Libera Scuola di Umanità diretta da Luigi Scialanca
Più Niente da Ridere
la Pagina di Chi andò dietro alla Morte e portò l’Italia con sé nel mese di agosto del 2012
“Libertà, giustizia sociale, amor di patria. Noi siamo decisi a difendere la Resistenza. Lo consideriamo un nostro preciso dovere: per la pace dei morti e per l’avvenire dei vivi, lo compiremo fino in fondo. Costi quel che costi.” (Sandro Pertini, Genova, 28 giugno 1960).
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(Immagine tratta dal sito Reset Italia).
Corrado Passera e Corrado Clini (estremisti di destra a cui il Napolitano, il Monti, il Pidièlle, il Pidì e il Terzo polo hanno consegnato, rispettivamente, il ministero dello Sviluppo economico delle tirannie finanziarie e delle corporations e il ministero della nostra Salute, col preciso mandato di distruggere la seconda per favorire il primo): Una parte delle misure sono già state prese (Snam, taglio agli incentivi delle rinnovabili), altre sono pronte: permessi più facili per perforazioni petrolifere e la semplificazione amministrativa... La prima prova sarà la revisione dei limiti che tengono le trivelle oltre le 12 miglia marine dalle coste italiane, un divieto più stringente rispetto agli altri Paesi europei... Quanto all’Ilva di Taranto, per il ministro dello Sviluppo “è assolutamente necessario evitare la chiusura e lo spegnimento degli impianti, cosa che causerebbe danni irreparabili. Nulla sarà lasciato intentato. Risanamento ambientale, produzione sostenibile e lavoro devono essere gli elementi portanti di una strategia unitaria”. (Corrado Passera). La disposizione del Gip si muove oggettivamente in una prospettiva divergente da quella assunta dal ministero e dalla Regione. In base alle leggi nazionali ed europee chi decide sulla compatibilità ambientale di questi impianti è l’amministrazione, in questo caso il ministero dell’Ambiente, e non la magistratura. Mi auguro non si apra un conflitto. Sarebbe molto pericoloso per l’affidabilità dell’Italia, se dovesse emergere che le decisioni di competenza dell’amministrazione in materia di compatibilità ambientale sono affidate alla magistratura. (Corrado Clini). (La Repubblica e La Repubblica-sito, domenica 12 e lunedì 13 agosto 2012). Standing ovation per la valorosa giudice Patrizia Todisco: è riuscita a togliere al governo Monti (e non solo al governo; vero, Cgil?) la maschera di governo meno nemico dell’Ambiente (e della Magistratura) rispetto al governo Berlusconi. Quando lo è (almeno) altrettanto.
Francesco Boccia (sul quale vedi anche qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui e qui): Non si fa sviluppo con nuovi debiti, ipotecando il futuro anche dei nostri nipoti. Keynes è una stagione chiusa, il residuo di una sinistra superata. (...) Noi la ricetta l’abbiamo, togliere dai settori che non hanno bisogno di risorse. Per arrivare ad un abbassamento dell’Irap e delle imposte sui salari. E lanciare un’imposta straordinaria sui grandi patrimoni mobiliari e immobiliari. (La Repubblica, lunedì 13 agosto 2012).
Vittorio Grilli: Lo Stato deve finirla di ridurre lo spazio dell’economia privata.
Vittorio Grilli (estremista di destra a cui il Napolitano, il Monti, il Pidièlle, il Pidì e il Terzo polo hanno consegnato il ministero dell’Economia): Il cambiamento deve avvenire in fretta, e i tempi li dettano i mercati. Ma non direi che i mercati impongono la loro dittatura ai popoli. I mercati non vanno demonizzati. Un’economia moderna non può farne a meno: è una questione di convenienza reciproca. I mercati non sono un nemico, ma uno strumento che consente agli Stati e ai privati di finanziarsi (uno che dice questo dopo che per quattro anni gli Stati, indebitandosi e spolpandosi, e i privati, tassandosi e rovinandosi, in America e in Europa hanno rifinanziato i cosiddetti mercati per migliaia di miliardi, secondo voi, è uno stupido, un malvagio, entrambe le cose, o uno che prende per stupidi noi? E un giornalista che non glielo contesta, in questo caso il noto finto sinistro Giannini Massimo, vicedirettore de La Repubblica, secondo voi cos’è, un lacchè o un complice?,n.d.r.). Naturalmente i mercati scelgono le soluzioni a loro più convenienti, e gli Stati devono adattarsi per essere più competitivi e più attraenti (cioè per essere gli schiavi e le puttane delle tirannie finanziarie, n.d.r.). (...) La montagna della spesa pubblica va aggredita nel suo complesso. Occorre un ridisegno complessivo della Pubblica amministrazione, un apparato in cui lavorano 3.300.000 persone, di cui solo 170.000 sono dipendenti dei ministeri, cioè circa il 5% del totale. Non possiamo illuderci che intervenendo su questa esigua minoranza abbiamo risolto tutto. La crescita della spesa pubblica nominale ha rallentato in questi ultimi anni. Il guaio è che il Pil si è contratto (il Pil si è contratto per l’effetto recessivo dei tagli del precedente governo e di questo: un ministro che non lo sa o che finge di non saperlo, secondo voi, è un incompetente, un disonesto, entrambe le cose, o uno che prende per stupidi noi?, n.d.r.), e quindi oggi un volume di spesa uguale a quello di quattro anni fa non è più sostenibile. Dobbiamo ridurre i costi a parità di prestazioni, e per farlo non possiamo essere né solo selettivi, né solo lineari. La gestione “politica” della spesa pubblica, per decenni, ha fatto sì che lo Stato invadesse interi settori dell’economia. (Costituzione della Repubblica Italiana, articolo 41: L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Articolo 42: La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità. Articolo 43: A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale. N.d.r.). Dobbiamo invertire la tendenza. E nel decreto della spending review abbiamo cominciato a farlo, riducendo il perimetro e il costo delle società pubbliche e delle società “in house”, che in prospettiva devono scomparire del tutto, perché hanno impedito al settore dei servizi di svilupparsi in modo efficiente, riducendo lo spazio dei privati e quindi limitando la concorrenza. (La Repubblica, domenica 12 agosto 2012). Chiaro, no? Tanto chiaro, che queste parole potrebbero valere al Grilli una condanna per attentato alla Costituzione, se mai riavremo uno Stato democratico. Qui c’è già, in nuce, la privatizzazione totale della Scuola (non riduce anch’essa lo spazio dei privati?), della Difesa, delle Forze dell’ordine, della Giustizia, di tutte le funzioni statali. Ma allora uno Stato così, al servizio esclusivo degli interessi finanziari, che le tirannie finanziarie se lo paghino da sole. E del tutto, non semplicemente corrompendo e mantenendo i loro lacchè politici come già fanno.
Per la serie Involuzione delle specie: il confronto tra la statura del Brunetta e quella del Patroni Griffi permette di farsi un’idea abbastanza precisa di quale sarà la levatura del prossimo ministro della Funzione pubblica.
Filippo Patroni Griffi (estremista di destra a cui il Napolitano, il Monti, il Pidièlle, il Pidì e il Terzo polo hanno consegnato il ministero della Funzione pubblica perché, secondo loro, il Brunetta non era abbastanza di destra): Il governo taglierà posti di lavoro nel pubblico impiego, con o senza l’accordo del sindacato. Disposti a parlarne certo, ma su quanto stabilito dalla spending review non si torna indietro. Così ha dichiarato Filippo Patroni Griffi, ministro della Funzione pubblica. (La Repubblica, domenica 12 agosto 2012).
Paola Severino (estremista di destra a cui il Napolitano, il Monti, il Pidièlle, il Pidì e il Terzo polo hanno consegnato il ministero della Giustizia): Il procuratore distrettuale antimafia di Bari, Antonio Laudati, è durissimo: “Così si disconosce il nostro lavoro contro la mafia, chiudere il tribunale di Lucera significa vanificare anni e anni di duro lavoro investigativo”. Da Torino, Raffaele Guariniello lancia un allarme uguale e contrario: “Chiudere le piccole procure significa sovradimensionare le altre: qui se ne trasforma una, quella di Ivrea, da piccolissima a gigantesca senza dotarla degli strumenti necessari”. Contro la decisione del governo di tagliare 31 piccoli tribunali scendono in campo i magistrati. (La Repubblica, domenica 12 agosto 2012). Neanche il Berlusconi, malgrado il suo odio contro i giudici, arrivò a chiudere decine di tribunali e a rendere ancora più arduo il lavoro di decine di altri. Eppure c’è chi continua a sostenere che il Monti sarebbe migliore. Migliore in che senso? Migliore per chi? Per i criminali e i delinquenti, forse.
Per la serie Chi pecora si fa, lupo se la mangia: Stefano Fassina ed Eugenio Scalfari.
Eugenio Scalfari contro Mario Draghi (colpevole, in effetti, di essere riuscito nell’incredibile impresa di essere più di destra di lui) e contro Stefano Fassina (colpevole, in effetti, di non essere riuscito nell’incredibilmente facile impresa di essere più di sinistra di lui): Draghi ha deciso di metter mano a questi strumenti a condizione che il Paese interessato ne faccia richiesta al fondo salva-Stati; solo l’ok di quel fondo consentirà a Draghi di entrare in scena. Questa richiesta è sicuramente una sua facoltà, ma perché la fa? Qualcuno glielo impone? Oppure lo fa perché vuole che il governo italiano sia maggiormente controllato dalla Ue? Ma questo non rientra nei compiti della Bce. La Bce deve impedire la formazione di fenomeni deflazionistici e l’instabilità dei prezzi e degli interessi nell’Eurozona. Questi fenomeni vengono certamente da lontano e non si risolvono senza la crescita dell’economia reale, ma la mancata crescita dipende principalmente dalla politica economica dell’Europa, non è un Paese da solo che possa attivarla. Il presidente della Bce può e anzi deve pungolare l’Europa a muoversi in modo appropriato e Draghi l’ha fatto egregiamente anche se le sue prediche finora sono state inutili; ma non è compito suo sostituirsi all’Europa specie nel regime intergovernativo tuttora vigente. Benissimo lo stimolo, ma nel frattempo intervenga. Se subordina l’intervento all’inchino di Monti al salva-Stati si tratta, a nostro avviso, di una omissione di atto dovuto. Se le cose stanno diversamente sarebbe non solo opportuno ma doveroso che lo dicesse. (L’ultimo periodo tradisce il vero movente di questa invettiva dello Scalfari: è semplicemente furibondo perché il Draghi si è permesso di non rispondere al suo articolo di mercoledì scorso, n.d.r.). I lettori mi perdoneranno se passo (per così dire) dal sacro al profano parlando ora dell’intervista rilasciata al Foglio di giovedì scorso da Stefano Fassina al bravo Claudio Cerasa. Per chi non lo sapesse, Fassina è membro della segreteria del Pd e titolare del dipartimento di politiche sociali ed economiche di quel partito. L’intervista descrive il programma elettorale di quel partito che diventerà in caso di vittoria il programma di un governo di centrosinistra. È dunque altamente probabile che il contenuto di quell’intervista sia noto e approvato da Bersani visto che l’autore è il suo principale collaboratore. Tralascio i giudizi su Monti, positivi per quello che ha fatto di buono e negativi per i molti errori e la molta insensibilità sociale. Tralascio anche la dichiarazione che con le prossime elezioni ci sarà comunque la cessazione di governi affidati a tecnostrutture. Vengo al sodo. Fassina espone un decalogo del quale cinque punti sono destinati all’Europa e cinque all’Italia. Eccone una sintesi. Per l’Europa. “Chiediamo di fare un’unione fiscale nel continente e chiediamo che le leggi di bilancio di ciascun Paese siano autorizzate dal Consiglio Europeo prima di essere approvate e prevedano pesanti sanzioni per gli inadempienti. Va rilasciata al più presto la licenza bancaria al fondo salva-Stati affinché agisca sul mercato primario dei titoli pubblici. E poi Eurobond e Project Bond per mettere in atto una vera politica keynesiana. È necessaria l’unione bancaria e la vigilanza bancaria a livello europeo. L’euro è un progetto irreversibile. A questo fine è necessario un programma di ristrutturazione dei debiti pubblici e la lotta senza quartiere ai paradisi fiscali”. Per l’Italia. “Ci vuole una patrimoniale a bassa intensità. Abolizione del Titolo Quinto della Costituzione riducendo il Federalismo e aumentando i poteri del governo centrale per quanto riguarda le opere pubbliche e le politiche sociali. Bisogna rivoluzionare la pubblica amministrazione. Bisogna salvaguardare l’italianità delle imprese strategiche. Proseguire senza tregua la lotta all’evasione e ridistribuire il carico fiscale in favore dei lavoratori e delle imprese”. Naturalmente Fassina pensa che il protagonista politico italiano sia il Pd e i suoi alleati del centrosinistra e in Europa tutte le forze socialiste e democratiche (per ora al governo soltanto in Francia). Che dire? Per quanto riguarda l’Europa il programma è esattamente quello della Merkel, salvo che lei vorrebbe esserne la promotrice e non Bersani. Per l’Italia è, grosso modo, il programma di Monti rinverdito con una forte dose di sensibilità sociale. Per la politica monetaria sembra ricopiata da quella di Draghi. Aggiungo: personalmente constato che Fassina ha adottato, direi riga per riga, le esortazioni e i suggerimenti più volte da me indicati in questi mesi. La cosa, dopo molte critiche rivoltemi dallo stesso Fassina, mi rallegra all’insegna del motto “meglio tardi che mai”. Una sola osservazione: non credo che l’esponente del Pd possegga una sua bacchetta magica. E pertanto: lo Stato europeo da lui (e dalla Merkel) propugnato lo avremo tra cinque o dieci anni; l’unione bancaria tra un paio d’anni; la riforma dell’amministrazione italiana richiederà a dir poco una generazione. Nel frattempo e cioè nell’immediato che cosa farà il governo Bersani? Chiamerà Monti per proseguire tenendo conto del decalogo di Fassina? Casini ne sarà felice e anche noi. (La Repubblica, domenica 12 agosto 2012). Te lo sei voluto e meritato, Stefano: chi pecora si fa, lupo se la mangia.
Come va l’Italia del napolitano-montismo pidiellìn-piddìn-terzopolista, “salvatore del Paese”? Ecco qua:
Ma non si può dire, altrimenti si è grillini e dipietristi. Come se fosse un insulto, del resto. (Pagamenti bloccati? Sì: gli astutissimi tecnici pensano, non pagando i creditori, di invogliare gli investitori a farci credito). (Titolo de La Repubblica di venerdì 10 agosto 2012)
Per la serie Comincia l’assalto alla diligenza?: il Bersani e la Fornero vanno per caso dalla stessa parte?...
Balbettii della Fornero (estremista di destra a cui il Napolitano, il Monti, il Pidièlle, il Pidì e il Terzo polo hanno consegnato i Lavoratori italiani e lo Stato sociale) e commento della signora Susanna Camusso, segretario della Cgil: Non ci sono solo le responsabilità della politica, anche nel passato. Ci sono le responsabilità, per esempio, del credito. E degli imprenditori stessi, i quali forse devono avere un atteggiamento più volto all’investimento e alle aggregazioni che fanno economie di scala... Qui bisogna lavorare tutti insieme... Occorre ridare dignità alla classe operaia... Non deve essere considerata di serie B... Salute e lavoro fanno parte di questa dignità (Fornero). Bene, sono contenta che il governo si accorga degli operai e ne riconosca il ruolo. Ma, anche qui, ora, mi aspetto un cambio di rotta perché le riforme finora fatte da questo esecutivo hanno contribuito a togliere loro dignità. Sembrava che fossero gli operai, il loro “costo”, i loro diritti, la causa principale della crisi: parlo della legge sulle pensioni e sul lavoro, del disastro che il governo è stato capace di fare sul caso esodati. Parlo dell’assenza di equità anche nella spending review, che confonde lavoro e burocrazie e che pensa che, per risanare i conti, basti tagliare i posti (signora Susanna Camusso). (La Repubblica, giovedì 9 agosto 2012). Il Monti e la Fornero ― visto il Casini intendersela col Bersani e il Vaticano (almeno finora) abbozzare ― han fatto due più due e in nome delle rispettive carriere politiche (altro che tecnici) cercano goffamente di riciclarsi con dichiarazioni antiberlusciste e “di sinistra”. La vediamoo dura, è un po’ come se Mussolini dinanzi al plotone di esecuzione si fosse messo a gridare Viva Gramsci!, ma l’opportunismo e il trasformismo di certe mezze calzette italiche (e specialmente delle mezze calzette auto- e/o etero-convintesi di essere Salvatori della Patria) è capace di questo e altro. La signora Camusso risponde alla Fornero che le chiacchiere lasciano il tempo che trovano, ci vogliono i fatti, e naturalmente ha ragione. Ma temiamo che nel Pidì ci siano individui e circoli che si accontenteranno di molto meno, per cercar di traghettare questi individui in un eventuale futuro governo Bersani.
Per la serie Cosa non si farebbe, avvicinandosi le elezioni, per apparire sui giornali come dei gran lavoratori: il Portas e il Santagata.
Giacomo Antonio Portas, Giulio Santagata, Enrico Morando, Giorgio Tonini, Francesco Boccia e Giuseppe “Beppe” Fioroni contro Stefano Fassina: I deputati Pd Antonio Portas e Giulio Santagata hanno pensato di mettere nero su bianco un’iniziativa “forse bizzarra”, ammette Portas. In due parole si tratta di avviare una libera donazione allo Stato con l’obiettivo unico di abbassare il debito pubblico: “È ora che i padri pensino a salvare il futuro dei figli”, spiega Portas. “Se tutte le persone che ci tengono al Paese, che vogliono il bene dell’Italia, si stringono attorno a questa bandiera, potremmo dimostrare al mondo la nostra forza”. (L’Unità, giovedì 9 agosto 2012). Enrico Morando, Giorgio Tonini, Francesco Boccia e Beppe Fioroni auspicano con decisione una patrimoniale straordinaria. Ieri Boccia con un twitter scriveva: “Vendita del patrimonio, allungamento btp, vendite di imprese non strategiche. Tutto possibile, giusto e necessario, ma la misura principale resta una patrimoniale straordinaria sui grandi patrimoni mobiliari e immobiliari. Altrimenti siamo all’ipocrisia assoluta. È dal 2009 che in Parlamento facciamo proposte. Certo, Fassina è contrario, noi le portiamo avanti comunque e poi cambia idea. Ci sono abituato. Certo, ora il tempo dei balletti deve finire”. Fassina ribadisce: il Pd è contrario, e nella Carta d’intenti si parla di patrimoniale ordinaria quando ci si riferisce alla “rendita dei grandi patrimoni finanziari e immobiliari”. Per ora il segretario tace. (L’Unità, giovedì 9 agosto 2012). Per la verità, la Carta d’intenti evita di parlare di patrimoniali, di imposte o di tasse. Dice questo, tuttavia: La ricchezza finanziaria e immobiliare è diventata sempre più inafferrabile, capace com’è di sfuggire a ogni vincolo fiscale e solidale. E però non si esce dalla crisi se chi ha di più non è chiamato a dare di più. In altre parole, è la crisi stessa a insegnarci che la giustizia sociale non è pensabile come derivata della crescita economica, ma ne fonda il presupposto. Ciò significa che la ripresa economica richiede politiche di contrasto alla povertà, anche in un Paese come il nostro dove il fenomeno sta assumendo caratteri nuovi e dimensioni angoscianti. I “nuovi poveri”, per altro, continuano ad assistere allo scandalo di rendite o emolumenti cresciuti a livelli indecenti, a ricchezze e proprietà smodate che si sottraggono a qualunque vincolo di solidarietà. A tutto questo bisogna finalmente mettere un argine. Un argine, a nostro parere, non può che essere ordinario (per la differenza tra patrimoniale ordinaria e straordinaria, vedi qui): a che serve che stia lì un anno e poi lo togli? I destri del Pidì invece preferiscono argini posticci, effimeri, di durata limitata: tra una diga che sfidi i secoli e quella del Vajont, per dire, i vari Morando, Boccia, Tonini e Fioroni avrebbero scelto la seconda (ma poi si sarebbero guardati bene dall’andare ad abitarci sotto). I più spassosamente fascisti, però (oro alla Patria!) sono il Portas e il Santagata: non dobbiamo rischiare, dicono i due, che un’imposta patrimoniale, ordinaria o straordinaria che sia, colpisca qualche evasore, qualche mascalzone o qualche mafioso. Chiediamo la carità, invece, così saremo certi di colpire solo le persone buone e generose. Il Portas e il Santagata non sembrano gran lavoratori: il Portas, dal 2008 a oggi, è ignoto ai nostri archivi; il Santagata, nel dicembre del 2010, si è degnato di affaticarsi a firmare (ma non da solo, troppo sforzo: insieme ad altri sei prodiani come lui) una lettera al Corriere della sera in cui si denunciavano gli intollerabili soprusi... del Berlusconi? No, del Bersani. Ora, però, sembra che abbiano deciso di rimettersi in pari: eh, come si vede che la fine della legislatura si avvicina!...
Come va l’Europa delle destre e delle finte sinistre? Così:
(titolo de La Repubblica di mercoledì 8 agosto 2012). E l’Italia? Come va l’Italia della destra e della finta sinistra? Così:
(titolo de La Repubblica di mercoledì 8 agosto 2012). E che ne dice il Monti (capo del governo di estremisti di destra a cui il Napolitano, il Pidièlle, il Pidì, il Casini, il Fini e il Rutelli hanno consegnato l’Italia)? Dice così: Se il precedente governo fosse ancora in carica, lo spread sarebbe a 1200 o qualcosa di simile. (La Repubblica, mercoledì 8 agosto 2012). Non sono consolanti, queste sue parole, per chi nel frattempo ha perduto il lavoro, o la pensione, o ambedue? Consolantissime. E per i Giovani italiani, sempre più disoccupati? Ancora più consolanti. E per i Bambini e i Ragazzi, la cui realizzazione è stata viepppiù ostacolata da nuovi tagli alla Scuola? Ancora più consolanti. E per i Malati, i cui Ospedali sono stati ulteriormente privati di mezzi e di posti-letto? Ancora più consolanti. E per il Berlusconi, che almeno in fatto di dichiarazioni demenziali temeva che il Monti, rispetto a lui, avesse davvero segnato una positiva discontinuità? Consolanti oltre ogni dire.
Per la serie Il coraggio, se uno non ce l’ha, mica se lo può dare: Eugenio Scalfari fa l’inchino.
Eugenio Scalfari: La classe dirigente e l’opinione pubblica tedesca vogliono “l’inchino” dei Paesi mediterranei alla politica della Bundesbank. La Grecia, il Portogallo ed anche la Spagna quell’inchino l’hanno già fatto. Il governo Monti ha accettato di fare i compiti in casa di propria iniziativa ma, almeno per ora, l’inchino rifiuta di farlo. E questo è il nocciolo del problema. I mercati da lunedì ad oggi reagiscono in positivo: evidentemente ritengono che nei prossimi giorni anche Monti si inchinerà consentendo a Draghi di entrare in scena. (La Repubblica, mercoledì 8 agosto 2012). Non è che lo Scalfari sia stupido e vile (non che noi si sappia, quanto meno): è che è tipico delle razionalità astratte come la sua vedere il mondo capovolto e perciò capirlo a rovescio: e non comprendere, di conseguenza, che se i (cosiddetti) mercati da lunedì a oggi reagiscono in positivo, è caso mai perché credono che il Monti sia capace di tener loro testa e di non farlo, quell’inchino alla Bundesbank e alle tirannie finanziarie. Noi invece non lo crediamo. Pensiamo che il Monti sia coraggioso e intelligente né più né meno che lo Scalfari. Che l’inchino, pertanto, lo farà. E che le tirannie finanziarie reagiranno come hanno sempre reagito, da due anni a questa parte, alla disvelata viltà e stupidità delle destre e delle finte sinistre europee. (Lo Scalfari, a dire il vero, conclude l’articolo con parole apparentemente in contraddizione con le precedenti: Voglio chiudere queste mie riflessioni citando un bellissimo articolo di Melania Mazzucco pubblicato ieri dal nostro giornale. È intitolato La resistenza di Omero e conclude così: “Sulla bilancia della storia pesano di più i nomi dei filosofi, degli scrittori e dei matematici che hanno inventato il nostro modo di pensare il mondo, Socrate e Aristotele, Democrito e Pitagora, oppure milioni di obbligazioni e titoli di Stato? Un quintale di paglia pesa come un quintale di piombo ma la parola libertà per me peserà sempre di più della parola default”. Sono interamente del suo parere. Ma allora, o Scalfari, perché chiedi al Monti di piegarsi e far l’inchino? Forse la vecchiaia ti confonde? No. Ti confondono i filosofi, gli scrittori e i matematici che hanno inventato il tuo modo di pensare il mondo ma non ti hanno insegnato a sentirlo).
Per la serie È importante studiare anche le facce di chi dice che i tagli ancora non bastano: quella del Bisin.
Alberto Bisin (docente di Economia alla New York University, nonché collaboratore de lavocepuntoinfo e de La Repubblica, sul quale vedi anche qui, qui e qui): Non v’è alcun dubbio che gli spread oggi contengano una componente dovuta al rischio che l’Euro (la maiuscola è del Bisin e ci teniamo a dirlo, n.d.r.) crolli. Ma questo rischio è determinato dal fatto che le prospettive di crescita delle economie del Sud dell’Eurozona sono alquanto misere (gli interventi di politica fiscale, nella mancanza di tagli strutturali alla spesa, rischiano di condurre queste economie all’asfissia da carico fiscale). (...) Questo rischio non pare affatto “esogeno”: esso rappresenta invece, a mio parere, la conseguenza delle scelte di politica economica di alcuni Paesi dell’EuroZona (sic, n.d.r.), Italia inclusa, che stanno (purtroppo) coerentemente minimizzando gli interventi atti a riaggiustare la propria posizione fiscale e competitiva (“noi abbiamo fatto i nostri compiti a casa”) e allo stesso tempo stanno perseguendo azioni politiche e diplomatiche tese a gettare sulla Germania il maggior peso possibile della crisi. (...) Tutta l’attenzione e la speranza riposta da governo, opinione pubblica e giornali sulle doti taumaturgiche delle istituzioni di politica monetaria è a mio parere mal riposta. Nella situazione del Paese oggi non vi sono sostituti monetari indolori ai necessari interventi di politica fiscale. È una dura realtà ed è necessario svegliarsi al più presto, senza perdere altro tempo. (La Repubblica, mercoledì 8 agosto 2012).
Il piddìno Roberto Giachetti secondo La Repubblica di mercoledì 8 agosto 2012.
Chi è Roberto Giachetti, e perché non digiuno con lui di Luigi Scialanca (clicca, per scaricare il testo, qui, in Word, e qui, in .pdf)
Giachetti è contro il Porcellum per gli stessi motivi per cui lo siamo noi? Be’, vediamo un po’... La sua pagina sul sito della Camera rinvia a un fantomatico sito internet, che invece (quanto meno alla data di oggi, 8 agosto 2012) non c’è. Su Wikipedia il nostro si descrive così: Comincia a fare politica da giovane, nei movimenti studenteschi e poi a 18 anni nel Partito radicale fino al 1989, in quegli anni è anche redattore di Radio radicale. Successivamente aderisce ai Verdi ed è eletto come consigliere circoscrizionale a Roma. Dal 1993 al 2001 è prima capo della segreteria e poi capo di gabinetto del sindaco di Roma Francesco Rutelli. Tra i fondatori de La Margherita, nel 2001 ne diviene segretario cittadino di Roma e viene eletto per la prima volta alla Camera dei deputati. Viene confermato alle elezioni politiche del 2006 nelle liste dell’Ulivo e alle elezioni politiche del 2008 nelle liste del Partito Democratico. In queste ultime due legislature è segretario d’Aula per il proprio gruppo. Essendo di estrazione radicale, ha attuato diverse volte lo sciopero della fame: nel 2002 per sollecitare il Parlamento a eleggere due giudici della Corte Costituzionale mancanti e ripristinare il plenum, nel 2004 per sollecitare la calendarizzazione della legge sul conflitto di interessi, nel 2007 affinché i dirigenti del Pd indicassero una data certa per lo svolgimento dell’Assemblea costituente e nel 2008 per ottenere le elezioni primarie nella città di Roma. A proposito di radicali (nel senso di dirigenti e portaborse, non degli elettori, che stimo benché non ne condivida la fiducia in certi individui), ecco un ricordo personale: verso la fine degli anni ’80 fui intervistato da Radio radicale sotto il Provveditorato agli studi di Roma. Che ne pensi dei radicali?, la domanda. Risposta: che potrebbe essere un ottimo partito, se si liberasse di Pannella. Solo che il giovane e occhialuto intervistatore, con tempismo degno di miglior causa, stoppò la registrazione alla parola partito e sorridendo astutamente si dileguò. Era il Giachetti? No (benché la somiglianza, nel ricordo, sia notevole) ma questi erano i metodi di certi radicali e di certi loro capi, ed è per questa e altre rimembranze che negli anni successivi mai mi stupii di vedere esponenti grandi e piccoli di quel partito accolti a braccia aperte fra i berluscisti, i cattofascisti, i naziliberisti più torvi. Era la “scuola” di Giacinto detto “Marco” Pannella: esser Giacinto e chiamarsi Marco, digiunare e intanto mangiare, esser di destra nella sostanza, nella realtà, e di sinistra nella forma, nell’interpretazione. E dar di fuori se tu te ne accorgi. Non il Giachetti!, si dirà. Il Giachetti è nel Pidì, quindi è un radicale buono!... Be’, però il Giachetti nel Pidì lo dobbiamo al Rutelli, fondamentalista papalino oggi apino. Il Roberto, cioè, sarebbe l’unica scelta valida fatta da Cicciobello in vita sua... non è pretendere troppo? Ma andiamo avanti. Ricordo bene il momento in cui seppi della sua esistenza: era mercoledì 2 luglio 2008, e al dolore per il recente insediamento del terzo governo Berlusconi il Giachetti aggiunse il dispiacere (assai più modesto, invero) di apprendere che lui, il Giachetti, prim’ancora che il Ghedini e l’Alfano si accomodassero sulle rispettive poltrone, già aveva aperto alla destra sui temi della Giustizia. Sul tema, cioè, della volontà del Berlusconi e dei berluscisti di sottomettere il Potere giudiziario ai propri comodi. Passa un anno e il Giachetti, il 4 luglio 2009, in compagnia di altri due rutelliani come il Sarubbi e il Lusi (sì, proprio lui, quello che a tempo perso si sta intanto preparando a finire in galera), si scaglia contro Ignazio Marino colpevole di non essere un servo del Vaticano: Marino è un po’ un Giuliano Ferrara al contrario, monotematico sul sondino, dice il Sarubbi; non appoggio Marino perché al Lingotto ha detto che chi non è d’accordo sulla laicità dovrebbe saltare un giro, piagnucola il Giachetti da buon vittimista radicale. (E il Lusi? Per distinguersi se la piglia con una signora: E a me non piace neppure Debora Serracchiani: rappresenta il nuovo populismo di centrosinistra. Maledetti populisti! Specialmente quelli che hanno il vizio di ficcare il naso negli affari di chi amministra i loro soldi, vero?). Arriviamo così all’8 marzo 2011, Festa delle Donne, quando il Giachetti, anziché pensare a loro, torna sul tema a lui più consono della Giustizia. Come sempre, a sostegno della destra. Ma con parole più melliflue del solito, più caute verso la sinistra del partito: Prudenza, consiglia il Giachetti, nel dichiarare guerra universale e preventiva a qualsiasi riforma della giustizia: l’unico modo per smascherare il bluff è vedere le carte. Perché chiama bluff la proposta berluscista di “confrontarsi” sulla Giustizia? Per sembrar di sinistra: è la figura, l’interpretazione. E però invita ad “andare a vedere”: la realtà, la sostanza... Esser Giacinto e chiamarsi “Marco”, digiunare (davvero) e intanto mangiare (davvero). Passa l’estate e i media, contro Bersani, montano il “fenomeno” (creato da Mike Bongiorno e messo a punto da Giorgio Gori) del rottamatore naziliberista Matteo Renzi. Con chi credete che stia il Giachetti? Il 26 ottobre 2011 firma, insieme ad altri nove piddìni-renzisti, una lettera a favore del sindaco di Firenze. Niente di grave, secondo voi? Documentatevi, leggendo chi è davvero Matteo Renzi, su quali idee e azioni il Giachetti abbia appoggiato firmando quella lettera. Solo che ha fatto male i calcoli: al Berlusconi, anziché il Renzi, subentrano il Monti e la Fornero. Ma niente paura: il Giachetti, pannelliano, rutelliano, renzista, corona la sua collezione di identità con quella filomontista. E il 23 febbraio 2012 attacca Pier Luigi Bersani per essersi fatto vedere (inutilmente: i media nostrani, chissà perché, non se ne accorgono) a braccetto con François Hollande e Sigmar Gabriel, leader dei socialisti francesi e dei socialdemocratici tedeschi: Quando la smetteremo di incaprettarci sarà sempre troppo tardi, si sfoga il nostro. Per niente cauto: segno di nervosismo. Se c’è qualcosa, infatti, che manda fuori dai gangheri anche il più abile dei finti sinistri, è il dubbio che qualcuno, nel Pd, sia finto per finta e di sinistra davvero. Ma che importa? Il Giachetti sta per sferrare un colpo micidiale. A chi? Ai giudici, naturalmente. Vi siete chiesti come mai il ministro della Giustizia, Paola Severino, benché impegnata fin dalla nomina quasi solo in questo, non abbia ancora “portato a casa” la legge anti-corruzione che l’Europa, fatidicamente, ci chiede? Il fatto è che la Severino, forse non la peggiore dei ministri montisti (o forse con una dignità professionale meno immaginaria di altre da difendere) vuole legare il proprio nome a una legge, se non storica, almeno passabilmente onesta. E non ci riesce, la meschina, perché il Pidièlle e il Pidì son invece impegnati in una complicata schermaglia per ottenere da lei una legge che: 1°, non scontenti un certo elettorato e certe clientele del centrodestra e di una parte del centrosinistra; 2°, salvi il Berlusconi dal processo Ruby (dove l’imputazione sua maggiore non è di aver comprato una minorenne, ma di aver “influito” sulla questura di Milano perché la ragazza fosse consegnata ai suoi sgherri); 3°, alleggerisca la posizione del piddìno Penati, anche lui accusato di corruzione. Solo che “trovare la quadra” non è facile, neanche per due partiti che già inciuciano al governo, perché entrambi vorrebbero una legge così astutamente congegnata da poter darla a bere agli Italiani senza indurli al vomito. E perché la Severino, a quanto pare, benché strattonata di qua e di là, non cede. Ma entra in scena il Giachetti, che con un’unica schioppettata parlamentare assesta un duro colpo alla Magistratura (il sogno di una vita, per il nostro) e impartisce una lezioncina alla ministra troppo indipendente. In che modo? Rileggiamo La Repubblica del 9 maggio e dell’8 giugno scorso. 9 maggio 2012: Magistrati fuori ruolo, il governo va sotto. L’emendamento Giachetti passa nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia nonostante il parere contrario del Guardasigilli, Paola Severino. Magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati e procuratori dello Stato (spesso prestati alle Authority) non potranno prestare servizio fuori ruolo per più di cinque anni consecutivi. L’emendamento Giachetti è stato votato da tutti i gruppi. Ad astenersi sono stati gli esponenti del Pd, tranne Paola Concia e Rita Bernardini, radicale. Severino: “Spero in un ripensamento”. L’astensione piddìna sa di messinscena: l’intera commissione vuol tirare una sassata alla Magistratura e al ministro non (del tutto) “allineato”, ma il Pidì vuol nascondere un pochino la mano. 8 giugno 2012, un mese dopo: Ore di tensione e scontro alla Camera per la maggioranza. Il Guardasigilli costretta a ritirare l’articolo che avrebbe consentito al suo ex direttore dell’ufficio legislativo, Augusta Iannini in Vespa, di andare all’Authority per la privacy, dov’è appena stata eletta, restando magistrato. Lei, che è già fuori ruolo da oltre dieci anni. Trionfa la soluzione di Roberto Giachetti (toghe in prestito ad altri uffici per cinque anni rinnovabili al massimo una volta) che ha aggredito con il suo emendamento “la casta delle toghe”. Norma sùbito operativa. Saltano nomi eccellenti al Quirinale, a palazzo Chigi, al Csm, alla Consulta, nelle Authority. Una rivoluzione per i 227 giudici che oggi sono impegnati in incarichi speciali. Severino perde. Il capogruppo Pd, Dario Franceschini, con lei è duro: “O è una norma ad personam o sembra tale”. Così, simulando virtuosa indignazione per il tentativo della Severino di favorire l’amica (le parole del Franceschini sono un capolavoro d’ipocrisia che gli varrebbe il premio Talleyrand, se esistesse), il Giachetti e gli inciucisti, in un sol colpo, sono riusciti (essi sì) a legiferare contra personam, mostrando al Guardasigilli che con loro non si scherza, e soprattutto (contra personas) ad azzerare la presenza e la memoria storica della Magistratura (tutti Iannini, quei 227 giudici?, non lo crederei nemmeno se li vedessi in manette) in istituzioni di fondamentale importanza. Bravo Giachetti, giù il cappello: altro che Ghedini, il vero stroncagiudici sei tu. Arriviamo così all’ultima (per ora) prodezza del nostro: lo sciopero della fame per indurre le Camere a cancellare il famigerato Porcellum calderoliano. E questa volta, lo confesso, la vedo dura: tutti si commuovono, tutti lo portano in palma di mano, decine di parlamentari e di cittadini (comprese, fra gli uni e fra gli altri, molte persone per bene) sgomitano per solidarizzare e digiunare con lui... con che coraggio insinuerò che il Giachetti non vuole una nuova legge elettorale per gli stessi motivi per cui la vogliamo noi?... Be’, e non potrei cavarmela sostenendo che un individuo come lui, con i trascorsi che ho descritto, semplicemente non può tramutarsi da rospo in principe dall’oggi al domani? Potrei e come. Ma non lo farò. Tornerò invece a un anno fa, e precisamente al 29 giugno 2011: D’Alema è tentato di firmare. Matteo Orfini, e un nutrito gruppo di dalemiani, sicuramente sottoscriveranno. Mentre per i Modem, la minoranza di Veltroni, è come fumo negli occhi. Il referendum anti Porcellum lanciato da Stefano Passigli, intellettuali e società civile comincia la sua navigazione: si parte con la raccolta delle firme. E il clima politico attorno alla riforma elettorale si surriscalda. Nel Pd c’è chi pensa (Giorgio Tonini, Stefano Ceccanti, Pierluigi Castagnetti, Arturo Parisi) che il partito dovrebbe puntare a un proprio referendum formulato in modo tale da resuscitare il Mattarellum, ovvero il vecchio modello dei collegi uninominali. Giudicano “uno specchietto per le allodole” l’iniziativa di Passigli... La quale piccona le liste bloccate ed elimina il premio di maggioranza, ma è accusata di “proporzionalizzare” il sistema elettorale. Una toppa peggiore del buco, per Mario Segni. E contrari sono anche i Radicali. Il giorno dopo, 30 giugno 2011: Ai quesiti anti-Porcellum di Stefano Passigli potrebbe opporsi un altro referendum. Gli ideatori, Castagnetti, Tonini e Ceccanti, stanno per presentarlo. E Arturo Parisi, l’ideatore dell’Ulivo, ha inviato ieri una lettera a Dario Franceschini. Toni franchi, per dire che i Democratici non devono farsi sedurre da pericolosi ritorni indietro, verso il proporzionale. Richiesta sottoscritta da sessanta parlamentari del Pd, a cominciare da Walter Veltroni, ma anche da Gianni Cuperlo, Piero Fassino, Sandra Zampa, Paola Concia, Giovanni Bachelet, i Radicali. Il nome Giachetti manca (gli ho scritto su Facebook domandandogli se fosse o no tra gli antipassigliani, ma non ha risposto), però ci sono vari suoi amici e ci sono i radicali: c’è, insomma, tutta la destra del partito, dalla quale il nostro, come abbiamo visto (radicale, rutelliano, renzista o montista che sia) non ha mai dato segno di dissentire. Mi sembra lecito, quindi, porre anche a lui la domanda che segue: chi era contro il referendum Passigli lo era per una disinteressata, ideale avversione al sistema proporzionale, come diceva, o perché col proporzionale (che in realtà è il sistema che meglio rispecchia la volontà dei cittadini) la destra del Pidì avrebbe avuto assai meno speranze di essere votata da un elettorato di sinistra che (come dimostrano ogni volta le primarie) non la ama e non la vuole? Tutti sanno come andò a finire: gli anti-Passigli lanciarono un controreferendum per il ripristino del cosiddetto Mattarellum, Bersani cercò (o finse) di imporsi su entrambi gli schieramenti sostenendo che c’era già una proposta ufficiale del partito e che perciò dovevano entrambi soprassedere, Passigli (che è un galantuomo) ritirò il suo referendum, i destri (che galantuomini, politicamente parlando, lo sono fino a un certo punto) si guardarono bene dal ritirare il loro (il quale, essendo l’unico rimasto in campo, raccolse un milione e duecentomila firme di Cittadini ignari che li si stava prendendo in giro), la Corte Costituzionale bocciò la richiesta (come previsto dai costituzionalisti, che avevano ammonito che solo il referendum Passigli, per come era formulato, aveva qualche possibilità di superare il vaglio della Consulta) e il Porcellum rimase in vigore. Ed è a questo punto che ancora oggi stiamo. Generoso, dunque, il digiuno del Giacchetti? Il minimo che posso dire è che non lo so, e che non saperlo mi par già abbastanza per non sostenerlo né tanto meno aderirvi. E poi: perché dovrei solidarizzare con uno che ce l’ha coi laici e coi giudici? Dove e con chi mi porterà a cena non appena gli sembrerà di poter di nuovo sedersi a tavola senza che nessuno più lo sospetti di voler divorare anche i commensali? Certo, il Porcellum è una pessima legge elettorale, e anch’io vorrei con tutto il cuore che fosse cancellata. Ma non a qualsiasi costo. Supponiamo, per esempio (benché sembri sempre più ingenuo ogni giorno che passa) che nel Pd vi siano davvero una sinistra e una destra, e che la sinistra sia davvero preferibile alla destra. Supponiamo, cioè, che i dirigenti e i parlamentari che sostengono la segreteria Bersani siano davvero più a sinistra (e quindi preferibili, dal punto di vista di un elettore di sinistra) rispetto ai vari Fioroni, Veltroni, Gentiloni, Letta, Morando, Ceccanti, Boccia... e Giachetti. È vero o non è vero, in tal caso, che con il Porcellum l’attuale segretario potrebbe impedire che nelle liste elettorali la destra ottenga molto più spazio di quello che davvero le appartiene nei cuori e nelle menti degli elettori del Pidì? E, se questo è vero, cosa è più importante dal punto di vista dell’elettorato di sinistra, che il Porcellum sia cancellato o che sia un po’ ridotta (se proprio non è possibile eliminarla) la possibilità che gente di destra continui a farsi eleggere in un partito di sinistra per sostenervi e far trionfare politiche di destra? Perché, visto che il Veltroni da segretario ha potuto infarcire il partito di Caleari e di Binetti, a Pier Luigi Bersani si dovrebbe invece impedire di lasciarne fuori qualcuno? Ecco: i trascorsi del Giachetti mi autorizzano a supporre che egli digiuni non perché davvero vuol restituire intatta ai cittadini la libertà di eleggere i propri rappresentanti, ma perché vuol toglierla agli elettori del Pd. Benché sembri, ho scritto, sempre più ingenuo ogni giorno che passa... Infatti, mentre il segretario e i suoi giovani Turchi si affannano a promettere che non governeranno col Pidièlle un’ora di più di quante ne mancano alle elezioni del 2012, mentre dicono e ripetono che il confronto tra la sinistra e la destra, o fra il centrosinistra e il centrodestra, o comunque li si voglia chiamare, è così importante per una democrazia sana che se cessasse vorrebbe dire che la democrazia non c’è più (mentre dicono e ripetono questa cosa così vera, che è l’opposto di quel che ha sempre detto la destra del partito, e che ci riempie il cuore di speranza) nella realtà quotidiana che cosa vediamo? Che sinistra e destra sembrano scomparse proprio nel partito, sostituite da un’unanimità che fa ribrezzo e paura. Fasulla, certo (come si può credere all’abbraccio fra chi nel partito ha detto sì alle leggi liberticide pretese dal Vaticano, ai respingimenti del Maroni, all’autoritarismo del Marchionne, ai tagli forsennati del Tremonti, e chi invece... be’, almeno non ha detto sì?) ma che nondimeno, sincera o insincera che sia, comunque smentisce tutte le proclamazioni, tutte le promesse, tutte le Carte d’intenti, col sentore di fascismo, o di dogmatismo teologico, o quanto meno di banditismo, che inevitabilmente emana da ogni unanimismo. Ebbene: di questo unanimismo il Giachetti è uno dei maggiori campioni, uno che più di altri lo ha studiato e capito e sa come servirsene. Chiunque sia stato finora (un radicale?, un rutelliano?, un renzista?, un montista?, un opportunista?) oggi il Giachetti ha definitivamente metabolizzato la lezione pannelliana: si chiamerà Giacinto ma si chiamerà “Marco”, digiunerà e mangerà insieme, su Facebook si definirà un “agnostico”, e non rilascerà più dichiarazioni smaccatamente di destra contro i laici e contro i giudici, no, ma neppure inequivocabilmente di sinistra: virtuoso, ormai, nell’arte di sembrar ciò che non è senza sembrare ciò che è ― entrato, grazie alle sue ormai raffinate arti sceniche, in quella sorta di definitiva “clandestinità” che altri, più rozzi, vorrebbero ottenere con leggi-“bavaglio” ― il Giachetti digiuna contro il Porcellum, sì, ma per meglio nasconderci i veri motivi per cui digiuna contro il Porcellum. Così il Partito democratico vuole essere? Così sarà d’ora in poi? Il partito dei Giachetti? Un partito di sinistra in ciò, e solo in ciò, con cui ci nasconderà la sua vera identità di partito di destra?
Per la serie Nella Storia le farse si ripetono come tragedie: il Monti e il Berlusconi.
sulle cosiddette positive differenze tra il governo Monti e il governo Berlusconi: Nella sentenza della Corte Costituzionale si ricorda che, ad appena un mese dai referendum, il governo Berlusconi aveva approvato una norma che, fingendo di dare attuazione alla volontà referendaria, in realtà riproponeva, addirittura in maniera più restrittiva, le stesse norme, spesso con le stesse parole, che ventisette milioni di cittadini avevano abrogato con il loro voto. Il governo Monti si è mosso secondo la stessa logica (vedi, per esempio, qui, n.d.r.), troppi enti locali hanno continuato a comportarsi come se il referendum non vi fosse stato, i partiti hanno spesso accompagnato questa deriva con silenzi o complicità. Vane, fino al giorno dell’intervento dei giudici costituzionali, erano state le denunce di questa situazione di palese illegalità. Ora la Corte ha detto senza mezzi termini che quelle norme sono costituzionalmente illegittime, perché non si può “ledere” la volontà popolare. La legalità costituzionale è stata ristabilita. Già salvaguardata l’acqua come bene comune, viene ora meno il sostanziale obbligo dei comuni di privatizzare i servizi pubblici locali. (...) Risulta ormai evidente che Governo e Parlamento avevano cercato di realizzare una vera e propria frode legislativa a danno dei cittadini, partendo dalla disinvolta premessa che un istituto di democrazia diretta, qual è appunto il referendum, potesse essere trattato come un qualsiasi sondaggio o, com’è stato scritto con notevole impudenza, come un semplice “consiglio” ai legislatori. (...) In questa sua operazione la Corte è stata sostenuta da una forte consapevolezza culturale. La sentenza, infatti, sottolinea la necessità di considerare la “prospettiva di integrazione di strumenti di democrazia diretta nel sistema di democrazia rappresentativa”. (...) Ma i giudici costituzionali individuano un’altra questione ineludibile quando ricordano che una applicazione esclusiva del principio di concorrenza può far sorgere “ostacoli in diritto o in fatto alla speciale missione dell’ente pubblico”. È evidente l’intento di reagire alla pretesa di usare l’emergenza come occasione o pretesto per travolgere qualsiasi principio costituzionale, quasi che l’unica salvezza possa venire dalla legge del mercato, divenuta davvero il nuovo “diritto naturale”. (Stefano Rodotà, La Repubblica, martedì 7 agosto 2012). Riguardo al rapporto con la cosiddetta “agenda Monti” mi pare che la direzione indicata da Bersani sia un’altra, nonostante le santificazioni del governo tecnico che vengono da alcuni settori Pd. Il governo ha operato riducendo gli ambiti di intervento, nella Carta d’intenti c’è invece il tentativo di indicare obiettivi e orizzonti più ampi, che vanno oltre il risanamento del bilancio e il primato assoluto dell’economia e toccano quelli che definirei i cardini di una “politica costituzionale”: a partire dai diritti civili, su cui Bersani ha superato molte timidezze del passato, e da un’idea dell’Europa che va oltre il conferimento di maggiori poteri a Bruxelles nel governo dei conti. Penso all’esigenza di maggiori contrappesi democratici, come un nuovo ruolo del Parlamento europeo e nuovi meccanismi di rappresentanza e di partecipazione. L’Europa non è e non può essere solo rigore. (...) Che margini vedo per un’agenda diversa dal mero rigore? È una domanda complessa. Dopo il voto del Parlamento sul fiscal compact e l’obbrobio del pareggio di bilancio in Costituzione è difficile costruire percorsi alternativi. Ma è un dovere provarci e coinvolgere il Paese nella discussione. (Stefano Rodotà, L’Unità, martedì 7 agosto 2012). Rodotà dice le stesse cose di ScuolAnticoli (vedi qui e qui): una conferma la più illustre e preziosa che potessimo augurarci.
Per la serie Educatori di Parlamenti: Monti Mario.
Mario Monti: Ogni governo ha anche il dovere di educare le Camere. (La Repubblica, lunedì 6 agosto 2012). Avesse detto, che so?, ogni governo ha anche il dovere di stabilire con la Camere un rapporto che permetta a entrambi di realizzarsi maggiormente, ancora ancora. Ma ha detto educare. Da quel nemico della Democrazia che è. Lui, il suo governo e tutti quelli che lo sostengono.
Per la serie Si vedrà...: Pier Luigi Bersani come l’asino di Buridano tra il Casini e Stefano Fassina.
Pier Luigi Bersani (intervistato da L’Unità di domenica 5 agosto 2012): Domanda: Quanto sarà condizionato dall’Europa l’agire, soprattutto in fatto di politiche economiche, del prossimo governo? (Buona domanda, anche se noi l’avremmo formulata così: Se sarai premier, come farai a mantenere tutte le belle promesse della tua Carta d’intenti dovendo contemporaneamente rispettare il Fiscal compact europeo che ci impone 50 miliardi di nuovi tagli ogni anno fino al 2033?, n.d.r.). Risposta: Tutto dipende da quello che succede nelle prossime settimane. (Obiezione: vuoi dire che la Carta d’intenti cambierà di settimana in settimana a seconda di quel che succede?, n.d.r.). L’altro ieri, con la riunione della Bce, c’è stato un passo avanti, ma non risolutivo. Quello che viene fuori è che un Paese, in parte vittima dei suoi problemi, in parte dell’attacco al sistema euro, per far mettere in moto procedure che lo aiutino anche semplicemente a pagare meno interessi sul debito, deve chiedere l’intervento europeo facendo scattare procedure di supervisione e senza sapere quali sono le condizioni che questo pone. La Banca centrale europea può agire, ma entro limiti assai ristretti. Mentre in Germania Corte costituzionale e Parlamento prendono tempo per approvare il Fondo salva-Stati. E intanto il Paese di cui sopra che fa? Muore. Insomma, non si può pensare di salvare la famiglia ammazzando qualche familiare e mettendo dei vincoli tali da vanificare quello che si fa per cercare di raggiungere degli obiettivi. Domanda: Sta dicendo che l’Europa non può chiedere misure ancora più dolorose? Risposta: A Bruxelles non si parlò di ulteriori condizioni per l’accesso allo scudo anti-spread. Se ci fossero ulteriori condizioni concordate tra i Paesi, si vedrà. L’economia italiana ha le carte per superare le difficoltà. Domanda: Qualcuno parla anche di garanzie politiche per il futuro. Risposta: Ricordo che i governi di centrosinistra hanno più volte dimostrato di saper affrontare e superare i problemi. Non c’è bisogno di ricorrere ai governissimi. Quel che sembra di poter capire è dunque (forse) che il Bersani, personalmente, è contrario a ulteriori condizioni, cioè a ulteriori pretese di sacrifici, cioè a ulteriori manovre di distruzione dello Stato sociale, del Lavoro, della Scuola, della Sanità, delle Pensioni e, più in generale, della Vita, della Dignità e dei (pochi) beni della stragarande maggioranza dei Cittadini italiani. Quel che non si capisce, invece, dato che il Bersani nulla ne dice, è cosa pensi degli impegni già presi con l’Europa (= con le estreme destre politiche ed economiche europee) dal governo Monti, e in particolare del micidiale Fiscal compact (sul quale vedi anche qui e qui) O meglio: si capisce che per il Bersani si vedrà. Ma noi perché dovremmo votarlo sulla base di una solenne Carta d’intenti commentata il giorno dopo con un (assai poco solenne) si vedrà? Su questo il Bersani tace. In compenso, chiarissimo è invece il Casini, col quale il Bersani vuole andare al governo. Il Casini non dice si vedrà. Dice: Un anno fa Berlusconi sottoscrisse la lettera di impegni richiesta dalla Bce all’Italia. Recentemente abbiamo sottoscritto il fiscal compact e messo in Costituzione il pareggio di bilancio. La strada della prossima legislatura è segnata, ed è quella del rispetto dell’impegno con l’Europa. Il resto sono chiacchiere d’agosto. (La Repubblica, domenica 5 agosto 2012). Per quanto il Casini ci ripugni, non si può negare che il si vedrà bersaniano un po’ chiacchieragostano lo è. Tanto più che il Migliavacca Maurizio, coordinatore della segreteria pd, non dice si vedrà ma concorda pienamente col boss uddiccìno: Trovo in Casini elementi di consapevolezza sulla sfida che l’Italia ha di fronte. Per quel che ci riguarda, confermiamo la nostra posizione. (La Repubblica, domenica 5 agosto 2012). Già, ma... qual è la vostra posizione, la Carta d’intenti, il Fiscal compact o il... si vedrà? Ah, saperlo. Chi sembra saperlo è il compagno (titolo che gli manteniamo fino a prova contraria) Stefano Fassina, responsabile del Partito democratico per l’Economia, che così (senza si vedrà) si esprime: Non servono operazioni straordinarie per abbattere il debito. Tant’è che nessun Paese le ha mai fatte. Bisogna puntare alla crescita: con un Pil all’1% (oggi siamo a -2%, chiosa il giornalista che raccoglie il suo pensiero) e l’avanzo primario che abbiamo già costituito (siamo attorno al 3,5%, ma con la crescita potrebbe arrivare attorno al 5%), il debito si riduec automaticamente e in modo coerente con le richieste del fiscal compact. (L’Unità, domenica 5 agosto 2012). Tranquilli, dice in sostanza Fassina, possiamo salvare capra e cavoli: rispettare l’impegno europeo, ma senza 50 miliardi di nuovi tagli all’anno fino al 2035. Sarebbe bello, compagno Fassina, e grazie per averlo detto, ma... come mai non lo dice anche il Bersani? Come mai il Bersani dice invece si vedrà? A chi dobbiamo credere? Stefano Fassina dice quello che il Bersani non può dire a Casini, o quello che il Bersani a Casini non dirà mai?
Per la serie Quelli che stanno con la sinistra e con la destra: Piero Fassino.
Piero Fassino: Non bisogna escludere l’Idv, a patto però che l’Idv non si autoescluda attaccando ogni giorno il Pd, Napolitano o Monti. (La Repubblica, domenica 5 agosto 2012). Attaccare il Pd, il Napolitano o il Monti sarebbe la stessa cosa? E da quando?
Per la serie Allevati dall’Avanguardia nazionale fascista contro Allevati dai gesuiti: lo Scalfari contro il Draghi.
Eugenio Scalfari: Ho grandissima stima ed anche affettuosa amicizia per Mario Draghi ma questo non mi impedisce di porgli la domanda: perchè l’acquisto di titoli a breve in Spagna e in Italia dev’essere autorizzato? L’Italia in particolare ha varato con l’approvazione del Parlamento la riforma delle pensioni, la riforma del lavoro, la revisione della spesa e tutte le misure previste nella lettera firmata nell’agosto scorso da Trichet e dallo stesso Draghi, ivi compreso il pareggio del bilancio entro il 2013. È sottoposta, l’Italia, come tutti gli Stati dell’Unione, alla vigilanza e al monitoraggio della Commissione europea. È carente (questo sì) per quanto riguarda la crescita e la produttività, ma questi obiettivi non sono raggiungibili da un singolo Paese dell’Unione se non sono inquadrati e sostenuti da una politica dell’intera comunità europea. Crescere e aumentare la produttività in un sistema rigorista che non prevede crescita, ma soltanto recessione e deflazione, è impensabile. Non c’è bisogno di citare e demonizzare Keynes, basta ricordare Beveridge e Roosevelt ed anche quel brav’uomo di Hoover che precipitò gli Usa e l’Europa nel baratro del ’29. Domenica scorsa avevo chiesto a Draghi: se non ora, quando? Gli ripropongo la domanda leggermente modificata: perché non ora? Aspetta che Monti si sottoponga a ulteriori condizioni ma con quale certezza per il futuro? Certezze, non promesse da marinaio. Se Monti piegherà la testa stimolerà i mercati ad aggredire i titoli pubblici italiani. Che farà in quel caso Draghi? Difenderà il muro quando già sarà crollato? Può darsi che questo vogliano i falchi della Bundesbank, i liberali tedeschi, la Csu della Baviera, gli hedge funds e le grandi banche americane ed anche Romney e Wall Street e la City. Ma questa è l’anti-Europa cui si aggiunge la rabbia sociale in tutti i Paesi. Quanto alla Bundesbank, essa fa parte organica della Bce alla quale ha delegato come tutte le altre Banche nazionali la politica monetaria, la stabilità dei prezzi, la lotta contro la deflazione. Può votar contro nel consiglio direttivo ma poi deve comportarsi come la maggioranza avrà deciso. Questa è la regola e spetta a Draghi farla valere. Lo ripeto, con amicizia e stima: perché non ora? (La Repubblica, domenica 5 agosto 2012). Contraddizioni in seno alla borghesia, si sarebbe detto una volta. Oggi invece si dice così: Liti tra comari fra i lacchè politici, economici e mediatici delle tirannie finanziarie globali.
Per la serie Banchieri che non c’entrano con la Democrazia: Ignazio Visco.
Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, intervistato da Massimo Giannini, finto-sinistro vicedirettore de La Repubblica. Domanda: Per i governi si riduce ulteriormente il margine di manovra: non c’è una definitiva cessione di sovranità sulle politiche economiche e fiscali, tale da mettere in gioco il concetto stesso di democrazia? Riposta: Non sono d’accordo. La democrazia non c’entra nulla. Apparteniamo a una comunità sovranazionale in corso di costruzione. Mi sembra chiaro che dobbiamo rispettarne i vincoli, e che questa cessione di sovranità ci riguarda tutti allo stesso modo: non solo noi e la Spagna, ma anche la Germania e la Francia. Il fiscal compact ci riguarda tutti, l’unione bancaria ci riguarda tutti. (...) Quando si abita una casa comune, i condomini ne devono rispettare le regole e devono accettare una limitazione della propria sovranità, nell’interesse comune della casa. (La Repubblica, domenica 5 agosto 2012). La politica economica è troppo importante per lasciarla fare ai banchieri? Oppure, più semplicemente, la politica economica è troppo importante per lasciarla fare agli ignoranti? Un individuo capace di sostenere seriamente che esistano ambiti coi quali la Democrazia non c’entra, è un banchiere o è semplicemente un ignorante? Un individuo che paragona l’Unione europea a un condominio, semplicemente ignora o banchierescamente finge di ignorare che il Parlamento europeo, eletto dai Cittadini europei, diversamente da qualsiasi condominio nei confronti di qualsiasi amministratore, non ha alcun potere sulla Commissione europea e sui governi europei più potenti? Ignora o finge di ignorare, cioè, che l’Unione europea non è una democrazia?
Per la serie Quelli che solo Dio li trattiene dal massacrarci: Pietro Barcellona.
Pietro Barcellona (ateo marxista convertito): L’impatto traumatico con la crisi dell’89 ha sconvolto la mia esistenza fino a provocarmi una depressione grave che ho affrontato con una lunga psicoanalisi. Mi sono convinto attraverso questa dolorosa esperienza che nell’idea di comunismo che avevo perseguito si manifestava un delirio di onnipotenza in cui una sorta di esplosione magalomanica tendeva ad impedire l’emersione di ogni punto di vista diverso. Era il tema dell’ortodossia assoluta che cominciavo a vedere come il vero nemico del pensiero. Ciò che mi appariva chiaro era che finché l’uomo pretende di spiegare con i propri saperi tutto ciò che riguarda le condotte umane finisce col negare ciò che di specificamente umano la nostra condizione mortale esprime: il bisogno di trascendere l’orizzonte dentro il quale ci troviamo ad agire per riscoprire una presenza ulteriore. (...) Dopo il crollo del Muro di Berlino mi sono sentito fisicamente assediato dal non senso dell’esistenza. Perché non uccidere, non sfruttare, non seviziare, non torturare un altro uomo che ostacola comunque i tuoi desideri di godimento se non c’è una ragione ulteriore che istituisce il criterio per distinguere in qualche modo ciò che si può fare da ciò che non si può fare? (L’Unità, sabato 4 agosto 2012). Lo avrà mai sfiorato l’idea che miliardi di Esseri umani, intorno a lui, non uccidono, non sfruttano, non seviziano e non torturano non per una ragione ulteriore, ma semplicemente perché non ne son capaci, e che non ne son capaci perché son sani di mente? Attenti, quando lo incontrate in giro: se Dio si distraesse proprio in quel momento, il Barcellona potrebbe farvi di tutto.
Per la serie Ucci ucci, sento odor di cristianucci: il Franceschini, il Casini e il Follini quando facevano i rumorini.
Dario Franceschini: Vedo tre buone ragioni per sostenere l’alleanza con Casini. Per vincere, perché ci troveremo davanti una destra che farà una battaglia disperata e spregiudicata, con Berlusconi ancora in campo e un inevitabile rapporto con la Lega Nord. Poi per ragioni numeriche. Non è possibile affrontare un’altra legislatura con una maggioranza risicata in Parlamento. Terzo, perché per affrontare scelte difficili c’è bisogno di un consenso sociale più largo del tradizionale campo dei progressisti. Bisogna avere dietro operai e giovani delle partite Iva, pensionati e imprenditori, laici e cattolici. Un’alleanza che vada oltre il nostro campo è necessaria. Casini ha fatto una legislatura all’opposizione e non vedevo storcere il naso né agli elettori di Vendola né ai nostri poco convinti quando è stato determinante nel contrastare e far cadere il governo Berlusconi. Qui non si parla di cambiare il nostro campo, che resta quello dei progressisti, Sel compresa, ma di fare un’alleanza di una legislatura con un pezzo di moderati e riformisti. Per ragione sociale Casini resiste all’idea di “entrare” nel centrosinistra. Nessuno glielo chiede. Parliamo di un patto di legislatura. (La Repubblica, venerdì 3 agosto 2012). Quand’è che il Casini sarebbe stato determinante nel far cadere Berlusconi? Berlusconi non è stato fatto cadere, si è dimesso; e anche se fosse, a farlo sarebbero state le “provvidenziali” cadute a picco del titolo Mediaset organizzate da non meno “provvidenziali” “manine” nell’ottobre del 2011; e se anche fosse stato fatto cadere dalle forze politiche allora all’opposizione, da tutte lo sarebbe stato meno che dall’Uddiccì, che trascorse metà del 2011 a invocare larghe intese coi berluscisti e perfino coi leghisti, purché maroniani. Il Franceschini ha poca memoria, e quella poca che ha, la distorce pure.
Herr Draghi con l’elmo prussiano che gli fu regalato dalla Bild per la sua fama di rigorista. Ora lo rivogliono, pare...
Per la serie La Carta d’intenti vi fa contenti, ma il Fiscal compact vi farà canzonati: il Bersani e il Vendola uniti nella lotta. Bene, ma... contro chi?
(su) Pier Luigi Bersani e Nicola “Nichi” Vendola (sul quale vedi anche qui, qui e qui): Vendola, e con lui Sinistra ecologia libertà, accettano e sottoscrivono la Carta d’intenti che Bersani, martedì 31 luglio, ha fatto approvare dal Partito democratico come futuro programma di governo? Si direbbe di sì, a giudicare da quanto scrive La Repubblica: Con un’immagine “sentimentale”, Nichi Vendola annuncia che l’accordo con il Pd è fatto e il nuovo centrosinistra c’è. “Nasce il Polo della speranza”, dice il leader di Sel, lasciando l’ufficio di Pier Luigi Bersani al nazareno. Un’ora e mezzo di colloquio in quattro (Vendola con Ciccio Ferrara, Bersani con Maurizio Migliavacca); sul tavolo la “carta degli intenti” (ovvero la bozza per il programma di governo che il segretario democratico ha presentato martedì), caffè e acqua minerale. Bersani è soddisfatto: “Inizia la costruzione dell’alternativa di governo. Di Pietro ha scelto un’altra strada”. Vendola sembra contento e assicura che non porrà veti all’Udc (“se l’agenda ha al centro i diritti sociali e civili”) e che non condivide la “deriva” di Di Pietro, populista e propagandista. Già si parla di svolta vendoliana. (La Repubblica, giovedì 2 agosto 2012). Domanda: il Vendola l’ha letta, quella Carta d’intenti, prima di sottoscriverla? Noi l’abbiamo letta, parola per parola, e vi abbiamo trovato tante cose condivisibili, condivisibilissime, perfino di sinistra. Eccone alcune: Il liberismo finanziario ha lasciato i ceti meno abbienti in balia di un mercato senza regole... Se l’austerità e l’equilibrio dei conti pubblici, pur necessari, diventano un dogma e un obiettivo in sé, senza alcuna attenzione per occupazione, investimenti, ricerca e formazione, finiscono per negare sé stessi... La nostra visione assume il lavoro come parametro di tutte le politiche. Cuore del nostro progetto è la dignità del lavoratore da rimettere al centro della democrazia, in Italia e in Europa... L’Italia è divenuta negli anni uno dei Paesi più diseguali del mondo occidentale. La crisi stessa trova origine, negli Stati Uniti come in Europa, da un aumento senza precedenti delle disuguaglianze. E dunque esiste, da tempo oramai, un problema enorme di redistribuzione che investe il rapporto tra rendita e lavoro, mettendo a rischio i fondamenti del welfare. Sull’altro fronte, la ricchezza finanziaria e immobiliare è diventata sempre più inafferrabile, capace com’è di sfuggire a ogni vincolo fiscale e solidale. E però non si esce dalla crisi se chi ha di più non è chiamato a dare di più... La dignità del lavoro e la lotta alle disuguaglianze s’incrociano nel primato delle politiche per l’istruzione e la ricerca... Bello, no? Altro che Nichi, anche noi avremmo firmato proposizioni come queste. O meglio: le avremmo firmate se poi, arrivati alle ultime righe dell’ultima pagina (dove sono elencati proprio quegli impegni delle forze della coalizione che Nichi avrà sicuramente letto con maggiore attenzione) non ci avessero dissuaso dal farlo le seguenti parole: Assicurare il pieno sostegno, fino alla loro eventuale rinegoziazione, degli impegni internazionali già assunti dal nostro Paese o che dovranno esserlo in un prossimo futuro. Questa proposizione, infatti, è più che sufficiente a tramutare le 14 pagine della solenne Carta d’intenti bersaniana in carta straccia. O, peggio, in uno scintillante specchietto per le allodole. Poiché, tra gli impegni internazionali già assunti dal nostro Paese, c’è anche il famigerato e micidiale Fiscal compact supinamente approvato pochi giorni fa dal Parlamento dei nominati. Quel Fiscal compact, o Patto fiscale (lo ricordiamo per chi si fosse distratto) sul quale così si è espresso, pochi giorni fa, il professor Luciano Gallino: Il 20 luglio la Camera ha approvato il Patto fiscale, trattato Ue (firmato dalla Merkel, dal Sarkozy e dal Berlusconi, n.d.r.) che impone di ridurre il debito pubblico al 60% del Pil in vent’anni. Comporterà per l’Italia una riduzione del debito di una cinquantina di miliardi l’anno, dal 2013 al 2032. Una cifra mostruosa, che lascia aperte due sole possibilità: o il patto non viene rispettato, o condanna il Paese a una generazione di povertà. Parafrasando (con tutto il rispetto) il professor Gallino, lo stesso si può dire della Carta d’intenti: o quel pieno sostegno degli impegni internazionali già assunti dal nostro Paese non sarà mai davvero assicurato, oppure la Carta d’intenti bersaniana condanna il Paese a una generazione di povertà ed è piena di promesse fasulle che non saranno mai mantenute. Il Vendola forse non se n’è accorto? Non lo pensiamo, poiché solo un imbecille firmerebbe documenti così importanti senza studiarseli con la massima attenzione. Il Vendola se n’è accorto e come, e nondimeno ha firmato. In cambio di cosa? Delle promesse sui diritti civili? Di quelle belle parole (Daremo sostanza normativa al principio riconosciuto dalla Corte costituzionale, per il quale una coppia omosessuale ha diritto a vivere la propria unione ottenendone il riconoscimento giuridico) che hanno indotto a dichiararsi soddisfatti (La Repubblica, mercoledì 1° agosto 2012) “anche i leader gay del Pd Concia, Scalfarotto e Mancuso”? Se è così, al Vendola domandiamo: si rende conto che il riconoscimento delle coppie di fatto (così come la concessione della cittadinanza ai figli nati in Italia dei lavoratori stranieri), benché di fondamentale importanza, sono le uniche promesse a costo zero della Carta d’intenti? Si rende conto, cioè, che mantenerle servirà a far sembrare di sinistra il futuro governo Bersani-Vendola mentre esso, sostenendo gli impegni internazionali già assunti dal nostro Paese, finirà di ammazzarci tutti tagliando 50 miliardi all’anno di spese statali dal 2013 al 2032? Sa il Vendola che il piddìno Francesco Boccia, fondamentalista del napolitano-montismo (e dell’inciucio, per meglio inverare il quale si è fatto marito di una pidiellìna, vedi su di lui anche qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui e qui), ha candidamente ammesso (o strafottentemente rivendicato, fate voi) che la Carta d’intenti ci copre a sinistra sui diritti, ma resta sulla scia di Monti in materia economica (La Repubblica, mercoledì 1° agosto 2012)? Ha mai sentito parlare, il Vendola, del pink washing, cioè della furbesca pratica con cui i più protervi destri e finti sinistri americani ed europei (Clinton, Bush, Blair, Zapatero, Schroeder, Merkel, Sarkozy, Cameron, per nominarne solo alcuni) dinanzi alle rispettive (ingenue) opinioni pubbliche di sinistra hanno tentato (e per qualche tempo sono riusciti) a “ripulirsi” (to wash, lavare) dal nero del loro sostanziale fascismo ridipingendosi formalmente di “rosa” (pink) con politiche a favore dei gay e di altre minoranze? Ha mai sentito dire, il Vendola (magari leggendo Marx, oltre che i Vangeli) che i Diritti son destinati a valere solo per un 1% di privilegiati, se il restante 99% non può usufruirne essendo stato ridotto alla fame e alla più totale irrilevanza da 50 miliardi di tagli all’anno per ventidue anni?...
Per la serie Situazioni appositamente create per mettere le persone per bene le une contro le altre: l’Ilva di Taranto.
sull’Ilva di Taranto: È possibile che entrino duramente in conflitto la salute, diritto fondamentale della persona (art. 32 della Costituzione), e il lavoro, fondamento della Repubblica (art.1)? Sì, è possibile. E non è la prima volta che, nelle piazze italiane, si pronunciano le terribili parole “meglio morti di cancro che morti di fame”. Quando si è obbligati ad associare il lavoro con la morte, si tratti di produzioni nocive o di infortuni, davvero siamo di fronte a inammissibili violazioni dell’umanità delle persone. Il lavoro si trasforma in condanna quotidiana, che non arriva però da una maledizione biblica, ma dal modo in cui è concretamente organizzato il mondo della produzione. Da dove cominciare per cercare di comprendere queste vicende? Ancora una volta ci aiuta la Costituzione con il suo articolo 41. Qui si dice che l’iniziativa economica privata, dunque l’attività d’impresa, “non può svolgersi in contrasto con la sicurezza, la libertà e la dignità umana”. Vale la pena di sottolineare la lungimiranza dei Costituenti, che posero la sicurezza prima ancora di libertà e dignità. E la sicurezza riguarda il lavoro, ma è pure sicurezza per i cittadini nell’ambiente e per i prodotti che consumano. Quelle parole nella Costituzione piacciono sempre di meno e si cerca di cancellarle, in nome della legge “naturale” del mercato. In un decreto recente, salvato acrobaticamente dalla Corte Costituzionale, si è messo abusivamente al primo posto il principio di concorrenza, nel tentativo di ridimensionare la portata complessiva di quell’articolo... (Stefano Rodotà, La Repubblica, giovedì 2 agosto 2012). Contro l’articolo 41 vedi e ricorda qui (Tremonti), qui (Berlusconi), qui (Tremonti e Napolitano), qui (Massimo Giannini, vicedirettore de La Repubblica, critica Berlusconi per non averlo cancellato), qui (Calderoli), qui (Rutelli), qui (Abi, Confindustria, Alleanza cooperative italiane, Ania, Cia, Claai, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Reteimprese Italia, tutte insieme contro la sicurezza, la libertà e la dignità umane) e qui (ancora Berlusconi e camerati assortiti): una bella compagnia di giro, eh?
Per la serie Gli estremi si toccano: il finto sinistro Fioroni è stato forse multato mentre stava correndo a un appuntamento col vero destro Vendola?
...tant’è vero che Giuseppe “Beppe” Fioroni applaude: Con Vendola possiamo costruire un’area riformista ed evitare gli estremismi di sinistra che hanno danneggiato i governi Prodi. (La Repubblica, giovedì 2 agosto 2012). Parlerebbe così, un cattofascista come il Fioroni, se non fosse più che sicuro che le belle parole della Carta d’intenti resteranno tali? Per carità, è solo una domanda...
Per la serie L’uomo che volle farsi re: il Napolitano con l’uomo che volle farsi reggicoda del re, lo Scalfari.
(su) Giorgio Napolitano ed Eugenio Scalfari (massimi comuni divisori della Sinistra italiana) e sulla loro composta (del Napolitano) e scomposta (dello Scalfari) battaglia contro i Giudici di Palermo (sulla quale vedi anche Di Pietro, qui, Ingroia, qui, Napolitano, qui, ancora Ingroia, qui, e Scalfari, qui): Vogliamo sapere dove stia il divieto d’ascoltare. Non basta esclamarlo, va letto nel testo d’una norma. Qui l’onorevole Gianluigi Pellegrino alza i toni (cattivo segno): sono parole del Presidente, “coperte dalla guarentigia d’inviolabilità”; è vertice dello Stato; comanda le forze armate. Dio sa cosa c’entri. “Guarentigia”, parola melodiosa, suona retrò; e così “inviolabile”, aggettivo ignoto al moderno lessico costituzionale, che io rammenti, mentre appare nell’art. 4 dello Statuto Albertino, 4 marzo 1848: “la persona del Re è sacra e inviolabile”. L’oracolo non dà altro... (...) L’ascolto era accidentale, su una linea captata, e chi frequenta luoghi pericolosi “imputet sibi” gli accidenti. L’avevamo rilevato: i devoti alla prerogativa interpolano nel codice categorie arcaiche da Ramo d’oro o Re taumaturghi; ma veniamo al quadro casistico. Cos’avverrebbe se, essendo “inviolabile” il Presidente, un domestico infedele lo spiasse mentre telefona, registrando i suoni: inammissibile la testimonianza in processi su fatti altrui, perché viola l’augusta privacy?; inceneriamo l’abusivo reperto fonico? Rabelais sogghignerebbe, spiritoso qual era nel descrivere gli hommes de loi. Supponiamo ora che il dialogo registrato sia corpus delicti, in quanto configura una condotta penalmente qualificabile: l’art. 271, ultima frase, vieta la distruzione dei reperti, anche se l’origine fosse illegale; il dogma dell’inviolabilità inghiotte tutto? Intavolata una falsa premessa, piovono paradossi. Sotto gli esclamativi c’era poco, anzi niente, né risultano applicabili i divieti probatori effettivi (ad esempio, l’art. 71.5 giugno 1989). Squagliati i fantasmi, cerchiamo le norme. L’unica reperibile sta nella l. 20 giugno 2003 n. 140: intesa ad attuare l’art. 68 Cost. (immunità parlamentari), contemplava anche il Presidente della Repubblica (giudizi relativi alle “alte cariche dello Stato”), ma i tre commi dell’art. 1 erano invalidi, tali dichiarati perché incompatibili con l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge (classico prodotto berlusconiano, reiterato dal cosiddetto lodo Alfano, alla cui vita intrauterina non era estraneo il Quirinale. (...) Risolta la questione tecnica, va detto qualcosa sullo sfondo ideologico. Corrono vecchie nomenclature: la persona del Presidente è inviolabile; cade l’aggettivo “sacra”, pudicamente omesso, ma persiste l’idea; spira panico religioso nel preteso obbligo d’interrompere l’ascolto appena risuoni la Voce. Carismi, “guarentigie”, immunità, segreto significano arcigna “ragion di Stato” (titolo d’un libro del rissoso gesuita politologo, dimesso dalla Compagnia, Giovanni Botero, Venezia, 1589). Novantun anni prima che Carlo Alberto promulghi lo Statuto, lunedì 28 marzo 1757, dopo le 15, ora canonica delle feste patibolari, in place de Grève ne va in scena una fuori programma da 147 anni: un regicida che sei cavalli non riescono a squartare, previ attanagliamenti, ustioni sulfuree, taglio della mano, ma chiamarlo regicida è gonfia metafora: Robert-François-Damiens aveva lievemente punto Luigi XV, detto l’Amatissimo, atto simbolico; voleva ammonirlo; ed è un mattoide dal sangue bollente (quando gli sale alla testa, se ne fa cavare). Roba futile se il corpo del re non fosse santo: Robert-François sputa l’anima dopo due ore d’uno scempio sul quale Casanova chiude gli occhi inorridito. Non sono più tempi da squartamenti a trazione equina, ma l’enfasi intimidatoria batte senza tregua, quando sarebbe raccomandabile una sobria ragione laica. (Franco Cordero su La Repubblica di giovedì 2 agosto 2012). Giù il cappello, compagni e amici di ScuolAnticoli.
Per la serie La messicanizzazione d’Italia procede: un titolo de La Repubblica di giovedì 2 agosto 2012.
(su) l’Italia ridotta a Messico d’Europa dalle tirannie finanziarie globali e dai loro sgherri nostrani: Allarmato dalla penetrazione camorrista il governo americano ha comminato sanzioni a cinque boss del clan, (e questo sarebbe il meno) ma ha vietato a chiunque di fare affari con loro. Nessuno può introdurre i loro capitali in America, nessuna banca può accogliere il loro denaro, chi sarà sorpreso a fare affari finanziari con loro la pagherà cara. L’obiettivo è ambizioso: il ministero del Tesoro dichiara che punta ad “espellere la Camorra dal sistema finanziario globale e tutelare il sistema finanziario americano dal riciclaggio dei suoi proventi criminali”. Se Geithner usa queste parole vuol dire che il pericolo è grave. Non è una novità: esattamente un anno fa il governo di Obama aveva dichiarato guerra alla camorra, definendola “una delle quattro organizzazioni criminali più pericolose per l’interesse degli Stati Uniti”, insieme alla Yakuza, ai Los Zetas messicani e alla mafia russa. (Roberto Saviano su La Repubblica di giovedì 2 agosto 2012).
su Francesco Profumo, addetto dai napolitano-montisti alla soluzione finale del problema dei Bambini e dei Ragazzi italiani per il sistema finanziario globale: Il maxiemendamento al provvedimento sulla spesa pubblica su cui il governo ha ottenuto la fiducia al Senato peggiora le condizioni di lavoro nei comparti della conoscenza, taglia ulteriori risorse agli istituti di ricerca pubblici, alle scuole e alle università, assesta un durissimo colpo alla contrattazione, licenzia migliaia di precari, colpisce duramente il diritto allo studio attraverso l’aumento delle tasse universitarie. Nulla di fatto nemmeno sull’assurdo divieto di pagare le ferie ai supplenti della scuola. La Flc Cgil è pronta a promuovere contro questo provvedimento illegittimo migliaia di ricorsi. Indecente è la misura sui docenti inidonei per motivi di salute, che saranno riconvertiti in assistenti amministrativi senza tener conto del loro stato di salute e tagliando migliaia di posti ai precari. “La misura è colma” ha dichiarato Domenico Pantaleo. “Contro il governo Monti metteremo in campo un durissimo conflitto sociale. Non è più rinviabile lo sciopero generale di tutti i lavoratori pubblici e privati. Il governo dei tecnici sta utilizzando la crisi per cancellare i diritti sociali e di cittadinanza, per ridurre i salari, per peggiorare le condizioni di lavoro, per licenziare migliaia di precari e per colpire la dignità e la funzione sociale del lavoro pubblico”. (Comunicato della Flc Cgil di mercoledì 1° agosto 2012).
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