pp 586 – 593)

 

(Mercoledì 13 marzo 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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(Mercoledì 13 marzo 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Un dodicenne interpreta Gozzano

"L'Isola Non-Trovata" (1913), di Guido Gozzano (1883-1916): riflessione su quale sia l'Isola a cui il poeta si riferisce e cosa significhi.

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Il compito: Riflessione su quale sia l’Isola a cui il poeta si riferisce e cosa

significhi.

La poesia: La più bella (1913), di Guido Gozzano (1883-1916).

1. Ma bella più di tutte l’Isola Non-Trovata:

quella che il Re di Spagna s’ebbe da suo cugino,

il Re di Portogallo, con firma suggellata

e bulla del Pontefice in gotico latino.

L’Infante fece vela pel regno favoloso,

vide le Fortunate: Iunonia, Gorgo, Hera,

il mare di Sargasso e il Mare Tenebroso

quell’isola cercando... Ma l’isola non c’era.

Invano le galee panciute a vele tonde,

le caravelle invano armarono la prora:

con pace del Pontefice l’isola si nasconde,

e Portogallo e Spagna la cercano tuttora.

2. L’isola esiste. Appare talora di lontano

tra Tenerife e Palma, soffusa di mistero,

“l’Isola Non-Trovata”. Il buon Canarïano

dal picco alto di Teyde l’addita al forestiero.

La segnano le carte antiche dei corsari.

...Hisola da-trovarsi?... Hisola pellegrina?...

È l’isola fatata che scivola sui mari;

talora i naviganti la vedono vicina...

Radono con le prore quella beata riva:

tra fiori mai veduti svettano palme somme,

odora la divina foresta spessa e viva,

lacrima il cardamomo, trasudano le gomme...

S’annuncia col profumo, come una cortigiana,

l’Isola Non-Trovata... Ma, se il piloto avanza,

rapida si dilegua come parvenza vana,

si tinge dell’azzurro color di lontananza...

Svolgimento: Guido Gozzano, nella sua poesia La più bella, descrive

un’isola che secondo me non esiste: è il luogo dove vanno le persone in meditazione. Se il pensiero della persona è brutto, l’isola si allontana. Infatti per me il poeta vuole dire che i re di Spagna e Portogallo pensano a quell’isola solo per ricavarne soldi e risorse. Invece, se il pensiero è bello, ci arrivi e ti ritrovi come in un altro mondo, dove tutto è diverso e bellissimo.

Quando Gozzano dice che l’isola esiste, per me, lo dice perché è felice e pensa a cose molto belle; quando il poeta è triste, invece, vede l’isola come un qualcosa che fugge, che scivola sui mari.

Aiuto ricevuto dall’insegnante: lettura in classe della poesia; spiegazione

del significato di alcune parole (bulla, Infante, soffusa, addita, cardamomo, parvenza) e del perché, un secolo fa, solo le cortigiane si profumassero. Unico suggerimento: la possibilità che un prof, dovendo svolgere questo compito, interpreti l’Isola Non-Trovata come l’interesse e l’attenzione degli alunni.

Aiuto ricevuto dall’alunno a casa: nessuno.

Commento del prof: Chapeau!

(Martedì 12 marzo 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Chi è più ridicolo di chi minaccia il Leone lontano benché ogni giorno lo spaventi il Micio sotto casa? (Lunedì 11 marzo 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

(Lunedì 11 marzo 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Un bel calendario...

E' uscito (finalmente!) il Calendario 2013 dell'Associazione San Nicola da Myra: "Sogno e realtà nella tradizione popolare di Anticoli Corrado - Pose artistiche contemporanee ad Anticoli Corrado", con quattordici belle fotografie di Riccardo Abbondanza e uno stuolo di 35 modelle e modelli anticolani di tutte le età (nella foto di febbraio, da "La poesia del camino" di Alberto Carosi, c'è Daniela Grifoni), tra cui molti ex alunni della nostra Scuola.

È uscito (finalmente!) il Calendario 2013 dell’Associazione San Nicola da Myra: Sogno e realtà nella tradizione popolare di Anticoli Corrado - Pose artistiche contemporanee ad Anticoli Corrado, con quattordici belle fotografie di Riccardo Abbondanza e uno stuolo di 35 modelle e modelli anticolani di tutte le età (nella foto di febbraio, qui sopra, da La poesia del camino di Alberto Carosi, c’è Daniela Grifoni), tra cui molti ex alunni della nostra Scuola. Scrive Beatrice Cucchi nella presentazione: Per rappresentare gli antichi usi, costumi, mestieri di questo paese laziale, sono state rivisitate in chiave contemporanea, attraverso l’obiettivo di Riccardo Abbondanza, opere sia pittoriche che fotografiche, eseguite da artisti che soggiornarono in Anticoli tra il 1800 e l’inizio del 1900 ed ebbero con essa un legame importante: testimonianza di tale rapporto profondo il fatto che buona parte della loro produzione artistica è proprio dedicata a tale paese, di cui amarono raffigurare scene di vita quotidiana, ritrarre le donne, famose per la notevole bellezza, e immortalare mestieri e usi che nel tempo sarebbero scomparsi ma dei quali, fortunatamente, rimane ancora traccia anche grazie a queste opere e ad altre. Le fotografie sono davvero belle, e i modelli così bravi che, pur conoscendoli bene, non riesco a riconoscerli del tutto: come se vedessi i ritratti dei loro antenati e li trovassi somiglianti ai nipoti e ai bisnipoti e al contempo sensibilmente diversi. Ma quel che più mi piace, in questo notevole lavoro (cresciuto così tanto, fra la prima e la seconda edizione, che spero vivamente che ce ne saranno altre) è che per ogni immagine, oltre ai nomi delle modelle e dei modelli di oggi, ci svela anche quelli delle modelle e dei modelli che posarono per le opere originarie; e ce li presenta, a uno a uno, come loro nonni e bisnonni, zii e genitori. E questo è un fatto nuovo e importantissimo, poiché le modelle anticolane furono donne coraggiose, appassionate, geniali, che in tempi di lotte durissime, (tra le forze di progresso emerse dalle rivoluzioni del ’700 e dell’800 e la reazione religiosa, filosofica, politica e sociale che preparava i massacri del ’900), in un paesello contadino come tanti, avvilito da secoli di superstizione e di sfruttamento, osarono andare in cerca di un rapporto profondamente umano ― un rapporto di libero amore ― con gli uomini, gli artisti, che in quegli anni osavano con la realtà umana il rapporto più intenso e irrazionale che mai fosse stato tentato; mentre gli Anticolani, di donne così straordinarie, si son vergognati fin quasi a oggi, e a tal punto che era difficile indurli ad ammettere di esserne i figli e i nipoti. Cosa è cambiato? Come mai quella parentela biologica e quella discendenza affettiva e culturale possono ora essere dichiarate e vantate come le preziose eredità che in effetti sono? Voglio dirlo con tutta l’immodestia che l’aver contribuito a un mutamento così notevole merita: il primo a proporlo agli Anticolani sono stato io cinque anni fa, nell’aprile del 2008, quando su Aequa (coraggioso Artemio Tacchia!) e poi su ScuolAnticoli uscì il mio saggio Zitelle a Vallepietra, Modelle ad Anticoli Corrado - Immagini della Donna nel Novecento della Valle dell’Aniene (qui in pdf, qui in Word). Dove scrivevo, tra l’altro: “Non è mai stata neanche tentata, per quel che sappiamo, una ricerca sulle motivazioni e le vicende personali delle Modelle di Anticoli Corrado. Le loro testimonianze, quando ancora era possibile raccoglierle, non incuriosirono nessuno. E quelle dei loro figli e nipoti, chi le raccogliesse le troverebbe flebili e banali, più che per l’azione del tempo, per un sentimento di pudore tramandato fra mille reticenze di generazione in generazione. Ma reticenza e pudore parlano anch’essi, e dicono che ciò che fecero quelle donne ― per quanto lo si voglia ritenere e presentare come un comportamento obbligato indotto dalla miseria ― sotto sotto è invece tuttora giudicato una scelta: ma che non si sarebbe dovuta fare, in qualche modo disdicevole, e di cui le famiglie ancor’oggi si vergognano. In un’epoca in cui, nei paesi, perfino le maestre sono oggetto di malevoli sospetti, le donne che da Anticoli vanno a Roma a posare per gli artisti, e che a Roma e ad Anticoli negli studi dei pittori e degli scultori si spogliano nude, debbono poi sopportare dai compaesani sguardi e ironie e maldicenze che non di rado le condannano all’emarginazione. L’abbandono subìto, con la solitudine che ne consegue; la relativa indipendenza; la non accettazione del dolore esistenziale comune; la disponibilità sessuale, reale o immaginaria che sia; la ricerca di una nuova immagine di sé: cinque sono gli elementi di profonda diversità che agli occhi dei compaesani rendono inquietante la condizione della Modella”. Ebbene: se oggi così inquietante non è più, per gli Anticolani, domandarsi se alcune delle loro nonne e bisnonne fossero più coraggiose, appassionate e geniali di tutti noi, è forse segno che quel coraggio, quella passione e quel genio stanno riemergendo dal secolare annullamento che li umiliava? Penso di sì, e saluto perciò il calendario 2013 dell’Associazione San Nicola da Myra con emozione ben più forte di quella che altrimenti avrebbe suscitato in me la sua “semplice” bellezza: bravi!... Anche se (ma lo dico affettuosamente, eh?) un piccolo cenno di riconoscimento per chi cinque anni fa “ruppe il ghiaccio” non ci sarebbe stato male. (Domenica 10 marzo 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Grande Staino: luntuosa furbizia pretesca di Renzi Matteo da Fazio non è piaciuta (eufemismo) neanche a Bobo, eh? (ScuolAnticoli, naturalmente, non ha la tv, ma ne ha avuto notizia da Facebook e Twitter). Per chi, invece, avesse bisogno di rinfrescarsi la memoria, può essere ancora utile il mio Chi è Matteo Renzi e perché non si può non parlar male di lui (clicca qui per il pdf, qui per il Word): uno scritto che ha quasi un anno e mezzo, ormai, ma che resterà valido finché il “nostro eroe” non si deciderà a scusarsi (e sinceramente) per tutte quelle cosette... (Da L’Unità di domenica 10 marzo 2013). (Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Spiegare un Film a un Bambino: Ladri di biciclette, di Vittorio De Sica.

"Ladri di biciclette", di Vittorio De Sica (1948).

(Le schede di Spiegare un film a un bambino sono per bambini e ragazzi di Quinta elementare, Prima, Seconda e Terza media. Sono scritte, perciò, il più semplicemente possibile. Ma non sono affatto semplicistiche. Vuoi servirtene? Fai pure. Ma non spezzettarle, non alterarle e... non dimenticare di citarne l’autore!)

 

Bruno Ricci ha un padre e una madre che si amano e lo amano. Ma vive in un’epoca (quella che l’Italia attraversa fra il 1940 e gli anni ’50 per colpa della guerra scatenata dal Nazismo e dal Fascismo) in cui l’amore e l’immaginazione della maggior parte dei genitori si consumano nella quotidiana lotta per la sopravvivenza, e molti bambini (quelli che oggi hanno dai settant’anni in sù) stentano a ottenere dagli adulti perfino quel po’ di cibo e di riparo che anche un animale riesce a procurare ai suoi piccoli. Quei bambini, che oggi sono nonni, per pudore difficilmente lo raccontano. Ma lo ricordano molto bene: tutto ciò che per un bambino dei giorni nostri è un diritto, per loro era quasi inimmaginabile. Guardate il piccolo Bruno (che oggi ha settantatre anni) mentre accompagna il padre alla ricerca della bicicletta rubata. Osservate come rinuncia a essere un bambino, a giocare, ad aver bisogno di una carezza, di un bacio; come dimentica di aver desideri, domande da fare, spiegazioni da chiedere; come si rassegna alla stanchezza, alla fame e perfino a non far pipì, per essere soltanto un altro paio d’occhi e d’orecchi per il padre. Poiché il tempo e il luogo maledetti in cui Bruno si trova a vivere gli hanno insegnato, senza riguardo per i suoi sette anni, che il padre, se non ritrova quella bicicletta, non potrà più essergli padre neanche nel senso (minimo) in cui lo è un animale che dà da mangiare ai suoi piccoli. Certi tempi e certi luoghi, infatti (purtroppo ancora oggi, e in molte parti del mondo) sono per i bambini come i genitori di Hänsel e Gretel: sono, cioè, tempi e luoghi in cui la Società degli adulti (con eccezioni anche consistenti ma che non bastano a impedire l’orrendo crimine, così come nella favola dei fratelli Grimm il debole padre non riesce a opporsi alla moglie assassina) è una matrigna folle e mostruosa che abbandona i bambini alle belve e alle streghe della foresta, un Erode sanguinario che massacra gli esseri umani da piccoli affinché da grandi non possano rendere il mondo più umano. Così è l’Italia degli anni fra i ’40 e i ’50 del Novecento, per la guerra scatenata dal Nazismo e dal Fascismo: un luogo e un tempo in cui molti bambini sono uccisi dalla guerra o dalla miseria o dalle malattie, e moltissimi altri sopravvivono a esperienze talmente orribili, che per tutta la vita ne porteranno i segni nella mente e nel cuore, e spesso non riusciranno a evitare di trasmetterli ai propri figli e ai figli dei propri figli. Guardate, dunque, il piccolo Bruno (che oggi ha settantatre anni) mentre accompagna il padre alla ricerca della bicicletta rubata, e pensate che egli si trova a vivere in un tempo, gli anni ’40, e in un luogo, l’Italia distrutta dal Fascismo e dal Nazismo, in cui i bambini stentano a ottenere dai genitori non solo quel che distingue la nostra specie da ogni altra (vale a dire i frutti non materiali dell’immaginazione e dell’intelligenza) ma perfino l’assistenza materiale che i cuccioli degli animali ricevono dai loro. Un luogo ed un tempo in cui certi esseri umani, diventati disumani, costringono chi è ancora umano a vivere come una bestia e gli impediscono di essere qualcosa di più che una bestia per i suoi piccoli. Ma guardate anche Antonio, il papà di Bruno: è così tremenda la sua angoscia per il furto che ha subìto, per il lavoro che rischia di perdere e per la fame che incombe sulla sua piccola famiglia, che all’inizio non riesce a resistere e comincia a diventare disumano anche lui: come se nella sua mente si stia formando la disperata idea che in un’epoca disumana non si possa che diventare disumani a propria volta. Comincia, cioè, a trattare il figlioletto come il mondo sta trattando lui, e non se ne accorge (o non vuole accorgersene) finché il piccolo Bruno non riesce finalmente a ribellarsi e a ricordargli, con la sua rabbia e le sue lacrime, che non può e non deve esistere alcuna situazione, per quanto orribile possa essere, in cui un essere umano, e soprattutto un piccolo umano, sia trattato men che umanamente. Allora Antonio si riprende, ritrova sé stesso (almeno per un po’) e questa sua ricomparsa si manifesta con l’improvviso terrore che il figlio sia annegato nel Tevere: con il terrore, cioè, che la propria resa al disumano (vale a dire l’aver permesso alla realtà disumana circostante di prendere il sopravvento su di lui) gli costi ora una perdita molto più spaventosa e irrimediabile di quella della bicicletta. Poiché l’amore umano di Antonio per il figlio (la capacità, cioè, di essere per il figlio qualcosa di più di ciò che un animale è per la prole) è tutta l’umanità che ad Antonio è rimasta: tutta l’umanità che è riuscito a conservare a dispetto del tempo e del luogo disumano in cui si trova a vivere. Il piccolo Bruno, insomma, ribellandosi al padre che lo sta trattando come lui è trattato, fa per il padre ciò che dovrebbero fare i padri per i figli: lo salva, o meglio gli dà un’opportunità di salvarsi. Poiché la ribellione dei figli al disumano dei padri, quando i figli riescono a farla senza diventar disumani anch’essi, non di rado è per i padri l’ultima opportunità di salvezza. Guardate, allora, la gioia un po’ euforica di Antonio per il pranzetto in ristorante che osa offrire a Bruno spendendo gli ultimi soldi che ha in tasca: un gesto che si direbbe una “pazzia”, certo, per un padre nella sua situazione (poiché rischia di rendere ancor più precarie le prospettive di sopravvivenza sue e di suo figlio) ma che proprio per questo è una cosa che un animale non farebbe mai (dato che un animale non agisce irrazionalmente, ma solo in vista di un vantaggio materiale per sé e per la prole) e che perciò, per qualche minuto, fa di Antonio un padre umano, anche se momentaneamente “pazzo”. Poi, purtroppo, Antonio torna a perdersi, e tenta di rubare una bici. Ma non ci riesce, in realtà (non riesce, cioè, a diventare sul serio come quelli che l’hanno rubata a lui) e questa incapacità d’impazzire fino in fondo la deve soltanto a una cosa: a quella sua “follia”, sia pur precaria e inconsapevole, di non poter fare a meno, di quando in quando, di sacrificare il necessario all’inutile, il bisogno alle esigenze, la realtà all’immaginazione. Come fanno i bambini. Come fanno gli esseri umani. Per un attimo, allora, guardate anche i mostri di questo film: i ladri e i violenti per davvero, da un lato, e dall’altro le fattucchiere e i “benefattori” che accumulano ricchezze e potere approfittando della disperazione dei deboli. E domandatevi cosa sia, precisamente, quel che rende Antonio Ricci diverso e migliore di loro... Non è, forse, il fatto che egli è l’unico ancora capace, sia pur per un istante, di fare per un altro essere umano, il piccolo Bruno, qualcosa che non serve a niente? È un film, Ladri di biciclette, che commosse e insegnò molto ai migliori Italiani dell’epoca in cui fu realizzato. Ma è un film che anche a noi, oltre che commuoverci per i nostri padri e i nonni, può insegnare qualcosa di fondamentale: e cioè quanto è ancora delicata e fragile, in fondo, l’immensa costruzione sociale, economica, politica, e soprattutto morale, che permette a una piccola parte dei bambini di oggi di essere trattati umanamente da genitori che non devono lottare per sopravvivere, e che perciò possono permettersi di essere umani sempre, e non solo nei momenti di “pazzia”; e quanto è importante, dunque, salvaguardarla e proteggerla, questa costruzione di civiltà, contro chi vorrebbe farci tornare al mors tua vita mea e all’homo homini lupus. (Clicca qui per le schede di tutti i film!). (Venerdì 8 marzo 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Profumo e camorra contro i bambini italiani

Le Prime medie di Anticoli Corrado, Arsoli, Camerata Nuova, Riofreddo e Roviano alla Città della Scienza nel 2007 (fotografia di Eclario Barone per ScuolAnticoli).

Le elezioni del 24 e 25 febbraio non hanno “solo” reso difficile dare al Paese un governo: come un nuovo dottor Frankenstein, hanno anche rianimato l’orrendo cadavere del Partito dei delinquenti e dei criminali. E delinquenti e criminali hanno sùbito espresso la propria “riconoscenza” a chi li ha votati: hanno distrutto la Città della Scienza di Napoli. Un luogo che delinquenti e criminali odiano e disprezzano perché in esso, come nelle Scuole, i bambini restano umani e non diventano come loro. E un luogo che i bambini delle Scuole di Anticoli, di Arsoli, di Camerata Nuova, di Riofreddo e di Roviano invece amano e conoscono bene, perché ci sono andati in viaggio di istruzione con le Prime medie del 2007 (è di allora questa bellissima foto di Eclario Barone), con le Prime e le Seconde del 2009, con le Prime del 2010 e con le Prime del 2011, e ogni volta vi sono state accolti dall’amore per la Scienza, dall’appassionato impegno e dalla simpatia dei giovani ricercatori che vi lavorano. ScuolAnticoli lo ha detto e ridetto e non si stancherà di ripeterlo: in Italia e nel Mondo è in corso una guerra antiUmana a bassa intensità i cui primi obiettivi sono i bambini. Le forze antiUmane sono ideologiche, religiose, politiche, mediatiche, finanziarie, criminali: agiscono a ogni livello e con ogni mezzo, a volte in maniera “pacifica”, a volte con la violenza. Ma quali che siano i mezzi di cui si servono, l’odio che le accomuna contro i bambini è evidente, sempre, nei significati e negli effetti di ogni loro azione. Ed è l’odio contro i bambini, dunque, il nesso fra il cosiddetto “ministro della Pubblica Istruzione” Profumo, che ieri ha annunciato l’ulteriore, delinquenziale riduzione di un anno del tempo e dell’impegno dell’Italia per i bambini e i ragazzi, e la camorra (o chi per essa) che oggi ha compiuto la criminale riduzione in cenere della Città della Scienza, meta ogni anno di migliaia di bambini e di ragazzi da tutta Italia. Lo vogliano o meno, lo sappiano o no, i servi religiosi, ideologici e politici delle tirannie finanziarie e i servi violenti delle tirannie criminali si ritrovano dalla stessa parte, e si capiscono a volo, ogni volta che aprono bocca, ogni volta che mettono una firma, ogni volta che accendono una miccia incendiaria: i loro atti come i loro crimini contro l’Umanità son sempre, in primo luogo, atti e crimini contro i bambini. Perché è nei bambini che resiste o inizia a spegnersi l’Umanità che essi vogliono spegnere in noi. (Martedì 5 marzo 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com).

 

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Il voto non è più un pranzo di gala...

Il voto non è più un pranzo di gala; non è più un’opera letteraria, un disegno, un ricamo; non lo si può più fare con eleganza, tranquillità e delicatezza, o con dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità... <da Máo Zédōng (1893-1976), La rivoluzione non è un pranzo di gala...>

 

Il voto non è più un pranzo di gala...

di Luigi Scialanca

(Clicca qui per scaricare il testo in pdf - qui in Word).

 

I non votanti. La Costituzione (artt 1 e 48) stabilisce che la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione; e che l’esercizio del voto è dovere civico. I non votanti, dunque, han tentato di rendersi nostri sovrani contro la Costituzione.

 

Monti, Mario. Il 24 e 25 febbraio gli Italiani lo hanno ridotto alle sue vere proporzioni: l’uomo che fu salutato (dai furbi) e acclamato (dagli ingenui) come il “salvatore della Patria”, che al governo si è rivelato un mediocre contabile neoliberista capace solo di aggravare, al servizio delle tirannie finanziarie, le drammatiche condizioni in cui il berluscismo aveva ridotto il Paese, e che in campagna elettorale ha dato l’ultima pennellata a una già miseranda immagine pubblica aggrappandosi al potere come un’ostrica allo scoglio, non vale oggi neanche i quattro voti che è riuscito a sfilare a Casini e a Fini. Il popolo sovrano gli ha dato quel che merita, e il calo di consensi del Pd fa parte della lezione: tre milioni e mezzo in meno, rispetto al 2008, non per i vent’anni precedenti di deriva destrorsa ― nel 2011 era chiaro che quel lungo e penoso sbandamento, se si fosse votato sùbito, sarebbe stato “condonato” a un Bersani che sembrava pentito di avervi partecipato ― quanto soprattutto per gli ultimi quattordici mesi da garzoni della macelleria sociale montista, per l’incapacità di riconoscere l’errore commesso subendoli, e per la minaccia, reiterata fino al giorno del voto, di prorogarli a tempo indeterminato fin dal giorno dopo. Com’è possibile, dunque, che ci sia ancora chi non vede Monti Mario come un Re Mida al contrario che distrugge tutto ciò che tocca? Eppure c’è: Giorgio Napolitano, per esempio, che del montismo è stato il padre per la sventura non solo della Sinistra ma dell’Italia intera, dà chiari segni (di concerto, come al solito, coi destri del Pd) di non escludere un prolungamento della dissennata avventura del governo “tecnico” fino alla totale distruzione del Paese. Fermarli (ammesso e non concesso che non sia già troppo tardi) è l’impresa che nel 2011 Bersani e i bersaniani fallirono (o che, per motivi a noi ignoti ma certo terribili, non poterono neanche tentare): ci riusciranno questa volta?

 

Berlusconi, Silvio. Gli elettori del Pdl come una massa di citrulli che credono davvero che gli sarà restituita l’Imu? Mi dispiace, ma gli sciocchi sono quelli che ancora credono e diffondono questa stupida (o furba e interessata) caricatura: sei-sette milioni di voti in meno rispetto al 2008 hanno depurato il Pdl degli scimuniti “in buona fede” consegnandolo alla sua vera natura di Pnl: Partito dei nemici della legge. In vent’anni di attacchi alla Costituzione e ai giudici, smantellamento dello Stato di diritto, spinta all’evasione fiscale, condoni, leggi ad personas, cricche per arraffare l’arraffabile e combriccole per insozzare l’insozzabile, i berluscisti hanno unito in un blocco sociale duro e coeso tutti gli individui (dal piccolo collezionista di multe non pagate al boss camorrista, dal miserabile che parcheggia sugli spazi riservati ai disabili al devastatore dell’ambiente su larga scala) che con le leggi sono in guerra ogni giorno dell’anno: ragion per cui il Pdl oggi non è più un partito, ma un sistema su larghissima scalaesteso a ogni angolo del Paese, organizzato e capillaredi complicità antistatale e antilegale. Questo è il vero motivo per cui i suoi elettori non ammettono di averlo votato: perché l’assoluta segretezza è indispensabile al conseguimento degli scopi del Pdl. Che quindi dev’essere considerato (a tutti gli effetti, anche giudiziari) un’associazione segreta camuffata da partito di massa: un’Italia occulta, attiva in ogni anfratto dell’Italia alla luce del sole, ove le mafie sono a proprio agio come nella loro più vera patria; e il cui smantellamento nella società, nell’economia, nella politica, nella cultura, sarà il compito immane degli Italiani onesti per ben più di una generazione, poiché gli elettori del Pdl dovranno essere umanamente recuperati a uno a uno, e gli irriducibili messi in condizione di non nuocere più. Com’è possibile, se le cose stanno così, che ci sia ancora chi non vede il berluscismo come una gravissima emergenza da isolare e combattere duramente, minuto per minuto, in tutte le sedi? Eppure c’è: Giorgio Napolitano, per esempio, dà chiari segni (di concerto, come sempre, con i destri del Pd) di non escludere un “governissimo” Pd-Pdl come “male minore” rispetto all’intesa “legge per legge” con gli eletti del M5s. Riuscire a fermarli è questione di vita o di morte non solo per il Partito democratico, ma per l’Italia intera: speriamo che Bersani e i bersaniani se ne dimostrino all’altezza, almeno in extremis.

 

Napolitano, Giorgio. “Supereremo le difficoltà nelle prossime settimane, fornendo una giusta immagine del Paese”: parole, pronunciate dal presidente in Germania (La Repubblica, sabato 2 marzo 2013) che sono l’ennesima dimostrazione della “tempra” “democratica” di questo signore. Secondo il quale, oggi come nel 2011, la “giusta immagine” dell’Italia (espressione in cui l’aggettivo giusto è lo sfrontato opposto dell’aggettivo vero) non sarebbe quella che ne dà col voto il Popolo sovrano, ma la raffazzonata caricatura che per l’ennesima volta dovrebbero disegnarne i conciliaboli di Palazzo da lui diretti. Col pernicioso concorso, si sa, dei circoli di potere che del peggior presidente della nostra storia sono gli unici veri interlocutori: il Vaticano, la Repubblica, la Banca centrale europea e i servizi segreti americani.

 

Bersani, Pier Luigi. Quest’uomo, che forse è il meno inaffidabile tra i politici italiani, sembra però come schiacciato da non si sa quali pesi. Non è uno sconfitto ― come tornano oggi a raffigurarlo i destri del Pd, per le cui trame ogni sventura del Paese è un’occasione preziosa ― ma perché dà di sé l’immagine di chi lotta con una mano legata dietro la schiena? Cosa lo trattiene? Ha intrapreso la ricostruzione del Partito dopo gli sciagurati decenni dei Veltroni, dei Rutelli, dei Fassino, dei Fioroni, dei Gentiloni, dei Letta, ma per mesi si è vietato di ribattere alle continue aggressioni verbali con cui i destri e i media loro complici mettevano in dubbio ogni aspetto della sua azione e perfino la sua realtà umana. Perché? Cosa lo blocca? (E perché gli aggressori si sono azzittiti come un sol uomo dopo la sua accettazione del governo Monti? Son forse tutti diretti da un unico regista, e costui si chiama forse Giorgio Napolitano?). Ha osato mettere in dubbio, pressoché da solo in una torma di minus habentes e/o di venduti osannanti, il neoliberismo nemico dell’Umanità, servo delle tirannie finanziarie, cui il Pds-Ds-Pd si era legato mani e piedi; e tuttavia mai lo ha ripudiato ufficialmente, mai ha chiesto al partito di mettere l’essere umano al centro della sua ricerca e del suo impegno e al di sopra dei potentati che per i destri sono ai confini del Nulla. Perché? Di cosa ha paura? Ha detto di non essere credente, ma ha continuato a cercare l’approvazione della tirannia finanziario-religiosa vaticana che intanto tramava coi vertici delle istituzioni repubblicane contro di lui, contro il partito e contro il Paese. Perché? Cosa frena la libertà di pensiero di cui pure dà prova? Ha combattuto il berluscismo con una convinzione e un rigore inimmaginabili dai corrivi (se non complici) suoi predecessori nella segreteria, ma poi si è lasciato “sfilare” la vittoria (di cui non avrebbe potuto disporre perché era anche di tutti noi, della Sinistra e del Paese) dalla stessa ciurma d’incapaci e infidi (agli ordini del Quirinale) che gli aveva messo i bastoni fra le ruote fin dal primo giorno del suo mandato. E così ha dato modo anche a improbabili “rivoluzionari” come Ingroia e Di Pietro di mettere in ombra il buono che ha fatto contrapponendogli il buono che essi son capaci solo di dire, e a Beppe Grillo di definirlo “identico a tutti gli altri” pur mentre lo combatteva con tecniche perfettamente identiche a quelle di tutti gli arruffapopolo della storia. Perché, Bersani? Cos’è che grava su di te come un macigno? L’unica ipotesi possibile, se non si vuol credere a ciò che insinuano sulle tue capacità i nemici tuoi e nostri, è che tu sia minacciato e/o ricattato: o di una scissione dei destri dal Pd (minaccia miserabile però, ché non potrebbe sortirne che l’ennesimo, ridicolo partitino “di centro”) o di rivelazioni giudiziarie così gravi (anche se non a tuo carico) da non lasciar pietra su pietra di questo Partito democratico che le tirannie finanziarie e i loro servi vogliono invece tenere in piedi, ma addomesticato, per servirsene contro tutti noi. Ma io, contro ogni logica, vorrei invece ipotizzare l’impossibile: che non ci sia peso né macigno, che non si sia trattato che di forte e strategica pazienza, che tu, come Kutuzov dinanzi a Napoleone, abbia temporeggiato e sia arretrato per poi colpire e trionfare, una volta per sempre, proprio ora che tutto sembra quasi perduto... In ogni caso, caro segretario, barcamenarsi non si può più: la linea da te indicata nell’intervista a Repubblica di venerdì 1° marzo ― “un governo di cambiamento che mi assumo la responsabilità di guidare, che proporrò mercoledì prossimo alla direzione del Pd e poi al Capo dello Stato, con sette-otto punti qualificanti per chiedere in Parlamento la fiducia a chi ci sta” ― è l’unica che possa salvarci dalla catastrofe a cui ci condannerebbero le altre pretese “soluzioni” (proroga al governo “tecnico”, “governissimo” Pd-Pdl, ritorno al voto) ventilate dai destri interni ed esterni al partito. (Non la catastrofe economica, sia chiaro, minaccia che è sempre stata un bluff delle tirannie finanziarie per costringere il Paese all’ubbidienza, ma la catastrofe politico-sociale ― e poi, di conseguenza, economica ― del plebiscito al Movimento 5 stelle che di quelle “soluzioni” sarebbe l’inevitale esito). Devi scrollarti di dosso ogni timore o dubbio, Pier Luigi Bersani: devi ergerti in tutta l’appassionata umanità e intelligenza di cui sei capace e combattere questa estrema battaglia con una forza e una decisione tali da rimanere scolpite nei libri di Storia. O vi resterà scritto che fosti tu, soprattutto, a non esserne all’altezza.

 

Grillo, Beppe.Un’analisi Swg apparsa su La Repubblica mercoledì 27 febbraio 2013 dice che, rispetto alle elezioni europee del 2009, il voto del 24 e 25 febbraio al Movimento 5 stelle viene per il 37% da astenuti, per il 30% dal centrosinistra (l’11% dal Pd, il 12% dall’Idv, il 7% da altri), per il 27% dal centrodestra (il 18% dal Pdl, l’8% dalla Lega, l’1% da altri) e per il 6% da altri. Come possono stare insieme? Cosa li unisce, dal momento che la loro condizione sociale, le loro storie, le età, i livelli culturali, i loro gusti e le loro idee su ogni questione sono un po’ diversi, molto diversi o estremamente diversi? Con un gruppo composto da un ex Pd, un ex Idv, un ex sinistra radicale, due ex pidiellìni (sia pur dei “migliori”, se è vero che solo gli “illegalisti” son rimasti con Berlusconi), un ex leghista, un ex neofascista e tre sconosciuti, io potrei fare solo una cosa senza domandare loro chi siano e come la pensino: dar l’assalto a un forno per la fame. È questo, dunque, ciò che “unisce” i fan di Beppe Grillo? Solo rabbia e disperazione? E dopo, una volta svuotato il “forno” di un terzo circa dei consensi ivi immagazzinati? Cosa farà, dopo, un’ammucchiata simile? Come si metterà d’accordo su tutto il resto? O forse le cose non stanno così? O forse quelle percentuali ci dicono solo da dove vengono i “grillini” ma non chi siano oggi, poiché i loro diversi passati sono stati da essi annullati, resi niente, per poter entrare mentalmente nudi, senza storia e senza idee, nella loro nuova dimora politica? E se così fosse, come non temere che solo un’adesione cieca e assoluta al “verbo” e alle volontà del duo Casaleggio-Grillo possa ormai offrire loro l’illusione di “riempire” quel vuoto, e che ogni più piccolo sussulto di indipendenza d’immaginazione e di pensiero non possa d’ora in poi che allarmarli contro sé stessi come un sintomo inconsulto d’imperfezione della propria “fede” e “purezza”? Le masse totalitarie vivono “senza rete”: l’annullamento di sé è un abisso su cui nient’altro che la ferrea stretta del capo li tiene sospesi. Se è vera la prima ipotesi ― l’assalto al forno ― il Movimento 5 stelle tornerà a dividersi quanto prima. Se è vera la seconda ― il popolo “nuovo”, senza più storia né faccia, che nella gigantografia del volto del capo si finge un’identità di gran lunga più possente di quanto abbia mai immaginato ― siamo di fronte al maggior pericolo della nostra storia dal 1945 a oggi. Come può darsi che sia vera la prima e che però si tramuti nella seconda, se la nostra reazione sarà tale da non lasciare ai “grillini” altra via... In ogni caso, ora come ora (e fino al 2018, se berluscisti, destri del Pd e napolitano-montisti non prevarranno) il Parlamento non è davanti a Grillo e a Casaleggio, e nemmeno al “popolo” di Grillo e Casaleggio, ma bensì agli eletti ― deputati e senatori ― del Movimento 5 stelle, che possono essere in parte o del tutto diversi e migliori della strana (per non dir inquietante) “massa” che li ha mandati a Roma: e in tal caso non dipenderà che da loro e dai loro colleghi (e, fra questi, soprattutto dalle donne e dagli uomini del Pd) se la pressione dei capi e degli elettori sarà o non sarà più forte, su di essi, del rapporto umano e politico (ma più il primo che il secondo) che solo per gli automi non è decisivo di ogni confronto.

 

Post scriptum anticolano. Ad Anticoli Corrado, il 24 e il 25 febbraio, il Pd è calato dai 256 voti per la Camera e 234 per il Senato del 2008 a 187 e 178: 60 voti in meno, in media. Il Pdl, dai 226 e 205 del 2008 a 147 e 138: una settantina di voti in meno. Mentre il M5s è passato da zero a 136 voti alla Camera e a 114 al Senato. Un moto di protesta imponente, per un comune di mille abitanti, che ha colpito in misura pressoché analoga entrambi i partiti maggiori. Se guardiamo al voto regionale, però, le cifre cambiano molto: diminuiscono i votanti, conserva quasi tutti i voti (133) il Pdl, ma crescono i voti al Pd (244: 57 di più che per la Camera, in pratica lo stesso dato del 2008) e calano quelli al M5s: 38, quasi cento voti in meno che per la Camera! Cosa dedurre da questa discrepanza fra dato nazionale e regionale? Che la stima per Zingaretti sia ad Anticoli così forte da aver indotto ben cento “grillini” a ritornar “piddini” passando dalle schede rosa e gialla a quella verde? Può darsi (benché così non sia stato nel resto del Lazio, dove i voti al M5s non sono meno di quelli di Camera e Senato). Ma se così è, come mai tale stima è stata “riservata” a Zingaretti da appena 68 elettori (quelli che non hanno espresso preferenze) su 244, mentre ben 155 l’hanno estesa a Leodori (57 preferenze), Vincenzi (65), Valeriani (5) ― tutti uomini “d’apparato” ― e ad alcuni altri, e “solo” 21 a un uomo come Giulio Pelonzi, sicuramente indipendente da grandi e piccoli poteri interni ed esterni al partito? Si deve dunque supporre che la rabbia e la protesta che hanno consegnato al M5s un terzo del Parlamento si siano sgonfiate, ad Anticoli, non appena dalla dimensione nazionale (gloriosa, sì, ma così remota da non richiedere un gran coraggio) gli elettori son tornati a dover confrontarsi con le “appartenenze” e le parentele e le amicizie, quando non con le pure e semplici convenienze? Sia come sia, il boom del Movimento 5 stelle (che nel resto d’Italia è stato così sonoro da mettere in ridicolo le contrarie sicumere di molti “alti papaveri”, tra i quali il presidente della Repubblica), ad Anticoli Corrado è risultato di gran lunga meno forte delle 21 preferenze di cui sopra: le uniche, secondo me, che davvero hanno turbato, benché per ora lievemente, la sicurezza di sé dei poteri locali. P.s.: potrei prenderli affettuosamente in giro, i “grillini solo-nazionali” di Anticoli Corrado, domandando ai provenienti da sinistra come si siano sentiti, in cabina, gomito a gomito coi provenienti da destra; e se non sia venuto loro in mente, uscendone, di aver assemblato nell’urna una sorta di Uniti per Anticoli 2.0 molto simile alla versione “pre-digitale” che nel 2011 ha fatto del paese un condominio fra la Destra di Storace (35 voti ancora il 24 e 25 febbraio) e il locale (localissimo) Pd. Ma voglio essere costruttivo, invece, e dunque propongo loro di costituire quanto prima una “sezione”, o un “circolo”, o almeno un “punto d’ascolto informatico” anticolano del Movimento 5 stelle: se avranno il coraggio di farlo, e se vi affluiranno tutti quelli che al Movimento hanno dato il voto, per Anticoli potrebbe iniziare davvero, e far davvero sperar bene, l’epoca nuova che per ora sembra essersi arenata, ma inquietante, ai suoi confini. (Domenica 3 marzo 2013. Luigi Scialanca, scuolanticoli@katamail.com). (Clicca qui per scaricare il testo in pdf - qui in Word).

 

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L’immagine di sfondo di questa pagina, raffigurante piazza delle Ville ad Anticoli Corrado, è un dipinto dell’artista danese Viggo Rhode (1900-1976).

L’ha segnalata a ScuolAnticoli il signor Peter Holck. Rielaborazione grafica di Luigi Scialanca.

 

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