Il Concerto di Natale della
Banda del Ponte di Anticoli
e Roviano
Il bellissimo Concerto di Natale della Banda del Ponte di Anticoli Corrado e Roviano nella chiesa di Santa Vittoria ad Anticoli il 26 dicembre 2017.
Quarantacinque minuti di emozioni!!!
Con il Complesso Bandistico Ponte sull’Aniene di Anticoli Corrado e Roviano, il Complesso Bandistico Santa Cecilia di Anticoli Corrado, il Complesso Bandistico Gioacchino Rossini di Roviano e tutti i bravissimi musicisti che onorano e allietano i nostri due Paesi! E con Carmine Toppi, che ha fatto le riprese.
I bambini sentono la falsità. Diffidano e hanno paura degli adulti
insinceri. Provano ribrezzo per una carezza ipocrita. E distinguono alla
perfezione la falsità “recitata”
(cioè la finzione, nel gioco o nello spettacolo) da quella di chi è
falso davvero.
Tutti i bambini, a
riprova del fatto che nessuno nasce insensibile. Che ogni essere umano,
per natura, percepisce in ogni altro anche quel che non si vede né si
tocca, e che la ragione non calcola né può misurare.
Poi, col
tempo, non
resistendo al dolore loro inflitto da adulti anaffettivi,
alcuni lo diventano anch’essi. Pèrdono la naturale capacità di sentire
la differenza tra il falso e l’autentico. Anzi: nemmeno la capiscono
più. Se gli si dice che le azioni e le opere, quando non esprimono ma
nascondono e contraffanno la realtà umana di chi le compie, sono
ripugnanti e malsane pur se tecnicamente “perfette”,
anche solo comprenderlo razionalmente è per loro impossibile.
Cosa rimane, a quel
punto, del rapporto con gli altri? La valutazione razionale della loro
utilità. E del rapporto con ciò che gli altri fanno? La valutazione
razionale della sua perizia tecnica. Dell’abilità
con cui viene eseguito.
In questo, anzi, si può
diventare
“intenditori”
così esperti, critici così “raffinati”,
da illudersi di essere in contatto con quel che si esamina anche se
invece, dinanzi a esso, non si sente più niente.
Un’opera
d’arte, per esempio, come un abbraccio, può dare piacere o ribrezzo,
gioia o dolore. Ma non agli attuali “esperti”.
Né tanto meno a chi non può ribellarsi alla loro tirannia perché non ha
più sentimenti né affetti che gliela rendano insopportabile.
Non vi è imitare che non sia schernire,
consapevolmente o meno.
L’adorazione del passato, come ogni altra fede, è
creazione, imposizione e adorazione del falso.
(Luigi Scialanca)
Nel bellissimo scritto di Birgitt Shola Starp
Hebborn, Alegre, Dietrich, Starp... vite intrecciate
di artisti in Anticoli Corrado,
pubblicato su Aequa n°34 nel luglio 2008, vi
è soltanto una frase con cui non sono d’accordo,
l’ultima: “Affido
al flusso cristallino della Vita Vera questi ricordi
e questi cari morti, sperando che dal loro stato
illuminato possano dare impulsi vitali e pieni di
gioia e amore ad Anticoli Corrado, che tanta magia
ha ispirato e vissuto”.
Non voglio intromettermi nel rapporto di Birgitt con
i suoi “cari morti”. Sarebbe insensato, oltre che
violento. Quel che non accetto è l’idea che essi
(sia pure dall’attuale loro “stato illuminato”,
ovunque siano o non siano) possano offrire ad
Anticoli Corrado “impulsi vitali e pieni di gioia e
d’amore”. Eric Hebborn, specialmente, secondo me ha
inflitto ad Anticoli, e non solo ad Anticoli,
“impulsi” non “vitali” ma distruttivi, e pieni non
certo “di gioia e d’amore”, ma di disperazione e
odio. E mi pare che continui a farlo, anche da
morto, dallo stato molto poco illuminato che creò
per sé nelle menti di certi Anticolani, per i quali
il suo ricordo è ancora oggi tanto prezioso quanto
incompreso.
Il rapporto in cui voglio intromettermi, dunque, è
quello di Eric Hebborn (e dei suoi “seguaci” di
allora e di oggi) con l’umanità, con la donna, con
l’arte, con Anticoli Corrado. Per estinguere, una
volta per sempre, gli “impulsi” che tale rapporto ha
imposto e seguita a imporre a noi tutti.
Le parole appassionate e sincere di Birgitt Shola
Starp lo dicono chiaramente: Eric Hebborn cercò di
distruggerla, come donna e come artista. Perché?
Perché odiava le donne. Odiava l’arte. Odiava,
soprattutto, l’umanità. Eric Hebborn non fu mai un
vero artista, ma per tutta la vita finse di esserlo
per spacciare il proprio odio per amore. E fu
Anticoli, piccola e indifesa come Birgitt allora,
che odiò più di qualsiasi altro luogo: fu ad
Anticoli che cercò per trent’anni di falsificare e
distruggere il rapporto con l’arte sul quale si
basa, da secoli, la nostra speranza e la nostra
lotta per serbarci umani.
“Ci volle un anno e mezzo” scrive Birgitt “prima che
Eric Hebborn mi rivolgesse la parola personalmente,
anche se ogni giorno frequentavo la sua casa” [in
qualità di compagna dell’artista Manfred Dietrich].
“Allora non avevo la minima idea della natura dei
suoi introiti né della sua attitudine a condurre una
doppia vita: ingenuamente lo consideravo un amico e
un artista”. “Le [sue] lezioni furono una grande
tortura, per me. [...] La mia gioia del dipingere e
la passione per i colori scomparvero. [...] Il [suo]
modo accademico di fare arte violentò la mia indole,
il mio approccio alla creazione dell’immagine, che
era sempre partito [...] da un forte senso di
attrazione affettiva per i soggetti”. “Mi fu così
ostico sottostare alla sua disciplina e
rappresentare quei soggetti banali, che non dipinsi
addirittura più. Ancora oggi [2008], per me, è una
sfida enorme riprendere i pennelli: mi si bloccò
l’accesso ludico, personale, passionale ai colori”.
“Ero arrivata a vent’anni ad Anticoli, già piena di
artisti rinomati e di vent’anni più vecchi di me.
[...] Io, con talento e abilità ma compagna di un
artista, dovevo essere... solo compagna. Manfred non
incoraggiava la vendita delle mie opere ai suoi
clienti. Anzi: se diventavo sua collega, andava in
crisi”. “Quando mostrai a Eric Hebborn il mio libro
di schizzi, realizzati nei cinque anni di convivenza
con Manfred, mi disse con durezza e disprezzo che li
avevo fatti solo per fare colpo”.
Un comportamento così disumano contro una ragazza di
vent’anni, “colpevole” solo di crederlo “un artista
e un amico”, da dove poté scaturire se non da un
odio forsennato per tutte le donne?
Birgitt, nel suo scritto, se lo domanda: “Cosa mai
era stato a suscitare in lui quella lettura contorta
dei miei lavori?” Ma non risponde. Eppure intuì,
forse senza rendersene conto, che Hebborn cercava di
distruggere, in lei, la donnache le
rappresentava tutte: tutte le splendide, vitali,
appassionate, immaginose, intelligenti donne delle
quali non tollerava l’esistenza.
Tant’è vero che decise di lasciare Anticoli, oltre
che per sottrarsi alla mortale fascinazione di
quell’odio e ritrovare sé stessa, per dedicarsi a
una ricerca sull’immagine femminile:
“Nell’accademia olandese di Kampen [...] andai
avanti da sola nelle sale deserte, fuori orario,
incoraggiata da un professore che riconobbe la mia
ricerca. [...] In assenza di punti di riferimento,
iniziò [per me] una lunga serie di apparizioni
tematiche sugli archetipi femminili. Per decenni
svolsi ricerche storiche, antropologiche, di fiabe,
religioni comparate, iconografia religiosa
internazionale, simbologia, psicologia junghiana,
storia dell’arte, [...] per orientarmi in questa
nuova, strana forma di espressione che mi scaturiva
tra visione, sogno e ricerca formale e materica, e
che non seguiva alcun canone stilistico e tecnico
appreso fino ad allora”.
E la ricerca ebbe successo: Birgitt uscì dal nefasto
“cono d’ombra” di Hebborn, e nel 1993 ne diede prova
con la mostra Archeologia del seme, inizio di
un nuovo, personale cammino che a distanza di un
quarto di secolo continua a esserle fecondo di
scoperte e di realizzazioni.
Rifiutando Hebborn, come donna e come artista,
Birgitt Shola Starp non è fallita. E del
proprio successo ha offerto ad Anticoli la mirabile
prova che l’Amministrazione Meddi volle porre
all’ingresso del Comune che ci rappresenta tutti: la
Danza delle anime gemelle.
E Anticoli? Quali effetti ebbe, sulla collettività
anticolana, la trentennale “intossicazione” a cui fu
sottoposta dalla fucina d’odio di Eric Hebborn e
della sua corte degli anti-miracoli?
Una cosa è certa: ad Anticoli, che con l’immagine
femminile aveva e ha non pochi e non piccoli
problemi, l’odio di Hebborn non poteva far bene, e
non gliene ha fatto.
Ma
c’è di più. Eric Hebborn, ripeto, non odiava “solo”
l’immagine femminile: odiava anche Anticoli. Ed è
ovvio: non poteva non odiarla, perché
l’immagine di Anticoli è femminile. È
l’immagine che le diedero le modelle anticolane1,
alcune delle quali artiste esse stesse, e i pittori
e gli scultori ― veri, non fasulli ― che alle donne
di Anticoli si ispirarono perché le amarono. Poiché
ebbero, per Anticoli e per le Anticolane, il “forte
senso di attrazione affettiva per i soggetti” di cui
parla Birgitt.
Delle
seicento pagine dell’Autobiografia di un falsario,
Hebborn ne dedica ad Anticoli Corrado, dove
trascorse metà della sua vita, appena l’un per
cento, vale a dire 6 (sei). Ma dire “dedica” è
mistificante: in quelle pagine Anticoli è tutt’al
più nominata, e sempre con irrisione. Chiamando le
modelle “paesane” e sùbito disinteressandosene. O
trattando da disonesti gli Anticolani che
percepirono compensi dai produttori del film Il segreto di Santa
Vittoria.
O invocando il “perdono di Dio” su Arturo Martini e
sulla sua fontana in Piazza delle Ville2.
Perché?
Anche questo è ovvio: poiché l’immagine vera
di Anticoli è femminile e artistica. Ed Eric
Hebborn non odiava “solo” le donne: odiava anche
l’arte. Non lo dico io: lo dice, senza volerlo,
proprio l’Autobiografia di un falsario. Lo
dice, insomma, la storia di tutta la sua vita.
La
carriera “artistica” di Hebborn, infatti, ― al pari
della sua vicenda umana e dei suoi rapporti, tutti
imperniati sull’annullamento della donna3
― si basò sull’annullamento, in blocco, dell’arte
novecentesca. Cioè sull’annullamento di tutta
l’arte, poiché (così come ogni essere umano non è
quello che fu o sarà, ma quello che è nel presente),
l’arte non è mai la sua storia, il suo passato, ma
sempre la sua ricerca, la rotta attuale della
sua navigazione attraverso l’Oceano infinito
dell’Umanità. Da dove essa viene è molto importante,
certo. Ma quel che l’arte è oggi è dove sta
andando.
Per Eric Hebborn, la ricerca artistica del ’900 ―
cioè, ripeto, tutta l’arte ― non esisteva.
Non era arte. Ma se non era arte, che cos’era?
Niente. “Amare” l’arte, per Hebborn, consisteva nel
renderla inesistente tutta “pensando” che
l’arte abbia cessato di esistere alla fine dell’800.
Ora,
la gravità di tale annullamento non la può
comprendere, nemmeno alla lontana, chi ignora che
annullare non significa “mancare d’interesse”,
“trascurare”, “distrarsi”, “dimenticare”. Non è
“respingere” un rapporto. L’annullamento4
è odio attivo, ancorché inconsapevole, nei
confronti della realtà umana di cui sono pieni
tutti i rapporti e tutte le attività
umane. Nei confronti, cioè, di quel che rende umani
tutti noi e dell’individuale vissuto umano di
ognuno. È, per esempio, trattare una donna come se
sia nulla, come fece Hebborn con Birgitt, senza
neppure accorgersene, e anzi continuando a credersi
e a farsi credere in rapporto con lei. È, insomma,
stroncare la realtà umana non fisicamente, con la
violenza materiale, ma bensìrendendola
inesistente. Inoculando anche negli altri il
proprio “pensiero” gravemente patologico che essi
non esistano umanamente: che siano, umanamente,
nulla.
In quali altri? Viste le “ambizioni” di
Hebborn, nella collettività umana: in tutto il
pianeta. Vista, invece, l’effettiva portata patogena
della sua azione, nella collettività anticolana.
In una collettività, cioè, la cui esigenza era ed è
l’esigenza opposta di essere aiutata a
uscire dall’annullamento. A sentire che
la donna esiste. Che esiste l’arte. Che esiste
l’umanità.
Scaltramente ― anche se forse inconsapevolmente ―
Eric Hebborn dissimulava il proprio odio per l’arte
professando un amore appassionato per l’arte de
’na vota (“di una volta”, in dialetto
anticolano): per l’arte “classica”. Per i grandi
maestri del passato e per le loro opere.
Amore vero? No.
Che amore è, infatti, quello che per tutta la vita
si dedica a svalutare l’amata imitandola,
contraffacendola, falsificandola, e in tal modo
instillando in lei e in tutti un dubbio tormentoso
sulla sua validità umana e sulla sua bellezza? Non è
amore: è, ancora una volta, puro odio.
(Birgitt Shola Starp lo dice: “Eric Hebborn era
troppo pieno di angosce per essere autentico: la sua
autenticità gli avrebbe fatto produrre mostri come
quelli che Goya dipinse nella Casa del Sordo”. Ma
Birgitt, benché individui esattamente la malattia,
sbaglia la diagnosi: Hebborn era falso non
perché altrimenti avrebbe dipinto mostri, ma perché
la sua azione mostruosa ― antiartistica,
antifemminile, antiumana ― non poteva compiersi che
per mezzo del falso).
Egli, dunque, non cercò di rendere inesistente
“solo” l’arte del ’900. Falsificando l’arte
“classica” fece sì che ancora oggi, dinanzi a
qualsiasi opera, ognuno si ritrovi dolorosamente
a domandarsi: “Sarà autentica o di Hebborn?” “Sarà
originale, o di qualche altro falsario come
Hebborn?” “C’è umanità, in questa opera,
appassionata e sincera, o invece il nulla?” “C’è
umanità, negli artisti, o solo finzione e raggiro?”
“C’è umanità, in ognuno di noi, o solo un’ignobile
commedia?”
Questo
e non altro è il “pensiero” sull’arte e sull’umanità
che Eric Hebborn ha diffuso per tutta la vita
ovunque ha potuto. E in particolare, per trent’anni,
in Anticoli Corrado.
Da Eric Hebborn, le Anticolane e gli Anticolani
subirono per trent’anni un attacco continuo, oltre
che al rapporto con la donna, al rapporto con l’arte
(e quindi con l’umanità). Da un lato attraverso
l’annullamento della ricerca artistica del ’900,
dall’altro attraverso la falsificazione dell’arte
classica. Come odio per l’una, e come scherno
(poiché imitare è sempre schernire) per
l’altra.
E oggi?
Oggi, da oltre vent’anni, Hebborn non c’è più. Ma ci
sono ancora i suoi “seguaci”.
“Grazie” ai quali Anticoli, se un problema ha, è
proprio l’annullamento della ricerca (nel
presente e per il futuro) camuffato da “amore”,
fasullo e falsificante, per il passato. E quindi
l’annullamento della propria umanità, presente e
futura, camuffato da “amore”, fasullo e
falsificante, per i propri “avi”.
Come Hebborn, i suoi “seguaci” ― che non sono, sia
chiaro, tutti gli Anticolani, e forse nemmeno la
maggior parte ― continuano imperterriti a imitare
(cioè falsificare e disumanizzare) il passato
“pensando” di amarlo. Come se il ’900 non ci fosse
stato, continuano a sfilare in processioni e
pellegrinaggi che non sono altro che contraffazioni
anaffettive di quelli che furono; continuano a
esibire come preziose reliquie le foto d’epoca, o
addirittura le foto attuali in costume
“folkloristico”, mentre lasciano andare in rovina il
centro storico e insozzano la splendida piazza delle
Ville; continuano ad adorare le mummie di tutti
quelli che direttamente o indirettamente tentarono
di distruggere Anticoli (da Corradino d’Antiochia
a... Hebborn, da Stalin a Renzi, da Mussolini a
Berlusconi) mentre disprezzano chi tenta di
ricostruirla; continuano a saltellare al ritmo dei
tamburelli, degli organetti e delle zampogne mentre
rendono inesistente, senza neppure accorgersene, il
ritmo appassionato, talvolta splendido, talvolta
tragico, del vissuto umano di tutti e di ognuno. E
così facendo abbandonano i propri figli, disgustati
da questa atmosfera perennemente funebre ma non
sempre capaci di tentare di renderla diversa, e
annullano l’esigenza comune di una ricerca nuova, di
un’arte nuova, di un’umanità all’altezza di sé
stessa.
Dalla
morte di Hebborn a oggi, solo due opere, ad
Anticoli, anziché falsificare il passato illudendosi
di amarlo, si sono avventurate nel presente: la
Danza delle anime gemelle, di Birgitt Shola
Starp, e Agliu Vadu, la nuova fontana del
Vado di Paula Caccavale5.
Due donne, non a caso. Entrambe mai considerate, dai
passatisti-misogini-hebbornisti di cui sopra, come
meritavano e meritano.
Ma l’adorazione del passato, come ogni altra fede, è
creazione, imposizione e adorazione del falso. E
annullamento, al contempo, del presente, del vero,
dell’umano.
“Tu nun sì andicurano” (“Tu non sei
anticolano”) dicono alcuni a chiunque non cerchi di
umiliare sé e gli altri costringendosi e
costringendoli all’eterna ripetizione coatta di un
passato fasullo. Intendendo: “Tu non esisti”. “Tu
sei nulla”. E continuando, perciò, ad affidarsi ai
falsari, ai misogini, agli odiatori dell’umanità.
Peggio: a ripetere i falsari, i misogini, gli
odiatori dell’umanità.
[1]
Sulle modelle anticolane mi permetto di
suggerire ai lettori il mio saggio
Modelle e Zitelle - Immagini della Donna nel
Novecento della Valle dell’Aniene,
reperibile su Amazon, nel quale la loro
straordinaria avventura è descritta a
partire dall’ipotesi che le modelle
“andassero dagli artisti irrazionalmente,
senza coscienza, cercando una nuova immagine
di sé in un rapporto interumano e sessuale
di cui non vi fosse altra convalida che
quella della donna e dell’uomo che tentano
insieme la creatività, la ricerca, la
realizzazione che per natura distinguono
l’umano dal non umano prima che lo colga un
qualsiasi battesimo o altre investiture”.
[2]
Su Arturo Martini, vedi il mio saggio
Arturo Martini ‘cattivo’ ad Anticoli Corrado,
reperibile su Amazon.
[3]
Sia chiaro: l’omosessualità di Eric Hebborn
niente ha a che vedere con tutto ciò. O
meglio: lo avrebbe, qualcosa a che
vedere, se l’omosessualità fosse sempre
annullamento della donna. Ma io non lo
credo. Penso, al contrario, che vi sia
anche un’omosessualità che è invece
ribellione (disperata?) a una certa
“identità”maschile ed eterosessuale
che si fonda, essa sì, sull’odio per la
donna. Ma non è il caso di Eric Hebborn:
egli, mi pare evidente, odiava davvero
le donne (o non si spiega il suo
comportamento nei confronti di Birgitt Shola
Starp), ed è di tale odio che qui mi
occupo, non della sua omosessualità.
Non cambierei una riga di questo articolo,
se egli fosse stato eterosessuale.
[4]
Scoperto nella seconda metà degli anni ’60
del ’900 dallo psichiatra e psicoterapeuta
Massimo Fagioli (1931-2017), e da lui
descritto e spiegato nelle sue tre opere
fondamentali (Istinto di morte e
conoscenza, La marionetta e il
burattino, Teoria della nascita e
castrazione umana) e in molti altri
testi, tutti pubblicati da L’Asino d’oro.
Testo di Luigi Scialanca. Immagine tratta dalla Green 'N' Growing
Collection
(The History of Home
Demonstration
and 4-H Youth Development in North
Carolina),
Special Collections, North
Carolina
State University Libraries - 1951, North
Carolina, il cui
originale è nel
North Carolina State University
Libraries Special Collections Research
Center. Il libro sul banco è il testo scolastico
Sharing Adventures,
Macmillan Reader, 1951).
E se dal giorno in cui veniamo al mondo, anno dopo anno, con una serie
di riti si tenti di confondere, in ognuno di noi, l’esperienza
umana della vita?
Se con un primo rito si cerchi di mistificare, nei nostri genitori e
un domani in noi, il significato umano delle nostre nascite?
Se più in là, con un secondo rito, si tenti d’ingannarci
sul rapporto umano convincendoci che esso è sacrificio disumano
di sé e dell’altro?
Se quindi, con un terzo rito, si cerchi di confonderci sull’umana
ricerca di ognuno di noi sulla propria storia riducendola a
un’interminabile sequela di ammissioni e cancellazioni di colpe?
Se in seguito, con un quarto rito, si tenti di cancellare, in ognuno
di noi, il senso del fondamentale momento del passaggio dall’infanzia
all’adolescenza, e con esso il rapporto umano della donna con
l’uomo e dell’uomo con la donna?
Se poi, con un quinto rito, si cerchi di devastare, in ognuno di noi,
l’umanità
dell’amore, con le sue gioie e le sue sofferenze, raggelandola in un
dogmatico dovere verso la divinità?
E se infine, con un sesto rito, si tenti di falsificare il
significato
umano della morte spacciandola per una nascita? E alterando, così,
il senso dell’intera
vita?
Sarebbe mostruoso, vero?
Ebbene, dipende solo da noi che così non sia. Da ognuno di noi.
È
lo Spettro apparso ieri notte a
Bernardo e a Marcello a
stravolgere il mondo?
O
al contrario la sua apparizione
esprime la possibilità di uscire
dalla crisi rendendolo migliore?
E in tal caso a chi si rivolge?
A chi egli chiede di agire, e
come, affinché la realtà torni a
manifestarsi umana?
Siamo a “Elsinore”, su “a
platform before the castle”. È
notte, ma l’alba è vicina: sta
per cantare il gallo. Siamo in
alto, molto in alto: su “una
rupe a strapiombo, a grande
altezza sul mare” (I,4) che
“rumoreggia” sotto di noi. Un
mare mai calmo: sempre violento
e sempre lontano, laggiù, ai
piedi di queste rocce che solo
il non vivente plasma. Elsinore,
perciò, non ha contatti diretti
con alcun luogo al mondo: il suo
porto è a una settimana di
viaggio. Ed è un luogo chiuso,
abitato da uomini e donne in
relazione solo fra loro che
nondimeno, per il potere di cui
dispongono o che servono,
marchiano coi loro rapporti
tutte le donne e gli uomini
della Danimarca. E attraverso le
donne e gli uomini della
Danimarca, tutte le donne e gli
uomini del mondo”.
*
“Sulla
storia di Holden, come su quella
di Amleto, oltre l’incertezza di
ogni vicenda umana, oltre la
particolare e drammatica
incertezza di ogni adolescenza,
incombe il tragico pericolo di
“sparire”, di perdere l’umanità
pur continuando a vivere. E
Holden ha pochissimo tempo, solo
due giorni (“vi racconterò solo
le cose da matti che mi sono
capitate verso Natale, prima di
ridurmi così a terra da dover
venire qui a grattarmi la
pancia”) per non cadere in quel
precipizio.
Ma è lui “o un altro, l’eroe
della sua storia”?
È
una “baggianata alla David
Copperfield”, la domanda su chi
siano i veri protagonisti delle
nostre vite, o è importante
anche per Holden?
In realtà, è più importante per
Holden che per David.
Holden accenna alla questione
solo una volta, ma il rilievo
che ha per lui non è perciò meno
chiaro: “[D. B.] ha scritto quel
formidabile libro di racconti,
Il pesciolino nascosto,
se per caso non l’avete mai
sentito nominare. Il più bello
di quei racconti è Il
pesciolino nascosto. Parla
di quel ragazzino che non vuole
far vedere a nessuno il suo
pesciolino rosso, perché l’ha
comprato coi soldi suoi. Una
cosa da lasciarti secco”.
Quanto delle
nostre vite lo compriamo coi
soldi nostri, e quanto coi soldi
altrui? Quanto è importante,
prezioso, quello che compriamo
coi soldi nostri? E quel che
compriamo coi soldi altrui può
talvolta essere prezioso
anch’esso? Non c’è momento ― nei
due giorni e mezzo durante i
quali vediamo Holden lanciarsi,
“attraverso la strada”, fin sul
ciglio del “dirupo” che l’erba
alta del “campo di segale”
nasconde ai bambini e ai ragazzi
― in cui altri non tentino di
offrirgli i loro “soldi”: i suoi
genitori, le ragazze, gli amici,
gli insegnanti, gente che
incontra per caso, tassisti. Un
mondo apparentemente diverso dal
mondo di Amleto, al quale
nessuno, tranne lo Spettro e
Ofelia, offre dei “soldi” che
non siano di Claudio o da lui
contaminati, e simile invece al
mondo di David Copperfield, dove
la ricchezza perversa di
individui come James Steerforth
è controbilanciata dalle oneste
e generose ricchezze di altri.
Ma è davvero così? O il mondo di
Holden, che poi è il nostro, è
altrettanto “marcio” della
Danimarca?”