Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca
Più Niente da Ridere
la Pagina di Chi andò dietro alla Morte e portò l’Italia con sé nel mese di novembre del 2010
“Libertà, giustizia sociale, amor di patria. Noi siamo decisi a difendere la Resistenza. Lo consideriamo un nostro preciso dovere: per la pace dei morti e per l’avvenire dei vivi, lo compiremo fino in fondo. Costi quel che costi.” (Sandro Pertini, Genova, 28 giugno 1960).
Home Mesi precedenti o successivi Clicca qui per il Diario del Prof "La Terra vista da Anticoli" Clicca qui per scriverci |
|
In questa pagina raccoglievamo le parole di chi vuol farci piangere e cercavamo, invece, di riderne. Ma presto ci fu più niente da ridere, e la pagina cambiò. Le immagini divennero quelle de Il settimo sigillo (1957), di Ingmar Bergman, e sullo sfondo apparve l’attore Bengt Ekerot nei panni della Morte... Clicca qui per sapere perché la pagina Meglio Ridere è così cambiata! |
|
(su) Benito Mussolini: Anche a me di rado sale dal petto un impeto contro di lui al pensiero della rovina a cui ha portato l’Italia e della corruttela profonda che lascia nella vita pubblica: persino nell’esercito, persino nei carabinieri. (...) Ma pure rifletto talvolta che ben potrà darsi il caso che i miei colleghi in istoriografia si metteranno a scoprire in quell’uomo tratti generosi e geniali, e addirittura imprenderanno di lui la riabilitazione, e fors’anche lo esalteranno. Perciò mentalmente m’indirizzo a loro, colà, in quel futuro mondo che sarà il loro, per avvertirli che lascino stare, che resistano alla seduzione delle tesi paradossali e ingegnose e “brillanti”, perché l’uomo, nella sua realtà, era di corta intelligenza, correlativa alla sua radicale deficienza di sensibilità morale, ignorante, di quella ignoranza sostanziale che è nel non intendere e non conoscere gli elementari rapporti della vita umana e civile, incapace di autocritica al pari che di scrupoli di coscienza, vanitosissimo, privo di ogni gusto in ogni sua parola e gesto, sempre tra il pacchiano e l’arrogante. Chiamato a rispondere del danno e dell’onta in cui ha gettato l’Italia, con le sue parole e la sua azione e con tutte le sue arti di sopraffazione e corruzione, potrebbe rispondere agli Italiani come quello sciagurato capopopolo di Firenze. di cui ci parla Giovanni Villani, rispose ai suoi compagni di esilio che gli rinfacciavano di averli condotti al disastro di Montaperti: “E voi, perché mi avete creduto?”. (Benedetto Croce, Diari, 2 dicembre 1943, citati dalla signora Nicoletta Nicolini in una lettera a Corrado Augias, La Repubblica, martedì 30 novembre 2010).
L’Italia dalle origini a oggi e dalle stelle alle stalle.
Silvio Berlusconi: Non guardo a quello che rivelano funzionari di terzo o quarto grado ispirati dalla lettura dei giornali di sinistra. Le cose che vengono dette fanno male all’immagine del nostro Paese. Io una volta al mese do delle cene, nelle mie case, dove tutto avviene in modo corretto, dignitoso ed elegante. Non frequento i cosiddetti wild parties. Magari sono anche divertenti, ma non so che cosa siano. Che cosa può spingere una ragazza a dichiararsi prostituta davanti al mondo e quindi da un lato non avere più la possibilità di un lavoro o di un marito normale, dall’altro non poter fare nemmeno più la prostituta perché nessuno se ne fiderà più? Sono pagate per parlare. (La Repubblica, martedì 30 novembre 2010). Ecco un individuo sinceramente stupito nello scoprire che anche una prostituta è un essere umano, è una donna e ha la propria dignità. Se non avesse fatto e non facesse quel che fa da almeno trent’anni, lei non sarebbe che da compiangere, povero signor presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
(su) Nicola “Nichi” Vendola: Ognuno naturalmente si forma una qualche ― più o meno gratificante ― idea di sé... Al Tg de La7, per esempio, a proposito della condanna papale dell’omosessualità, Vendola ha detto: “Nella mia fede non è contemplato il dogma dell’infallibilità del Papa... Credo che la Chiesa, nei suoi vertici, abbia bisogno di fare ancora un cammino”. Da Daria Bignardi, alla domanda su cosa pensasse del giudizio di Ratzinger sull’omosessualità come “male morale”, Vendola ha risposto: “Il Papa deve fare ancora un cammino”. LUI LO SA!!! Nichi Vendola come Dio? (Segnalazioni, martedì 30 novembre 2010).
|
|
|
|
Franco Frattini: Vedremo cosa uscirà più avanti da WikiLeaks, perché potrebbe essere di interesse per Bersani. Walter Veltroni e Massimo D’Alema: È stato Veltroni a commentare con uno sguardo eloquente e non elogiativo la salita di Bersani sul tetto di Architettura. A quello sguardo D’Alema ha risposto con il silenzio. Ecco, le indiscrezioni dicono che sia D’Alema sia Veltroni, magari partendo da punti di vista diversi, hanno oggi dei dubbi sul ruolo e sulla forza del segretario. (La Repubblica, martedì 30 novembre 2010). Più odiato dai peggiori, più amato dai migliori. Con buona pace del Vendola: non è su di lui che il Frattini sputa veleno, e non è lui che il Veltroni e il D’Alema devono togliere di mezzo per dare il colpo di grazia al Partito democratico e alla Sinistra italiana.
(su) Maurizio Sacconi: L’8 settembre il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, viene contestato e sfiorato da un lacrimogeno lanciato da una studentessa alla Festa del Pidì di Torino. Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, commenta: “È un atto gravissimo non solo in sé, ma anche perché può rappresentare il ritorno di una stagione di violenza politica”. Il 30 settembre un gruppo di operai e di funzionari della Fiom lancia uova contro la sede della Cisl di Treviglio. Sacconi: “L’odiosa manifestazione della Fiom è un atto gravissimo che si inserisce nella campagna di odio promossa dalla sinistra contro il sindacato riformista”. Il 6 ottobre viene colpita con uova e vernice rossa la sede nazionale della Cisl. Sacconi: “La solidarietà del governo alla Cisl è forte. Troppa sottovalutazione, troppo perdonismo, preparano solo attentati più gravi e l’affievolimento della democrazia. Adesso basta!” Il 15 ottobre uova contro due sedi di Cisl e Uil. Sacconi: “Quo usque tandem? Proseguono le azioni ostili nei confronti della Cisl e della Uil. Esse sono opere di un’Italia minore per dimensione rappresentativa e per qualità intellettuale, spesso a causa di cattivi maestri e di cattivi genitori”. Ieri, secondo la cronaca dell’Ansa, “un ordigno di discreto potenziale, forse una bomba carta, è stato fatto esplodere davanti alla sede della Camera del lavoro di Castel di Lama”. Le Camere del lavoro sono le sedi della Cgil. E Sacconi non ha detto niente. Perché? (Roberto Mania su La Repubblica di martedì 30 novembre 2010). Forse perché da chi si è fatto sacco, a differenza che da chi ha avuto cura della propria umanità, altro non può uscire che ciò che vi è stato versato da cattivi maestri e da genitori anche peggiori?
Mariastella Gelmini secondo L’Unità di lunedì 29 novembre 2010.
Gianfranco Fini, Mariastella Gelmini e Giorgio Napolitano.
Mariastella Gelmini, Giorgio Napolitano e Gianfranco Fini: Prima della metà di dicembre la riforma sarà legge. È una riforma epocale sul piano culturale: spazza via la cultura egualitaria del ’68. (Mariastella). Povera cocca, come la fa facile. In un video rintracciabile sul sito della rete dei ricercatori 29 Aprile, che giovedì hanno filmato la salita sui tetti romani di Architettura di quattro deputati finiani, si ascoltano Fabio Granata e Benedetto Della Vedova dire: “Abbiamo detto sì alla riforma perché ci sono state forti pressioni del Capo dello Stato. E poi perché intendiamo votare la sfiducia a Berlusconi, vogliamo arrivare al 14 dicembre compatti”. Francesca Coin, ricercatrice: Temiamo che la riforma passi. C’è stato uno scambio: la sfiducia al governo ha prevalso sull’università. (La Repubblica, lunedì 29 novembre 2010). Sempre più chiaro, dunque, quel che si deve pensare del rinvio al 14 dicembre del voto di fiducia.
Ride, Nicola Latorre.
(su) Nicola Latorre: A tenere banco nel Pidì è anche la proposta del dalemiano Nicola Latorre, che vorrebbe far fondere i democratici con Sinistra e Libertà di Vendola. (La Repubblica, lunedì 29 novembre 2010). Già, ma... chi sarà mai ’sto Latorre? Be’, è colui che nel giugno del 2008 ebbe l’onore di essere definito, dalla giudice Clementina Forleo, complice di D’Alema in un disegno criminoso. Colui che nel novembre del 2008, durante un dibattito in tv, passò un “pizzino” al Bocchino per aiutarlo contro Massimo Donadi, dell’Italia dei valori (ma questa, oggi che il Bocchino vien fatto passare per uomo di sinistra, rischia di passare a sua volta per un’azione di sinistra). Poi è colui che nel dicembre del 2009 dichiarò di non essere affatto scandalizzato per la decisione del Comune di Milano di intitolare una via a Bettino Craxi. E infine è colui che, sempre nel dicembre del 2009, sostenendo il “diritto” del Berlusconi di difendersi dal processo, arrivò ad affermare che sul cosiddetto processo breve (uno dei peggiori ricatti berluscìsti) Bersani non avesse posto alcun veto (il che, visto che Bersani non se l’era nemmeno sognato, significa che in realtà gli intimò di non porlo). Come meravigliarsi, dunque, se oggi fa il tifo per Nicola “Nichi” Vendola?
Italiani che non dovevano esserci più (da La vita è bella, di Roberto Benigni).
Mariastella Gelmini: È veramente scandaloso che ci siano italiani che, pur di dare addosso al presidente Berlusconi, facciano il tifo perché l’Italia crolli. (La Repubblica, domenica 28 novembre 2010). Nessun Italiano fa il tifo perché l’Italia crolli. Ma quel che è più disgustoso e inquietante, nelle parole della Gelmini, non è la menzogna velenosa, quanto soprattutto l’odio che ne traspare: è veramente scandaloso, dice questa donna, non il tifo perché l’Italia crolli, ma che ci siano Italiani che lo fanno. Scandaloso, cioè, per questa donna, non è ciò che tali Italiani (secondo lei) fanno, ma che tali Italiani ci siano. E cosa bisognerebbe fare, signora, secondo lei, perché tali Italiani non ci siano più? Ci dica, ci dica.
Per la serie Chi si somiglia si piglia: Gianfranco Gelmini e Mariastella Fini.
(su) Mariastella Gelmini: Martedì prossimo la riforma dell’Università sarà approvata, ed è una delle cose migliori di questa legislatura (Gianfranco Fini). (su) Gianfranco Fini: Colgo in modo positivo questa dichiarazione perché sono convinta che il centrodestra debba battersi nella scuola ma anche nell’università e nel mondo della cultura per affermare valori come il merito, la responsabilità, la centralità dell’impegno. Francamente, vedere gli studenti e i giovani manifestare a fianco dei pensionati mi fa uno strano effetto. Un po’ come quando vedo gli studenti, i professori e i baroni manifestare dalla stessa parte (Mariastella Gelmini). (La Repubblica, domenica 28 novembre 2010).
Vincere! E vinceremo!
(su) Silvio Berlusconi e tutto il cucuzzaro berluscìsta: Il ministro degli Affari esteri, Franco Frattini, ha riferito su vicende delicate che rappresentano il sintomo di strategie dirette a colpire l’immagine dell’Italia sulla scena internazionale. L’attacco a Finmeccanica, la diffusione ripetuta di immagini sui rifiuti di Napoli o sui crolli di Pompei, l’annunciata pubblicazione di rapporti riservati concernenti la politica degli Stati Uniti, con possibili ripercussioni negative anche per l’Italia, impongono fermezza e determinazione per difendere l’immagine nazionale e la tutela degli interessi economici e politici del Paese. Tale intento è stato unanimemente condiviso dal Consiglio. (Comunicato ufficiale del Consiglio dei ministri, La Repubblica, sabato 27 novembre 2010).
Indegno, abietto, criminale e anti-italiano... chi?
Silvio Berlusconi: Un mese fa mi sentivo 35 anni. Poi mi è caduto addosso di tutto e oggi me ne sento 36... Finmeccanica? È suicida procedere contro chi costituisce la forza del Paese... Un’inchiesta che non porterà a nulla... Su L’Aquila mistificano... Non c’è stata nessuna inadempienza del governo... La Corte dei conti ha visionato tutte le operazioni e non ha trovato una sola irregolarità sui lavori all’Aquila... Sull’emergenza rifiuti, è la stampa dell’opposizione che distrugge quanto abbiamo fatto... Indegno, abietto, criminale e anti-italiano fare ciò che troppi media fanno, rivolgere critiche infondate a Governo e Protezione civile... Si vergognino!... Insultare chi invece lavora... Sandro, resisti: sono attacchi strumentali, vogliono farci apparire come colpevoli di tutto!
(La Repubblica, sabato 27 novembre 2010).
Il Partito dell’Amore in alcuni dei suoi più amorevoli atteggiamenti.
(su) Silvio Berlusconi: Non si deve trascurare l’irrompere nella “narrazione” del Cavaliere del cospirazionismo finora utilizzato per proteggere sé stesso, non per denunciare le minacce contro il Paese. È vero, il cambio di passo può essere semplicemente l’inizio della prossima campagna elettorale. La filastrocca la si può già sentire: una “potente centrale politica e finanziaria”, con un complotto, mi ha impedito di governare e di fare gli interessi del Paese, datemi la maggioranza del 51% e vi libererò da ogni nemico. Ma c’è anche un’altra possibilità che deve essere tenuta in considerazione. Che cosa può produrre la diffusione della leggenda di una cospirazione nello stato di insicurezza (percepito e concreto) che angoscia il Paese? Al crepuscolo della sua avventura politica, Berlusconi potrebbe essere tentato di giocare la carta dell’emergenza, una condizione straordinaria che, nell’interesse del Paese, richiede decisioni che sacrifichino le norme, un diritto liberato dalla legge. “La creazione volontaria di uno stato d’eccezione,” ha scritto Giorgio Agamben, “è divenuta una delle pratiche essenziali degli Stati contemporanei, anche quelli cosiddetti democratici”. D’altronde, lo abbiamo sempre saputo che Berlusconi avrebbe trascinato il Paese nella sua caduta. (Giuseppe D’Avanzo su La Repubblica di sabato 27 novembre 2010).
(su) Nicola “Nichi” Vendola: “Narrazione” è, come scrive Orazio, “de te fabula narratur”: favola, appunto. Noi dobbiamo avere la nostra cifra. La nostra sobrietà. Non dobbiamo fare i berlusconiani. Nel campo di là hanno percepito che il berlusconismo non funziona, non vorrei che di qua pensassimo che adesso tocca a noi giocarci questa carta. Il berlusconismo è l’escrescenza di un problema di fondo rappresentato dalla crisi della nostra democrazia: la Sinistra non si faccia tentare. Non si raccontano balle: sogni sì, ma con le gambe. (Pierluigi Bersani, La Repubblica, sabato 27 novembre 2010). Sul Corriere della Sera di oggi, invece, queste parole di Bersani è inutile cercarle. Il quotidiano, in questa fase molto vicino al governo Berlusconi, preferisce dar la parola a Walter Veltroni, noto perdente (dal sito Segnalazioni): E se Pier Luigi Bersani non ce la facesse? Se alle primarie Nichi Vendola lo battesse? Allora il Partito democratico potrebbe chiudere i battenti, a soli tre anni dalla sua nascita. È questo l’incubo che agita i dirigenti del Pd. È una preoccupazione trasversale, che unisce dalemiani e veltroniani, ex popolari ed ecodem. L’altro giorno, nel Transatlantico di Montecitorio, il governatore della Puglia camminava a braccetto con uno dei suoi luogotenenti, Gennaro Migliore. Il quale poi è stato avvicinato da Walter Veltroni. Poche frasi di rito, quindi l’avvertimento dell’ex segretario: “Guardate che non vi potete espandere oltre”. Come a dire: non pensate di lanciare un’opa sul Pd. Migliore ha fatto finta di niente e ha replicato: “Noi proponiamo solo di fare le primarie tra Nichi e Bersani”. Immediata la reazione di Veltroni: “So che state già godendo come matti perché questo è lo schema che conviene a voi”. Suppergiù nello stesso momento, nell’aula di Montecitorio, Massimo D’Alema spiegava a qualche compagno di partito: “Il disegno di Vendola è chiarissimo: lanciare un opa su di noi. Prima ci ha provato Di Pietro, ora ci prova lui”. Il fatto che il presidente del Copasir e l’ex leader del Pd svolgano ragionamenti analoghi non significa certo che tra i due sia stata siglata la pace. Rimangono lontani anni luce, anche se D’Alema ha ammesso: “Quando io e Walter siamo d’accordo facciamo cose buone”. Nessun armistizio, dunque, o tanto meno un patto. Una comune preoccupazione sì, però. Come ammette il dalemiano di ferro Alessandro Nannicini, che ieri giocava “fuori casa”, perché era all’assemblea del Modem (il movimento di Veltroni), aperta da un intervento di suo figlio Tommaso, economista della Bocconi. “Io penso che alla fine, se la situazione si fa difficile, sarà Massimo a dire: superiamo il dualismo Bersani-Vendola trovando un terzo nome. E sarà lo stesso Pier Luigi a muoversi in questo senso, perché non è un uomo attaccato agli incarichi: ha a cuore solo il partito”. Quale che sia l’esito delle vicende di casa Pd, che ci sia grande allarme lo si è capito ieri, alla convention della minoranza. Dove circolavano sondaggi che danno il partito tra il 23,8 e il 24,2. Walter Veltroni, che ha chiuso l’incontro, ha lanciato il “Pd pride”. Secondo lui ce n’è gran bisogno: “Se avessimo mantenuto l’ispirazione del Lingotto saremmo centrali nella vita politica italiana. C’è bisogno di un Lingotto 2 e lo faremo a gennaio”. Già, perché il terrore di Veltroni e dei suoi è che il Pd non abbia più identità e proposte. E che per questo Bersani si rifugi nel tentativo di ridar vita al fu Pci. “Il partito strutturato come negli anni Settanta non funziona più”, è stato l’ammonimento dell’ex segretario. E ancora: “Bersani parla solo di sinistra e non di democratici”. Sul palco della convention sono saliti in tanti. Tutti con la propria scorta di critiche e timori. Per Sergio Chiamparino il Pd soffre di “subalternità verso gli altri partiti”: “Va bene salire sul tetto, come ha fatto Bersani, ma il problema è andare a dire quello che pensiamo noi, cosa che non facciamo”. Netto anche Paolo Gentiloni: “Quanto tempo ci vuole,” si è chiesto, “per capire che è sbagliata l’idea di un partito identitario che si rifà alla sinistra del Novecento?”. Critico pure Marco Follini. Ma il più duro di tutti è stato Beppe Fioroni. L’unico a evocare apertamente dal palco l’incubo del Partito democratico. E l’unico a prefigurare il possibile cambio di leadership: “Se si perdono le elezioni e le primarie, non vanno cambiati gli strumenti o i progetti, ma la linea politica e gli uomini che la perseguono. In democrazia si fa così”. E giù applausi dalla platea.
(Corriere della Sera, sabato 27 novembre 2010).
Ignazio La Russa: Escludo che gli americani ce l’abbiano con noi. E lo posso dimostrare: a Lisbona Obama ha elogiato Berlusconi davanti a tutti, il solo leader che è stato citato per nome e cognome. Anche con me i rapporti sono ottimi, gli abbiamo appena mandato altri duecento istruttori in Afghanistan. (La Repubblica, sabato 27 novembre 2010). Troppo semplice, il La Russa, per arrivare a capire che se Obama, davanti a tutti i maggiori leader mondiali, ne cita per nome e cognome e ne elogia uno solo, l’elogio in realtà è per gli altri, e consiste precisamente nell’onore di non essere accostati a quell’uno. Che vergogna.
Walter Veltroni, Giuseppe “Beppe” Fioroni e Paolo Gentiloni: Si può fare. Lasciando perdere il tema delle alleanze, che è la fine del discorso. Rimettendo al centro del campo il partito (per prenderlo a calci?. n.d.r.). Se avessimo mantenuto il linguaggio e il progetto del Lingotto, oggi saremmo la forza centrale della politica italiana. La tragedia del berlusconismo è alla fine. Gli elettori vedono qualcosa che muore. Ma non vedono nascere qualcosa di nuovo. È prematuro parlare di candidato premier. Anche perché Berlusconi non è ancora caduto e non sarà facile certificare la sua fine. Bersani non deve aver paura di far crescere un movimento a sinistra del Pidì come quello di Vendola. Da Fazio e Saviano, Pier Luigi ha usato le parole sinistra e progressisti, mai la parola democratico. È un errore, perché è la parola più bella, quella che ci rappresenta tutti. Proprio Vieni via con me è la metafora di una maggioranza silenziosa stufa di un certo racconto. E che vuole farsi di nuovo comunità (Walter). Con la politica delle alleanze facciamo la fine del kebab, che pure è un piatto molto buono: affettati a destra da Casini e a sinistra da Vendola (Giuseppe “Beppe”). Il Nuovo Ulivo non ha niente a che fare con il predecessore. È una minicoalizione di sinistra che lascia praterie al centro. Bisogna correggere la rotta (Paolo). (La Repubblica, sabato 27 novembre 2010). Mentre il Partito democratico cerca di essere di Sinistra in modo nuovo, orde di cacicchi di ogni forma e dimensione fanno di tutto per sostenere, dall’interno, chi lo aggredisce dell’esterno in nome di fedi e ideologie fallite, primo il Vendola, con la quotidiana benedizione (e relativa promozione pubblicitaria) dei media berluscìsti.
Piccoli duci crescono. Piccole menti li allevano.
Luca Cordero di Montezemolo (agli allievi del Centro di formazione politica di Massimo Cacciari): Ci vorrebbe una grande lista civica nazionale per scardinare l’attuale geografia dei partiti, per superare un bipolarismo che non funziona e ha fallito. Ma ci vorrebbe anche un’altra legge elettorale per cambiare la classe politica... La sinistra?... Prodi aveva la peggiore maggioranza di tutti i tempi... Il Pidì è tornato a essere come i Dièsse... Cambiati i brand, ma non le persone... In questi due anni ha guardato dal buco della serratura, è andato sui tetti, ma non ha espresso una cultura alternativa. (La Repubblica, sabato 27 novembre 2010). Piccoli duci crescono. Piccole menti li allevano.
(su) Sandro Bondi: L’attrice bulgara Bonev a Venezia, Bondi paga le spese: 400.000 euro. Il ministero di Bondi ha dato un posto a Fabrizio Indaco, figlio della sua compagna Emanuela Repetti. Ma il ministero ha dato una consulenza da 25.000 euro (tema: il teatro e la moda) anche all’ex marito della Repetti, Roberto Indaco.
(La Repubblica, sabato 27 novembre 2010).
Nicola “Nichi” Vendola con due delle sue Mamme.
Nicola “Nichi” Vendola e Amelia Frascaroli: Nichi Vendola a Bologna lancia la candidata civica alle primarie Amelia Frascaroli, che piace anche ai prodiani, mentre nel Pidì continua la guerra tra correnti. Andrea De Maria (ritirato dalla corsa a sindaco una settimana fa) attacca il candidato prescelto Virginio Merola: “I miei non ti appoggiano”. Si infuria l’ex assessore Merola: “Tu cerchi posti”. La Frascaroli, ironica, dice: “Se vinco io, questo Pidì finisce dall’analista”. (La Repubblica, venerdì 26 novembre 2010). Non si erano mai incontrati prima di ieri pomeriggio, Vendola e Amelia Frascaroli, la candidata rigorosamente civica ma sponsorizzata fin dalla prima ora da Sinistra e libertà, che dopo Milano rischia di far vincere a “Nichi” anche le primarie bolognesi. Due chiacchiere sotto i portici, un caffè, per suggellare un feeling già scritto: tutti e due cattolici e di sinistra, “cattocomunisti” direbbero i maligni. Ma a Bologna, la città di Prodi, è un’etichetta che può valere ancora molto. “Lei mi ha affascinato molto, con quel suo mix di mitezza e determinazione,” confida il governatore (dopo due chiacchiere e un caffè? Neanche Gesù Cristo in persona l’avrebbe “radiografata” così rapidamente!, n.d.r.). “Si capisce che la sua è una sensibilità maturata nei percorsi del volontariato, al servizio degli ultimi. Un background che viene considerato poco conciliabile con la politica, ma non è così: Amelia ha idee forti e chiare”. La candidata lo ripaga con la stessa moneta: “C’è stata una sintonia particolare”. E lui aggiunge: “Lei è evangelicamente di sinistra”. (L’Unità, venerdì 26 novembre 2010). Mentre il Partito democratico cerca di essere di Sinistra in modo nuovo, orde di cacicchi di ogni forma e dimensione fanno di tutto per sostenere, dall’interno, chi lo aggredisce dell’esterno in nome di fedi e ideologie fallite, primo il Vendola, con la quotidiana benedizione (e relativa promozione pubblicitaria) dei media berluscìsti.
La cosiddetta “riforma” Gelmini secondo Bucchi (La Repubblica, venerdì 26 novembre 2010).
(su) Mariastella Gelmini: Negli ultimi cinque anni, forse meno, le tasse medie di uno studente dell’università pubblica sono raddoppiate, in cambio di servizi quasi azzerati dai tagli. Uno studente della Sapienza di Roma, il secondo ateneo del mondo per iscritti, paga in media dai 1200 ai 1800 euro all’anno, quasi il doppio di uno della Sorbona o di molte ottime università tedesche. Con la legge Gelmini, fatti due calcoli, le tasse sono destinate ad arrivare al doppio nei prossimi cinque anni. Quindi il nostro studente arriverà a versare ogni anno oltre 3000 euro, più di un collega californiano di Stanford. Ma invece di godere di un campus paradisiaco, dovrà sempre portarsi da casa il panino (la mensa è chiusa), la carta igienica e i solventi per gli esperimenti. Quale categoria non scenderebbe in piazza o salirebbe sui tetti? (...) Nella sintesi di Alfonso Giancotti, ricercatore di Architettura: “Dicono di volere la meritocrazia e cancellano di fatto concorsi e borse di studio. Attaccano il baronato e l’unica categoria che appoggia la riforma è la conferenza dei rettori, il Gotha dei baroni. Vogliono il ritorno all’eccellenza e mettono le basi per la chisusura di Fisica alla Sapienza, una facoltà che esprime un candidato Nobel ogni cinque anni. Parlano di autonomia e federalismo e poi trasformano i consigli d’amministrazione delle università in copie di quello della Rai, con consiglieri nominati dai partiti”. (Curzio Maltese su La Repubblica di venerdì 26 novembre 2010).
(su) Mariastella Gelmini:
(La Repubblica, venerdì 26 novembre 2010).
(su) Mariastella Gelmini: Un caldo giugno, estate 2001. La praticante legale Mariastella Gelmini gira da forsennata per aule, tribunali e uffici in Reggio, sullo Stretto, distretto giudiziario calabrese. Agli esami scritti e orali della prima sessione 2002, l’allora coordinatrice lombarda del Pidièlle, avrebbe poi conseguito l’“abilitazione alla professione forense”, come iscritta al Foro reggino. Mica difficile: allora a Reggio e Catanzaro la media dei promossi sfiorava il 90%. A Milano, nel 2002, passò il 31% degli esaminandi, e a Brescia, sua città, il 24%. Così il 17 marzo 2001 il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Reggio Calabria rilascia a Gelmini Mariastella, già iscritta all’Ordine di Brescia nel ’99, il libretto “di pratica” numero 2879, con cui totalizzerà udienze 25 presso lo studio dell’avvocato Renato Vitetta, vicino a Forza Italia e conoscente dell’attuale sindaco di Brescia, Adriano Paroli, anche lui abilitato a Reggio nel 2000. Ma la signora si dimostra una “furbetta della toga” che, nel rispetto formale delle disposizioni per la pratica forense, sfrutta al massimo ogni escamotage per abbreviare i tempi, senza sottilizzare sulla compilazione dei verbali: si registra fittiziamente come residente in Calabria, rimanendo a sbrigare le sue faccende in Lombardia. Tutte le udienze sono concentrate in tre blitz: 10 - 11 aprile, 4; 12, 13 e 14 giugno, udienze 6; e rush finale dal 18 al 22, spaziando dalle separazioni matrimoniali agli sfratti per morosità. Chissà se vorrà spiegare agli alunni “indisciplinati” perché tutti i suoi verbali d’udienza, pubblici e dei quali L’Unità ha copia, risultano vergati da uguale penna con uguale grafia? “L’abbiamo fatto tutti,” diranno i giovani avvocati reggini. Ma un futuro ministro può fare la “furbetta della toga” senza aspettare la verbalizzazione di ogni udienza? Che fretta, Mariastella, in quell’estate 2001 in cui scappava da un’aula all’altra... (Gianluca Ursini, L’Unità, venerdì 26 novembre 2010). I pubblici verbali d’udienza, scovati da L’Unità, denotano quattro stranezze per le quali vanno poste al Ministro delle domande. Dalla sua iscrizione, risulta residente per sei mesi in Reggio Calabria, via Cappuccinelli, 40. Perché lì nessuno dei vicini ha memoria di lei? Signora ministro, avrebbe dovuto presenziare alle udienze con l’avvocato anziano: perché, invece, ad attendere con lei da tutor troviamo persone diverse? Così da poter sbrigare più udienze in una mattinata? Stiamo parlando di un ministro che si fa paladina della meritocrazia. Infine i verbali dell’inflessibile ministro, a distanza di mesi, o in aule giudiziarie distanti tra loro, sembrano vergati dalla stessa biro e con uguale grafia. Perché tutta quella fretta, signora Gelmini? (Gianluca Ursini, L’Unità, martedì 30 novembre 2010).
Giulio Tremonti: Quelli di sinistra voglino più immigrazione, noi più ordine. Vogliono dare il voto agli immigrati, noi no. Loro vogliono dare agli immigrati case popolari e asili, noi preferiamo i nostri giovani e i nostri anziani. Loro amano i centri sociali, noi preferiamo le parrocchie. Loro simboleggiano la famiglia orizzontale con l’anello, ma qualcuno lo usa come orecchino. Noi preferiamo la famiglia normale e l’anello al dito. A loro piacciono kebab e cous cous, a noi la trippa e le crescentine. (La Repubblica, venerdì 26 novembre 2010). Paragonato al Tremonti, perfino il Berlusconi è un campione di civiltà e di cultura.
Chi è più papa scagli il primo anatema...
(su) Nicola “Nichi” Vendola e Fausto Bertinotti (dai siti Segnalazioni e Asca): In un’intervista a Panorama (l’house-organ dei berlusconiani) da oggi nelle edicole, Bertinotti auspica la possibilità che Vendola diventi lo sfidante ufficiale di Berlusconi nelle prossime politiche. Come del resto auspicava ieri l’“onesto” Bondi. Per Bertinotti Vendola è “libero” dalla contrapposizione al berlusconismo (infatti sia lui che il premier sono amici personali di don Verzè!). Non solo: per Bertinotti, Vendola (nientedimeno) in fondo è come... il papa: “Il fenomeno Vendola rappresenta davvero il segno, sotto altre spoglie, della crisi dei Democratici. Nasce su un terreno diverso da quello in cui finora è stata imprigionata la politica italiana, quindi anche il Pd. Parlo della contrapposizione berlusconismo-antiberlusconismo. Vendola non è in alcun modo condizionato e imprigionato dal passato. La sua forza sta nel presente e nel futuro. Mi fanno sorridere coloro che, anche nel Pd, contano le sue forze e le sue pattuglie. Mi fanno pensare a quelli che chiedevano quante divisioni avesse il papa”. Bertinotti si dice convinto che Vendola possa essere il prossimo antagonista di Silvio Berlusconi, e che abbia le carte per vincere. Il testo completo, tratto dal sito dellagenzia Asca: “Il Pd è fallito nella sua ipotesi costitutiva. Era convinto della irreversibilità del sistema maggioritario bipolare e bipartitico. Pensava di poter essere il polo, anzi il soggetto dell’alternanza, di poter cancellare le altre forze, anche quelle vicine alla sua storia, di poter fare a meno persino della sacra unità della sinistra. Ha creduto di poter cancellare il termine sinistra e fondare la sua politica esclusivamente sulla battaglia per il governo. Ma nessuna di queste ipotesi regge”. Lo sostiene Fausto Bertinotti, ex presidente della Camera ed ex segretario di Rifondazione comunista, in un’intervista che il settimanale Panorama pubblicherà nel numero in edicola da domani, venerdì 26 novembre. Nell’intervista, Bertinotti parla anche di Nichi Vendola e di Gianfranco Fini: “Il fenomeno Vendola,” sostiene, “rappresenta davvero il segno, sotto altre spoglie, della crisi dei democratici. Nasce su un terreno diverso da quello in cui finora è stata imprigionata la politica italiana, quindi anche il Pd. Parlo della contrapposizione berlusconismo-antiberlusconismo.Vendola non è in alcun modo condizionato e imprigionato dal passato. La sua forza sta nel presente e nel futuro. Mi fanno sorridere coloro che, anche nel Pd, contano le sue forze e le sue pattuglie. Mi fanno pensare a quelli che chiedevano quante divisioni avesse il papa”. Bertinotti si dice convinto che Vendola possa essere il prossimo antagonista di Silvio Berlusconi, e che abbia le carte per vincere.
Vendola come Macbeth? Un’ipotesi suggestiva... purché il finale non cambi, e l’intera foresta gli si sollevi contro e marci su di lui.
(dal sito Dazebaonews)
(su) Nicola “Nichi” Vendola, Fausto Bertinotti, Eugenio Scalfari e Sandro Bondi (dal sito Dazebaonews, giovedì 25 novembre 2010). Prima strega: “Salve, Macbeth! Salute a te, barone di Glamis!” Seconda strega: “Salve, Macbeth! Salute a te, barone di Cawdor!” Terza strega: “Salve, Macbeth! Salute a te che sarai re un giorno”. Per cercare di vedere cosa stia accadendo dietro le quinte del teatro della politica italiana, in fibrillazione per la più che possibile caduta del governo, prendiamo in prestito da Shakespeare la celeberrima scena terza del primo atto del Macbeth e i suoi significati più reconditi. Puntiamo l’attenzione su un personaggio politico che molti, ormai, ritengono non più facente parte degli attori di contorno, né tantomeno delle comparse: Nichi Vendola. Sovrapponendo Vendola, Governatore della Regione Puglia, a Macbeth Signore di Glamis, potremmo cercare di interpretare i movimenti politici e soprattutto mediatici che si muovono attorno a lui e che lo spingono, come le tre “sorelle del destino”, verso un epilogo che potrebbe essere, per lui e per la sinistra, tragico. Parafrasando il Bardo inglese potremmo scrivere... Prima strega, Fausto Bertinotti: “Salve, Vendola! Salute a te, leader dell’estrema sinistra!” Seconda strega, Eugenio Scalfari: “Salve, Vendola! Salute a te, leader dell’opposizione!” Terza strega, il ministro Sandro Bondi: “Salve, Vendola! Salute a te che sarai Primo Ministro un giorno”. Tutto questo potrebbe sembrare grottesco e surreale, ma i fatti e gli articoli apparsi in queste settimane sui giornali sembrano confermare questo scenario tragicomico. È noto che fu Bertinotti a volere fortemente Vendola al vertice di Rifondazione comunista, che si scisse subito dopo con la creazione di Sel. È noto che Scalfari, e come lui molti altri giornalisti, ha scritto più volte del carisma del politico pugliese, mettendolo sugli altari della sinistra. Il 19 settembre, domenica, nel suo solito prolisso articolo su La Repubblica, Eugenio Scalfari si produce in un testo interminabile che apre degli squarci sui giochi di potere che si stanno pericolosamente giocando nel Partito Democratico, soprattutto sulla questione Vendola. In questo suo articolo Scalfari, (dopo aver “elegantemente” demolito Bersani: “Bersani da qualche tempo è più incisivo, ma ha ancora un’aria da buon padre di famiglia, di buon senso, ma non certo da trascinatore. Bersani non fa sognare. Non è il suo genere e credo che non gli piaccia. Shakespeare dice nella Tempesta che la nostra vita è fatta della stessa stoffa di cui son fatti i sogni. Be’, Pierluigi Bersani non è fatto di quella stoffa”), e dopo aver espulso Veltroni dalla scena politica (“Purtroppo per il Pd, Veltroni non è un uomo nuovo e soffre quindi del logoramento di tutta la classe politica italiana”), si spertica in elogi per l’ex pupillo di Bertinotti: “Chi può provocare il corto circuito è Nichi Vendola. (…) Ha carisma, non c´è dubbio. Il suo strumento è la parola, l’affabulazione, il suo racconto della situazione. (…) Chi cerca il sogno, nelle sue parole lo trova”. Poi l’ex direttore de La Repubblica si chiede se sarà in grado di governare; ma lo fa così, con “leggerezza”, come se poi, in fondo, che ne sia capace o meno poco importa. E forse ha ragione, visto che anche il capocomico della politica italiana ha soltanto gran doti di affabulatore, come Vendola. Sembra che l’Italia si governi solo con le balle, come dice Bersani rispondendo, il 24 novembre, alle domande insidiose dei giornalisti che lo accusano di avere poco carisma: “Il carisma è una cosa misteriosa. Certo, posso cambiare, posso cercare di migliorare, ma la mia idea è che al dunque contano solo la sincerità e l´autenticità. (...) Io balle non ne ho mai raccontate e nessuno mi convincerà a iniziare adesso. Certo,” aggiunge, memore dell’articolo di Scalfari, “so che bisogna far sognare, ma i sogni devono avere gambe per camminare. Vorrei che la gente vedesse dai miei gesti concreti, e non dalle chiacchiere, di che pasta sono fatto.” E veniamo alla terza strega, quella di cui non ci si sarebbe mai aspettato il suo “amore” per Vendola: il ministro della cultura Sandro Bondi. Leggiamo il titolo su L’Unità di ieri: Sandro Bondi preferisce la gauche targata Nichi. Il ministro Sandro Bondi tira la volata a Sinistra e Libertà. “Come dimostra la vicenda di Milano, il nostro vero interlocutore,” assicura, “è la sinistra di Vendola che, al contrario del Pd, almeno è viva, non è un sepolcro imbiancato”. Veramente paradossale. Ma invece di liquidare come stranezza questo e gli altri interventi a favore di Vendola, dovremmo cercare il meccanismo che faccia cadere lo scena di cartapesta che nasconde le quinte agli spettatori, rivelando così le trame nascoste. Una possibile chiave di interpretazione è quella vagheggiata, che parla delle tre streghe: Bertinotti, Scalfari, Bondi; essi, chi per imperizia, chi per calcolo politico, chi per amore dell’intrigo, hanno esaltato e continuano a osannare Nichi Vendola facendo leva sulla onnipotenza che si rivela nelle sue stralunate affermazioni: “Tra le tante mie diversità vi beccate anche questa: sono innamorato di Cristo, che morendo in croce ha ribaltato i simboli del potere”. “A sinistra da troppo tempo c’è una specie di conte Ugolino che tende a divorare tutto quello che incontra” (e chi sarà mai questo fantasma?). “Torniamo alla bellezza delle relazioni, a quell’accogliersi tra generi, tra generazioni, alla bellezza dell’incontrarsi tra il mondo vivente e quello non vivente...”. Il politico pugliese sembra proprio convinto di poter cambiare con un colpo di bacchetta magica la visione religiosa del Vaticano. Almeno, così si evince dal suo discorso conclusivo al Congresso di Sel e dalle ultime sue dichiarazioni a proposito delle recenti polemiche riguardo al tema dell’omosessualità: “Io credo e voglio parlare delle coppie gay con la Chiesa”. “Nella mia fede non è contemplato il dogma della infallibilità del Papa”. Lo dice parlando al Tg di La7: “Il Vangelo che mi conquista è un Vangelo che accoglie, non che respinge… La Chiesa nei suoi vertici ha bisogno di fare ancora un cammino per misurarsi con i diritti soggettivi, ma la chiesa diffusa è molto più avanti delle parole del Papa, che mi addolorano molto”. Veramente, se analizzate bene, queste frasi dovrebbero far ben pensare sulla caratura politica e umana di Vendola. Celiando un po’, si potrebbe dire che, quanto a onnipotenza, egli va ben oltre Berlusconi: non vuole divenire solo il leader di un grande partito ma vuole, essendo lui di idee più innovatrici, diventare la guida spirituale del Vaticano, perché è lui che decide come la pensa Dio. E allora chiediamoci perché mai egli venga spinto dai suoi “amici” ai vertici della politica. Una risposta potrebbe essere: per distruggere ciò che rimane della Sinistra. Lo aveva detto anche Scalfari, nell’articolo citato, in un rigurgito schizofrenico di verità: “Il punto è che Vendola vuole fare a pezzi il Pd e tutti i partiti e con i frammenti sparsi sul terreno costruire intorno a lui la sinistra italiana”. Proviamo a immaginare uno scenario: Vendola, leader della Sinistra alla fine della campagna elettorale per le elezioni politiche, trova su tutti i giornali la sua affermazione sulla pedofilia apparsa su La Repubblica il 19 maggio dell’85; chiediamoci cosa succederebbe se i giornali pubblicassero un articolo come quello firmato il 7 novembre 2010 da Vittorio Sgarbi, “Vendola difese i pedofili. Oggi ci querela”, dove viene ritirata fuori la frase di Vendola, incriminata e, francamente, impubblicabile. Chiediamoci perché, poi, questa questione sia svanita nel nulla… Forse i suoi “amici” attendono i tempi migliori della campagna elettorale. Come si dice, “dai nemici mi guardo io, dai nemici mi guardi Iddio”. E ora immaginiamo l’ultima scena di questo dramma politico: forse potremmo trovare Vendola giustiziato (politicamente) come Macbeth, da chi, come Macduff, non è nato da ventre di donna; forse da quel conte Ugolino di cui parla Vendola, Signore della Puglie, senza indicarne il nome.
I salvatori?
(su) Mario Draghi e Giulio Tremonti: Le autorità Usa a suo tempo fecero degli stress test sugli istituti di credito che avevano salvato dalla crisi del 2008. Come gli elettrocardiogrammi sotto sforzo, gli stress test simulano condizioni estreme per vedere come se la caverebbero le banche. È una prova della verità: deve mettere a nudo i bilanci e rivelare fragilità nascoste. Il comitato che riunisce le autorità di vigilanza europee ha resistito a lungo prima di seguire l’esempio americano. Quando lo ha fatto, a luglio, ha imbrogliato. “Tutte le banche irlandesi furono promosse all’esame,” ricorda il Wall Street Journal, “ma quattro mesi dopo hanno messo il Paese in ginocchio”. Perfino tra le banche tedesche ci furono “promozioni facili” allo stress test. Gli esami truccati non hanno ingannato i mercati. Oggi gli investitori privati si rifiutano di far credito a molte banche greche, portoghesi, anche a qualche spagnola. La sfiducia dà la misura della fragilità di tutto il sistema bancario europeo. È uno scenario che comincia a ricordare in modo sinistro ciò che accadde tra la fine del 2007 e la fine del 2008, quando le banche diffidavano le une delle altre perché sapevano che i bilanci erano inaffidabili: sottovalutavano sistematicamente le perdite. La penuria di credito è stata accentuata dell’intervento di Angela Merkel un mese fa, quando ha chiesto lacrime e sangue per i possessori di obbligazioni bancarie. Giusto in linea di principio. Ma se fa fuggire tutti i privati, alla fine l’onere di salvare le banche irlandesi cadrà tutto sulle finanze pubbliche dell’Eurozona. (Federico Rampini su La Repubblica di giovedì 25 novembre 2010). Facciamo bene perciò a prepararci al peggio, all’eventualità che la crisi si estenda (chi ha detto che era finita?) e possa costringerci a pagare ancora di più per servire il nostro debito pubblico. Il modo migliore per scongiurare questa possibilità è tenere sotto controllo i conti pubblici e renderli più trasparenti. Il maxiemendamento alla legge di stabilità non lo fa. È una manovra pre-elettorale, basata in buona parte su coperture fittizie e temporanee, come discusso in dettaglio su lavoce.info. Fondamentale anche utilizzare la nostra arma nascosta, l’immensa area di evasione fiscale che potrebbe generare entrate capaci di farci reggere anche uno shock molto forte. Purtroppo in questa legislatura, come recentemente certificato anche dal Centro studi della Confindustria, l’economia sommersa è ulteriormente aumentata, superando il 20% del pil nel 2009 (contro il 17% del 2008). A quanto pare, o il governo contuinua a non reprimere l’evasione fiscale oppure gli italiani non credono nelle sue reali intenzioni di farlo. Oppure entrambe le cose. (Tito Boeri su La Repubblica di giovedì 25 novembre 2010).
(su) Giulio Tremonti e Linda Lanzillotta: La cosa che inquieta non è il veleno. È che la geografia dell’arsenico (cioè degli investimenti non fatti per eliminarlo) corrisponde a quella della privatizzazione più spinta del sistema acqua. Non esiste dimostrazione più perfetta del nesso tra le due cose. S’era sempre detto, non a torto, che solo dai privati (e quindi da un aumento delle tariffe) sarebbero potuti uscire i capitali necessari ad ammodernare una retecolabrodo che, per povertà dello Stato, non registra investimenti significativi da un ventennio. La realtà dimostra il contrario: dalle Alpi alla Sicilia l’aumento delle tariffe non si è trasformato quasi mai in adeguamenti della rete, si è limitato a rimpinguare i profitti. Una privatizzazione all’italiana, compiuta nel Far West delle regole. Al 90% l’acqua all’arsenico si concentra in Lazio e in Toscana, le regioni a più antica privatizzazione idrica. La societàdi gestione è la stessa per le due regioni, si chiama Acea e comprende al suo interno la Suez Lyonnaise des Eaux, il gruppo Caltagirone, la banca svizzera Pictet e (soprattutto in Toscana) il Monte dei Paschi di Siena. Il pubblico mantiene la maggioranza azionaria, ma l’amministratore delegato è espresso per statuto dai privati, i quali si riservano il diritto di veto su decisioni anche maggioritarie del consiglio. Dal momento del salto al privato, le tariffe in Toscana e in Lazio sono aumentate circa del 50%, con un rincaro annuo medio del 5; ma non si sono visti ammodernamenti significativi. In certi casi la qualità del servizio è diminuita, con il Lazio che ha raggiunto il 30% delle perdite dal sistema. E qui viene il discorso dell’arsenico: si è continuato con la richiesta di deroghe non per mettersi in regola con l’Europa, depurare i pozzi e tutelare la salute pubblica, ma solo per prendere tempo. E ciò nonostante i costi della depurazione siano relativamente bassi. In Lombardia, invece, si è lavorato, e non con l’aiuto di capitali privati ma dei fondi regionali. Anche qui l’equazione si conferma: ad allinearsi agli standard sono stati gli enti che hanno conservato la gestione pubblica, come il Lodigiano e Pavia, dove già da un anno sull’arsenico non è stato necessario chiedere deroghe. La situazione rimane difficile nel Mantovano, nel quale la privatizzazione è stata spinta più avanti con una legge tutta lombarda, peraltro cassata dalla Ccorte costituzionale, che prevede la scissione del servizio tra gestore privato ed erogatore pubblico. L’arsenico, insomma, non come pericolo, ma come spia dell’imbroglio. Che qualcosa non funzionasse l’hanno capito da tempo i francesi. A Parigi l’acqua era stata ceduta ai privati e ci si è accorti che gli investimenti annunciati da questi erano spesso specchietti per le allodole. Per rimediare, la capitale francese è ritornata alla gestione pubblica del più strategico dei beni nazionali. Il problema di un giusto equilibrio tra capitali privati e controllo pubblico ora va affrontato anche in Italia, da quando la legge Tremonti ha imposto un passaggio alla gestione privata consorziale (per ambiti territoriali) anche alle reti ben funzionanti e con bilanci in attivo. Un’emergenza analoga a quella dell’arsenico si registrò 25 anni fa in Lombardia con l’inquinamentò da atrazina, pesticida del mais. Laregione fece chiudere i pozzi avvelenati, provvide a un immediato rifornimento con autobotti e chiese una deroga all’Ue per dare subito inizio ai lavori di bonifica. Ma erano altri tempi. In un quarto di secolo tutto è cambiato in Italia, anche la considerazione della pubblica salute. (Paolo Rumiz su La Repubblica di giovedì 25 novembre 2010).
Adriano Paroli (a destra) con Roberto Maroni e due sfortunate signore che non possono esimersi dal servirli.
(su) Adriano Paroli (pidiellìno) e Fabio Rolfi (portatore di moccichino verde): La “Pranzopoli” di Brescia. Giunta indagata per peculato. Chiuse le indagini. Coinvolti sindaco e nove assessori. Le opposizioni e Fielleì: si dimettano. Spese ingiustificate per pasti anche in giorni festivi. Molti scontrini per trasferte a Roma. Scandalo per la “carta di credito facile” della giunta di centrodestra guidata dal sindaco Paroli (Pidièlle) e dal vice leghista Rolfi. Dieci indagati per uso indebito di soldi pubblici. Corte dei conti contesta 43.000 euro. (L’Unità di giovedì 25 novembre 2010).
Picchiatori reali e “picchiatori” virtuali: il Giuliani e il Fede.
(su) Emilio Fede: Questione di donne, pare. Anzi, di una donna, la giovane (39 anni) moglie dello stagionato (73 primavere) imprenditore Gian Germano Giuliani, sposata con nozze principesche a febbraio 2008 a Bernate, nel comasco, organizzazione Santanché, sessanta ospiti selezionatissimi. “Pippo”, per gli amici, produttore dell’amaro che porta il suo cognome, già presidente dell’associazione degli industriali del settore, ex marito di Bedy Moratti e padre della di lei figlia Maria Sole. L’oggetto della sua ira rusticana, Emilio Fede, se lo è visto piombare addosso nel mezzo di una cena con amici (Stefano Bettarini e la showgirl Raffaella Zardo, tra gli altri) e la moglie Diana De Feo alla Risacca, ristorante di pesce della centrale zona Monforte, uno dei punti di ritrovo dei più intimi collaboratori di Berlusconi (l’ad del Milan, Adriano Galliani, ci festeggiò sei anni fa il matrimonio con Malika El Hazzazi). Si sono ritrovati muso a muso, Fede e Giuliani, alle 22.30 di martedì, il locale pieno. Niente convenevoli, a parte un “t’ammazzo” sibilato a denti stretti. È partito Giuliani, con un destro allo zigomo, bissato da un altro pugno dietro l’orecchio, prima che i carabinieri della scorta del direttore del Tg4 lo placcassero.
(La Repubblica, giovedì 25 novembre 2010).
(su) Ignazio La Russa: Migliaia di volantini per conquistare i cuori e le menti degli Afgani. “Io come D’Annunzio” suggerisce Ignazio La Russa, venuto fin sulle montagne di Bala Murghab per inaugurare la campagna anti-Taliban tra la popolazione e verificare i progressi della missione italiana. I foglietti vengono lanciati dall’elicottero CH-47 dell’Esercito mentre vola da Herat all’avamposto italiano più al nord, quello al confine col Turkmenistan. Il ministro della Difesa, insieme ad alcuni militari italiani, prende un mazzo di bigliettini, scritti in dari e pashtu, e li fa svolazzare nel cielo azzurro come fece il poeta sopra la città di Vienna. (La Repubblica, giovedì 25 novembre 2010). Poteva risparmiarsele le battute, fra i commilitoni di 32 ragazzi mandati a morire da una classe politica che ha stracciato l’articolo 11 della Costituzione.
Il carisma di chi per guardarti negli occhi sale fin quassù. E quello di chi guarda in chissà quali occhi lassù.
(A sinistra, Pier Luigi Bersani si arrampica sul tetto della facoltà di Architettura, a Roma, per incontrare i Ricercatori in sciopero
contro la cosiddetta “riforma” Gelmini. A desta, Nicola “Nichi” Vendola còlto in un momento particolarmente “ispirato”).
(su) Nicola “Nichi” Vendola ed Eugenio Scalfari: Il carisma è una cosa misteriosa... Posso cambiare, posso cercare di migliorare, ma la mia idea è che al dunque contano solo la sincerità e l’autenticità. Io balle non ne ho mai raccontate, e nessuno mi convincerà a cominciare adesso. La politica è anche questo: uno si trascina i suoi difetti, basta che la gente li capisca. Un po’ come succede in famiglia, mica siamo perfetti! Bisogna guardare ai fatti. Certo, so che bisogna far sognare, ma i sogni devono avere gambe per camminare. Vorrei che la gente vedesse dai miei gesti concreti, e non dalle chiacchiere, di che pasta sono fatto. (Pier Luigi Bersani, La Repubblica, mercoledì 24 novembre 2010).
Giorgio Napolitano: Dobbiamo fare i conti con una riduzione, cui non possiamo sfuggire, del nostro debito pubblico. Ma il bilancio non si sana mortificando la cultura. Non troveremo nuove vie per il nostro sviluppo economico e sociale attraverso la mortificazione della risorsa di cui l’Italia è più ricca: la risorsa cultura nella sua accezione unitaria... Bisogna discutere seriamente per trovare nuove vie allo sviluppo. Queste sono le prove, queste sono le sfide per cui passerà il futuro dell’Italia, che richiedono revisioni rigorose nella spesa pubblica... Nell’interesse, soprattutto, delle nuove generazioni, è necessario ripensare molte cose, anche per come siamo cresciuti finora, spesso al di sopra delle nostre possibilità nei Paesi ricchi dell’Eurozona: stiamo vedendo che non ci sono sconti, né vie d’uscita indolori, per i Paesi che hanno conosciuto un’illusoria, troppo facile crescita negli scorsi decenni. Adoperiamoci perché di ciò si convincano tutti e perché se ne traggano le conseguenze. (La Repubblica, mercoledì 24 novembre 2010). Sì, ha ragione: abbiamo vissuto per troppo tempo al di sopra delle nostre possibilità. Regalare cento miliardi di euro all’anno ai ladri che evadono le tasse è una generosità (o una minchioneria) che proprio non ci potevamo permettere.
Romano Prodi: Ci dicevano: che bravi gli Irlandesi. E ora? Dublino non ha controllato. (La Repubblica, mercoledì 24 novembre 2010). Cosa intende? Che anche l’iperliberista Padoa Schioppa dovette subirlo dal Veltroni?
Il governo del fare.
(su) Silvio Berlusconi e Guido Bertolaso: Restano bloccati nelle casse di Bruxelles i cinquecento milioni di euro destinati all’Italia per il ciclo dei rifiuti. Gli ispettori dell’Unione europea in missione a Napoli, aggirandosi in mezzo a diecimila tonnellate di rifiuti tra città e provincia, prendono atto che la situazione “è uguale a due anni fa” e sottolineano che “nulla è cambiato nella non gestione in Campania”. Così Pia Bucella, responsabile della direzione Ambiente e capo degli ispettori Ue, fotografa la crisi: “Per sbloccare i fondi c’è bisogno di una nuova gestione concretamente impiantata. Non basterà avere un disegno sulla carta, ma vogliamo la certezza che il progetto sia attuato sul territorio. Oggi abbiamo solo rifiuti nelle strade e manca ancora un piano di trattamento e gestione della differenziata”. Totalmente negativa la prima verifica dopo la condanna all’Italia decisa dalla Corte di giustizia europea il 4 marzo scorso. Una procedura di infrazione aperta dall’esecutivo Ue nel 2007 con il deferimento alla Corte di Lussemburgo che a marzo ha firmato la sentenza perché “l’Italia non ha adottato tutte le misure necessarie allo smaltimento dei rifiuti in Campania, mettendo in pericolo la salute, recando pregiudizio all’ambiente e venendo meno agli obblighi della direttiva comunitaria sui rifiuti”. Ma a marzo l’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso rispose: “Tutto quello per cui l’Italia è stata condannata è già risolto”. (La Repubblica, mercoledì 24 novembre 2010).
Vai avanti tu, ché a me mi viene da ridere.
Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello: In Rai a causa dell’egemonia della sinistra il pluralismo non si è realizzato. Solo un deciso intervento di protesta del Pidièlle, ad esempio, ha consentito la proiezione del film di Andrzey Wajda Katyn. La Rai garantisca trasparenza evitando monopoli di produttori riconducibili a esponenti eletti in Parlamento. (La Repubblica, martedì 23 novembre 2010). Come la Endemol, che è del Berlusconi?
(su) Silvio Berlusconi, Giulio Tremonti, Ignazio La Russa e Mariastella Gelmini: Il governo ha tagliato 300 milioni al 5 per mille e un miliardo al sociale. Ma ha aggiunto 100 milioni per i sistemi d’arma, 200 per 10 elicotteri AW-139, 13 miliardi per 131 cacciabombardieri F35, 4 miliardi per 41 Eurofighter. Guerra e produttori di armi contano più di volontari, di famiglie colpite dalla crisi, di anziani e disabili non autosufficienti. (Marco Granelli, presidente del Coordinamento nazionale dei centri di servizio per il volontariato, La Repubblica, lunedì 22 novembre 2010).
Pierferdinando Casini: Il Pidì deve rompere con la sinistra radicale come fece Veltroni. Perché quello che è accaduto in Puglia con Vendola e a Milano con Pisapia è la conseguenza diretta del fatto che il partito di Bersani non fa le scelte che dovrebbe fare. (La Repubblica, lunedì 22 novembre 2010).
Le gran signore del Pidièlle.
Mara Carfagna su Alessandra Mussolini: La foto che mi ha scattato mentre parlavo con Bocchino? Quello è stato un atto di cattivissimo gusto che non merita commenti, ma che si addice alla persona che l’ha commesso. A Napoli le chiamano vajasse. (L’Unità, lunedì 22 novembre 2010). Due vere signore. Fanno sembrare un gesto da gran dama perfino il dito indice levato della Santanchè.
Mariastella Gelmini: Il giorno dopo la grande contestazione di piazza il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini convoca i sindacati e regala tre promesse pesanti alla scuola (fin qui non finanziate): ai professori meritevoli già nel 2011 sarà corrisposto un mese di stipendio in più, una quattordicesima sui risultati. Quindi alle scuole migliori saranno assegnati finanziamenti speciali, fino a 70.000 euro. Infine, e qui la promessa si va facendo concretezza, per il triennio 2010 - 2012 saranno ripristinati gli scatti d’anzianità. Nell’ultimo caso i sindacati, tutti, applaudono e rivendicano meriti. Questo basta al ministro Gelmini per parlare di giorno storico: “Finalmente si iniziano a valutare i professori e le scuole su base meritocratica: premi ai migliori e non soldi legati solo all’anzianità di carriera”. (La Repubblica, venerdì 19 novembre 2010). Quella donna non vuol capire (ammesso che queste promesse non siano chiacchiere) che le sue mance, racimolate licenziando i Precari e privando le Scuole di ogni risorsa, ripugnano a tutti gli Insegnanti con un minimo di dignità e di rispetto per sé stessi. Li dia al Berlusconi, quei soldi: non vorremmo che a furia di bunga bunga lasciasse senza un centesimo non solo l’Italia, ma anche i suoi stessi figli.
Gentilini e Muraro: moccichini verdi, fasce e fasci.
Leonardo Muraro e Giancarlo Gentilini (portatori di moccichini verdi): In questi casi sarei per la fucilazione e darei alle forze dell’ordine l’autorità di provvedere all’esecuzione sul posto dei colpevoli. In altri luoghi, in circostanze di analoga gravità, si applica la legge marziale: si potrebbe fare anche qui (Leonardo). Nessuna pietà. Quando succedono le disgrazie si vive in un regime di guerra, quindi agli sciacalli va applicata la legge di guerra: fucilati sul posto senza processo (Giancarlo). (La Repubblica, venerdì 19 novembre 2010). Questo stabilisce un interessante precedente: che si dovrebbe fare, allora, agli sciacalli di un’intera Nazione?
(su) Vittorio Feltri e Alessandro Sallusti:
(L’Unità, venerdì 19 novembre 2010).
Renato Schifani: Li voglio proprio vedere i deputati che votano la mozione di sfiducia con la certezza di andare alle elezioni dopo due mesi. E da chi saranno rieletti? (Left, venerdì 19 novembre 2010). Forse solo le pescivendole dei mercati rionali di una volta erano capaci di un argomentare così raffinato e signorile.
Scomparse loro, non è rimasto che lo Schifani.
Giulio Tremonti: L’Italia è solida e non collassa. Il Paese è a posto. Il nostro Paese non è un problema, ma parte della soluzione. L’unico fattore di criticità è il debito pubblico. Le difficoltà del governo? Nessuno a Bruxelles mi ha fatto domande, e questo è di per sé una risposta. Se l’instabilità politica può aumentare i rischi? Credo che i mercati incorporino la democrazia. (La Repubblica, giovedì 18 novembre 2010).
(su) Silvio Berlusconi: Le statue truccate di palazzo Chigi. A Venere il Cavaliere ha fatto aggiungere le mani, a Marte il pene: restauro “proibito” da 70.000 euro. Miracolo a palazzo Chigi. Per espressa volontà di Silvio Berlusconi. E in barba alle regole del restauro che vietano ripristini e falsi storici che alterino l’autenticità di un’opera d’arte.
(La Repubblica, giovedì 18 novembre 2010).
(su) Giorgio Napolitano: Napolitano media tra Camera e Senato: voto di fiducia insieme il 14 dicembre. Bersani: troppo in là. Berlusconi: se cado, elezioni. (Titolo de La Repubblica di mercoledì 17 novembre 2010). Pur essendo del tutto d’accordo con Bersani, non ci permetteremo di commentare l’operato del Capo dello Stato. Ci limiteremo a confrontare le espressioni del Fini e del Bersani, e ne dedurremo chi ha vinto e chi ha perso.
Maroni, Letta e Cacciari amichetti per la pelle (di Saviano)?
Roberto Maroni, Enrico Letta e Massimo Cacciari: Come ministro e ancora di più come leghista mi sento offeso e indignato dalle parole infamanti di Saviano, animate da un’evidente pregiudizio contro la Lega Nord. Chiedo il diritto di replica, un faccia a faccia per vedere se ha il coraggio di dire quelle cose guardandomi negli occhi (Roberto). Condividiamo la richiesta del ministro (Enrico e Massimo). (La Repubblica, mercoledì 17 novembre 2010).
(su) Roberto Maroni: Su Repubblica scrissi una lettera a Sandokan Schiavone dopo l’arresto del figlio. Lo invitavo a pentirsi. L’avvocato di Schiavone mi rispose: voglio vedere se Saviano ha il coraggio di dire quelle cose guardando Sandokan negli occhi. Per la prima volta, da allora, ho riascoltato questa espressione. E sulla bocca del ministro dell’Interno certe espressioni sono davvero inquietanti. La mia risposta è: dove e quando vuole. Posso guardare negli occhi tutti. Non so che trasmissione abbia visto Maroni. Io non ho fatto altro che raccontare l’inchiesta condotta dalla Boccassini e da Pignatone. Se il ministro deve appellarsi a qualcuno, lo faccia all’Antimafia. Ho segnalato che il politico leghista incontrato dal boss Pino Nieri non è stato arrestato. Ho raccontato che la penetrazione della ’ndrangheta a Milano è gigantesca. Ho citato un’intervista di Miglio, il Professùr, come lo chiamavano loro, in cui si propone di costituzionalizzare la mafia... (Roberto Saviano su La Repubblica di mercoledì 17 novembre 2010).
Per la serie Confessioni di menti pericolose: Massimo D’Alema e Luciano Violante.
(su) Massimo D’Alema e Luciano Violante: A partire dal momento in cui fu data a Berlusconi l’assicurazione che l’impero non sarebbe stato toccato, si è rinunciato a considerare anomali la sua ascesa, il conflitto d’interessi. E i responsabili sono tanti, a sinistra. Cominciando da D’Alema quando assicurò, visitando Mediaset nel ’96: “Non ci sarà nessun day after, avremo la serenità per trovare intese. Mediaset è un patrimonio di tutta l’Italia”. La verità l’ha detta Luciano Violante, il giorno che si discusse la legge Frattini sul conflitto d’interessi alla Camera, il 28 febbraio 2002: “L’onorevole Berlusconi sa per certo che gli è stata data la garanzia piena (non adesso, nel ’94, quando ci fu il cambio di governo) che non sarebbero state toccate le televisioni. Lo sa lui e lo sa l’onorevole Letta... Voi ci avete accusato nonostante noi non avessimo fatto la legge sul conflitto d’interessi e dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni... Durante i governi di centrosinistra il fatturato Mediaset è aumentato di 25 volte!”. (Barbara Spinelli su La Repubblica di mercoledì 17 novembre 2010). E se l’avessero fatto gratis et amore dei? Sarebbero più o meno stupidi? Più o meno violenti? Un arduo dilemma.
Che sia quella dei Guido Galperti la vera faccia dei Veltroni e dei “Beppe” Fioroni?...
Walter Veltroni, Giuseppe “Beppe” Fioroni e Guido Galperti: Dispiace avere ragione, ma quello che è avvenuto in questo periodo conferma i timori che avevamo espresso. Bisogna cambiare il passo finché si è in tempo (Walter). A che serve chiudere la stalla ora che i buoi sono già scappati? È da un anno che lo dico. Dopo aver perso le elezioni, le primarie, non vorrei che perdessimo anche gli iscritti. Quando cominceremo a preoccuparci? (Giuseppe “Beppe”). Se Pisapia restasse escluso dal primo turno, tutto il centrosinistra potrebbe convergere sull’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini (Guido). (La Repubblica, mercoledì 17 novembre 2010).
Nicola “Nichi” Vendola tra un inchino a Terminator Schwarzenegger (promotore dell’introduzione nella costituzione della California
del divieto di eliminare i tagli alle tasse per i più ricchi) e una preghierina con “mamma” Amelia Frascaroli... Il mondo di “Nichi”?
(su) Nicola “Nichi” Vendola, Amelia Frascaroli e Franco Giordano: A Bologna, dopo l’abbandono di Maurizio Cevenini, l’uomo del Pidì, le primarie sono state rinviate al 23 gennaio e crescono le quotazioni della vendoliana (ma cattolica dossettiana) Amelia Frascaroli. Franco Giordano, l’ex segretario di Rifondazione fra i collaboratori più stretti di Vendola, dice chiaro e tondo: “Ora le primarie si devono fare in Italia”. Ecco qualche notiziola in più su Amalia Frascaroli, dalla biografia pubblicata sul suo sito: Fin da giovane si è impegnata nell’associazionismo cattolico, in particolare nella Congregazione Mariana dei Padri Gesuiti... Dal 1972 al 1976, con il gruppo giovanile dei Padri Gesuti di Bologna, attivò e partecipò a campi di lavoro e formazione... Membro del consiglio d’amministrazione dell’Opera Pia dei Poveri Vergognosi, ne diventa poi vicepresidente...
E bravo il Vendola: proprio il sindaco ideale per una città come Bologna.
Il Trota e la Squalo?
(su) Marina Berlusconi, Daniele Capezzone e Renzo Bossi: Marina Berlusconi, figlia di Silvio, fa sul serio. Vuole scendere in politica, succedere al padre. Vuole avere nell’area del centrodestra un organo di stampa come Il Giornale e, per questo, più volte si è opposta alla vendita di una testata che pure, parola del premier, ha creato problemi alla tenuta di governo e maggioranza. Un’operazione nella quale dice di credere proprio l’attuale condirettore de Il Giornale, Alessandro Sallusti, che sabato scorso lo ha confidato al Fatto: “Dopo Silvio c’è solo Marina”. Che sa che dopo l’abbandono del padre potrebbe contare comunque su un brand elettorale, il proprio cognome, in grado di raccogliere consensi sufficienti a perpetuare la protezione politica dell’impresa di famiglia. E pure su uno staff che, al momento, vedrebbe in pole position come consigliere l’attuale portavoce del Pidièlle Daniele Capezzone. Non è un mistero che entrambi i figli di primo letto di Berlusconi abbiano per lui un’elevata stima. Certo contano le passate simpatie radicali di Piersilvio, ma la fiducia che anche Marina ripone in Capezzone ne fa un candidato di tutto rispetto a giocare un ruolo di primo piano in quella che potrebbe essere ribattezzata come “l’operazione lady di ferro”. D’altra parte è stata già definita addirittura “una donna con gli attributi”. Caratteristica che le consentirebbe un buon amalgama, almeno politico, col personaggio a lei speculare nel mondo leghista: quel buontempone indulgente di Renzo Bossi, il trota. (L’Unità, martedì 16 novembre 2010).
Bosone, Farinone, Gentilone, Veltrone e Fiorone, i tre in one, dal più testolino al più testolone.
Walter Veltroni, Giuseppe “Beppe” Fioroni e Paolo Gentiloni: Sono allarmato per i tanti errori politici commessi, per il timbro di partito impresso a Boeri e per la babele di posizioni emerse in questi giorni (Walter). Il Pidì non faccia come il moscone che sbatte contro la finestra perché vede la luce e spera che qualcuno gli apra per uscire. Basta zig zag. Dobbiamo dire con nettezza che vogliamo l’alleanza al centro con Casini e con Rutelli e, se qualcuno pensa a Fini, anche con Fini. No però al “Nuovo Ulivo” con Vendola e Di Pietro, perché si finisce succubi della sinistra. Non si può fare un’alleanza dal diavolo all’acquasanta (Giuseppe “Beppe”). Di fronte alla crisi del governo, non possiamo rassegnarci a uno schema minoritario. No ad essere confinati in una coalizione di sinistra nobilitata dall’espressione “Nuovo Ulivo”. Promuovere con coraggio l’intesa con le forze che vogliono dare vita a un terzo polo (Paolo). Più Farinone, Bosone, Rusconi e Sanga: Scivoliamo sempre più a sinistra, nelle consultazioni interne il partito viene sconfitto e rischia di diventare residuale. Bisogna correggere la rotta. (La Repubblica, martedì 16 novembre 2010).
Alemanno, Marsilio e i loro fan. Usciti dalle fogne?
(su) Laura Marsilio (assessore alle Politiche educative e scolastiche del comune di Roma): Ieri, davanti a un forno crematorio del campo di sterminio di Auschwitz, si è portata il braccio destro al petto, premendo il pugno sul cuore. Sequenza su cui il Partito democratico non ha dubbi: “È il saluto del legionario che sostituisce o precede il saluto romano”. Indignato Piero Terracina, sopravvissuto ad Auschwitz, che ha parlato di “un oltraggio che non si può tollerare”. La difesa dell’assessore: “Solo un gesto di partecipazione”. (La Repubblica, martedì 16 novembre 2010).
Giuseppe Riva, amministratore delegato della società italiana Hospira, accusata di essere il fornitore esclusivo di anestetico per iniezioni letali agli Stati Uniti: Chi produce coltelli da cucina è responsabile se poi qualcuno li utilizza per uccidere? (...) Se noi smettessimo di fornirlo, lo farebbero altri. (La Repubblica, martedì 16 novembre 2010). E poi è solo l’anestetico, mica il veleno. Così i condannati a morte hospirano senza accorgersene.
Il Calderoli secondo una vignetta apparsa su Italia futura, sito legato a Montezemolo.
(su) Roberto Calderoli: Quando lo statista Calderoli nella sua vita avrà realizzato l’un per cento di quanto fatto in questi anni dalla Ferrari per il Paese in termini industriali e sportivi, a quel punto meriterà una risposta. Parliamo di cose serie. (Luca Cordero di Montezemolo, La Repubblica, martedì 16 novembre 2010).
Per la serie Piccoli grandi uomini: Giorgio Stracquadanio.
(su) Giorgio Stracquadanio: Intanto una piccola tempesta scoppia anche nel Pidièlle dopo che il falco berlusconiano Giorgio Stracquadanio, intervistato dal Corriere, accusa di disimpegno nel momento della crisi Alfano, Frattini, Gelmini, Carfagna e Prestigiacomo. Non si espongono abbastanza in difesa del Cavaliere, dice. Risponde duramente lo stesso Berlusconi, che in un comunicato difende i suoi dalle “abnormi offese a persone a me vicine”. A questo punto Stracquadanio chiede un incontro con il premier per chiarire, altrimenti “mi dimetto”. In serata la telefonata con Berlusconi che gli restituisce il sorriso: “Il presidente mi ha salutato dicendomi ‘ti abbraccio’, non posso certo dimettermi”. (La Repubblica, martedì 16 novembre 2010).
Silvio Berlusconi (duce del berluscìsmo): Professionisti della politica, ormai vicini all’età in cui grandi leader come Bush o Blair scrivono le loro memorie, che possono aspirare alla guida del governo o della Camera solo attraverso decisioni di palazzo, quindi agendo come se la gente non esistesse. Ma questa non è democrazia, è solo partitocrazia. Siccome noi siamo democratici e nel nostro Paese deve valere la democrazia, cioè quello che decide la gente, noi andremo avanti a governare. Ma, se alla Camera il governo non avrà l’ok, benissimo, si andrà a votare per la Camera stessa e vedremo cosa decideranno gli italiani. Dobbiamo andare avanti contro una sinistra che non è ancora democratica. Tutte le cose che stanno succedendo rafforzano il convincimento degli italiani che vogliono restare liberi. È una cosa indegna avere una televisione pubblica di questo tipo. La maggioranza degli italiani è con noi e non si lascia turlupinare dai programmi tv offensivi che paghiamo tutti noi. Quanto ai giornali, non leggeteli. Fanno pubblicità a una politica partitocratica che ragiona o sragiona come se gli elettori non esistessero. Ma esistono, e sono per il sessanta per cento con Silvio Berlusconi. (La Repubblica, lunedì 15 novembre 2010).
Roberto Maroni (commentando l’iniziativa di protesta che a Brescia ha portato in cima a una gru alcuni lavoratori, che un ritardo burocratico nel rinnovo del permesso di soggiorno sta per tramutare in clandestini): La legge è uguale per tutti. La legge va rispettata, se non ci sono i requisiti per ottenere il permesso di soggiorno, o si cambia la legge. Non è che, se uno si mette a fare gesti eclatanti, possiamo violare la legge. (La Repubblica, domenica 14 novembre 2010). A meno che non sia un presidente del Consiglio a fare il gesto eclatante di telefonare di persona in una questura a favore di una nipote di Mubarak.
Raffaele Lombardo
(su) Raffaele Lombardo (“governatore” della regione Sicilia con il determinante appoggio di una parte del Pidì siciliano): L’Audi Q7 grigio metallizzata di Angelo Lombardo, fratello del governatore della Sicilia e deputato nazionale dell’Emmeppìa, varca il cancello della masseria del geologo Giovanni Barbagallo in contrada Margherito, nelle campagne di Ramacca, alle 12,34 di domenica 4 maggio 2008. Ad attenderlo, nella proprietà del professionista che interpreta il ruolo di cerniera tra le cosche e la politica, c’è tutto il gotha di Cosa nostra catanese. Gli obiettivi dei carabinieri del Ros sono puntati su quel cancello e registrano la lunga teoria di Suv, fuoristrada e berline di mafiosi e colletti bianchi convocati per festeggiare, a vino rosè e quaglie alla brace, l’elezione del “loro” deputato nazionale. C’è anche Enzo Aiello, il rappresentante provinciale di Cosa nostra a Catania, in cima alla lista dei cinquanta arrestati della più grossa inchiesta su mafia e politica del Catanese nella quale sono indagati per concorso esterno in associazione mafiosa anche i fratelli Lombardo. Il governatore, Raffaele Lombardo, alla festa di Margherito non c’è. Da quando è stato eletto alla presidenza della Regione, dicono i mafiosi intercettati, “Raffaele ha chiuso il cerchio”. Per parlare con lui bisogna parlare con suo fratello Angelo. (La Repubblica, domenica 14 novembre 2010).
(su) Sergio Chiamparino: Ho letto un articolo relativo a una vicenda raccontata nel corso di una puntata di Report, nella rubrica C’è chi dice no. Raphael Rossi, trentacinquenne esperto nella progettazione di sistemi per la raccolta differenziata, ha evitato, grazie alla sua competenza, onestà e responsabilità professionale, l’acquisto di un macchinario non utile dal costo di 4 milioni di euro a spese dei cittadini di Torino. Lui ha rifiutato le tangenti e denunciato tutto alla Magistratura. Risultato: cacciato dall’Amiat (l’azienda municipale per la raccolta dei rifiuti), scaricato dalla politica (era stato indicato, da quanto ho letto, da Rifondazione comunista) e dalle istituzioni. Il Comune di Torino e il sindaco Sergio Chiamparino finora non si sono costituiti parte civile e non hanno aiutato Raphael Rossi nell’assistenza legale. Sono un iscritto al Pidì e comportamenti come questo non mi stanno bene. (Lettera a L’Unità di domenica 14 novembre 2010). Povero Chiamparino. Sarà stato distratto. Si sa, tra un libro e un’intervista, tra una polemica e un dibattito...
(su) Donatella Zingone Dini (moglie di Lamberto Dini): Pecunia non olet. Gli affari birmani della signora Dini. Tre settimane fa la presidente della Zeta Group ha incontrato il ministro dell’Agricoltura, figura tra le più impresentabili del regime, incluso nella lista nera dell’Unione europea. (Titolo de L’Unità di domenica 14 novembre 2010).
Regalano alle scuole di chi le paga i soldi tolti alle Scuole di Tutti. Berlusconi e Tremonti odiano i Figli della Donna e dell’Uomo? |
(su) Mariastella Gelmini, Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi: Risolto il “giallo” del Fondo da 750 milioni, assegnato alla disponibilità della presidenza del Consiglio senza indicazioni dettagliate di spesa. L’elenco è arrivato, ma ha suscitato polemiche e malcontenti. Una prima posta prevede il finanziamento delle scuole private: è salito a 245 milioni (rispetto ai 130 dello scorso anno). (La Repubblica, sabato 13 novembre 2010). Costituzione della Repubblica Italiana, articolo 33, comma 3: Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. I tre individui di cui sopra dovrebbero essere incriminati per aver attentato alla Costituzione. Insieme, naturalmente, ai vari Fioroni e soci della finta “sinistra” che li hanno preceduti e istigati.
(su) Giovanni Conso (quello del no al carcere duro per i mafiosi del ’93 e del decreto salvaladri del ’94): Sette mesi dopo la strage Borsellino, alcuni vertici delle istituzioni avevano fretta di revocare il carcere duro ai mafiosi. La questione fu affrontata addirittura durante un comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza. Fino a oggi, mai nessuno lo ha ammesso. Anzi: tutti i politici interrogati dai magistrati e dalla commissione antimafia continuano a ribadire che in quei mesi ci fu solo la linea della fermezza contro i boss. Adesso, un documento li smentisce: un “appunto” del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, “numero 115077 del 6 marzo 1993”, indirizzato al capo di gabinetto del ministro della Giustizia Giovanni Conso. La firma è dell’allora direttore Nicolò Amato. A leggere l’oggetto, in quei 75 fogli c’è solo routine: “Organizzazione e rapporti di lavoro”. E invece, a pagina 59, Amato apre un capitolo cruciale: “Revisione dei decreti ministeriali emanati a partire dal luglio ’92, sulla base dell’articolo 41 bis”. In quell’appunto c’è un’indicazione precisa al Guardasigilli: “Appare giusto ed opportuno rinunciare ora all’uso di questi decreti”. Due sono le strade suggerite: “Lasciarli in vigore fino alla scadenza senza rinnovarli, ovvero revocarli subito in blocco. Mi permetterei di esprimere una preferenza per la seconda soluzione”. Amato spiega perché: “L’emanazione del 41 bis era giustificata dalla necessità di dare alla criminalità mafiosa una risposta. Ma non vi è dubbio che la legge configura il ricorso a questi decreti come uno strumento eccezionale e temporaneo”. Dietro queste parole non ci sarebbe solo un’iniziativa del Dap. Lo scrive Amato: “In sede di Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza, nella seduta del 12 febbraio, sono state espresse, particolarmente da parte del capo della Polizia (Vincenzo Parisi, n.d.r.) riserve sulla eccessiva durezza di siffatto regime penitenziario. Ed anche recentemente da parte del ministero dell’Interno sono venute pressanti insistenze per la revoca dei decreti applicati agli istituti di Poggioreale e di Secondigliano”. (...) Se da una parte l’ex ministro Conso giura di avere agito in solitudine, dall’altra svela un dettaglio che in quel 1993 nessuno sapeva al di fuori dei boss o di coloro che con i boss trattavano: e cioè la presenza sulla scena di Provenzano, diventato il mafioso che reggeva le sorti di Cosa nostra. Come faceva il ministro Conso a conoscere il peso di quel latitante se anche gli addetti ai lavori più qualificati, gli investigatori di prima linea, sospettavano addirittura che Provenzano fosse morto? All’inizio di quel 1993 fu nientemeno che Balduccio Di Maggio, quello che si prese il “merito” di aver fatto arrestare Totò Riina, a rivelare che “probabilmente” Bernardo Provenzano era passato a miglior vita. Ufficialmente era un fantasma per tutti. Tranne per chi gli stava vicino. (...) Un ultimo particolare, non sfuggito ai procuratori di Palermo, riguarda la singolare posizione di Nicolò Amato. Direttore delle carceri fino al 1993, poi difensore di alcuni boss dell’ala “moderata” di Cosa nostra come Giuseppe Madonia di Caltanissetta, poi ancora (e a sorpresa) avvocato di Vito Ciancimino. Proprio lui, quello del “papello”: il primo protagonista degli accordi fra Stato e mafia. (Salvo Palazzolo e Attilio Bolzoni su La Repubblica di sabato 13 novembre 2010).
(su) Maurizio Sacconi: Anche i diritti scadono. Nel cosiddetto “collegato lavoro”, che entrerà in vigore il 24 novembre, si riduce a 60 giorni il tempo entro il quale un lavoratore può impugnare il licenziamento ritenuto illegittimo. Di più: gli stessi limiti valgono per contestare le eventuali invalidità di un contratto temporaneo. Tempi strettissimi, che di fatto impediranno ai lavoratori precari (da quelli a tempo determinato ai collaboratori a progetto fino agli interinali) di rivolgersi al giudice. Perché, va da sé, prima di tagliare i ponti con un’azienda aspetteranno di sapere se gli verrà, o meno, rinnovato il contratto. Una tagliola. Che, secondo una stima della Cgil, finirà per coinvolgere 100 - 150.000 persone, per lo più giovani. Ad aggravare il tutto è il fatto che la nuova norma (l’articolo 32 del “collegato”) sarà applicata anche retroattivamente. I 60 giorni scatteranno per tutti i contratti, anche quelli scaduti, dall’entrata in vigore della legge, cioè dal 24 novembre. “Si tratta,” ha detto il segretario confederale della Cgil Fulvio Fammoni, “di una norma retroattiva molto grave. Ma quello che è più grave è che molti non saranno neppure in grado di conoscere in tempo questa sbagliata novità e decadranno dal diritto”. Fammoni parla di un “vero accanimento del governo nei confronti dei lavoratori precari e dei giovani”. E ha scritto al ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, sollecitando un intervento d’urgenza per correggere l’articolo 32 del “collegato” prima che entri in vigore. Dal ministro non è arrivata alcuna risposta. (La Repubblica, sabato 13 novembre 2010). Il Sacconi non risponde? Avrà la bocca piena. Succede spesso, nel governo Berlusconi. Per un boccone o per l’altro.
Ma ne è proprio sicuro? E come ha fatto ad accorgersene?
Nicola “Nichi” Vendola: Berlusconi è un premier che vive in erezione sulla scena pubblica.
(Citato da Antonello Caporale, La Repubblica, sabato 13 novembre 2010).
Per lo Scalfari o il Vendola non mi serve Dio, ché dal carisma mi guardo io.
Eugenio Scalfari: Pier Luigi Bersani è il segretario del Pidì eletto da milioni di cittadini, e su questo non si discute. Però ha uno strano modo di esprimersi, di colloquiare: per esempio ieri ha detto questa costituzione qua, ed è un linguaggio che non funziona, insomma non ha carisma, e il carisma non è una cosa che si studia. Vendola invece il carisma ce l’ha. Vendola ci porti alla vittoria, Bersani amministri il Paese. (La Repubblica, sabato 13 novembre 2010). Traduzione: Bersani non è bravo a darla a bere al popolo come me. Da domani sentirete i gonzi ripetere in giro, solo perché l’ho detto io, che Bersani non ha carisma. Ci serve un Vendola per darla a bere al popolo e un Bersani per servire in tavola. Servire noi, i veri capi. (Chissà, Eugenio. Chissà che i gonzi siano meno gonzi, invece, e i Bersani meno manovrabili. Il D’Alema se ne sta già accorgendo. Presto, forse, dovrai accorgertene anche tu).
Gli smorfiosetti né di destra né di sinistra, tutti casa e chiesa e banca (possibilmente di Caltagirone)? Ecco dove stanno.
(su) Pierferdinando Casini: L’altra sera ho sentito Pierferdinando Casini ripetere tre volte, in un talk show, che “destra, sinistra e centro sono categorie ormai superate, roba del secolo scorso”. Sul punto, in effetti, il dibattito è aperto da tempo ― dal secolo scorso, addirittura ― ma devo ammettere che colpiva, sentirlo dire a un uomo politico che ha fondato l’Unione di Centro, ha intitolato il suo sito “L’estremo centro” e ci ha raccontato mille volte la favola del Grande Centro. La fine dei centristi, specie politica tipica dell’Italia post-fascista, potrebbe segnare l’inizio dell’Italia post-berlusconiana. Sempre che Casini riesca a capire dove si trova, se non è né a destra né a sinistra, né sopra né sotto, né a Nord né a Sud. Forse gli serve, come direbbe Battiato, un centro di gravità permanente.
(Michele Serra su La Repubblica di sabato 13 novembre 2010).
E se col D’Alema sparissero anche il Rusconi e la Rubinato, non sogneremmo ancora meglio?
(su) Massimo D’Alema: Da dieci anni a questa parte, nonostante l’articolo 33, comma 3, della Costituzione, lo Stato versa 534 milioni di euro all’anno alle scuole private. Fu il primo governo italiano guidato da un postcomunista, il governo D’Alema, che varò la cosiddetta legge sulla parità (la legge n° 62 del 10 marzo 2000). Che prevede (per aggirare il dettato costituzionale, n.d.r.) che il contributo sia corrisposto alle Regioni e alle Province autonome, e da queste alle famiglie per aiutarle nel pagamento delle rette. La legge precisa che il finanziamento deve interessare prioritariamente le famiglie svantaggiate. Nei fatti, grazie a un approssimativo sistema di dichiarazione dei redditi, il contributo viene usato quasi esclusivamente da famiglie benestanti. Di fronte a un’interpretazione così leggera della Costituzione, il centrodestra ha lanciato un affondo con il D. m. n° 27 dell’11 febbraio 2005, che parla apertamente di contributi statali alle scuole private. Ma è stato un senatore del Pidì, Antonio Rusconi, il primo a protestare contro il taglio dei contributi alle private. E una deputata del Pidì, Simonetta Rubinato, a proporre due emendamenti alla Finanziaria, uno per reintegrare il contributo, l’altro per escludere dal patto di stabilità dei Comuni i finanziamenti alle private. Chi l’ha detto che non c’è l’opposizione? (Giuseppe Benedetti su Left di venerdì 12 novembre 2010).
(su) Mariastella Gelmini: I Tribunali amministrativi regionali del Lazio, della Puglia e della Sardegna hanno riconosciuto il danno esistenziale per la riduzione delle ore di sostegno a scuola: un danno che viola il diritto del bambino di avere la possibilità di istruirsi come gli altri, ledendo valori garantiti dalla Costituzione. Il ministero della Pubblica Istruzione sarà condannato a pagare per i giorni trascorsi senza il sostegno necessario. Nelle motivazioni i giudici sardi hanno citato pronunciamenti della Corte costituzionale e perfino la Convenzione delle Nazioni unite. (Left, venerdì 12 novembre 2010).
(su) Sandro Bondi, Francesco Rutelli, Giuliano Urbani e Rocco Buttiglione: Il governo Berlusconi ha istituzionalizzato la gestione commissariale dei beni culturali, governata dalla logica dell’emergenza e degli affari. Agire con ordinanze che operano in deroga alle leggi ordinarie, svincolati da controlli e responsabilità, è un modello autoritario e criminogeno che riguarda sempre più aspetti della vita pubblica, dalla gestione dei rifiuti alla mobilità cittadina, dall’Inps sino ai grandi eventi: lo stesso modello usato a L’Aquila nella gestione del post terremoto del 2009, con gli effetti che abbiamo visto. Il governo Berlusconi ne ha fatto un sistema. Basta dire che dal 2008 a oggi ha adottato 154 provvedimenti d’emergenza, uno ogni cinque giorni. (...) Da dieci anni, ormai, governo ed enti locali riservano prevalentemente all’arte sacra e ai beni ecclesiastici i fondi pubblici dedicati ai restauri e alla conservazione dei monumenti. E non parlo solo di restauro di affreschi o di chiese di pregio artistico ma anche, per fare un esempio, di lavori di manutenzione di palazzi di Propaganda fide che non versano in stato di emergenza. In questo quadro non appare un caso che nel nostro Paese gli ultimi ministri dei Beni culturali e ambientali siano politici molto vicini al Vaticano, dall’attuale ministro Sandro Bondi a Francesco Rutelli, a Giuliano Urbani, a Rocco Buttiglione. (Mario Staderini, segretario dei Radicali italiani, su Left di venerdì 12 novembre 2010).
Giovanni Conso? Non lo ricorderemo solo per il Salva-Ladri del 1994, ma anche per aver tolto il carcere duro a 140 mafiosi nel 1993.
(su) Giovanni Conso: L’annuncio è clamoroso e arriva quasi vent’anni dopo: “Non ho rinnovato il 41 bis in scadenza a novembre del 1993 per 140 imputati per mafia detenuti nel carcere dell’Ucciardone per evitare altre stragi”. Confessione di Giovanni Conso, ministro della Giustizia ai tempi dei massacri di Cosa nostra. E anche se lui giura che quella decisione la prese in assoluta solitudine (senza consultarsi con la presidenza del Consiglio, senza avere mai ricevuto pressioni da reparti speciali o servizi segreti) qualcuno in Sicilia comincia a dire sottovoce qualcosa che potrebbe modificare tutto ciò che è stato prospettato in questi ultimi mesi sui patti stipulati prima e durante le stragi. Forse la trattativa fra mafia e Stato a un certo punto si è trasformata in una trattativa fra Stato e mafia, ricercata dagli apparati, inseguita da personaggi che oggi sono ancora nell’ombra. La rivelazione in commissione di Conso (assai ritardata come i ricordi di altri smemorati di queste vicende come l’ex Guardasigilli Claudio Martelli o come l’ex presidente della Camera Luciano Violante) scivolerà nelle carte dei pubblici ministeri di Palermo che indagano sui ricatti incrociati di quella stagione. (Attilio Bolzoni su La Repubblica di venerdì 12 novembre 2010). E il Conso non si fermò certo lì. Pochi mesi dopo, come ricorda Marco Travaglio in Ad personam, fu il primo (con largo anticipo sul Berlusconi dei successivi sedici anni) a tentare di bloccare i giudici onesti con quello che passò alla storia della Guerra tra l’antiStato e lo Stato italiano come il Decreto Salvaladri: Nel marzo 1993, un anno dopo l’arresto di Mario Chiesa che ha fatto esplodere lo scandalo di Tangentopoli, tiene banco un altro decreto: prende nome dal ministro della Giustizia, Giovanni Conso. Ma dovrebbe chiamarsi “decreto Craxi”, visto che a volerlo fortissimamente è il presidente del Consiglio Giuliano Amato, da sempre onsigliere tascabile del plurinquisito ras socialista. La classe politica è letteralmente terrorizzata. Il 19 febbraio ha appena visto trascinare ammanettato in tribunale Enzo Carra, portavoce del segretario democristiano Arnaldo Forlani, arrestato in flagrante per la falsa testimonianza con cui ha tentato di depistare le indagini sulla maxitangente Enimont (140 miliardi di lire stanziati da Raul Gardini, capo famiglia dei Ferruzzi proprietari della Montedison, per comprarsi l’intero Parlamento) e condannato l’8 marzo per direttissima a due anni di reclusione in primo grado (poi ridotti a 1 anno e 4 mesi definitivi). In meno di due mesi, tra febbraio e marzo, il governo Amato perde per strada ben sei ministri: cinque perché inquisiti, uno (Ripa di Meana) in polemica con il governo degli inquisiti. Il 10 febbraio si dimette Martelli, ministro di Grazia e Giustizia, indagato per lo scandalo del conto Protezione. A marzo lasciano quelli dell’Agrioltura e delle Finanze: Gianni Fontana, inquisito per tangenti, e Giovanni Goria, implicato nello scandalo del nuovo ospedale di Asti. Goria è sostituito da Franco Reviglio, che però è costretto a sloggiare quasi subito per le indagini sui fondi neri Eni. Francesco De Lorenzo abbandona la Sanità dopo l’arresto del padre Ferruccio. I partiti tentano il tutto per tutto, onde evitare di finire tutti in gabbia. La chiamano “soluzione politica per Tangentopoli”. Ma, vista la popolarità dei magistrati del pool Mani pulite, un attacco frontale con le toghe è improponibile. Impraticabile anche la solita amnistia: proprio nel marzo del 1992 è entrata in vigore la riforma dell’articolo 79 della Costituzione, che porta dal 50 per cento più uno ai due terzi il quorum parlamentare necessario per approvare amnistie e indulti. Così si tenta un disperato autosalvataggio, gabellandolo come un aiuto al pool di Milano. Da tempo, resisi conto delle dimensioni del sistema corrotto, i pm ambrosiani invocano una legge che incentivi le collaborazioni, sul modello di quella per i pentiti di mafia: niente carcere in cambio della piena verità sulla corruzione. Così il governo decide di fingere di aver esaudito il loro desiderio. Il 5 marzo, di venerdì, il guardasigilli Conso presenta in Consiglio dei ministri quattro decreti e tre disegni di leggee. Scalfaro fa sapere ad Amato che non firmerà colpi di spugna: al massimo, una legge che risparmi il carcere a chi confessa e patteggia la pena, ma a patto che rinunci per sempre alla vita pubblica. A tarda sera il governo approva il pacchetto Conso, ma privo della clausola cara al Quirinale. I giornali scrivono che è stato Claudio Vitalone, ministro andreottiano del Commercio con l’estero, a convincere i colleghi che la proposta Scalfaro non è praticabile. Risultato: l’illecito finanziamento ai partiti viene depenalizzato e trasformato in semplice infrazione amministrativa, punibile con una banale multa (fino al triplo del denaro ottenuto, ma pagabile anche a rate, di tasca propria o dalle casse del partito); e la possibilità di patteggiare la pena viene estesa ai reati di corruzione e concussione (con sconti di pena fino a un terzo). Ma così viene meno il rischio di finire in carcere, che aveva indotto molti imprenditori a raccontare ai giudici ciò che non avevano ancora scoperto. Inoltre viene ripristinato in fretta e furia il segreto istruttorio, che il nuovo Codice di procedura del 1989 aveva abolito per venire incontro alle esigenze dell’informazione e della trasparenza: un autentico bavaglio alla stampa. Conso, uscendo da Palazzo Chigi, mette le mani avanti: “Non è un colpo di spugna, anzi, abbiamo raccolto gli appelli dei magistrati per semplificare i processi e accelerare le sentenze”. Amato gli fa eco: “Non è un colpo di spugna, abbiamo fatto esattamente quel che ci han chiesto i giudici di Milano, Di Pietro e Colombo”. In realtà il pool di Milano proponeva ben altro: un sistema che incentivasse le collaborazioni, per far emergere tutta la corruzione sommersa in tempi brevi. Il pacchetto AmaroCenso invece le frena: va esattamente nella direzione opposta. In più i magistrati sono furibondi perché vengono indicati come gli ispiratori del pateracchio. Domenica 7 marzo Borrelli raduna il pool e, insieme ai colleghi, decide di smentire pubblicamente la versione del governo con un comunicato letto da lui stesso alla stampa: “Abbiamo appreso che la cosiddetta soluzione politica sarebbe stata giustificata sulla base delle nostre dichiarazioni. Come magistrati abbiamo il dovere inderogabile di applicare le leggi dello Stato quali che esse siano [ ... ]. Non consentiamo però a nessuno di presentare come da noi richieste, volute o approvate, le iniziative in questione. Governo e Parlamento sono sovrani nelle determinazioni di loro competenza, ma ci auguriamo che ciascuno si assuma davanti al popolo italiano le responsabilità politiche delle proprie scelte, senza farsi scudo del nostro operato o delle nostre opinioni. Opinioni che sono esattamente opposte al senso dei provvedimenti adottati. Riteniamo infatti che il prevedibile risultato delle modifiche legislative approvate sarà la totale paralisi delle indagini e la impossibilità di accertare fatti e responsabilità di coloro che li hanno commessi. Cosi si disincentiva qualunque forma di collaborazione”. D’Ambrosio rincara la dose: “La classe politica responsabile di un sistema di tangenti ha deciso di assolvere se stessa”. Nelle stesse ore il Consiglio superiore della magistratura (Csm) e l’Associazione nazionale magistrati (Anm) esprimono concetti analoghi: depenalizzare il fìnanziamento illecito significa disarmare i magistrati dello strumento più efficace per scoprire le tangenti. E poi la stragrande maggioranza delle indagini e dei processi di Mani pulite, fino al marzo del 1993, contesta agli imputati proprio questo reato. Con il decreto Amato-Conso, quelle indagini e quei processi svanirebbero come bolle di sapone: sarebbe la fine dell’inchiesta. E probabilmente non si scoprirebbero tante altre mazzette, compresa la maxitangente Enimont che comincia ad affiorare proprio in quelle settimane. Le redazioni dei giornali, appena la gente capisce la posta in gioco, vengono inondate di telefonate e fax indignati di semplici cittadini che protestano contro il colpo di spugna. Il ministro socialista dell’Ambiente Carlo Ripa di Meana dà le dimissioni in polemica con il resto del governo e rivela di avere votato, da solo, contro il decreto. Conso fiuta il vento ostile e tentenna: incontra Amato, lo prega di soprassedere e ipotizza addirittura di rassegnare le dimissioni nel caso in cui Scalfaro firmasse il suo decreto. Amato vorrebbe tirare diritto, ma a metà pomeriggio viene convocato da Scalfaro: non al Quirinale, ma nella sua residenza privata. Quando vi arriva, insieme a Scalfaro trova i presidenti delle Camere, Spadolini e Napolitano. Questo decreto, gli dicono tutti e tre, non s’ha da fare. Lega Nord e Msi intanto sparano a palle incatenate contro il “governo degli inquisiti” e il Pds non vuole farsi scavalcare. Il Parlamento rischia di infiammarsi e non è affatto scontato che si riescano a trovare i voti necessari per convertire in legge il provvedimento in tempo utile: tanto vale lasciar perdere. In ogni caso Scalfaro fa sapere che non firmerà. Il decreto Amato-Conso nasce morto. Si trova anche un vizio di forma per giustificarne il ritiro senza entrare nel merito: il decreto avrebbe interferito in una materia, il finanziamento pubblico ai partiti, che sarà presto oggetto di referendum e verrà abolito dal 90 per cento dei cittadini italiani. Dunque, è di dubbia costituzionalità. (Marco Travaglio, Ad personam. 1994-2010. Così Destra e Sinistra hanno privatizzato la democrazia, Milano, 2010, Chiare Lettere, pp 19-22).
Goffredo Bettini (il secondo finto “sinistro” da sinistra) all’epoca in cui tifava per il Rutelli.
(su) Goffredo Bettini: L’eroe anticamorra e quel curriculum ignorato dalla politica. Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica ucciso a settembre, nel 2008 era stato segnalato dal Pidì locale per una candidatura alla Camera. Ma a Roma, dicono i suoi amici, nessuno rispose. Alla prima email, non ricevettero risposta. Ne mandarono una seconda a Goffredo Bettini e infine inviarono il curriculum di Vassallo per posta. Ancora nessuna risposta.
(Riccardo Iacona sul Venerdì di Repubblica del 12 novembre 2010).
(su) Roberto Maroni, Nicole Minetti e Silvio Berlusconi: Con riferimento alle dichiarazioni rese dal ministro dell’Interno Maroni ieri 9 novembre al Senato in merito al caso della minorenne in oggetto, essendo stata personalmente coinvolta nella vicende in veste di pubblico ministero della Procura per i minorenni di Milano di turno il 27 e 28 maggio 2010, osservo che esse non corrispondono alla mia diretta esperienza. Poiché il ministro ha tenuto a rimarcare che il corretto comportamento degli agenti è stato confermato anche dalla autorità giudiziaria per voce del procuratore Edmondo Bruti Liberati all’esito di specifica istruttoria, chiedo che la discrepanza con i dati di realtà che sono a mia conoscenza venga chiarita (fax del giudice Anna Maria Fiorillo al Consiglio superiore della Magistratura, La Repubblica, giovedì 11 novembre 2010). Il passaggio in cui il ministro sostiene che io avrei dato il consenso all’affidamento alla Minetti, è stato quello che mi ha fatto sobbalzare. Ho un ricordo ancora vivo di quella notte così agitata, ci sono state sei o sette telefonate... Ma non ricordo di aver mai dato quell’autorizzazione. Che Ruby fosse la nipote di Mubarak non me la sono bevuta, non sono mica scema. E io sono Nefertiti, la regina del Nilo, gli ho detto. Poi, dopo le loro insistenze, ho aggiunto: se è proprio così, che facciano mandare una conferma scritta dall’ambasciata egiziana. Se gli agenti che si occupavano del caso erano sotto pressione? Assolutamente sì. Quella sera ho commesso un solo errore che forse ha cambiato il corso degli eventi. Non ho rassicurato la funzionaria che se ne occupava, la dottoressa Iafrate. Era tutta irrigidita, parlava come se recitasse seguendo un copione. Sembrava combattuta. Avrei dovuto dirle: non ti preoccupare, parlo io con il tuo superiore. Per comprendere meglio che cosa stesse succedendo. E invece con lei ho usato toni forti. Ho pensato: come si permette di essere così testarda? Si assumerà tutte le responsabilità. Non ho fatto un’analisi psicologica e ora me ne pento, perché quella notte lei dev’essere stata molto male. Si capisce che hanno mandato avanti lei. Mi ha insospettito anche l’espressione che hanno usato per riferirsi alla Minetti. Credo che l’abbiano definita consigliera presidenziale, o qualcosa del genere. Al che io ho risposto: scusi, io per un po’ di tempo ho anche insegnato Diritto costituzionale alle superiori, questa carica non l’ho mai sentita prima. Quella notte i posti disponibili in comunità c’erano, e come. Una vera balla. E quanto alla ricostruzione di Maroni, c’è un’altra cosa che non è vera. Ha detto che gli atti di quella notte ci sono stati trasmessi. In realtà sono arrivati con moltissimo ritardo, dopo giorni, e dopo che Ruby s’era picchiata con la brasiliana. (...) Ammiro molto Martin Luther King e Mandela. Diceva Luther King: “Se non io, chi?” E: “Se non adesso, quando?” E poi, come saprete: “Non basta non commettere ingiustizia, ma bisogna opporsi all’ingiustizia”. È una frase che viene citata come se fosse un bigliettino nei cioccolatini, ma se uno ci crede davvero? (Anna Maria Fiorillo, intervista raccolta da Davide Carlucci e Piero Colaprico, La Repubblica, giovedì 11 novembre 2010).
(su) Silvio Berlusconi, Nicole Minetti e Roberto Maroni: Il ministro dell’Interno in Parlamento: 1. “Il funzionario di turno alla centrale operativa accerta che non vi sono posti disponibili nelle comunità della zona”. 2. Nicole Minetti “riferisce di conoscere la ragazza e assicura la propria disponibilità a prendersene cura”. 3. Il verbale di affidamento è redatto “sulla base delle indicazioni del pubblico ministero di turno presso il tribunale dei minorenni”. Di questa “verità” ufficiale già si sono potute apprezzare le contraddizioni. Non è vero che non ci sono posti disponibili nelle “comunità della zona” (ce ne sono in quattro comunità). Non è vero che la Minetti conosca la ragazza (Nicole lo confessa). Non è vero che voglia prendersene cura (una volta ottenuto l’affido, Nicole lascia in strada Ruby in compagnia di una prostituta brasiliana, Michelle, intima del premier al punto da averne il numero di telefono privato). Ora a questo tableau già danneggiato si aggiunge una mossa ufficiale che può comprometterlo definitivamente. Il pubblico ministero dei minori intende rivolgersi al Csm per ripristinare “il rispetto della legalità e delle istituzioni” perché ― dice Anna Maria Fiorillo, il magistrato di turno la notte del 27 maggio ― “le parole del ministro Maroni, che sembrano in accordo con quelle del procuratore Bruti Liberati, non corrispondono a quella che è la mia diretta e personale conoscenza del caso”. Detto in chiaro, il pubblico ministero non autorizza l’affido di Ruby, l’amica minorenne di Berlusconi, all’altra sua amica, Nicole. Al contrario, ordina che la ragazza trascorra la notte in questura nel caso in cui non ci siano a Milano comunità disponibili ad accoglierla.
(Giuseppe D’Avanzo su La Repubblica di giovedì 11 novembre 2010).
In compenso, però, bisogna ammettere che il Lupi ha la faccia intelligente.
Maurizio Lupi (a Eugenio Scalfari): Lei mi etichetta come “immorale” nella difesa del presidente Berlusconi. Evoca Machiavelli, ma io la invito a rileggere quella pagina del vangelo in cui vedendo Gesù che andava a mangiare da Zaccheo, “tutti mormoravano: è andato ad alloggiare da un peccatore!” Lei è come quella folla. (...) Ritengo una grande forma di violenza pretendere la conversione di chi ci sta a fianco. Mi affido alle parole di un carcerato che, dopo l’incontro con il cristianesimo, ha detto: “Credevo di non avere più nessuna possibilità, invece mi è stata data fiducia. Il bene può cambiare anche le persone peggiori”. (La Repubblica, giovedì 11 novembre 2010). Difende il Berlusconi parlandone come di un peccatore, affermando di non giudicarlo e poi invece paragonandolo a un carcerato e alle persone peggiori, che il bene, però, può cambiare. Bella difesa, non c’è che dire. Dev’essersi confuso, il povero Lupi. Così confuso, che non si è nemmeno accorto di aver scritto Vangelo con la v minuscola.
Luca Zaia: Prima i nostri sfollati, poi quei quattro calcinacci di Pompei. (La Repubblica, giovedì 11 novembre 2010).
Gentiloni, Veltroni e Fioroni, i tre .....oni, dal più testolino al più testolone.
(su) Il ritorno dei .....oni, ovvero: su Walter Veltroni, Giuseppe “Beppe” Fioroni e Paolo Gentiloni: C’è per Bersani la spina nel fianco dei Modem, il movimento di Veltroni, Fioroni e Gentiloni, che annunciano un nuovo Lingotto (il 15 gennaio, invitati Renzi, Chiamparino e Bersani). Veltroni va all’attacco: “L’anomalia di questa situazione è che la maggioranza è in crisi, ma non esiste ancora un’alternativa credibile. Il Pidì deve riprendere il cammino originario, senza vocazione maggioritaria non ha identità”. E non risparmia critiche, anche se, dice, sono “per sostenere il partito”: “Dobbiamo fare un partito dove si possa parlare senza aspettare quello che dice il capocorrente”, e sottolinea la “scissione silenziosa” che c’è stata tra gli elettori e il Pidì. (La Repubblica, mercoledì 10 novembre 2010). Su una cosa hanno ragione, ’sti tre: un partito nel quale individui come loro riescono a portarsi dietro 75 deputati non è ancora un’alternativa credibile. Quanto ai capicorrente che non ti lasciano parlare, be’, è verissimo, il Pidì ne è pieno a tutti i livelli. Ma da che pulpito viene la predica! Da uno (il Veltroni) che si presentò (proprio al Lingotto) come una reincarnazione (solo più santa) di John Kennedy a uno (Pierluigi Bersani) che ha appena dichiarato che mai e poi mai troveremo il suo nome sul simbolo del Pidì, nella scheda elettorale.
Nicola “Nichi” Vendola secondo il sito de Il Sole 24 ore di mercoledì 27 ottobre 2010.
(su) Nicola “Nichi” Vendola: Come mettere al suo posto un aspirante “mosca cocchiera”. A proposito di Vendola che chiede al Pidì di fare della manifestazione dell’11 dicembre un appuntamento comune, Bersani risponde: “I nostri amici ci danno sempre un sacco di buoni consigli. Ma le decisioni le prendiamo noi”. In pratica, sì a una manifestazione aperta a tutti, ma la organizza il Pidì con una sua piattaforma. Vendola, all’annuncio della manifestazione fatto da Bersani, aveva subito bizzosamente detto “Io non ci vengo!” La cosa, come le sue politiche sanitarie in Puglia in favore di don Verzè, l’amicone del premier del “bunga bunga”, era subito piaciuta ai siti berlusconiani. Poi, evidenziatasi probabilmente una freddezza nella sua stessa base, Vendola (manifestando una davvero particolare percezione della propria realtà: non ha neanche un seggio in Parlamento!) aveva arrogantemente lanciato la propria “offerta” di una manifestazione che non avrebbe dovuto più essere del Pidì, che l’aveva lanciata, ma di una fantomatica “Sinistra delle Alternative” (notare il plurale!). Anche questa uscita, ieri, era stata sùbito rilanciata, con favore evidente, dai siti berlusconiani e in particolare da TgCom, diretto da Liguri, ex sessantottino e fedelissimo (e patetico) maggiordomo di Berlusconi. (Da Segnalazioni di mercoledì 10 novembre 2010).
Per la serie Successori del grande mago Houdini: Angelo Bagnasco con un solo gesto tramuta un crimine gravissimo in una scorrettezza.
Angelo Bagnasco (sulla pedofilia nella Chiesa cattolica): Non sempre siamo stati pronti a identificare la gravità di certe azioni, compiendo peccati di omissione. Traduzione: non siamo favoreggiatori della pedofilia, cioè criminali paragonabili ai pedofili stessi: siamo stati solo un po’ disattenti. Le pulsioni interiori vanno regolate. E occorre saperlo fare, se non si vuol finire deragliati da sé stessi. Traduzione: Abbiamo tutti certe pulsioni, solo che qualcuno non riesce a controllarsi, poverino. (La Repubblica, martedì 9 novembre 2010). Parla per te, Angelo.
Come mettere in dubbio la coerenza e la sincerità di Maurizio Sacconi? Ha proprio l’aria di un orientato alla procreazione...
Maurizio Sacconi: Le politiche pubbliche che si realizzano con benefici fiscali sono tarate sulla famiglia naturale fondata sul matrimonio e orientata alla procreazione. (La Repubblica, martedì 9 novembre 2010).
Oddio, forse bastano certe facce (e certe teste) a spiegare il dimezzamento dei matrimoni in Italia...
(su) Carlo Giovanardi, Maurizio Sacconi e Mara Carfagna: Le tredici cartelle del discorso di Giovanardi raccontano una storia di cui poi sparirà la traccia: in 35 anni, in Italia, i matrimoni si sono dimezzati; le seconde nozze sono quasi la norma; le separazioni e i divorzi in continua crescita; ci sono sempre più single e sempre più coppie che decidono di stare insieme senza passare dal prete o dall’ufficiale di stato civile. Ma c’è qualcosa che si può fare, per fermare questa deriva: ad esempio, evitare che “la rottura della diga costituita dalla legge 40” (quella sulla fecondazione assistita) apra la porta “a scenari da Far West”. Si stizzisce, il sottosegretario, quando gli chiedono se non sia imbarazzato dai comportamenti del capo del governo: “Di fronte ai moralismi mi scappa di ridere”. E il ministro Sacconi sarà ancora più deciso: “Imbarazzato? Assolutamente no. Ma perché?” E Mara Carfagna, ministro delle Pari opportunità: “Mi dispiace molto che il premier non sia intervenuto e soprattutto che qualcuno gli abbia chiesto di non farlo. Avrebbe potuto raccontare quello che il governo ha fatto per le famiglie”.
(La Repubblica, martedì 9 novembre 2010).
Andrea Tomat (presidente della Confindustria del Veneto, a proposito delle alluvioni che hanno colpito la regione): Tratteniamo parte dell’Irpef per finanziare la ricostruzione. (La Repubblica, martedì 9 novembre 2010). Sbagliavamo, dunque, pensando che non la pagassero da un pezzo. Ne prendiamo atto. E loro, visto che son Padani, prendano per favore atto che nel resto d’Italia, per dirla alla romana, non c’è più trippa per gatti.
(su) Gianfranco Fini e i cosiddetti Finiani: Gianfranco Fini scioglie gli ultimi ormeggi, scandisce quel che la platea si aspetta e un pezzo d’Italia vuol sentire: “Berlusconi dimostri di avere coraggio politico, dimostri che ha a cuore il Paese, dia un colpo d’ala, prenda la decisione di rassegnare le dimissioni, salga al Colle, dichiari che la crisi è aperta di fatto”. Boato di settemila voci. La platea dei futuristi urla all’unisono: “Dimissioni! Dimissioni!” Rito liberatorio, frenesia demolitrice. Il Re è nudo, la rivoluzione avviata. Prima del discorso di Fini sono Andrea Ronchi, ministro (in lacrime), Adolfo Urso, Antonio Bonfiglio e Roberto Menia, sottosegretari del governo, a certificare la svolta. Salgono sul podio e rimettono il loro mandato nelle mani del leader, benedetti da una standing ovation. (La Repubblica, lunedì 8 novembre 2010). Se il Berlusconi è capace di portare a una tale insofferenza nei suoi confronti individui così modesti, quale microscopio sarà tanto potente da mostrarci le fattezze di chi riesce ancora a stargli vicino?
(su) Giulio Tremonti: Ci vuole una svolta soprattutto in politica economica. Non è Berlusconi che si deve dimettere. Piuttosto dovrebbe farlo Tremonti. Di fronte a un’economia che arranca, noi abbiamo tagliato in modo indiscriminato. Quando si taglia si deve tener conto delle conseguenze, come dimostra Pompei. Per il mio ministero, che non è mio ma di tutti gli agricoltori onesti d’Italia, mi sono limitato a chiedere quest’anno 400 milioni. Non ho visto un soldo. Sa quanto aveva stanziato lo scorso anno Tremonti per il mio predecessore, il leghista Luca Zaia? Un miliardo e duecento milioni per tre annualità. E quando viene in Veneto, Tremonti è accompagnato solo e soltanto da esponenti della Lega Nord. Insieme ai tagli negli altri Paesi hanno promosso gli investimenti. Qui da noi abbiamo visto solo i tagli. Con Tremonti non c’è modo di discutere: si comporta come se fosse un ministro più ministro degli altri. (Giancarlo Galan, La Repubblica, lunedì 8 novembre 2010).
Nicola “Nichi” Vendola: La piazza del Pidì dell’11 dicembre? Noi abbiamo aderito a quella del 27 novembre della Cgil. (La Repubblica, lunedì 8 novembre 2010). Un grande federatore della Sinistra, Nicola Vendola: con solo 17 parole ha contrapposto Sinistra Ecologia e Libertà al Partito democratico, il Partito democratico alla Cgil e la Cgil alla Fiom. Per la serie Disuniti si vince.
(su) Sergio Marchionne: Ho letto questa dichiarazione di Marchionne, e forse le congratulazioni che dice di avermi inviato le ha mandate a Detroit e ha sbagliato indirizzo, perché noi non ne abbiamo trovato traccia. (Susanna Camusso, nuovo segretario della Cgil, La Repubblica, lunedì 8 novembre 2010). Un vero gentiluomo.
Sinite parvulos venire ad me...
(su) i “Difensori della vita”: Fiamme e fumo, terrore al Bambin Gesù. Roma, incendio nell’ospedale dei piccoli: cinquanta intossicati. Neonato rianimato bocca a bocca. La rabbia dei medici: “Qui è tutto fuori norma”. I testimoni: “Il fumo usciva da tutte le parti, perfino dalle prese elettriche”. “Niente allarme e vie di fuga bloccate”: i genitori costretti a rompere i vetri a pugni. “Non è scattato l’allarme antincendio”: la Polverini chiude il Pronto soccorso. La denuncia dei medici dell’ospedale: “Reparto a rischio. Più volte abbiamo segnalato le carenze strutturali.” “I padiglioni sono in condizioni disastrose”, dice un cardiologo, “mancano persino molte scale d’emergenza”.
(Titoli delle edizioni nazionale e romana de La Repubblica di sabato 6 novembre 2010).
Per la serie Gli riesce meglio Mussolini o Pinochet?: Silvio Berlusconi.
(su) Silvio Berlusconi: Dai primissimi incontri con Berlusconi la mia personale diagnosi è che con un bugiardo non può esserci dialogo. Chi mente, e sa di mentire, spezza il confronto con gli altri. Il premier ha doti comunicative di prim’ordine, ma ribalta la realtà, nega anche di aver detto quel che ha appena finito di asserire. Molti sono rapiti da questa capacità di capovolgimento della realtà. Invece non se ne può cavare niente. (Oscar Luigi Scalfaro, membro della Costituente ed ex presidente della Repubblica, su La Repubblica di sabato 6 novembre 2010).
|
|
Nella foto a sinistra (da La Repubblica di sabato 20 novembre 2010) il Berlusconi, al vertice della Nato in Portogallo, con le sue smancerie sembra suscitare l’ilarità del Sarkozy e di un altro leader europeo. Nella foto a destra (da La Repubblica di martedì 23 novembre 2010) il Berlusconi, sempre al vertice della Nato, sembra vendicarsi dando del matto al Sarkozy, che poco prima aveva suscitato il disappunto del rumeno Basescu troncando bruscamente la conversazione con lui. Ma il Berlusconi, che come tutti i destri è uso portarsi con disinvoltura il dito indice alla tempia a proposito di quelli che non capisce, pochi giorni prima aveva a sua volta ricevuto una (non richiesta) diagnosi psichiatrica dal professor Luigi Cancrini. Diagnosi che riportiamo qui sotto.
(su) Silvio Berlusconi: Proporre una diagnosi psichiatrica a proposito di una persona che non si conosce direttamente è possibile? È lecito? Belpietro e i suoi amici di Panorama hanno reagito con durezza alle cose che avevo scritto facendolo. Quella che vorrei presentare loro, molto semplicemente, è la lista dei criteri indicati dal DSM IV, il più importante e riconosciuto dei manuali psichiatrici per la diagnosi di “disturbo narcisistico di personalità” (NPD). Chiedendo loro se, dopo averli letti (meditati), non sono d’accordo anche loro con me nel porre questo tipo di diagnosi per un uomo come il nostro premier. I criteri, dunque, sono nove. 1. Ha un senso grandioso d’importanza (per esempio esagera risultati e talenti, si aspetta di essere notato come superiore anche senza un’adeguata motivazione); 2. È assorbito da fantasie di illimitati successi, potere, fascino, bellezza, e di amore ideale; 3. Crede di essere “speciale” e unico; 4. Richiede eccessiva ammirazione; 5. Ha la sensazione che tutto gli sia dovuto: cioè la irragionevole aspettativa di trattamenti di favore o di soddisfazione immediata delle proprie aspettative; 6. Sfruttamento interpersonale: cioè si approfitta degli altri per i propri scopi; 7. Manca di empatia: è incapace di riconoscere o di identificarsi con i sentimenti e le necessità degli altri; 8. È spesso invidioso degli altri, o crede che gli altri lo invidino; 9. Mostra comportamenti e atteggiamenti arroganti o presuntuosi. Nel caso, poi, in cui loro non siano d’accordo con me, potrebbero spiegarmene il perché? Evitando, se possibile, gli insulti? Le esperienze infantili che preparano l’hardware del disturbo narcisistico sono collegate regolarmente ad un clima familiare in cui il bambino ha ricevuto una adorazione e un amore disinteressati ma fuori misura in quanto non accompagnati da una sufficiente empatia e da una genuina presentazione dei fatti. Il futuro narcisista non è informato circa i sentimenti e i bisogni distinti dei propri genitori. La lezione è che i genitori vogliono solo apparentemente bearsi dello splendore del soggetto: una lezione che interferisce con il processo di apprendimento del soggetto circa il fatto che gli altri hanno bisogni, punti di vista e desideri loro propri. Il modo in cui questa predisposizione si sviluppa nell’età adulta intorno al “successo” viene bene illustrata, d’altra parte, da una delle studiose più importanti dei disturbi di personalità, Lorna Smith Benjamin: la psicoanalisi sostiene che lo sviluppo del carattere viene fissato in tenera età, in genere nella prima infanzia, ma Sullivan già nel 1953 osservò che le prime esperienze interpersonali non sono le uniche a formare il carattere. L’aspetto programmabile (il “software”) dell’NPD si può acquistare anche più avanti. Le persone ricche e famose sono particolarmente soggette a sviluppare l’NPD da adulte. Quanti ricevono gratificazioni per il successo raggiunto nell’ambito professionale cominciano a pronunciarsi su questioni ben lontane dalla loro sfera particolare! Stelle del cinema e imprenditori di successo si sentono improvvisamente adatti a concorrere per cariche politiche, che dovrebbero, invece, richiedere particolari capacità nell’unire, mobilitare e adempiere le volontà di persone molto diverse fra loro. Le capacità organizzative richieste per il buon governo sembrano non aver nulla a che fare con l’abilità di recitare o di guidare un’impresa. Si badi, tuttavia. Non sono episodi sporadici di successo (e di consenso entusiasta) a far nascere il disturbo, ma è il loro ripetersi. La gente comune può offrire e offrirà adorazione incondizionata, come pure affetto deferente, ai ricchi e famosi. Se si verificano le condizioni adatte, non è mai troppo tardi per sviluppare l’NPD. Una delle domande più comuni è quella che riguarda il modo in cui le persone che hanno un disturbo di questo tipo ottengono l’ammirazione incondizionata di tante persone. (...) Kemberg (1984) parla di come i narcisisti tendono a essere promiscui in quanto entrano in relazione solo con delle parti del corpo. I problemi sessuali del maschio con NPD possono essere attribuiti, secondo lui, a un’invidia inconscia e a una smania di possesso per le donne. Questo genere di maschio desidera sciupare e svalutare le donne. L’autonomia, che così spesso lo caratterizza, non è altro che una difesa. Rappresenta una via d’uscita dalla proiezione della propria smania di possesso nei confronti delle donne. Il narcisista di successo reagisce alle contrarietà con la collera, con la denigrazione dell’altro o con la teoria del complotto. Entra davvero in crisi solo quando quello che accade è irreparabile, come nel caso della morte di una persona cara, della perdita di un legame importante o dell’incontro, inevitabile, con la vecchiaia del corpo. Il movimento depressivo può debordare, in questi casi, dando luogo a un’esasperazione caricaturale dei suoi comportamenti meno riusciti. Il disprezzo per gli altri (le altre), l’aggressività e la rabbia vengono allora in primo piano insieme a un bisogno maniacale di rifugiarsi nel proprio mondo personale: un mondo in cui trovano posto solo i complici e gli adulatori, quelli che hanno bisogno di lui e che più o meno autenticamente lo ammirano. Quando le vicende della vita lo portano a una terapia, invece, quello che si può tentare di fare è aiutarlo a diventare consapevole della sua potenza distruttiva. La nuova consapevolezza di nutrire sentimenti ostili darà luogo a sensi di colpa e a una depressione costruttiva. Via via che la terapia continua, verrà poi fuori una matura considerazione degli altri e dei loro sentimenti. (...) I guasti che un leader patologico può produrre nella struttura o nelle strutture di cui ha il comando o la responsabilità consistono essenzialmente nell’aumento della conflittualità all’interno di tali strutture, nella diminuzione brutale della loro efficienza e nel peggioramento forte della qualità della vita delle persone che in esse operano. Si tratta di conseguenze ampiamente descritte nella letteratura specialistica. Nelle organizzazioni in cui il potere è distribuito fra diverse persone o gruppi, quello a cui si va incontro in questi casi è una mobilitazione delle parti sane del gruppo che spinge per la deposizione e la sostituzione del leader. L’unificazione nelle sue mani di tutti i poteri può diventare in questa fase l’obiettivo primario del leader patologico.
(Luigi Cancrini, psichiatra e psicoterapeuta, su L’Unità di sabato 6 novembre 2010).
Giuseppe “Beppe” Fioroni (sulla proposta di Pierluigi Bersani di una grande manifestazione contro il governo): Legittimo l’appello alla piazza; la situazione è tale che c’è davvero motivo di protestare. Però dobbiamo essere consapevoli che non è con le spallate che si dà inizio a un nuovo corso. Se la spallata poi non riesce, ci si è solo slogati la spalla. (La Repubblica, sabato 6 novembre 2010). E “Beppe”, come al solito, comincia a slogargliela fin da sùbito.
(su) Matteo Renzi: I negozi a Firenze sono aperti 363 giorni all’anno. Si è già riattizzata la discussione sul proposito di ripetere l’obbligo di lavorare il 1° maggio, com’è successo malauguratamente quest’anno. Il sabato non è fatto per l’uomo e la donna, e nemmeno il 1° maggio, ma uomini e donne e bambini per un perenne orario di apertura. Fu un peccato che il bravo sindaco di Firenze assecondasse questa inversione, la descrivesse come un mettersi al passo coi tempi. È un peccato che l’abbia appena ribadito, replicando alla raccomandazione di Epifani e del presidente della Regione, di fare la festa del lavoro e non la festa al lavoro. Si dice già che si voglia tenere aperto a Santo Stefano e perfino a Natale. I sindacati toscani dei commessi (tutti, qui c’è unità) hanno consegnato alla regione 50.000 firme contro la deroga agli accordi (e alle leggi) sui giorni festivi. (Adriano Sofri su La Repubblica di sabato 6 novembre 2010). Sai che gliene importa al Renzi di 50.000 commessi e dei loro familiari. Lui, tra sé e sé, li ha belli che rottamati da un pezzo. E pensa piuttosto, come ogni finto “sinistro” che si rispetti, a proteggere i familiari dei commercianti dal dover “godere” per troppo tempo della compagnia dei loro amati capi famiglia.
Matteo Renzi: Bisogna uscire dalla barzelletta berlusconian-tremontiana, ma si deve evitare il delirio padoaschioppano. Come si fa a dire che è bello pagare le tasse? (L’Unità, sabato 6 novembre 2010). La Repubblica, citando il Renzi, ha omesso l’ultima frase in modo che il lettore possa supporre che il Renzi sia di sinistra e ce l’abbia col Padoa Schioppa, per esempio, perché minacciò di fare alla Scuola quel che poi ha fatto il Tremonti. Invece il Renzi ce l’ha col Padoa Schioppa, guarda caso, per l’unica cosa di sinistra che disse. Domanda: perché La Repubblica vuole nasconderci che il Renzi è un finto “sinistro”? Forse perché La Repubblica ama chiunque metta i bastoni fra le ruote all’attuale segretario?
(su) il glorioso Pidì siciliano, che dai tempi di Pio La Torre ne ha fatta di strada: Ignazio Marino scrive a Bersani, Enzo Bianco è pronto ad autosospendersi, Claudio Fava chiede al segretario di “staccare la spina”. Solo il gruppo dei parlamentari regionali e il segretario siciliano Lupo continuano a far quadrato attorno a Raffaele Lombardo e al suo governo “tecnico” che il Pidì sostiene con un’alleanza inedita che adesso scricchiola sotto il peso dell’inchiesta giudiziaria che vede il governatore della Sicilia indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.
(La Repubblica, sabato 6 novembre 2010).
Roberto Formigoni: Silvio Berlusconi ha deciso di non partecipare al Forum sulla famiglia? Mi dispiace, ma apprezzo la decisione. (La Repubblica, sabato 6 novembre 2010). Battuta rubata a Ettore Petrolini.
Brunetta secondo Left.
(su) Renato Brunetta: Tirchio. Con gli statali e con le escort. Renato Brunetta, ministro della Funzione pubblica, avrebbe pagato solo 300 euro l’emiliana Nadia Macrì, mentre Silvio Berlusconi ne avrebbe elargiti cinquemila. Il moralizzatore dei dipendenti pubblici conferma di conoscere l’ex cubista ma “a causa di un problema giudiziario per l’affidamento del figlio”. Mosso a compassione, avrebbe dunque deciso di metterla in contatto con l’avvocato Carlo Taormina, che però, da bravo avvocato del diavolo, ha pensato bene di disinteressarsene. Brunetta, invece, un cuore ce l’ha, lo stesso che batteva per Bettino Craxi negli anni Ottanta, quando lo aiutava come consigliere economico, e in seguito per Forza Italia, per la quale si è candidato due volte, perdendo, a sindaco di Venezia. Mentre offre il suo cuore, però, il ministro succhia il sangue agli Italiani, come denuncia l’Avis: con le norme “anti fannulloni” Brunetta equipara il prelievo dei donatori all’assenteismo. Meglio escort che altruista. (Left, venerdì 5 novembre 2010).
(su) la premiata ditta Bertone - Ratzinger: Nuova indagine giudiziaria su un conto corrente “sospetto” aperto all’Istituto per le opere di religione (Ior) da un monsignore in servizio in diversi dicasteri della Santa Sede. La notizia è filtrata ieri mattina (paradossalmente) a margine del summit su finanza internazionale, crisi economica e nuove regole bancarie tenuto a porte chiuse Oltretevere tra il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi e i superiori generali delle congregazioni religiose, titolari di conti correnti presso la stessa banca vaticana. È la terza inchiesta sullo Ior avviata dalla magistratura italiana nelle ultime settimane. La prima, resa nota il 21 settembre, quando la procura di Roma sequestrò 23 milioni di euro depositati dallo Ior presso una banca romana, senza il presunto rispetto delle norme antiriciclaggio previste dalla Banca d’Italia, accompagnando il provvedimento con un avviso di garanzia al presidente Gotti Tedeschi e al direttore generale Paolo Cipriani. Proprio ieri si è appreso che sta per essere presentato il ricorso in Cassazione contro il mancato dissequestro dei 23 milioni. La seconda inchiesta, il 26 ottobre, su iniziativa della procura di Catania titolare di un’indagine, sempre per riciclaggio, a carico di un prete incardinato a Roma e titolare di un conto Ior, don Orazio Bonaccorsi, nipote di un ex boss condannato per mafia e ora finito sotto inchiestaper truffa e intestazione fittizia di beni. Questa volta, a finire nelle maglie della procura di Roma (dove si apprende che “non sono pochi” i conti correnti della banca vaticana su cui si stanno concentrando le attenzioni degli inquirenti) è un monsignore di origini meridionali, da anni membro di commissioni giudiziarie di tre Congregazioni (Dottrina della fede, Culto divino e disciplina dei sacramenti, Clero) e presso il tribunale della Rota Romana. Dunque un prelato giurista col pallino degli affari, che avrebbe movimentato sul suo conto corrente acceso presso lo Ior, attraverso altre banche e con operazioni di sportello, ingenti somme di denaro su cui gli inquirenti stanno indagando alla luce delle norme antiriciclaggio in vigore nel sistema bancario italiano dal 2003.
(La Repubblica, giovedì 4 novembre 2010).
Dalla pistola del 1977 ai 400 uomini del 2010. Ma la faccia è sempre quella che già allora lo descriveva (a chi aveva occhi per vedere).
(su) Silvio Berlusconi: Dopo il caso Ruby, il Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti (Copasir) convoca il presidente del Consiglio per avere chiarimenti sul ruolo dell’Aisi (l’intelligence civile), dal quale dipende la sua sicurezza. E per conoscere quali siano i compiti che Berlusconi ha affidato al suo caposcorta, quello che, transitato dalla security Standa nelle file degli 007, ha telefonato alla Questura di Milano la notte del fermo di Ruby. Nelle prossime sedute del Copasir saranno anche convocati il capo dell’Aisi, generale Giorgio Piccirillo, il capo del Dis, Gianni De Gennaro, e il ministro degli Interni Maroni. A loro sarà chiesto se corrisponde al vero che la scorta di Berlusconi è di circa 400 addetti (compresi quelli che proteggono il perimetro di villa Certosa, 80 ettari, e le altre residenze private del Cavaliere). Se sia vero che i 50 che seguono il premier si muovono su costosi Suv stranieri. Che possono scegliere qualunque arma fuori ordinanza. Che non rispondono a nessuno, nemmeno ai vertici dei servizi segreti, né tanto meno ai questori. Alcuni componenti del Copasir chiederanno inoltre quanto costi questo enorme apparato, un vero e proprio esercito privato che opera nella più totale segretezza a spese del contribuente. (La Repubblica, giovedì 4 novembre 2010).
Gian Marco Mazzi (direttore artistico del festival di Sanremo): Puntiamo sulle scelte artistiche, all’interno delle proposte sarà bello cantare anche Giovinezza, inno alla vita della goliardia toscana.
(La Repubblica, giovedì 4 novembre 2010).
(su) Nicola “Nichi” Vendola: Nella riunione con Bossi, il figlio Renzo e Calderoli, il premier ha serrato le file. Chiamato gli alleati a prepararsi per il “dopo”. Nella convinzione che a Perugia Fini alzerà il tiro, cercherà il colpo di teatro. Nel frattempo, sotto palazzo Grazioli, qualche centinaio di persone protestavano per la battuta contro i gay. Come Vendola che, ammettono da via dell’Umiltà, nei sondaggi ha “una presa enorme sul nostro elettorato”. Forse ha ragione il solito Paolo Guzzanti: “Ma quale gaffe, è un preciso messaggio elettorale: meglio puttaniere che frocio”. (L’Unità, mercoledì 3 novembre 2010).
Matteo Renzi, ex ciellìno e, secondo alcuni, portato in palma di mano dal Verdini, aggiunge ora ai suoi fan il settimanale berluscìsta Chi.
(su) Matteo Renzi: Nessun format prestabilito, work in progress, promette il sindaco del capoluogo toscano Matteo Renzi, che ormai è diventato una star contesa da tv, radio e settimanali. In un’intervista a Chi, per esempio, dice che “Adesso basta con gli stessi volti da vent’anni. Cambiamo facce, idee, proposte. Non si può fare politica tutta la vita. Bindi e D’Alema, andate a casa”. Non solo loro, è chiaro, per il sindaco di Firenze a casa ci devono andare in tanti, compresi Veltroni e Fini. Berlusconi anche, ovvio. Un leit motiv che sta dando grandi risultati mediatici: oggi sarà ospite della trasmissione di Radio2, Supermax, condotta da Max Giusti e Francesca Zanni, poi alle 23.55 si sposta su La7 da Victor Victoria, dove improvviserà una coreografia. (L’Unità, mercoledì 3 novembre 2010). Matteo Renzi, il leader dei “rottamatori” del Pd, nonché sindaco di Firenze, si è guadagnato un superservizio sul settimanale Chi, house organ della famiglia Berlusconi. Toni agiografici del cronista, primi piani con scorci di Firenze by night. “Renzi cercherà di mandare a casa Bersani e Veltroni, di pensionare D’Alema, Bindi e Marini e di piazzare una precaria al posto della veterana Finocchiaro”. Insomma, un gigante della trasgressione perché “lui se ne infischia delle ripicche di partito e tira dritto come un treno”. Anche una notazione ammirata per le sue condizioni di salute: “Ci vuole un fisico bestiale per fare il primo cittadino e pure il capo dei rottamatori del Pd”. La frase più forte: “Sono cresciuto con Kennedy e Mandela nel cuore, io”. (Alessandra Longo su La Repubblica di mercoledì 3 novembre 2010). Il berluscìsta Chi, che secondo alcuni sarebbe un pilastro della trentennale strategia del fango del berluscìsta-capo, è molto ospitale con Nicola Vendola e con gli “innovatori” e “rottamatori” come il Renzi. Che spuntano come funghi, guarda caso, proprio ora che Pierluigi Bersani sta tentando un certo qual rinnovamento del Pidì.
(su) Mariastella Gelmini: Arrivano tagli che sono colpi d’accetta e servono a celebrare nuove amputazioni nella scuola italiana. Con un passaggio della manovra finanziaria fin qui rimasto nascosto, il ministro Mariastella Gelmini, sotto la scorta del suo tutore Giulio Tremonti, ha decretato la fine dell’istituto della borsa di studio.
(La Repubblica, martedì 2 novembre 2010).
Roberto Calderoli, già fan del massacratore serbo Milosevic, e Osvaldo Napoli, fan del fan.
Roberto Calderoli e Osvaldo Napoli: Profittando delle vicende personali di Berlusconi è in atto un colpo di Stato dei fighetta, di quelli che frignano e non hanno i voti. Se c’è colpo di Stato, la rivolta del popolo è legittima (Roberto). Nella sostanza è difficile dissentire da Calderoli (Osvaldo). (La Repubblica, martedì 2 novembre 2010).
*
|
*