Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca
Anticoli che non sparisce...
I Bambini, le Donne, gli Uomini di Anticoli Corrado e il loro Paese - Libri, Quotidiani e Riviste
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Il Roma della domenica - Napoli, 28 agosto 1932
Indice
Decenti e Indecenti nella Valle dell’Aniene,
di Tito Berti (1882)
supplemento de Il Roma di Napoli,
28 agosto 1932
rivista del T.C.I.,
Touring Club Italiano
1936
Oggi,
settembre 1955
rivista del T.C.I.,
Touring Club Italiano
1956
Anticoli Corrado nella Storia e nelle Tradizioni,
di Enzo Cervellino (1960)
Anticoli Corrado non è in pericolo
quotidiano o rivista sconosciuti
anni ’60 (?)
Vita,
settimanale di notizie,
del 9 maggio 1963
17 novembre 1996
supplemento settimanale
del quotidiano La Repubblica,
2005
18 dicembre 2006
Il paese dove le contadine posavano per Picasso e Rodin,
Il Venerdì di Repubblica, 16 novembre 2007
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supplemento letterario illustrato de Il Roma, quotidiano di Napoli Napoli - 28 agosto 1932 (X) - prima pagina |
Anticoli Corrado, paese di artisti
(Testo
di Arturo Lancellotti – Fotografia di Rispoli)
A cinquanta chilometri da Roma esiste un piccolo paese arrampicato sopra un monte, da cui si abbraccia tutta la Valle dell’Aniene, e che pochi conoscono. È Anticoli Corrado, la sospirata meta degli artisti. Perché questo paese, che come paese propriamente detto si riduce a zero, tanto è primitivo e selvaggio, attira da decenni pittori d’ogni nazionalità? Appunto per la sua quiete che invita al lavoro, per l’amabilità degli abitanti, ormai familiarizzati con gli artisti, per la bellezza del panorama e delle donne le quali posano volentieri da modelle e più volentieri – oneste come sono – finiscono col farsi sposare. Anticoli Corrado non ha strade, ma sentieri pietrosi ed è fatto interamente a scale. Come Venezia, esso è, quindi, chiuso al transito dei veicoli e perfino delle biciclette. Tutti i mezzi rotabili si arrestano sulla Piazza che n’è come la porta di ingresso. E nei vicoli, essi pure tenebrosi e stretti come quelli di Venezia, c’è ad ogni ora un senso grande di pace, appena interrotta dal chiacchierio delle donne che filano sulle porte delle case, e dal pigolio dei polli. Questi ultimi sono i padroni delle strade. Vi corrono tra i piedi dappertutto, razzolando da mattina a sera sotto i teneri sguardi delle proprietarie. Ma nel tardo pomeriggio, quando il sole ha ceduto all’ombra refrigerante, eccoli passare in seconda linea, sopraffatti dai maiali che imprendono la loro passeggiata, senza curarsi di nessuno.
Ma ho detto le ragioni per cui, ciò nonostante, Anticoli Corrado sia l’ambita meta degli artisti. In parte ve li attirano le donne. Prendiamo per esempio la famiglia Toppi, una famiglia molto numerosa di modelli. Modelli, cioè gente bella, uomini e donne. Ebbene, queste ultime hanno fatto tutte quante ottimi matrimoni. Una ha sposato l’attuale Accademico d’Italia, Attilio Selva, un’altra sposò il pittore Pietro Gaudenzi, che ne pianse amaramente l’immatura fine e, per dare poi una nuova mamma ai suoi bimbi, non trovò di meglio che unirsi in seconde nozze con una sorella di lei; un’altra è moglie felice di uno scultore svizzero ed altre due hanno fatto a loro volta ottimi matrimoni. Nei mesi estivi esse convengono tutte ad Anticoli Corrado, coi loro mariti, coi loro figliuoli, e finiscono da sole col popolarlo. Quanto ai fratelli, uno, Mario, è diventato un pittore gustosissimo, e l’altro, Carlo, uno scultore pieno di delicatezze. Entrambi portano nell’opera loro quella ingenua grazia che fece dei Primitivi i nostri artisti più nobili e amati. Ma il loro è un primitivismo sentito, non artefatto, e perciò dice qualche cosa al nostro spirito.
Altri artisti sono ora ad Anticoli Corrado: dall’americano Maurice Sterne, pittore e scultore di viva originalità (sic) che ha sentito il bisogno, dopo tre anni di assenza, di affrontare il viaggio da New York unicamente per ritrovarsi un poco nella quiete del suo studio anticolano, ad Alberto Carosi che qui, per distinguerlo dal fratello Giuseppe, chiamano Picchietto, considerandolo come una specie di cucciolo, nonostante abbia oggi gli anni che ha, allo scultore Assanti, che vi si è addirittura stabilito, ad Orazio Amato, che v’è nato, ed a tanti altri i cui nomi mi sfuggono.
In automobile da Roma si arriva in poco più di un’ora ad Anticoli Corrado, e l’altro giorno ho voluto farvi una corsa per prendere un piccolo bagno d’arte. Pietro Gaudenzi come prima tappa ha voluto condurmi a visitare la Galleria Internazionale d’Arte Moderna. Dopo quello che vi ho detto crederete che io scherzi. Niente affatto. Gaudenzi ha avuto la buona idea di farsi regalare, con sistema degno degli Uffizii dove gli autoritratti si donano non si vendono, una pittura o una scultura da ciascuno degli artisti che passa qualche tempo in paese. Se questa idea fosse venuta, a lui o aun altro, una trentina di anni fa, oggi avremmo probabilmente ad Anticoli una delle più importanti Gallerie d’Arte Moderna. Tanti e così grandi sono gli artisti che vi hanno lavorato, Da Mancini a Mastrovic. Invece, per ora, si tratta di una sola saletta. Ma è già piena, e si sta allestendo un altro ambiente per i nuovi venuti, e col tempo chi vivrà potrà vedere cose che a pensarle oggi sembrerebbero sogni.
Sulla bella terrazza di Casa Gaudenzi, che domina la valle e s’allieta del magnifico scenario dei monti d’Abruzzo, con Alberto Carosi, la signora Selva (lo scultore Attilio è ad arrostire a Roma, ove sta terminando il monumento ad Oberdan, che dovrà inaugurarsi a fine d’anno a Trieste) ed altri, si raccontano episodi di vita artistica. Gaudenzi comincia a rievocare la bellissima figura di Padre Semeria, suo grande amico. Gli voleva bene, ed a Milano, ove egli risiede, andava a casa sua come a casa propria, dando convegno a dozzine di persone nello Studio, sbrigandovi la corrispondenza, portandovi, insomma, l’esuberanza del proprio temperamento che fu pari a quello di un artista.
Gaudenzi era ed è molto amico di un ricco industriale da cui faceva avere spesso sensibili aiuti all’Opera per gli Orfani di Guerra da Semeria fondata con Don Minozzi. È noto quanto stesse a cuore al buon Padre Semeria quest’Opera alla quale dedicò tutto sé stesso, fino a sottoscriversi sempre orfanorum servus. Una volta Padre Semeria presentò a Gaudenzi un’interminabile lista di commestibili ed indumenti desiderati per i suoi orfani, con la preghiera di presentarla a sua volta all’amico ricco. Ma l’amico ricco, pochi giorni prima, aveva elargito qualche cosa come 30.000 lire alla stessa istituzione. Era mai possibile tornare all’assalto così presto? Ma con Padre Semeria, quando si trattava dei suoi orfanelli, c’era poco da nicchiare, e Gaudenzi finì col dividere in due parti la lista, proponendosi di chiedere la metà.
“Ma no – irrompeva Padre Semeria – ci occorre tutto!”
E Gaudenzi a rassicurarlo che avrebbe proceduto per gradi: prima un pezzo, poi l’altro.
Difatti, come furono entrambi a pranzo dal ricco industriale, al momento buono, Gaudenzi caccia mezza lista e la passa alla signora, perorandola. Assicuratosi un sì, poco più tardi, a tavola, presente Padre Semeria, tira dalla tasca l’altra metà e la passa al marito, che, con molta benevolenza, la trasmette alla signora.
“Ma se già l’ho!”
“Oh, come puoi averla se me la sta dando in questo momento!”
Padre Semeria, contento di vedere oramai riuscito il duplice colpo, rideva a più non posso di questo battibecco coniugale.
Andò a finire che gli Orfani di Guerra ebbero tutto quello che chiedevano, e non solo per quella volta, ma per gli anni successivi e credo ancora adesso.
Questi erano i miracoli di Padre Semeria. Ma anche di Pietro Gaudenzi!...
Un’altra volta, Padre Semeria, che quando voleva qualche cosa, usava offrire i propri libri con dediche geniali, seppe ingraziarsi un negoziante di carbone scrivendo sul frontespizio d’un’opera sua: “Al Tal dei Tali, che, pur negoziando carbone, ha le mani pulite.”
Alberto Carosi ci racconta del coraggio d’un artista, ch’è meglio di non nominare. Una volta per strada ebbe paura d’un pollo, che, secondo lui, lo guardava storto, e pretese che sua moglie lo precedesse per vedere, cavallerescamente, cosa sarebbe accaduto. Un’altra volta mentre dipingeva in campagna romana, sente dietro di sé l’ansimare di un cane. Dei cani aveva terrore, e quindi si restrinse nelle spalle cercando di continuare a dipingere alla meglio. Ma il fiato canino riprendeva a regolari intervalli e al poveretto mancava il coraggio di voltarsi a guardare. Tentò due o tre volte, con la coda dell’occhio, di scorgere la bestia, ma un suo nuovo respiro lo rinchiodava al cavalletto. Alla fine, non potendone più, prende il coraggio a due mani, si rivolta e... vede che il pittore Fabbri, dietro di lui, disegnava con un grosso pastello su carta ruvida. Era il suo pastello ad ansimare così! Potete comprendere quello che gli disse non appena gli fu ritornato lo spirito in corpo!
Gli amici, qualche volta, ci si divertivano: un giorno gli mandarono a studio il segretario di una Principessa romana che voleva comperargli un blocco di quadri per una trentina di migliaia di lire. Il Segretario (sic) combina pure una percentuale per lui, e l’indomani gli presenta la Principessa che fa la scelta definitiva. Entrambi avevano sostenuto così bene la loro parte che l’artista già si vedeva i soldi in mano e ne progettava l’impiego.
Il giorno dopo, il Segretario torna da lui per chiedergli un elenco di nomi di altri artisti, essendo intenzione della Principessa di costituire una piccola Galleria. Ma egli non vuole grattacapi, e cerca di schermirsi. Purtroppo si tratta di una condizione sine qua non, e l’affare andrebbe a monte senza questo elenco. Di cattiva voglia, egli, dunque, deve darlo. E lo dà. Ma non ci mette neppure uno dei suoi amici, neppure quelli verso i quali ha le maggiori obbligazioni.
Da notare che uno dei buontemponi cui lo scherzo si doveva, incontratolo quando l’affare era apparentemente già concluso, si lagnò apposta dei tempi difficili, della totale mancanza di vendite, ecc.
E l’altro a fargli eco che anche lui non vendeva neppure per una lire!
Finalmente siamo all’appuntamento all’Hotel di Russia ove la Principessa avrebbe consegnato l’assegno bancario. Ma il poveretto, che per l’occasione si era tutto azzimato, ha un bell’attendere e finisce con l’apprendere che in quell’albergo la Principessa ricercata non esiste.
Intanto al Circolo della Pipa, un circolo artistico di buontemponi, durato poco tempo, e da cui lo scherzo era partito, si apriva una Mostra di Arte, e l’elenco del nostro pittore, documento di finzione e di ingratitudine, era stato messo in cornice ed esposto come un quadro. Lo invitano a visitare quella mostra e lo portano difilato innanzi al suo elenco. Che bel quadro, no?
Non occorre dire in quali escandescenze egli andasse.
Ma l’ora è tarda, prendiamo un altro caffè marca speciale Gaudenzi, ed avviamoci verso la macchina che deve condurci a Roma. Scendendo le balze pietrose Anticoli Corrado a poco a poco si allontana e ci appare come un nido d’aquila costruito sulla vetta del monte. Giù è la solita vita che riprende, la vita scialba di tutti i giorni. |
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rivista mensile del Touring Club Italiano anno XLII - numero 12 - dicembre 1936 - XV E.F. - pp. 777-784
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Le Immagini fotografie di Michelesi (la foto di Giggi il Moro) e di H. Körte (le altre) Clicca sulle miniature per ingrandirle!
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1. Ecco Anticoli Corrado, il paese caro agli artisti di tutto il mondo. |
2. Un digradare di casette brune, che dalla cime del colle precipitano giù... |
3. Scale e scalette dagli stretti gradini scavati nella roccia... |
4. Aria ottima ad Anticoli, e gente sana: non v’è da dubitarne! |
5. Una giovane modella dal bel volto serenamente pensoso... |
6. Ragazze di Anticoli nel tipico e pittoresco costume locale. |
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7. La comare e l’amico suo fedele... |
8. Dolci armonie traggono ancora gli zampognari dal loro strumento rusticano. |
9. Giggi il Moro, nel 1911. |
10. Sul fianco del colle, fra i cipressi, il piccolo silente cimitero di Anticoli. |
11. E del grave occhio glauco entro l’austera dolcezza... |
12. Verso i pascoli alpestri dei monti Ruffi. |
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Le Pagine
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Nel Paese degli Artisti di A. M. Gobbi Belcredi
Un digradare di casette brune, che dalla cima del colle precipitano giù in basso, fin presso il torrentello spumoso; viuzze anguste e nere e, in tutte le direzioni, scale e scalette dagli stretti gradini scavati nella roccia, alti e irregolari, consunti e sbriciolati. In cima al colle, la vastissima e caratteristica piazza, respiro del paese, tutta luminosa e gaia, libero campo ai giuochi dei bambini, punto di ritrovo di uomini e di bestie.
Ecco Anticoli Corrado, il paese caro agli artisti di tutto il mondo.
Lo “scoprì”, pare, un pittore svizzero. E subito dopo si arrampicarono fin quassù italiani e tedeschi, francesi e inglesi, belgi, olandesi, danesi, russi, americani, australiani, giapponesi, cinesi, perfino un negro. Il grazioso paesello, alle falde dei Monti Ruffi e dominante la dolce valle dell’Aniene, risuonò di tutti gli idiomi; per i suoi vicoli si aggirarono, vestiti in strane fogge, i più bizzarri tipi di artisti: folte capigliature meridionali, bionde teste nordiche, volti glabri o barbe incolte.
Le grige casette, respiranti ciascuna il fumo di quella sottostante, accolsero cordialmente nelle cucine affumicate i curiosi ospiti, battezzati subito in massa con il nome di “inglesi”, e offrirono loro i letti monumentali, sopra i quali pendevano il prosciutto di montagna, i mazzi di cipolle, la vescica di strutto. E là dove entravano luce e sole, sorsero d’incanto gli studî: strani studî dalle pareti a calce e il soffitto a travicelli. Ma tutto il paese, tutta la campagna intorno divennero un unico grande campo di lavoro: cavalletti e tavolozze spuntarono ovunque, presso la fonte e all’ombra delle querce, nella grande piazza solatìa o negli angusti vicoletti, nel giardino del castello dominante la vallata e negli angiporti tenebrosi.
Non la chiesa di S. Pietro, dell’XI sec., dichiarata monumento nazionale quando l’umidità e l’incuria avevan già quasi completamente distrutto i mosaici e gli affreschi del ’300, non il quasi abbandonato Castello dei Vetoli attirarono ad Anticoli tanti artisti nostrani e stranieri; bensì la bellezza delle sue donne e dei suoi uomini, il fascino di questa terra semplice, ospitale e gentile.
E chi vi mise piede per restarvi due giorni, vi rimase dei mesi, vi tornò l’anno seguente e i successivi, così che la colonia d’artisti divenne sempre più numerosa. Tra i più fedeli, Augusto Corelli, Antonio Mancini, Michetti, Sartorio, Selva, Orazio Amato, Alberto e Giuseppe Carosi, Arturo Martini, Carena, Ferrazzi, Mayer, Gaudenzi, Carlandi, Coromaldi, Cifariello, Petiti, Limongelli, Noci, De Carolis, Giulio Monteverde, Barrera, Fausto Pirandello, Ortolani, Cecconi, lo spagnolo Barbasan, lo svizzero Lendorf, il brasiliano Freitas e tanti e tanti altri. Nel 1914 Anticoli arrivò ad ospitare oltre 150 fra pittori e scultori: di tutte le scuole, di tutte le tendenze. Ed ognuno interpretava, attraverso la sua sensibilità, il carattere del luogo, i tipi, i costumi degli abitanti.
Sciamavano la mattina verso la pianura o i monti e tornavano a sera bruciati dal sole, inebriati dall’aria purissima, e magari da due begli occhi di donna, che avevan sorriso loro tutta la giornata (instancabili, queste modelle!). La sera, poi, seduti in piazza, sulle scalette esterne delle rustiche case, organizzavano feste, alle quali accorrevano numerosi i villeggianti dai paesi vicini e fin molti Romani. Così, proprio alla vigilia della guerra mondiale, in località detta “Le querce d’Orchileo” si svolse un Trionfo di Bacco, che per la sua grandiosità è rimasto quasi leggendario.
Bacco ― se non erriamo, impersonato dal pittore Orazio Amato ― a cavalcioni di un’enorme botte trainata da due buoi dalle corna dorate e infiocchettate, cinto di pampini e con in mano una coppa ricolma di biondo nettare, procedeva solenne fra le querce e gli ulivi inargentati dalla luna. Lo seguivano, in una fantasmagoria di luce di torce e di bengala, le Baccanti, i Fauni, Atteone, gruppi di pecore e di montoni. Sui tripodi, intanto, bruciavano gli incensi e tutto intorno si svolgeva una ridda infernale, al suono di zampogne, pifferi, zufoli e tamburelli. Ad un tratto, si faceva un grande silenzio, e Bacco declamava, con voce tonante, il ditirambo: Evoè, Evoè, Salvète!, mentre mille mani protendevano verso i mescitori le capaci coppe. Fra danze, canzoni e libazioni, il baccanale durò fino all’alba...
Poco dopo scoppiava la guerra europea: e i compagni di lavoro e di baldoria, che avevano in comune gli stessi sogni d’arte, dovettero tornare più che in fretta ai loro paesi, vestir la divisa, combattere gli uni contro gli altri.
Terminata la guerra, tornarono ad Anticoli artisti nostri e stranieri, ma, specialmente questi ultimi, in numero assai minore. Sopraggiunse poi la crisi mondiale. Tempi duri per gli artisti tutti: e gli stranieri dovettero rinunziare a passare il mare e i monti. Anticoli divenne un sogno irraggiungibile. Seguitarono, invece, a recarvisi, e vi si recano tuttora, nella buona stagione, numerosi pittori nostrani, specialmente romani. In un’ora di treno dalla Capitale, essi giungono a Mandela, in dieci minuti di autobus lungo l’Aniene, al ponte di Anticoli: e mentre il postale prosegue per Subiaco, il fedele di Anticoli, a piedi o in un traballante calessino ― se si è ricordato di avvertire in tempo compare Iacovelli perché scenda giù a rimorchiarlo ― sale i 4 km. che lo dividono dal paese. E arrivato lassù, nella grande piazza, che si gloria nientemeno di una fontana di Arturo Martini, egli ritrova tutto così come l’ha lasciato uno o molti più anni prima: la vecchietta con la conocchia sull’uscio della sua casa, e lo “scemo” appoggiato al suo albero preferito, e la nidiata di marmocchietti dalle guance sode e rosse, e i maialini biondi e bruni grugnanti qua e là.
Anticoli non muta aspetto col volger degli anni: né telefono ancora, né un solo apparecchio radio, né il più modesto caffè. Ma da un anno, su di una casa della piazza, si può leggere una targa pomposa: “Galleria d’Arte Moderna”. E in tre stanzette, sculture e quadri offerti dagli artisti che han frequentato il paese presentano un interessante contrasto di scuole e di tendenze.
L’antico feudo di Corrado d’Antiochia (donde l’aggiunta di Corrado al nome di Anticoli, che pare derivi da ante colles ― dinanzi ai colli ― ) ha conservato attraverso i secoli tutte le sue caratteristiche, e la proverbiale bellezza delle sue genti si è trasmessa di generazione in generazione. Per convincersene, basta aver visto comare Antonia, i cui occhi vellutati sono tutto un riso, mentre vi dice fiera: “Io sto per tutto il mondo!” Allude, la bella donna, agli innumerevoli suoi ritratti, che ornano le gallerie private e pubbliche del vecchio e nuovo continente. O aver osservato Mamma Domenica, quasi ottantenne, salir sù per una di quelle ripide scalette con un portamento da regina: nel viso nobilissimo, ormai solcato da mille rughe, brillano ancora due occhi neri meravigliosamente vivi ed espressivi. Vien fatto di domandarsi per quale miracolo queste misere contadine conservino, nonostante l’ampissima gonna increspata, le cioce e il busto tradizionale, una così profonda distinzione, una così straordinaria regalità di sguardo e di atteggiamento, E non ci si stupisce più che decine di artisti, e fra i più famosi, se le siano sposate, queste donne; e che esse, deposto il busto e le cioce, abbiano saputo essere signore fra le signore e occupare degnissimamente il loro nuovo posto, a contatto con autorità e personaggi illustri.
Donne nelle quali la bellezza è unita a una grande intelligenza, ciò che spiega il segreto del loro successo: da semplici modelle esse hanno saputo rapidamente elevarsi a consigliere ed ispiratrici, preziose collaboratrici dell’artista, che non ha saputo poi più vivere senza di loro. Alcune han finito addirittura per darsi all’arte e sono oggi pittrici e scultrici tutt’altro che disprezzabili, vincitrici di premi e di concorsi.
È proprio questo uno degli aspetti più caratteristici e interessanti della vita anticolana. L’aria che si respira in questo paese è così impregnata d’arte, che anche taluno che non ha mai pensato di prendere una matita in mano, appena giunto ad Anticoli si affretta a farsi prestare una tela, un pennello, qualche tubetto di colore, e improvvisato alla meglio un cavalletto, ritrae da mattina a sera vecchie mura o visetti freschi e ridenti. Sarebbe però esagerato che a questo improvviso sacro fuoco corrispondano sempre risultati molto felici...
Gli stessi paesani, vissuti a continuo contatto con l’arte, sono ormai artisti per istinto: la loro intelligenza si è aperta, raffinata, ha preso spesso l’impronta della genialità. Tipico il caso di Mario Toppi, figlio di contadini, che a furia di frequentare gli studî degli artisti, rendendo piccoli servigi, un bel giorno ha trovato naturalissimo di mettersi anche lui a disegnare: e ne son venute fuori delle Madonne e degli angeli di un primitivismo rustico, che hanno incontrato grande favore, soprattutto nell’America del NOrd. Anche i bambini, armati di gesso o di carbonella, traccian segni più o meno artistici ovunque trovano dieci centimetri di superficie liscia, e maneggian la creta con grande sicurezza, insegnando alla maestra quanto sia facile creare Abissini e tucul...
Giggi il Moro, zampognaro della Regina e modello di fama internazionale, è stato certo il più bell’uomo di Anticoli, e ne è oggi il più bel vecchio. I magnifici occhi neri, il profilo purissimo, la figura tuttora diritta e signorile, gli atteggiamenti pieni di dignità, il suo procedere lento e maestoso, colpiscono ancor oggi profondamente. Ma anche per lui i tempi sono brutti. Poco lavoro sia come modello, sia come zampognaro, ché negli alberghi di Roma, dov’era spesso chiamato dai forestieri, c’è ormai poco o nulla da fare. Zampognaro di classe, vincitore ― nientemeno! ― di un primo premio al veglione del Costanzi quaranta o cinquant’anni fa. ― Quella sera ― egli racconta, mentre la fiamma del camino illumina il bel volto abbronzato ― tornando a casa si vide correre incontro la moglie, la quale, tutta ansimante, lo avvertì che c’eran le guardie ad aspettarlo. “E che me servono a me le guardie?” fu la risposta di Giggi, che aveva la coscienza tranquilla. Le guardie dovevano condurlo a Palazzo Reale: la Regina Margherita, che era intervenuta al veglione, voleva risentire lo zampognaro di Anticoli. E andò così, vestito com’era, con la fascia rossa alla vita e le cioce con le stringhe, “che parevo Gasparone!”
Da quella notte, Giggi il Moro, per quindici anni, ad ogni vigilia di Natale varcò la soglia del bel palazzo di via Veneto e accanto al Presepio suonò sulla sua zampogna le dolci arie di Natale, alla presenza della Regina e di tutta la Corte. “Ma una volta s’inquietò con me, la Regina tanto bella e buona e che mi chiedeva sempre: ― Come stai, zampognaro? ― seguita a raccontare Giggi, ormai tutto preso dai ricordi di un tempo felice. ― Nevicava e così, invece delle cioce e dei guardiamacchia (calzoni corti di pelle di pecora, usati dai pastori) avevo messo le scarpe e i calzoni lunghi. Quando la Regina mi vide, ― Non farlo più! ― mi disse seria. ― Se ci tieni proprio alle scarpe e al resto, porta almeno con te il costume per indossarlo qui ― . Cento lire per volta, mi davano ― sospira Giggi ― e poi l’albero di Natale aveva sempre un regalo anche per me. Un anno, una “cuccuma”, quella...” E il bellissimo vecchio si alza, la tira fuori con grande cura da una credenzetta, e me la porge, accarezzandola quasi con lo sguardo. L’argentea “cuccuma” della Regina fa una figura veramente regale tra i pochi cocci che costituiscono le misere stoviglie familiari.
Paese povero, Anticoli. I suoi abitanti ― poco più di un migliaio ― contendono il terreno alla roccia a palmo a palmo, lavorando tenacemente, amorosamente. Una volta la settimana giunge da lontano il venditore di generi vari e allora il banditore ufficiale, che è anche lo spazzino del paese, dà di fiato nella sua trombetta, gridando poi a squarciagola: “Se butta i bannu! È arrivato i Napoletano con pasta, arenghe, saraghe, sapone e baccalàaa!”
Ma altre volte il bando è “buttato” per meno graditi annunci. Suona la trombetta ad ogni crocicchio, e la voce del banditore si diffonde con una lieve cadenza di melanconia fin nell’interno delle misere casette dalle cucine affumicate: “Domani arriva l’esattoreeee...”
È la sera di S. Giuseppe. La funzione è finita. I paesani escono a frotte dalla chiesa, le vecchie in costume, le giovani in vestiti quasi cittadini. E tutte e tutti si fanno attorno a una piccola immagine di S. Giuseppe, che viene riportata nella casa della Confraternita. Precede un contadino-tamburino: e il rullo del tamburo si fa sempre più intenso, quasi frenetico, mentre freneticamente i fedeli baciano a turno la sacra immagine. Sembra un quadro di Michetti. Poi tutti si sparpagliano qua e là, scivolando per le scalette nere, non più che ombre ormai, mentre la notte imminente inghiotte la vallata. |
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settembre 1955
Ringraziamo vivamente il signor Giovambattista Toppi per averci permesso di fotografare questo articolo e riprodurlo su ScuolAnticoli.
Il
Paese delle Madonne
sono scelte come modelle da alcuni tra i più
illustri pittori del mondo.
Anticoli Corrado, settembre.
I pittori di tutto il mondo sono in ansia per la sorte di Anticoli Corrado, il celebre paese delle modelle. Anticoli, a 58 chilometri da Roma, è un antichissimo borgo aggrappato al pendio di un monte: le sue vie sono ripide scalinate e le sue piazzette sono balconcini che si aprono su un paesaggio incantevole. Ora un male inesorabile minaccia le sue vecchie case: i geologi, chiamati a consulto, hanno detto che il paese slitta verso valle ed è condannato a franare. Saputa la notizia, gli artisti e le modelle di via Margutta hanno costituito un Comitato per la salvezza di Anticoli. Pittori famosi hanno inviato messaggi dalla Francia, dall’Olanda, dalla Finlandia, dagli Stati Uniti. Uomini politici stanno preparando mozioni e interpellanze. Si vuole che sia salvato il salvabile con urgenti lavori di consolidamento; inoltre dovrà sorgere un nuovo quartiere, moderno e confortevole, ma fedele in tutto e per tutto allo stile pittoresco del vecchio borgo, per trasferirvi gli abitanti di quelle casupole che, ormai condannate senza speranza alla rovina, dovranno essere sgombrate.
Il Toppino
Anticoli Corrado fu “scoperta”, verso la metà del secolo scorso, da alcuni pittori, fra i quali l’italo-spagnolo Mariano Fortuny, che ne fecero il loro eremo. Ad Anticoli essi trovarono paesaggi fiabeschi e, soprattutto, modelli e modelle di straordinaria bellezza. Le Anticolane sono infatti, a giudizio di molti artisti, le più belle donne del mondo. Nel Medioevo Anticoli fu ripetutamente invasa, prima dai Saraceni, bruni e terribili, poi dai Normanni, alti, biondi, di aspetto gentile. Questa mescolanza di razze è all’origine della eccezionale avvenenza delle Anticolane, che sono un impasto di fierezza e dolcezza, alte, statuarie, alcune bionde con occhi di fuoco, altre brune con occhi azzurrissimi. Dal 1850 a oggi innumerevoli artisti, anche famosissimi, sono giunti ad Anticoli, da ogni paese del mondo, in cerca di ispirazione, e vi sono rimasti più o meno a lungo. Le donne anticolane, diventate modelle per tradizione, hanno prestato le loro sembianze a gran parte delle Madonne e delle Veneri che la pittura europea ha prodotto negli ultimi cento anni. Molte di esse poi hanno sposato pittori o scultori famosi. Altre, nate in una povera famiglia di contadini, dopo essere state modelle per qualche tempo, sono diventate, col matrimonio, gran dame dell’aristocrazia. Una è diventata principessa, un’altra sposò il diplomatico e pittore dilettante Maurizio Rava, che fu per alcuni anni, nel 1930 - 35, governatore della Somalia.
Un caso particolarmente curioso è quello della famiglia Toppi. Alla fine del secolo scorso, un aitante giovanotto di questa modesta famiglia anticolana diventò il più celebre e caratteristico modello di via Margutta; gli artisti romani lo chiamavano il Toppino, o anche Marc’Aurelio per via della sua barba fluente e del suo aspetto maestoso. Il Toppino ebbe quattordici figli, di cui sette femmine, tutte bellissime, tutte diventate poi modelle. Una di esse sposò un pittore svizzero e divenne lei stessa pittrice di un certo nome. Un’altra sposò un conte. Una terza, dopo essere stata modella e ispiratrice dello scultore trentino Attilio Selva, ne diventò la moglie (Attilio Selva è stato uno dei maggiori scultori del periodo fascista; molte statue del Foro Mussolini, dell’E 42 e di altre gigantesche costruzioni di quell’epoca, sono opera sua; fu anche nominato accademico d’Italia; ora possiede ad Anticoli un grande studio e una bella casa dove vive con la moglie e il figlio, Sergio Selva, mosaicista apprezzatissimo). Anche un altro accademico d’Italia, il pittore piemontese Gaudenzi, sposò una delle sette figlie del Toppino; rimasto vedovo, sposò la sorella minore della prima moglie, con la quale vive tuttora, insieme ai figli (uno di essi, Enrico, è a sua volta un ottimo pittore), in un suggestivo castello di Anticoli; sparse qua e là per le chiese di tutta Italia esistono numerose Madonne del Gaudenzi che hanno il bellissimo e soave viso dell’una o dell’altra moglie e modella del celebre pittore.
Tornò dopo trent’anni
Fra gli artisti che hanno vissuto, per un periodo più o meno lungo, ad Anticoli, va ricordato Oscar Kokoscka, uno dei dieci o quindici maestri della pittura contemporanea. Egli vi soggiornò per due anni, nel 1938 - 39, e vi dipinse alcune delle sue opere migliori. Gli Anticolani si ricordano di lui specialmente per un fatto curioso: fu Kokoscka che portò sù i gatti; prima del suo arrivo non c’era mai stato un gatto ad Anticoli. Il pittore giunse senza bagagli, solo con l’occorrente per dipingere e una grossa cesta che conteneva cinque felini. In seguito, gli amici e ammiratori che venivano a salutarlo, spesso gli portavano un nuovo gatto, sapendo che per lui quello era il più gradito dei doni. In breve ne ebbe una quindicina. Quando usciva a passeggiare per il paese, tutti i suoi gatti lo seguivano; non riusciva a dipingere se non era circondato dai suoi gatti, e siccome era freddoloso ne teneva spesso uno dei più grossi attorno al collo, come un bavero di pelliccia. Ora Anticoli è popolatissima di gatti: tutti discendenti di quelli portati sù da Kokoscka. Gli Anticolani però non li chiamano gatti: li chiamano kokoske, in omaggio al grande pittore. Fra gli artisti italiani innamorati di Anticoli va ricordato particolarmente Felice Carena, che dipinse quassù due dei suoi quadri più belli, La quiete e L’estate. Anche Arturo Martini, uno dei più grandi scultori italiani contemporanei, vi ha trascorso lunghi periodi: qualche anno fa egli ha regalato al paese una bellissima fontana, una piramide sorretta da alcune tartarughe, che si trova ora al centro della piazzetta principale.
Insieme a molti artisti famosi sono giunti e giungono ad Anticoli, da ogni parte del mondo, anche molti tipi bizzarri. Gli Anticolani affermano di “averne viste di tutti i colori”, e non si meravigliano più di nulla. Anni or sono venne uno strano pittore inglese, astrattista, che usciva a dipingere all’aperto solo quando pioveva: bagnato fradicio, dipingeva i suoi quadri incomprensibili, cantando a squarciagola; quando faceva bel tempo stava chiuso nel suo studio a dormire. Una quarantina di anni or sono giunse, con una borsa di studio del suo paese, il già noto pittore brasiliano De Freites; il suo soggiorno doveva durare sei mesi; ma fulmineamente si innamorò di una modella anticolana, la sposò, ebbe un certo numero di figli; dopo tre o quattro anni il pittore, uomo taciturno e distratto, uscì tranquillamente di casa, senza pronunciare una parola, con la pipa in bocca, con la cassetta dei colori e dei pennelli sotto il braccio. Sua moglie pensò che andasse a dipingere, come al solito. Ma restò fuori assai più del solito: rincasò, infatti, solo trent’anni dopo. La moglie seppe indirettamente che era tornato in Brasile, dove i suoi quadri ottenevano sempre maggiori successi. Qualche tempo fa De Freites è tornato inaspettatamente ad Anticoli, dopo trent’anni di assenza: è entrato con la massima tranquillità nella sua vecchia casa, con la pipa in bocca, con la cassetta dei colori e dei pennelli sotto il braccio, senza dire una parola, come se la sua assenza fosse durata poche ore. Adesso il pittore brasiliano è un vecchietto curvo e bianco; gli Anticolani dicono che “ha un’età indefinibile, dai settanta ai settecento anni”. Lo studio nel quale lavorava Kokoscka è ora occupato dal polacco Marylzin, detto Aspacho, pittore impressionista, altro tipo bizzarro che di notte va in giro per i monti con un vestito bianco e un grande mantello rosso; egli ha manifestato anche vaghe ambizioni politiche; durante l’ultima campagna elettorale, infatti, pur senza essere, naturalmente, candidato, tappezzò i muri del paese con manifesti che dicevano: “Votate Aspacho: vi dipingerà tutti, nudi e vestiti”.
Corrado diventò Corrà
Attualmente ad Anticoli, che conta mille abitanti, vivono più di cinquanta pittori e scultori (una metà sono stranieri), molti dei quali assai quotati. Il recente responso dei geologi ha gettato la costernazione nella colonia artistica anticolana. Quest’anno la tradizionale Festa della marmotta è stata meno allegra e travolgente del solito. (Questa festa si ripete a ogni settembre da più di mille anni: un giovanotto locale, nascosto dietro una maschera grottesca, chiamata appunto marmotta, balla per un’intera notte il "saltarello", incitato a gran voce dai compaesani; da un secolo a questa parte la marmotta è stata dipinta ogni anno da un pittore famoso).
Fra i molti che hanno
preso a cuore la causa di Anticoli e si battono per la sua salvezza, va
ricordata Bruna Corrà, modella e attrice del cinema. Bruna Corrà è
trentina; a Venezia è stata la modella di Seibezzi, di Novati e di altri
noti pittori. Poi è diventata attrice, ha interpretato diversi film, in
Italia e in Spagna. Non ha tuttavia rinunciato del tutto al lavoro di
modella, che, dice, è la sua vera vocazione. Ora possiede uno studio ad
Anticoli, dove si reca quando è libera dagli impegni cinematografici.
È lei
l’animatrice del
“comitato”
per la salvezza del paese. Fra l’altro ha messo a disposizione l’intera
somma che ha guadagnato interpretando, come protagonista, il suo ultimo
film in Spagna. Gli abitanti di Anticoli, il celebre paese delle
modelle, hanno dedicato addirittura una contrada, in segno di
gratitudine, alla modella trentina. La cosa è stata, per la verità,
molto semplice. Esisteva una via Corrado, in omaggio al principe Corrado
di Antiochia che verso il mille fu il signorotto locale. Gli Anticolani
attuali, ripensandoci, si sono accorti di non avere nessun debito di
riconoscenza verso l’antico principe. Con un raschietto hanno cancellato
due lettere, con un colpo di pennello hanno aggiunto un accento: e così
via Corrado è diventata via Corrà.
Luigi Cavicchioli
Anticoli Corrado. Questa graziosa ragazza, Liliana Giustini, è stata eletta Miss Anticoli Corrado 1955: ella rappresenta, dunque, la tipica serena bellezza delle fanciulle del celebre “paese delle modelle”, a 58 chilometri da Roma. Da un secolo le donne anticolane, diventate modelle per tradizione, prestano le loro sembianze a gran parte delle Madonne e delle Veneri che la pittura europea ha prodotto: alcune di esse sono diventate mogli di celebri pittori e scultori o sono entrate nelle file della migliore aristocrazia. |
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rivista mensile del Touring Club Italiano 1956, prima di agosto, pp.968-976
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1. Panorama dal monte Tarino, m. 1959, nel gruppo dei Simbruini. In basso, a sinistra, le sorgenti del fiume Aniene. Sullo sfondo, Campo Catino m 1750. |
2. La piazza di Anticoli Corrado, un nome che richiama alla memoria vicende e tradizioni dell’Ottocento romantico: storie di modelle bellissime e di pittori che venivano da lontani paesi per trovare semplicità di vita, aria salubre e motivi di ispirazione. |
3. L’Aniene corre per lunghi tratti in un terreno di natura vulcanica e calcarea, ricco di cave dl pozzolana e travertino. |
4. L’antico ponte Lucano e il Sepolcro dei Plauzi, opera romana dei primi tempi dell’impero, si può dire segnino il punto in cui l’Aniene esce dai monti per dirigersi attraverso la pianura verso Roma e il Tevere. |
5. Subiaco, dall’alto di un colle a pan di zucchero, coronato dalla rocca, manda le sue case giù nella valle in riva all’Aniene. A Subiaco si celebra questo agosto la Festa della Montagna per l’Italia Centrale. |
6. A monte di Subiaco, là dove la valle diventa tanto impervia e grigia e montana nella sua parte alta, quanto era dolce di linee nella parte inferiore, l’Aniene forma un piccolo laghetto di acque profonde. |
7. II Ponte Rapone, gettato a grande altezza sul fiume in una gola solenne, tra il monte Autore e la bastionata che regge i Piani di Arcinazzo. |
8. La carrozzabile che da Subiaco porta a Jenne e di lì a Vallepietra o a Trevi, è tracciata tra gole e speroni di roccia, con numerose gallerie. |
9.
Due volte all’anno si svolge il pellegrinaggio al Santuario della SS.
Trinità che sorge sul monte Autore, sopra Vallepietra, a 1300 metri di
altezza. |
10. Le celebrazioni culminano nel Pianto delle zitelle sulla morte del Signore. |
11. Il territorio. |
Nell’Alto Lazio lungo l’Aniene
Chi entra a Roma per la Via Tiburtina o per la Via Salaria quasi non si accorge di attraversare, là dove già si estendono i quartieri periferici della città, un modesto corso d’acqua, che a valle della Salaria appunto affluisce nel Tevere. Eppure è l’Aniene, per importanza il secondo fiume del Lazio e il cui nome suscita, in chi ben conosce il proprio paese, un complesso di sensazioni e di sentimenti: si associa al più sonante nome di Roma, ma sveglia echi misteriosi; rammenta scrosci di cascate, voci di fontane, mormorii di preghiere, arcaici canti di fede.
E in realtà, per tutto il suo lungo corso serpeggiante, il fiume, sempre impetuoso e ricco d’acque (che gli vengono però in parte sottratte per gli usi di Roma, e questa è la causa della sua apparenza dimessa presso la città) s’affaccia a un’infinita varietà di paesaggi, plasmati e modificati dal suo stesso corso. II suo lavorio fra le rocce carsiche, nei piani alluvionali, tra gli anfratti calcarei, ci ha lasciato tutta una gamma di curiosità naturali. E l’opera dell’uomo, artistica, religiosa e, negli ultimi anni, industriale, ha arricchito di preziosi elementi lo scenario naturale, forse il più interessante che si trovi fra le montagne laziali, anche se non sempre e ovunque si tratta di una bellezza appariscente.
Talvolta occorre un occhio esperto per scoprire certi luoghi attraenti discosti dalla strada che percorre la valle dell’Aniene: la Via Tiburtina-Valeria fino al bivio per Avezzano, poi la Sublacense. E dato che mi sono proposto appunto di illustrare questa valle e questi luoghi, daremo per conosciuto il percorso in pianura del fiume, tra Roma e Tivoli cioè, scusandoci col dire che in questo tratto si chiama, anziché Aniene, Teverone. Non parleremo così delle grotte di travertino, dei laghetti azzurri e delle sorgenti sulfuree delle Acque Albule, delle incrostazioni calcaree che segnano il posto di altri laghetti prosciugati. E nemmeno dei numerosi resti romani: il sepolcro dei Plauzi, con il vicino antico ponte dalle luci quasi interamente sommerse dall’acqua, e la Villa Adriana, la città morta che gli scavi vanno lentamente, da secoli, riportando alla luce.
Nidi d’aquile
Attraversiamo Tivoli, miniera inesauribile di scoperte e dì curiosità, forse meno note di quanto non si creda, salvo il parco d’acque di Villa d’Este e le cascate di Villa Gregoriana. Subito al di là delle cascate, dove lo sbarramento della centrale forma un tranquillo laghetto dalle rive a canneto, ai piedi del cumulo di nude e roventi rocce che vien chiamato Monte Catillo, ha inizio la vallata dell’Aniene.
Grande striscia verde tra alte montagne, ricca di alberi, ci colpirà per il suo aspetto festoso e al tempo stesso riposante. Ma ancor più ci colpirà un fatto non raro nelle zone appenniniche, e qui più evidente e marcato che altrove: i paesi arrampicati sulle alture, spesso altissimi, in posizioni inverosimili, sempre più o meno lontani dal fondovalle fertile e coltivato. Solo Subiaco e Vicovaro, pur collocati in alto, fanno in parte eccezione, mandando una lingua di case fin a toccare l’acqua; ma si tratta di case relativamente recenti. Lo scorgere gli altri villaggi aggrappati alle loro magre pietre, alle loro paurose cortine di roccia, quando la valle è così bella ed ospitale, stupisce straordinariamente, più che l’italiano, il viaggiatore straniero, che ignori le necessità difensive di lontane epoche di cupa desolazione.
Ma Vicovaro, il primo paese che tocchi la nostra strada, è, come abbiamo detto, un’eccezione parziale a questo stato di cose; e un curioso e bel monumento del Quattrocento contribuisce a ingentilirne l’aspetto: il Tempietto di S. Giacomo, che si presenta, bruno e dorato nella sua pietra antica, al fondo di una lunga piazza, con insospettata e deliziosa scenografia. II gotico ed il rinascimento s’incontrano in questa delicata costruzione ottagonale, percorsa ad ogni spigolo da lunghe e sottili colonnette, alleggerita da bifore e adorna di sculture. Ma la bellezza si addensa soprattutto nel portale, ampio e stupendo con il suo arco a pieno centro decorato da vaghissimi angioli danzanti e le sue nicchie popolate di statuette di santi. È probabilmente opera di Giovanni Dalmata e Domenico da Capodistria, e riecheggia vagamente un certo spirito adriatico, rammentando le geniali opere di Giorgio Orsini, come la cattedrale di Sebenico o i portali di Ancona.
Subito dopo, al bivio per la villa d’Orazio e Orvinio, sull’alto di una rupe precipite e sforacchiata che incombe sul fiume, una fila di cipressi ed una chiesa. È San Cosimato, il primo luogo sacro di questa autentica valle santa. In tutta la zona le paurose dimore degli anacoreti, le grotte di singolari e spesso assurdi eremiti (come Lorenzo da Fanello, che volontariamente si torturò per anni in modo orrendo per espiare un delitto commesso) furono soppiantate dai romitaggi benedettini, oasi di pensiero e di fede contemplativa.
L’eremo di San Cosimato fu appunto una delle dimore di San Benedetto; e più che la chiesa e i suoi affreschi attraggono le dimore sue e dei suoi confratelli, un piccolo labirinto di cellette e di scale ripide scavate nella roccia, fra le radici di alberi possenti, a picco sul fiume.
A violento contrasto, più avanti sulla destra, al di là dell’Aniene, ecco il primo nido d’aquile, in una posizione così allucinante che l’occhio stenta a scorgerlo, e la mente a persuadersi della sua esistenza. È Saracinesco, a quasi mille metri su un vertiginoso e ristretto cocuzzolo calcareo. Il nome singolare sembra riferirsi ad una lontana invasione di saraceni, i più miti dei quali, stanchi di una vita nomade di rapine e di ferocie, fraternizzarono con gli abitanti stabilendosi sul posto.
Dopo il ponte di Anticoli, la valle si allarga in una conca rigata dai filari degli alberi. Anche qui, poche e sparse le case sul fondovalle, ma tutt’intorno è una serie dei soliti paesetti campati sulle sagome ardite dei monti: Roviano, scuro e compatto intorno al suo castello, occupa la cima di un colle conico, dove la strada sale con svolte così nette e regolari da ricordare certi buffi disegni infantili; Orìcola, nello sfondo lontano, segna il confine con gli Abruzzi; e a destra, con la cascata delle sue case sul fianco di una valletta secondaria, è Antìcoli Corrado.
Questo nome richiamerà certo alla vostra memoria vicende e tradizioni dell’800 romantico. Storie di pittori più o meno scapigliati, che venivano da lontani paesi a trovare qui semplicità estrema di vita, aria salubre e motivi d’ispirazione. Storie di modelle bellissime, di un’avvenenza del tutto particolare e tradizionale, forse primo, certo non ultimo motivo di quest’attrazione che il luogo esercitò sugli artisti. Oggi non vi si giunge più a dorso d’asino, ma per una comoda strada asfaltata, deviando brevemente dalla Tiburtina; ma il paese, a parte qualche pretenziosa casetta moderna, non è di molto cambiato. Ancora scopriamo vie scenografiche e casette antiche, come la bella casa detta del trecento, dove un portale ad arco, una bifora elegante e una finestra guelfa accompagnano su su per la facciata lo svolgersi di un’ardita scaletta interna.
Nella grande piazza che occupa la sommità del colle è ancora lo spirito del medioevo, presente, più che nelle basse casette che la circondano, nella fontana dalle curiose figurazioni bestiarie, e nella piccola chiesetta di San Pietro.
Riprendiamo la nostra via, e attraversiamo il grande piano, antico fondo di lago: qui un tempo era tutto un pullulare di sorgenti, oggi questo patrimonio idrico è captato, e convogliato su Roma. Restano qua e là boschetti di pioppi a segnare i luoghi delle risorgive.
Volontà di ripresa
Ecco altri paesetti appollaiati sulle propaggini dei monti Simbruini e dei Ruffi che scendono da est e da ovest verso l’Aniene: Marano Equo, a destra, e Agosta, a sinistra; poi sulla lunga dorsale ad ovest, tre altri ancora, ben poco visibili dalla strada, e quasi confusi con la dorsale stessa: Canterano, Rocca di Canterano, e Rocca di Mezzo. Ma il nostro occhio ha individuato, sull’alto della montagna, visione più sorprendente di ogni altra, una specie di acrocoro fantastico: è Cervara, che a 1053 metri di altezza, sospesa tra gli strapiombi, stende le sue case su uno spuntone isolato di roccia. A vederlo da qui il paese ci sembra in rovina, e ci dà una sensazione di grande povertà. Sembra inverosimile che nel 1956 degli uomini possano ancora vivere in un luogo simile, isolato dal resto del mondo, tra il vento degli Appennini e il gelo che ogni anno stringe in una lunga morsa queste montagne, dove può solo crescere stentatamente un po’ d’erba per le pecore. In realtà la situazione non è così cupa: vengono tracciate nuove carrozzabili per il paese, e il suo futuro, come stazione di sport invernali e di escursionismo estivo, sembra presentarsi non più in un sogno irrealizzabile.
Dopo un tratto meno interessante, chiuso fra piccole bastionate di colline, ecco di colpo apparire Subiaco, che dall’alto di un colle a pan di zucchero, coronato dalla Rocca, manda le sue case giù giù, fino alla strada, fino a lambire il fiume. Lo annunciano un bellissimo ponte medioevale, veramente tipico con la sua torre e la marcata schiena d’asino, e, sul vicino colle del cimitero, l’antica chiesa di San Francesco, dai noti affreschi del ‘500. Un elegante arco settecentesco segna l’ingresso al paese, dove, purtroppo, troviamo ancora visibili ferite di guerra, squarci estesi in altezza e larghezza in quello che era un compatto ed interessante quartiere medioevale. Resta ancora qualche traccia dei tempi antichi, mentre nuove strade e costruzioni manifestano la volontà di ripresa.
Qui avviene il grande cambiamento della vallata, tanto impervia e grigia e montana nella sua parte alta, quanto era dolce di linee nella parte inferiore. Due massicci imponenti (quello uniforme dell’Autore e la precipite bastionata che regge i Piani di Arcinazzo) serrano dapprima il fiume in una gola solenne, dove il Ponte di S. Mauro, o Ponte Rapone, gettato a grande altezza sul fiume, segna questa brusca transizione: da una parte campi e prati, visioni ridenti di case sparse o raggruppate; dall’altra la forra paurosa e strettissima. Qui erano un tempo i tre laghi artificiali creati per volontà. e capriccio di Nerone, e che diedero nome al sottostante paese (Sublacuum = sotto il lago); qui s’insediò a contrasto, sul finire del V sec., la mistica tradizione dei Santi: dodici eremi erano disseminati in breve spazio, ciascuno fondato da un compagno di San Benedetto. Oggi non ne rimane che qualche traccia, ma più delle costruzioni è persistente la tradizione e la venerazione del popolo.
Poco prima del ponte, prendiamo la diramazione a sinistra, che porta ai due grandi conventi che prendono il nome dal Santo e dalla sorella Santa Scolastica, e prosegue verso l’alta valle dell’Aniene. Subito, a destra, all’attacco della salita, si dirama una strada che io consiglierei a chi si diletta di scoprire angoli ignoti. La strada è a fondo naturale, stretta, ma abbastanza comoda; dopo un centinaio di metri, presso un parapetto, prendiamo un sentiero che scende giù verso il fiume incassato; eccoci infine ad un delizioso laghetto, dalle acque verdi e profonde, chiuso fra pareti di roccia e sipari di piante. Da un lato, uscendo da un complicatissimo orrido lavorato dalle acque, l’Aniene si getta nel lago con una cascata assai più ricca d’acqua prima che tre diverse centrali elettriche ne sottraessero la maggior parte.
Mete insolite
Sull’alto incombono i Santuari. Il primo, quello di Santa Scolastica, si estende quasi in piano, allargando le sue mura intorno ad antichi chiostri ariosi, in una architettura originale, ma abbastanza composta ed ordinata. II secondo, il Sacro Speco, sorge al contrario aggrappato alla roccia, pensile sotto la parete strapiombante, quasi nido di rondini sotto la grondaia; viluppo fantastico di ambienti delle più varie forme e dimensioni, arditamente ed abilmente sovrapposti in senso verticale.
Di qui in poi, il viaggio verso l’alta vallata diventa, se non proprio una esplorazione, certo un’iniziativa che denota il desiderio di mete insolite. La strada montana che si arrampica verso Jenne, tra gallerie e vedute grandiose, non è più asfaltata, dopo la cappelletta di San Giovanni dell’Acqua, ma è discreta. Jenne, l’abbandonato paese del Santo di Fogazzaro, gode di aria buona e di un discreto clima. Ed è tutto lì. Non vi è l’ombra di una attrezzatura turistica, né di una segnalazione che vi porti alle vicine curiosità naturali. Trevi, più avanti nella valle, sul consueto cono di roccia, è un po’ più nota e frequentata, anche perché vi si giunge più comodamente per una strada dai piani di Arcinazzo. Ed infine vi sono due paesi sperduti nel fondo di grandi anfiteatri montani, ma con una certa atmosfera di rinnovamento per via delle ampie possibilità di sport invernali. Filettino, presso le sorgenti del fiume, ha per esempio già rifugi ed attrezzature discrete. Vallepietra, confinato in una valle laterale, ha forse conservato un più chiuso e severo aspetto di borgo medioevale; ma ha nei suoi immediati dintorni il Santuario della SS. Trinità, all’altezza di più di 1300 metri.
Due
volte all’anno, il giorno della Trinità e quello di S. Anna, vi si
dirige un paziente e faticoso pellegrinaggio di abitanti delle vicine
vallate. Da tre versanti confluiscono i fedeli di quattro province,
cantando litanie per vincere la pena della dura salita. E sul piazzale,
una volta giunti, è una spontanea ed ingenua manifestazione, che
culmina nel "pianto delle zitelle" lamentano, con parole
tramandate da tempi lontani, la morte del Signore.
LUCIANO
ZEPPEGNO
Foto
G. Cristiani e G. Posasi Bellini, Roma |
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settimanale di notizie 9 maggio 1963 Clicca sulle miniature per ingrandirle!
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Il voto nelle campagne: quasi una festa paesana. |
Elezioni in paese: le "belle" di Anticoli al seggio. |
Il voto nelle campagne: quasi una festa paesana. |
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17 novembre 1996 (Grazie al nonno di Cecilia per questa segnalazione!)
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L’Italienne, il dipinto di Picasso del 1919 che ritrae una modella di Anticoli Corrado. |
Il paese, che sovrasta la valle dell’Aniene, è noto fin dai tempi del Grand Tour per la bellezza delle sue donne. |
Cento opere dal Simbolismo alla Scuola romana
di Margherita Moscogiuri
Londra. Già itinerario alternativo nel contesto del Grand Tour fin dal ’600, adesso tocca ad Anticoli Corrado di viaggiare all’estero, esportando per la prima volta la sua fama e la sua immagine a Londra. Con la mostra che si inaugurerà il 6 dicembre alla European Academy for the Arts.
Curata da Fabio Benzi, direttore del Museo comunale di Anticoli, l’esposizione ha l’ambizioso compito di illustrare agli Inglesi L’Arte italiana del XX secolo dal Simbolismo alla Scuola romana, oltre alla prestigiosa sorte di inaugurare l’attività espositiva della European Academy.
La rassegna, con più di cento fra dipinti e sculture, porta le firme dei più importanti autori del simbolismo italiano, quali Costa, Sartorio, De Carolis, Cellini. Comprende poi Felice Carena, maestro del realismo magico in Italia, Edita Broglio, che eccelle in ritratti surreali del paese e glaciali nature morte, Ferruccio Ferrazzi, uno dei maggiori esponenti del movimento Ritorno all’ordine, Pasquarosa, che da modella di Anticoli sposò il pittore Bertoletti e ne seguì le orme, e Arturo Martini, famoso scultore affascinato dal paese che maturò il suo stile ispirando i suoi capolavori.
Dalle sue lettere alla moglie la descrizione entusiasta del luogo dove visse a lungo: Ogni giorno arrivano pittori e scultori. Anticoli sembra una vera caserma di artisti dove ogni tanto uno rientra per lavorare per poi ripartire di nuovo verso il suo destino, o la gloria o la miseria.
Questo spirito da comune artistica improntò anche l’opera di Pirandello, Cavalli e Capogrossi, riconosciuti maestri della Scuola romana degli anni ’30: allievi di Felice Carena, ebbero il plauso di Sironi e l’interesse di Balthus e sono sostanzialmente rappresentati nella mostra con molte delle loro opere dall’inconfondibile tratto di una realtà ambigua e misteriosa, con aspetti poeticamente espressivi nonché suggestivamente esoterici.
Dal 6 dicembre al 12 febbraio 1997 sarà pertanto ricreata a Londra l’atmosfera artistica di questa feconda colonia di pittori e scultori che, pur stimolata dalla vicinanza di Roma, invitava all’otium latino tanto apprezzato anche da Poussin e Corot. Anch’essi nella lista degli ospiti di Anticoli Corrado.
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Il paese della bellezza. Dalla fine dell’Ottocento divenne meta prediletta di pittori e scultori, conquistati dal fascino del luogo e delle sue donne. Negli anni ’20 incantò Picasso, Arturo Martini, Carena, Capogrossi, Fausto Pirandello. Ora la capitale inglese gli dedica una mostra.
Le modelle di Anticoli Corrado adesso seducono Londra di Costanzo Costantini
Continua ad acquistare notorietà Anticoli Corrado, il paesino della provincia di Roma, fra Tivoli, Olevano e Subiaco, che trae il nome da Corrado di Antiochia, il capostipite della famiglia che ne fu proprietaria per alcuni secoli, dal 1300 alle soglie dell’età moderna.
Arroccato sul pendio di una collina calcarea che sovrasta la Valle dell’Aniene, a circa sessanta chilometri dalla capitale, pittoresco assemblage di palazzi, case e casupole dalle scale esterne fra vie strette e contorte, esso è celebre per la straordinaria bellezza delle sue donne, che ispirano da decenni pittori e scultori italiani e stranieri e che si ammirano ancora oggi in Piazza delle Ville, la piazza centrale del paese nella quale spicca la fontana firmata da Arturo Martini.
Nel gennaio scorso Anticoli Corrado fu al centro della cronaca internazionale per le vicende di cui fu protagonista e vittima Eric Hebborn, il pittore e falsario inglese che vi aveva da molti anni una casa nella parte bassa e che morì a Roma in circostanze misteriose. Ma prossimamente quello che è ormai noto come il paese delle modelle verrà più degnamente ricordato a Londra per la mostra di opere italiane del ’900 che verrà allestita, a partire dal 6 dicembre, nella sede dell’European Academy for the Arts.
Anticoli Corrado fu scoperta dai pittori e scultori che giungevano e soggiornavano a Roma sull’onda del Grand Tour e che vi erano attratti, oltre che dall’avvenenza delle donne, dallo splendore dei paesaggi circostanti. Vi sarebbe stato anche Poussin, che era vissuto a Roma per circa quarant’anni, sino alla morte avvenuta nel 1665. Ma è all’inizio e nel corso dell’Ottocento che Anticoli Corrado assurge a notorietà. Ai pittori e scultori stranieri si aggiunsero ben presto gli artisti italiani, che col tempo divennero sempre più numerosi. Oltre che sul posto, le ragazze anticolane si offrivano come modelle anche a Roma, in via dei Cappuccini e in via degli Artisti e soprattutto lungo la scalinata di Trinità dei Monti, presso via Margutta e l’Accademia di Belle Arti.
È rimasta leggendaria Michelina Falconi, detta Checchinella, la più affascinante modella di tutti i tempi, che negli anni giovanili avrebbe posato anche per Rodin. Fra gli altri s’innamorò di lei il pittore svedese Gunnarson, che prima di morire lasciò scritto ai suoi eredi: Aprite il mio cuore e vi troverete scritto Checchinella, la più bella e pura creatura che sia mai esistita. Se andate in Italia, non dimenticate Anticoli Corrado.
Anticoli Corrado conobbe il suo massimo fulgore nei primi decenni del ’900. Nel 1917 fu riscoperta da Picasso, che vi sostò nel suo pellegrinaggio verso Pompei e vi dipinse alcuni quadri di figura ispirandosi alle sue modelle. Il grande pittore spagnolo era giunto a Roma, il 17 febbraio di quell’anno, non già per ripercorrere il Grand Tour ma per raggiungervi la Compagnia dei Balletti Russi di Diaghilev, che si accingeva a debuttare al Teatro Costanzi, l’odierno Teatro dell’Opera. Diaghilev lo aveva chiamato perché eseguisse il sipario, le scene, i costumi e le costruzioni di Parade, il balletto di Cocteau, Massine e Satie che andò in scena il 18 maggio al Théâtre du Châtelet, al rientro della Compagnia a Parigi.
Durante il suo soggiorno romano, Picasso, che alloggiava all’Hôtel de Russie, in via del Babuino, e aveva preso uno studio in via Margutta (forse al n° 53) si tratteneva spesso in piazza di Spagna per ammirare le modelle anticolane che sfoggiavano la loro bellezza lungo la scalinata di Trinità dei Monti (alcune di esse, oltre che proporsi come modelle, vi vendevano i fiori.) La sua Italienne indossa il costume di quelle modelle, inclusa la tovaglia bianca inamidata sulla quale posavano all’occorrenza il cercine che sorreggeva la conca di rame.
Picasso diede ad Anticoli Corrado una fama inaudita, di gran lunga maggiore di quella che gli avevano dato Corot, Rodin e altri artisti stranieri. Negli anni ’20 incominciarono a recarvisi o a soggiornarvi un po’ tutti, da Giulio Aristide Sartorio a Ivan Mestrovich, da Amedeo Bocchi ad Attilio Torresini, da Felice Carena a Cipriano Efisio Oppo, da Arturo Martini a Virgilio Guzzi. Felice Carena vi aprì, durante la stagione estiva, una scuola che ebbe tra i suoi allievi Cavalli, Capogrossi, Fausto Pirandello, nonché molti giovani del posto, che abbandonarono l’aratro o il gregge per avviarsi alla pittura (fra i più noti, Carlo e Mario Toppi, che dipingevano pastori, angeli, santi e madonne; il figlio di Mario, Bibino, fa ora con successo il pittore a Parigi.) Successivamente vi soggiornò anche Nino Bertoletti, il pittore che godeva dell’ammirazione, eccezionale, di De Chirico e che sposò la modella anticolana Pasquarosa Marcelli.
Negli anni ’30 si stabilì ad Anticoli Oscar Kokoscka, che vi si incontrava con Fausto e Luigi Pirandello e che vi si fece uno studio in un locale sotto i tetti dal quale riprendeva figure e paesaggi, e che fu poi ereditato da Giorgio Marylski, il pittore polacco che ritraeva uomini, cose e paesaggi sotto aspetti spettrali, d’un espressionismo feroce.
Nella mostra che Anticoli Corrado ospitò nel 1959 per celebrare i centocinquant’anni della sua vita artistica, figuravano opere di pittori e scultori di ogni paese, dal russo Jean Sansem al cinese Chen Shoo Soo. |
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supplemento del quotidiano La Repubblica 15 dicembre 2005
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1. I paesaggi suggestivi di Anticoli, Cervara e Olevano e le opere d’arte dell’Ottocento e del Novecento "regalate" da pittori europei. |
2. Un mural di Cervara di Roma. |
3. Il territorio. |
4. Nel paradiso perduto dei Romantici: Anticoli, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea; Olevano Romano, Museo-Centro Studi, all’interno di Villa De Pisa. |
5. Una veduta di Cervara di Roma. |
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6. Il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Anticoli. |
7. L’Italienne di Picasso e la Fontana delle Naiadi in Piazza della Repubblica, a Roma. |
8. Il Museo "all’aperto" di Olevano Romano. |
9. Anticoli. |
10. Il Bosco della Serpentara. |
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11. Una targa in memoria di Adrian Ludvigh Richter nella Villa Serpentara. |
12. La Scalinata degli Artisti di Cervara di Roma. |
13. Arsoli. |
14. La gola del Fosso Bagnatore. |
15. Scultura sulla Scalinata degli Artisti di Cervara di Roma. |
I
vicoli degli artisti
Alla scoperta di Anticoli, Cervara Romana e Olevano Romano, tre paesi che furono amati da pittori europei, soprattutto tedeschi, che qui vissero e soggiornarono tra Ottocento e Novecento. Creando una impareggiabile collezione di opere d’arte custodite nei musei ma visibili anche per le strade e nelle piazze.
testo di Isa Grassano – foto di Marco Scataglini
Gli Inglesi arrivarono ad Anticoli tra Ottocento e Novecento, attratti dall’atmosfera bucolica del paesaggio della valle dell’Aniene e dal fascino delle donne che vi abitavano.
Il paese di Anticoli è posto su uno sperone roccioso e viene sù a schiera, con scalinate che si rincorrono e vicoli che s’intersecano.
Valentina ha capelli corvini, occchi scuri, sorriso enigmatico, forme generose. Riflette nei tratti le caratteristiche delle sue antenate, quelle donne di Anticoli Corrado che conquistarono per la loro bellezza una gran quantità di pittori, scultori, incisori, provenienti da ogni parte d’Europa. Di certo sarebbe stata una perfetta modella per Corot, Lendorff e gli altri che qui s’insediarono, fra ‘800 e ‘900, attratti dall’atmosfera bucolica del paesaggio della valle dell’Aniene e dal fascino di queste vere e proprie icone femminili. Molte divennero poi le loro mogli, tutti divennero buoni amici. “Trovammo negli abitanti di Anticoli una cordialità e una gentilezza impareggiabili di cui eravamo incantati...” Così scrisse Augusto Corelli nel 1918 e questo ben sintetizza i rapporti amichevoli che s’instaurarono tra la popolazione e gli artisti, ribattezzati ngrisci, inglesi. Quello di Anticoli fu un vero e proprio fenomeno artistico. I primi ad arrivare furono i Nazareni di Cornelius e di Overbeck, cosi chiamati perché nelle sembianze - capelli lunghi e barba incolta - ricordavano il Cristo e soprattutto perché riconducevano la pittura alle aspirazioni cristiane. Gli ultimi furono curiosamente gli italiani, con in testa Nino Costa. Poi fu la volta dei grandi paesaggisti della Campagna Romana, come Cesare Pascarella, De Carolis. Tra gli altri Fausto Pirandello (nipote dello scrittore) che sposerà l’anticolana Pompilia D’Aprile. Persino Picasso soggiornò brevemente in paese nel 1917. Gli artisti affittarono vecchie stalle trasformandole in studi. Nel 1935 un censimento ne contava ben 55. Oggi non esistono piú gli studi aperti (anche se c’è un progetto per il recupero di queste strutture da destinare a giovani borsisti, finanziati dalla Comunità Europea, e vi è il Sentiero delle Modelle, un percorso panoramico sui monti Ruffi, che porta dal centro storico agli ex-laboratori) né vi sono le colonie italiane e straniere di un tempo, ma la tradizione è ancora viva: molti pittori raggiungono Anticoli Corrado, ne dipingono la piazza, i paesaggi, rapiscono lo sguardo sfuggente di una bella fanciulla. Del resto il paese, posto su uno sperone roccioso, continua a sedurre per la sua particolare archittettura: viene su a schiera, con scalinate che si rincorrono, vicoli che s’intersecano, un luogo ideale per una “pittura dal vero”. A raccontare i grandi trascorsi artistici del territorio è la toponomastica (ogni strada porta il nome di un maestro dell’arte) e soprattutto il Museo di Arte Modema e Contemporanea, in un palazzo del 1500 (sempre aperto, ingresso gratuito, 0774-936657) che dal 1935, anno della sua istituzione, raccoglie circa 500 opere tra sculture e dipinti di artisti che hanno operato ad Anticoli. Ed è spesso il direttore Marco Occhigrossi a fare da guida tra i tanti capolavori esposti. Tra questi - solo per citarne qualcuno, ma l’elenco sarebbe lunghissimo - una Natura morta (1933 circa) di Fausto Pirandello o La Crocifissione, un pastello sempre dello stesso autore; o ancora La Leonessa, di Giulio Sartorio (1924). Di rilievo anche le opere del pittore piemontese Felice Carena (1879-1966) che frequentò Anticoli fmo al 1924. Divenuto professore universitario a Firenze, pare fosse solito consigliare ai suoi allievi di recarsi a dipingere in questa valle, perché “avrebbero trovato i quadri già belli e fatti”. Dello stesso parere è anche la pittrice Sibilla Parricchi. Il Museo espone il suo acquerello Villa De Quintili (sull’Appia Antica a Roma) ma anche l’alta Valle dell’Aniene è di frequente il soggetto delle sue scene dipinte su tela. “Anticoli,” racconta, “è davvero perfetta così come si presenta, ma è anche il paese dove è nata e vissuta la mia nonna paterna e che ho frequentato sin da piccola. I paesaggi che riprendo sono quindi guidati dall’amore per la mia terra”. Mostre, rassegne, iniziative culturali si susseguono per tutto l’anno qui ad Anticoli Corrado.
Anche il paese di Cervara di Roma vanta una magnifica posizione: arroccato a nido d’aquila a mille metri nel gruppo dei Monti Simbruini.
Ovunque,
a Cervara di Roma, gli artisti si sono inseriti con discrezione nel
paesaggio lasciando una propria testimonianza
Ma intrecciare i percorsi d’arte è anche la vocazione di Cervara di Roma, a poca distanza. Rispetto ai “soliti” borghi vanta la marcia in più di un’offerta culturale decisamente inconsueta per un centro di dimensioni cosi ridotte: poco piú di 170 abitanti (non vi sono scuole, i bambini frequentano quelle di Subiaco). Un asso nella manica cui si aggiunge la magnifica posizione, arroccata a nido d’aquila a oltre mille metri nel gruppo dei Monti Simbruini, il silenzio e la mancanza di traffico: in tutto il paese non si può accedere con le auto (è fatto di scalinate ripide e strette). Tutti motivi che nel 1991 sono valsi il diploma di Villaggio Ideale d’Italia, conferito dalla rivista Airone con il Patrocinio della Comunità Europea, riconoscimento del quale i Cervaroli vanno orgogliosi. Di Cervara ha scritto anche il poeta Raphael Alberti (mentre l’osservava da Anticoli, trascorrendo gli anni dell’esilio dalla Spagna di Franco): “Cervara vive sola, scolpita in cima a una montagna di pietra. È una scultura nel cielo, che al cielo volerebbe se l’aria la sostenesse.” Scultura di nome e di fatto: la roccia calcarea (dalla quale le case sembrano precipitare a strapiombo sulla piazza) è stata interamente modellata agli inizi degli anni ‘80) dagli allievi dell’Accademia di Firenze sotto la guida del professor Vincenzo Bianchi. Su questa “pagina di pietra” (definita nel 1991 la Montagna d’Europa e dedicata alla pace nel mondo) è stato realizzato un ciclo scultoreo di innegabile fascino: colombe, serpenti, gufi, simboli di fratellanza. A questi allievi si deve anche la Scalinata degli Artisti che collega la piazza Giovanni XXIII, a valle (dove si può parcheggiare) alla piazzetta centrale dd borgo. Qui si trova l’ultima opera, in ordine di tempo: è un bassorilievo in ceramica, realizzato da Fabio Piscopo nel 1995. Ovunque ci sono opere, murales, dipinti che occhieggiano tra le minuscole case di pietra, le stradine acciottolate, i numerosi archi. Con rispetto e discrezione gli artisti si sono inseriti nell’ambiente, lasciando una propria testimonianza. Ci sono anche le note di Ennio Morriconi (sulle pareti è riportato uno spartito), il murale dedicato a Giovanni della Prugna, trucidato dai nazisti, i pensieri di Giuseppe Ungaretti, Sentimento nel Tempo, o la poesia Il Tramonto, di Nadia Nencioni, in memoria di questa bambina di nove anni, una delle vittime della strage di via dei Georgofili a Firenze. Come non ricordare, però, che Cervara già dai primi anni dell ‘800 é stata meta di artisti stranieri e non: Ludwing Adrian Richter (fece del paese un disegno a penna, attualmente nel museo di Dresda Kupfrest), Ernest Hèbert, Aldo Riso, Giuseppe Ciotti (a lui si devono gli affreschi nella piazzetta). Per ritrovare tutte le opere, che si rincorrono l’un l’altra, basta seguire il percorso che porta ai resti della rocca. Da quassù si ha la stessa sensazione che ebbe nel 1830 Samuel Morse (famoso più come scienziato che come pittore) quando scrisse: “C’è qualcosa di stranamente maestoso nella calma di un posto come questo. Vi regnava per lo piú un silenzio perfetto.”
Il paesaggio di Olevano Romano mantiene ancora quello che Kock, il suo “scopritore” definiva “un carattere primitivo.”
Altro paese meta prescelta dei pittori, per lo piú tedeschi, è Olevano Romano, che sorge su di uno sperone alle falde dei Monti Ernici. Fu Joseph Anton Koch (1768-1839), d’origine tirolese, l’autentico scopritore artistico quando vi giunse nel 1795. Le sue opere della serie delle Vedute Romane, insieme a quelle di tanti altri che di qui sono passati (vengono esposte a rotazione in un numero di sessanta per volta) sono conservate nel Museo-Centro Studi, all’interno di Villa De Pisa (gestito dall’Associazione Amici del Museo di Olevano, AMO, viale Vittorio Veneto, 25; aperto su prenotazione, 338-3877663). Alle pareti i quadri di Heinz Hindorf (1909-1990): disegni e stampe che raccontano la vita della zona: i contadini al lavoro, l’ozio dei giovani nullafacenti, la piazza del Mercato. Una serie di quadri fatti con mezzi poveri: matite, carboncino. Alcuni sono addirittura doubleface, lavorati avanti e dietro perché l’artista non aveva la disponibilità di molta carta. Non mancano le donazioni di artisti tedeschi che soggiornano a Villa Serpentara e Casa Baldi. All’uscita del museo vale la pena concedersi lunghe passeggiate alla scoperta del paesaggio, che mantiene tuttora un “carattere primitivo come quello che s’immagina leggendo la Bibbia oppure Omero” come scrisse Koch. Allora era un’attrattiva irresistibile per questi romantici con un occhio sempre volto verso un’Arcadia oramai perduta, ma sempre ricercata. Oggi un’attrativa per quanti sono alla ricerca di un’autentica semplicità.
Modelle e asini
I modelli e le modelle anticolane (dopo un po’ “mettersi in posa” divenne un vero mestiere, tanto che molti, spinti dalla povertà, raggiungevano Roma, dove, all’Accademia delle Belle Arti di via Ripetta, negli studi di via Margutta e di vllla Strohl-Fern, posavano per gli stessi artisti conosciuti al paese) sono presenti in numerose opere nella capitale ed in molti musei del mondo. Ad esempio l’Italienne di Picasso, del 1917, conservata a Zurigo alla Fondazione E.G. Buhrle, potrebbe essere stata ispirata da una modella anticolana, così come La Processione di ragazze anticolane di Stuckelberg, conservata a Basilea. Lo scultore Mario Rutelli si servì del modello anticolano Sisto Belardi per rafflgurare il Tritone della fontana delle Najadi in piazza della Repubblica a Roma. Ma non solo uomini e donne che avevano un gran classe come dote naturale. Gli anziani riferiscono che anche gli animali, asini, cani, muli, diventano soggetti da ritrarre. “Vedi là, signor compare, il mio asino?” si legge in un libro di Orazio Amato del 1948. “Un pittore straniero l’ha ritrattato addirittura turchino e con un occhio solo, rosso, spalancato in mezzo alla fronte».
Olevano Il museo all’aperto
Il paese di Olevano Romano è stato riletto anche dall’arte contemporanea. Sono stati chiamati alcuni giovani artisti per ambientare le opere del futuro. È nato cosi un museo aperto all’aperto, il cui curatore è Francesco Ruggero, con lavori originali posti su dei quadrati o rettangoli di pittura, giallo, verde, ocra, (che abbelliscono un muro di cemento all’uscita della galleria d’ingresso al paese) realizzati da artisti di tutto il mondo, a testimoniare un linguaggio globale, tramite l’arte. L’intera produzione è eseguita con tecniche che resistono nel tempo: la ceramica fino alla terza cottura, la pietra, il mosaico, poi è stata incastonata nel muro. Tra i cento scultori ricordiamo Gianpaolo Berto, Adriano Di Giacomo, David Ovidi, Bruno Aller, Saverio Cecere, Silvio Craia, Genti Gaxho, Donato Unzalata. Ma il museo è un work in progress, altre installazioni sono previste, in altre vie del paese, per il 2006.
Natura Il bosco della Serpentara
Pochi chilometri fuori del paese di Olevano Romano, in direzione di Bellegra, é possibile visitare il Bosco della Serpentara (solo su prenotazione, 06-4425931): in cima a un piccolo colle, il bosco è costituito da grandi querce e imponenti massi di roccia calcarea, intorno ai quali serpeggiano piccoli sentieri (da cui il nome.) Proprio queste querce, cresciute sulle nude rocce, divennero il modello di bosco preferito e più spesso studiato dai Romantici, che nel 1873 raccolsero fondi tra artisti tedeschi e italiani per acquistarlo, allorché se ne minacciò il diboscamento. Sono visibili, su alcuni dei massi, i nomi incisi dei pittori che vi sono passati. Tra questi spicca Koch. A lui si deve anche la prima rappresentazione del bosco, che diventerà un’autentica icona del paesaggio italiano, al punto che oggi in moltissimi musei europei si trovano dipinti che lo immortalano, magari sotto mentite spoglie. È stato anche utilizzato come sfondo per scene epiche o bibliche ed ha ispirato artisti visionari come l’illustratore Gustavo Doré (1832-1883) nelle famose incisioni a commento della Divina Commedia. Ma l’entusiasmo che le vetuste querce seppero suscitare nell’animo sensibile di quei pittori Nazareni è ben sintetizzato nelle parole che Adrian Ludwig Richter scrisse negli anni ‘20 del XIX secolo: “Corremmo, senza fiato, verso la Serpentara, di cui avevo sentito parlare: é veramente il pezzo di terra che sembra creato apposta per i pittori!”. Fa parte del patrimonio inalienabile della nazione tedesca ed è gestito dall’Accademia Tedesca di Villa Massimo a Roma, Istituzione di grande prestiglo e benemerita nel campo della promozione dell’Arte (ospita per un anno dieci artisti, tra compositori, scrittori, poeti e architetti). L’Accademia gestisce anche Villa Serpentara, a ridosso del bosco, e Casa Baldi, poco distante, più volte riprodotte nel quadri e dove gli artisti vivevano quando venivano ad Olevano. Ancora oggi vi lavorano due borsisti tedeschi, che possono soggiornarvi per periodi di tre mesi.
Perdersi nella natura
Per chi ha voglia di natura, l’ideale è il sentiero attrezzato del Pozzo del Diavolo (si deve andare verso il bivio per Subiaco e quindi verso Arsoli, e seguire le indicazioni per Cervara sino ad incontrare, in corrispondenza di un ponticello, il cartello che segnala l’inizio del sentiero). Non molto lungo (circa 800 metri) ma abbastanza ripido (dislivello 175 metri), il sentiero, in circa un’ora e mezza, consente di fare la conoscenza di uno splendido ambiente di forra carsica creato dal Fosso Bagnatore, che, scendendo a Riofreddo, ha scavato la roccia intorno al Castello Massimo di Arsoli. Nella gola ci sono spettacolari giochi d’acqua e numerosi esemplari plurisecolari di leccio, peccato solo per un po’ di rifluti, che contribuiscono a rovinare la sensazione di wilderness! Subito dopo un ponticello di legno, il sentiero sale in modo deciso lungo il fianco destro della gola mostrando begli scorci sul corso d’acqua sino ad un prato dove sono sistemati dei tavoli da picnic. Da qui in pochi minuti si arriva a due caratteristici pinnacoli di roccia, oltre i quali si sbuca nella parte alta (e nuova) del paese. |
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18 dicembre 2006
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I primi anni del ’900
Brevi storie di pittrici romane
di Pico Floridi
I primi nomi che vengono in mente nel citare le artiste romane dell’inizio del ’900 sono Pasquarosa, Deiva De Angelis, Antonietta Raphaël Mafai. Pier Paolo Pancotto1, nel suo Artiste a Roma nella prima metà del ’900 (Palombi, pp.255, euro 15) ci aiuta ad allungare di molto questa lista raccontandoci di Leonetta Cecchi Pieraccini, di Benedetta, di Bice Lazzari e di una successione inaspettatamente ricca di artiste che arriva fino a Carla Accardi. Il libro compila il regesto delle mostre romane in cui figurano artiste negli anni compresi fra il 1913 e il 1948. Malgrado le riserve che una tale divisione di genere comporta, ne contiamo quasi duecento. Dai cenni biografici si scopre che pochissimo si sa di molte di loro. Alcune sono modelle, prima che pittrici.
Pasquarosa viene da Anticoli Corrado ― dove nel 1935 si contano 55 studi di pittori attratti dalla bellezza delle ragazze locali ― e posa per molti artisti, fra cui Felice Carena e Nino Bertoletti, che diventerà suo marito. Stesso destino per Deiva De Angelis, che nel 1921 si ritrae in abiti maschili e sigaretta in bocca: arriva da Gubbio o da qualche paese vicino, ma di lei non si sa nemmeno la data di nascita esatta. Sono ragazze senza passato e senza sapere che colgono gli stimoli culturali suscitati dall’incontro con gli artisti e affidano le loro scoperte a pennelli e colori.
Le loro biografie sono ricostruite all’inverso, a partire dalle mostre e dalla curiosità che le loro opere suscitano, in un’epoca in cui tutte le signore e signorine di una certa educazione dipingono. Scopriamo vicende curiose, come quella di Maria Morino, che prima è attrice e poi inizia a ricamare le opere del marito, Alberto Savinio. Sono molte anche le foto delle artiste e delle loro opere, la più stravagante quella di una sorridente Antonietta Raphaël Mafai in piedi su una pelle di leopardo, con un grande tappeto messo come sfondo di un quadro già incorniciato, che lei ― tavolozza e pennelli in mano ― sta ancora dipingendo.
1. Autore anche di Pittrici nella Valle dell’Aniene, catalogo (edito dalla Iter di Subiaco) dell’omonima mostra da lui curata nel 2004 per il Civico Museo d’Arte Moderna di Anticoli Corrado. (Nota di ScuolAnticoli). |
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16 novembre 2007
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Il paese dove le contadine posavano per Picasso e Rodin
di Marco Cicala - foto di Chris Warde-Jones
(Clicca sulle immagini per ingrandirle!)
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Il Corriere della sera 24 novembre 2018
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Pirandello jr, ispirato da Cézanne
di Sebastiano Grasso
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